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sezione I civile; sentenza 19 luglio 2002, n. 10542; Pres. Grieco, Est. Benini, P.M. Palmieri...

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sezione I civile; sentenza 19 luglio 2002, n. 10542; Pres. Grieco, Est. Benini, P.M. Palmieri (concl. conf.); Muscas e altri (Avv. Lauro) c. Comune di Cagliari (Avv. Melis, Farci). Conferma App. Cagliari 23 novembre 1999 Source: Il Foro Italiano, Vol. 125, No. 10 (OTTOBRE 2002), pp. 2605/2606-2613/2614 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23196826 . Accessed: 24/06/2014 22:36 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 62.122.73.34 on Tue, 24 Jun 2014 22:36:54 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione I civile; sentenza 19 luglio 2002, n. 10542; Pres. Grieco, Est. Benini, P.M. Palmieri(concl. conf.); Muscas e altri (Avv. Lauro) c. Comune di Cagliari (Avv. Melis, Farci). ConfermaApp. Cagliari 23 novembre 1999Source: Il Foro Italiano, Vol. 125, No. 10 (OTTOBRE 2002), pp. 2605/2606-2613/2614Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23196826 .

Accessed: 24/06/2014 22:36

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

dell'interpretazione che opera una distinzione fra la proroga

prevista dall'art. 5 1. 385/80, in base al quale si ritiene che la

legge si limiti ad attribuire alla pubblica amministrazione il po tere di proroga, da esercitarsi poi concretamente nelle singole

procedure, e le proroghe previste con le leggi successive, cui è

stata attribuita invece diretta ed immediata incidenza, attuando

ne il prolungamento. Sostiene che tale interpretazione non trova

riscontro nella lettera della legge e che non è condivisibile la di

versa ratio che ha ispirato la 1. n. 5 del 1980 rispetto alle succes

sive.

Le considerazioni espresse in relazione al primo motivo,

comportando la decorrenza del termine di prescrizione dal 29

luglio 1980, assorbono, rendendola superflua, la presente censu

ra, non potendo influire ai fini di una tempestiva interruzione

l'eventuale prolungamento di un anno previsto dal richiamato

art. 5 1. 385/80 in quanto l'atto di citazione del presente giudizio è stato notificato il 5 maggio 1989.

Ad ogni modo la censura è anche infondata, ponendosi la tesi

espressa sull'automaticità della proroga del termine di occupa zione prevista da detta norma in palese, oltre che consapevole, contrasto con la consolidata giurisprudenza in materia (sez. un.

6626/98, id., 1998,1, 3571; 3798/97, id., Rep. 1997, voce cit., n. 257; 7807/95, id., Rep. 1996, voce cit., n. 185; sez. un. 9826/93,

id., Rep. 1994, voce cit., n. 206) la quale ha sempre affermato il

principio della necessità di un apposito provvedimento in rela

zione alle proroghe previste dalla 1. 385/80 (oltre che dal d.l.

396/81, convertito con 1. 535/81, dal d.l. 298/82, convertito con

1. 481/82, nonché dalla 1. 943/82) rispetto a quelle successive

che operano invece automaticamente in quanto si riferiscono, a

differenza delle prime, alla scadenza del termine concretamente

fissato nel provvedimento dall'autorità amministrativa, attuan

done il prolungamento e non già alla scadenza del termine

astrattamente previsto dall'art. 20 1. 865/71.

A fronte di tale costante orientamento basato, oltre che sulla

lettera, anche sulla diversa ratio delle norme, da individuare per

quelle successive nell'esigenza di attendere la nuova disciplina in materia di espropriazione, intervenuta poi con la 1. 359/92,

non sono state dedotte argomentazioni nuove in grado di giusti ficare una diversa interpretazione.

Si è già osservato come la censura in esame risulti comunque assorbita dal rigetto del primo motivo, ma, a ben vedere, anche

il rigetto del presente motivo comporta l'assorbimento del pri

mo, almeno relativamente alla questione relativa alla prescrizio ne.

Infatti, anche ammesso per ipotesi che l'occupazione si fosse

legittimamente protratta per il termine di anni cinque previsto dall'art. 20 I. 865/71 — con esclusione ovviamente dell'ulterio

re anno di cui all'art. 5 1. 385/80 per le ragioni testé esposte — e

non di anni due, come ribadito in relazione al primo motivo, il

decorso del termine di prescrizione del diritto al risarcimento

avrebbe avuto inizio il 29 luglio 1983, con la conseguenza che

l'azione, proposta solo nel maggio del 1989, sarebbe stata

ugualmente esercitata tardivamente.

Poiché però un tale assorbimento non avrebbe coperto l'area

delle questioni relative alla durata del periodo di occupazione

legittima che la corte d'appello ha fissato in due anni, calcolan

do poi la relativa indennità su tale durata, la relativa censura

non poteva non essere affrontata espressamente nel suo conte

nuto.

Il ricorso va pertanto rigettato.

nate da un'applicazione generalizzata, da parte dei giudici interni, dei

principi affermati dalla Corte europea, con il rischio di compromettere

pesantemente le finanze degli enti locali (75). Gli effetti finanziari della

restituzione del bene occupato sarebbero infatti individuabili sia nella

spesa per la realizzazione dell'opera pubblica (che si aggiungerebbero a

quelli di restituzione) e per il ripristino dello status quo ante, sia nella

spesa per l'occupazione illegittima, oltre all'indennità per l'occupazio ne legittima.

Stefano Benini

(75) Secondo Benigni, op. cit., 296, la soluzione della restitutio in

integrum comporterebbe costi sociali insopportabili rispetto alla più lo

gica soluzione del giusto risarcimento.

Il Foro Italiano — 2002.

Stefano Benini

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 19 lu

glio 2002, n. 10542; Pres. Grieco, Est. Benini, P.M. Palmieri

(conci, conf.); Muscas e altri (Avv. Lauro) c. Comune di Ca

gliari (Avv. Melis, Farci). Conferma App. Cagliari 23 no

vembre 1999.

Unione europea — Trattato di Maastricht — Diritti fonda

mentali — Convenzione europea dei diritti dell'uomo —

Violazione da parte delle normative nazionali — Interpre

tazione pregiudiziale della Corte di giustizia — Esclusione

(Trattato Ce, art. 234; protocollo n. 1 alla convenzione per la

salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali,

art. 1; trattato di Maastricht, art. 6). Diritti politici e civili — Beni ambientali — Compressione

dello «ius aedificandi» — Violazione del principio di pro tezione della proprietà

— Esclusione (Trattato Ce, art. 234;

protocollo n. 1 alla convenzione per la salvaguardia dei diritti

dell'uomo e delle libertà fondamentali, art. 1; trattato di Maa

stricht, art. 6; d.leg. 29 ottobre 1999 n. 490, t.u. delle disposi zioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, a

norma dell'art. 1 1. 8 ottobre 1997 n. 352, art. 149, 151). Beni culturali, paesaggistici e ambientali — Piani territoriali

paesistici — Effetti prescrittivi e conformativi nei confron

ti dei privati (D.leg. 29 ottobre 1999 n. 490, art. 149, 151).

Beni culturali, paesaggistici e ambientali — Vincoli paesisti ci — Questione manifestamente infondata di costituziona

lità (Cost., art. 3, 9, 42; 1. 29 giugno 1939 n. 1497, protezione delle bellezze naturali, art. 5, 16; d.leg. 29 ottobre 1999 n.

490, art. 149, 151).

Non è ammissibile il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia delle Comunità europee per l'interpretazione dell 'art. 6, par.

2, del trattato di Maastricht del 7 febbraio 1992, in quanto nella citata disposizione il rispetto dei diritti fondamentali,

garantiti dalla convenzione europea dei diritti dell 'uomo, co

stituisce una direttiva per le istituzioni della Comunità, e non

già una norma comunitaria rivolta agli Stati membri. (1) Il sistema di protezione dei beni paesaggistici e ambientali vi

gente nell'ordinamento nazionale italiano, che legittima la

compressione dello ius aedificandi ma non elimina una red

ditività diversa dal loro sfruttamento edilizio ed incide co

munque nella valutazione ai fini della determinazione del

l'indennizzo espropriativo, non contrasta con l'art. I del

protocollo n. 1 della convenzione europea dei diritti dell'uo

mo che. pur ispirato alla necessaria proporzionalità tra l'in

teresse pubblico perseguito e la tutela della proprietà privata, non esclude un sacrificio alla proprietà imposto per la salva

guardia di interessi paesaggistici. (2) Al piano paesistico vanno ricondotti non solo gli effetti di un

piano di direttive ma anche quelli connaturati ad un piano di

prescrizioni, immediatamente vincolanti per i privati, e le re

lative previsioni, poste a tutela del paesaggio e limitative del

l'uso dei beni vincolati, hanno natura conformativa e, per la

primazia assicurata al valore ambientale, prevalgono su ogni altra disciplina concernente l'assetto del territorio. (3)

I beni immobili sottoposti a vincolo, nell'ambito del sistema di

tutela del paesaggio, costituiscono una categoria di interesse

pubblico in virtù delle qualità che, fin dall'origine, ad essi

ineriscono, conseguendone la manifesta infondatezza della

questione di legittimità costituzionale degli art. 5 e 16 l.

1497/39 e dell'art. 149 d.leg. 490/99, nella parte in cui con

sentono l'imposizione di limiti all'esercizio della facoltà del

diritto di proprietà — senza termini di durata e senza inden

nizzo — a salvaguardia dei valori culturali ed ambientali, in

attuazione della funzione sociale della proprietà, in riferi mento agli art. 9 e 42 Cost. (4)

(1-4) I. - In una vicenda relativa all'accertamento della sussistenza

dei presupposti per una occupazione, appropriativa o usurpativa, di ter

reni, si è posto il problema di determinare, al fine della individuazione

della stima dell'immobile per lamentati fini espropriativi, quale fosse

l'effettivo regime giuridico delle aree interessate dall'occupazione e

sulle quali risultavano apposti limiti all'edificabilità ad opera di un pia no territoriale paesistico.

La corte, nell'esaminare la controversia, ha dovuto affrontare quesiti vecchi e nuovi cui ha fornito risposta chiara e conforme alla giurispru denza costituzionale, amministrativa e delle corti di Lussemburgo e

Strasburgo.

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2607 PARTE PRIMA 2608

Motivi della decisione. — (Omissis). Il ricorso principale è in

fondato, e va rigettato. Il primo motivo muove correttamente dal carattere conforma

tivo del vincolo paesaggistico, ma nell'intento di tradurre la ne

gazione dell'indennizzo che ne consegue, nei termini suggestivi di una sproporzionata penalizzazione della proprietà, vi associa

un regime di assoluta inedificabilità che non trova riscontro

nella disciplina positiva. Il vincolo paesaggistico ha general

La natura conformativa e precettiva del piano paesistico si ricollega alla caratteristica ontologica e genetica di tale tipo di pianificazione che, come si desume dalle sue triplici successive fonti (art. 5 1. 29 giu gno 1939 n. 1497, art. 1 bis 1. 8 agosto 1985 n. 431 e art. 149 d.leg. 29 ottobre 1999 n. 490), si estende — tanto nelle forme obbligatorie quanto in quelle facoltative — ad aree territoriali sulle quali già insiste un vincolo di natura paesaggistica.

11 piano paesistico, infatti, è uno strumento di tutela del paesaggio che, sia nel momento genetico che in quello funzionale, si inserisce, nel sistema di tutela delineato dall'ordinamento nel settore in esame, in po sizione mediana e strategica nel senso che presuppone il vincolo ma ne condiziona la sua gestione a mezzo dell'autorizzazione.

11 «piano territoriale paesistico», secondo l'ultima vigente formula zione (art. 149 d.leg. 490/99), deriva, quindi, i suoi effetti precettivi dalla preesistenza del vincolo paesistico che ha natura conformativa dell'uso della proprietà mediante l'imposizione del regime giuridico della c.d. immodificabilità relativa, in base al quale ogni intervento di modificazione del territorio deve essere prima sottoposto al giudizio di

compatibilità paesaggistica che è espresso, attraverso il rilascio del

l'autorizzazione, dall'autorità preposta alla tutela del paesaggio. Tale aspetto, pur non direttamente evidenziato nella sentenza in epi

grafe, è da essa pienamente condiviso ed implicitamente presupposto nell'affermazione, contenuta in premessa, del valore e del contenuto conformativo del vincolo paesaggistico e nel richiamo espresso alla sentenza della Corte costituzionale 13 luglio 1990, n. 327 (Foro il., 1991,1,2010).

Dalla relazione di presupposizione esistente tra piano e vincolo, di scende che il piano deve mantenere integra la funzione precettiva del vincolo e può solo operare una ulteriore e diretta precisazione del con tenuto della sua portata coercitiva.

Sul punto merita di essere richiamata la giurisprudenza amministrati va che ha approfondito il carattere precettivo di questo genere di piani ficazione: v. Tar Lazio, sez. II, 20 settembre 1989, n. 1270, ibid., Ili, 204, che sostiene la piena legittimità per i piani paesistici di porre con dizionamenti rigidi e limiti inderogabili che possono giungere sino al

l'imposizione di vincoli assoluti di inedificabilità; Tar Campania, 10 settembre 1998, n. 2845, id.. Rep. 1999, voce Bellezze naturali, n. 54, e 24 ottobre 2001, n. 4168, Trib. amm. reg., 2001, I, 4168, che ritengono che, nelle diverse zone in cui è suddiviso il territorio comunale, il piano territoriale paesistico può legittimamente imporre all'attività edificato ria divieti, limitazioni e prescrizioni al fine di impedire che delle stesse aree sia fatto un uso suscettibile di arrecare pregiudizio agli interessi

paesistico-ambientali; Cons. Stato, sez. VI, 14 gennaio 1993, n. 29, Fo ro it.. 1993, III, 332, secondo cui il piano paesistico territoriale attiene ad una fase successiva rispetto a quella dell'imposizione del vincolo

paesaggistico e, più precisamente, alla fase della pianificazione della tutela delle zone dichiarate di particolare interesse paesaggistico; e, so

prattutto, Cons. Stato, sez. II, 20 maggio 1998, n. 548/98, id., 1999, III, 326, che, per la prima volta, ha approfondito la problematica concreta del contenuto e della funzione del piano paesistico. In detto parere, sulla premessa che il vincolo è un necessario presupposto logico giuri dico del piano paesistico, si afferma chiaramente che l'esistenza del vincolo non solo legittima l'esercizio della funzione pianificatoria ma anche la condiziona giacché il contenuto precettivo del vincolo non può essere rimosso dal piano che può solo «in via generale e preventiva, omogeneizzarlo per zone e per categorie, determinandone — per gli ambiti protetti — i limiti di utilizzazione, così superando la visione

particolare e discontinua della tutela meramente provvedimentale», e

legittimando «l'individuazione in negativo degli interventi che, per la loro inconciliabilità con il contesto, si pongono in posizione di incom

patibilità assoluta con i valori salvaguardati dal vincolo», con la conse

guenza che, in questi casi, viene meno la stessa possibilità di rilasciare un'autorizzazione. Pare evidente che l'incisione diretta sulla posizione del privato proprietario determina il suo diritto alla impugnazione del

piano paesaggistico, che consegue efficacia dal momento dell'adozione

(e non dell'approvazione) sia nei confronti dei privati che dei comuni tenuti ad adeguarsi alle relative prescrizioni: Tar Lazio, sez. II, 20 set tembre 1989, n. 1270, cit.

Il piano, quindi, dovrà contenere una graduazione delle forme di uti lizzo delle aree che, nel rispetto del quadro complessivo dei valori pae sistico-ambientali protetti, diano attuazione agli interessi tutelati dal vincolo.

In ordine al contenuto del piano paesistico, si segnala che il governo, in sede di conferenza permanente per i rapporti tra Stato e regioni, ha sottoscritto l'accordo 19 aprile 2001, tra il ministero per i beni ed atti

II Foro Italiano — 2002.

mente l'effetto di determinare un regime di inedificabilità rela

tiva, che comporta l'assoggettamento alla preventiva delibazio

ne dell'autorità preposta alla tutela del bene protetto, di ogni

progetto concernente la trasformazione e l'uso del bene (art. 149 e 151 d.leg. 29 ottobre 1999 n. 490). E, dunque, corretta

mente il giudice di merito, nel momento in cui, con la sentenza

non definitiva oggetto d'impugnazione, dà una qualificazione conformativa al vincolo gravante sulla proprietà, dispone per il

vita culturali e le regioni, sull'esercizio dei poteri in materia di paesag gio.

L'accordo, in attesa della ratifica della convenzione europea sul pae saggio sottoscritta a Firenze il 20 ottobre 2000, recepisce ed anticipa i

principi della convenzione fissando criteri e modalità della pianifica zione paesistica che dovrà attuarsi mediante a) individuazione del con tenuto conoscitivo, prescrittivo e propositivo; b) disciplina degli ambiti di tutela e valorizzazione; c) definizione degli obiettivi di qualità paesi stica; d) determinazione degli interventi da realizzarsi per la valorizza zione e la gestione dei beni tutelati; e) strumenti di incentivazione e di consultazione pubblica; f) forme di controllo sugli interventi e di vigi lanza sull'esercizio delle competenze da parte degli enti subdelegati.

II. - Altro fondamento alla natura, anche precettiva, del piano territo riale paesistico, si rinviene nell'accostamento, all'originario piano pae sistico di cui all'art. 5 1. n. 1497 del 1939, del piano urbanistico territo riale con specifica considerazione dei valori paesistici ed ambientali introdotto dall'art. 1 bis 1. n. 431 del 1985.

Di esso, in particolare, si è occupata la Corte costituzionale che, con riferimento a fattispecie aventi ad oggetto piani territoriali paesistici estesi all'intero territorio regionale, ha evidenziato come il secondo ti

po di piano se pur inizialmente «trova il suo nucleo iniziale di discipli na nei piani territoriali di coordinamento previsti dall'art. 5 1. 17 agosto 1942 n. 1150», per lo stretto legame con la competenza urbanistica delle regioni e per effetto della regolamentazione regionale degli stru menti di pianificazione urbanistica, affianca «agli effetti propri di un

piano di direttive, destinato ad orientare l'azione dei pubblici poteri in vestiti di competenza urbanistica (secondo lo schema adottato per i pia ni territoriali di coordinamento dagli art. 5 e 6 1. 1150/42) anche quelli connaturati ad un piano di prescrizioni, immediatamente vincolanti per i soggetti privati». Questo tipo di piano, per la sua natura urbanistica,

può estendersi anche oltre le zone direttamente vincolate dalle leggi di tutela del paesaggio giacché alle regioni non è preclusa la approvazione di normative regionali di maggiore o pari efficienza (Corte cost. 13 lu

glio 1990, n. 327, cit., con nota di Fuzio, Verso un ridimensionamento dei piani paesistici?). Affermazione ripresa anche nelle successive Corte cost. 7 novembre 1994, n. 379, id., 1995, I, 21, e 28 luglio 1995, n. 417, id., 1996, 1, 422, con ampia nota di richiami, nonché, da ultimo, in Corte cost. 27 luglio 2000, n. 378, id.. Rep. 2000, voce Regione, n.

323, sia pur sempre con riferimento specifico al piano territoriale stral cio della regione Emilia oggetto della precedente decisione 327/90, se condo cui «il piano territoriale paesistico regionale può essere configu rato, in termini di efficacia, anche oltre la portata di un piano di mero coordinamento urbanistico, con il potere, quindi, di imporre prescrizio ni e vincoli di carattere generale o particolare e di immediata operati vità anche verso i soggetti privati, capaci di impedire e paralizzare qualsiasi intervento edificatorio difforme in quanto posti a difesa dei valori paesistici e ambientali, la cui 'specifica considerazione' è stata

posta a base dello strumento pianificatorio adottato ai sensi dell'art. 1 bis 1. 431/85».

In tema di pianificazione paesistica, in dottrina, Severini, La pianifi cazione paesistica: estensione e contenuti, in Pianificazioni territoriali e tutela dell'ambiente a cura di F. Bassi e L. Mazzarolli, Torino, 2000, 101 ss.; nonché, con riferimento alla normativa del testo unico sui beni culturali ed ambientali, Fuzio, 1 beni paesaggistici e ambienta

li, in II testo unico sui beni culturali e ambientali a cura di G. Caia, Milano, 2000, 206 ss.; S. Amorosino, in La nuova disciplina dei beni culturali e ambientali a cura di M. Cammelli, Bologna, 2000, sub art.

138-165,447-451. In tema di rapporti tra pianificazione urbanistica e pianificazione

paesistica che, pur ontologicamente distinte, sono legate da una «mu tualità integrativa» (Corte cost. 379/94, cit.), si segnala che l'art. 150

d.leg. 490/99 valorizza il coordinamento tra la materia del paesaggio con la disciplina urbanistica: a) mediante il richiamo all'art. 52, 1°

comma, d.leg. 112/98 in tema di predisposizione delle linee fonda mentali dei valori ambientali e naturali del territorio nazionale, con fi nalità di orientamento della pianificazione paesistica (art. 150, 1°

comma); b) con la previsione dell'obbligo di conformazione del p.r.g. alle previsioni dei piani paesistici; c) con l'indicazione di forme di collaborazione delle soprintendenze con le regioni ed i comuni nella formazione dei piani paesistici (art. 150, 3° comma).

L'art. 7 del citato accordo 19 aprile 2001, tra il ministero per i beni e le attività culturali e le regioni, prevede forme di coordinamento della

pianificazione paesistica con gli altri strumenti di pianificazione ed il

potere sostitutivo delle regioni, in caso di inottemperanza degli enti lo cali al sopraindicato obbligo, previsto dall'art. 150, 2° comma, d.leg.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

prosieguo del giudizio ai fini di una adeguata valutazione in

termini di utilizzabilità economica dei terreni, nel quadro di una

non incompatibile previsione urbanistica di zona verde a servi

zio della collettività. Ciò premesso, il primo motivo non può trovare accoglimento

in quanto non è consentito rivolgersi alla Corte di giustizia per ottenerne l'interpretazione di una norma del trattato, ai sensi

dell'art. 234 (ex 177) del trattato stesso, nei termini invocati dai

ricorrenti.

490/99, di conformazione degli strumenti urbanistici alle disposizioni del piano paesistico.

In tema di rapporti tra piano territoriale di coordinamento provincia le, ai sensi dell'art. 15 1. 8 giugno 1990 n. 142, e pianificazione comu

nale, v. Cons. Stato, sez. IV, 20 marzo 2000, n. 1493, Foro it., 2001, III, 167, con ampia nota di Giuliani, Quale dimensione per il piano ter ritoriale di coordinamento?, che esamina anche i rapporti del suddetto

piano territoriale con la pianificazione paesistica. MI. - Nella sentenza in epigrafe è stata prospettata questione di co

stituzionalità, con riferimento agli art. 3, 9 e, essenzialmente, 42 Cost., delle norme, in tema di piani paesistici, che legittimano gli indicati pia ni ad introdurre previsioni di assoluta inedificabilità di un'area a tempo indeterminato, senza indennizzo o prospettiva espropriativa.

La Corte di cassazione ha dichiarato la manifesta infondatezza della

questione sulla scorta: a) della ribadita natura conformativa dei vincoli,

configurati in via generale, con criteri predeterminati, concernenti inte re categorie di beni e che non sono suscettibili di indennizzo, in quanto connaturati fin dall'origine al diritto stesso su quei beni; b) della natura

paesaggistica del vincolo che, per la primazia riconosciuta al paesaggio dall'ordinamento, prevale su ogni altra disciplina concernente l'assetto del territorio; c) per il contenuto stesso del vincolo che non elimina la commerciabilità dei beni e una redditività diversa dal loro sfruttamento edilizio e li rende suscettibili di valutazione in un'eventuale procedura espropriativa.

L'indicata questione di costituzionalità era stata già dichiarata mani festamente infondata, con analoga motivazione, da innumerevoli deci sioni della Corte costituzionale, di volta in volta chiamata a risolvere

questioni prospettate, sempre secondo il parametro costituzionale degli art. 41 e 42 Cost., con riferimento a disposizioni di leggi regionali o a

disposizioni normative statali in tema di tutela del paesaggio: v. Corte cost. n. 379 del 1994, cit., n. 417 del 1995, cit., nonché 23 luglio 1997, n. 262, id., Rep. 1997, voce Bellezze naturali, n. 18, che ha statuito che «i beni immobili soggetti a vincoli paesistici, per il loro intrinseco valo re — in virtù della loro localizzazione o della loro inserzione in un

complesso avente in modo coessenziale la qualità di legge — costitui

scono 'una categoria originalmente di interesse pubblico', la cui disci

plina è del tutto estranea alla materia delle espropriazioni e dei vincoli ablatori di cui all'art. 42, 3° comma, Cost., ricadendo a pieno titolo nella sfera dell'art. 42, 2° comma; pertanto, essendo del tutto diversi dai vincoli urbanistici, non si pongono per i vincoli paesistici problemi di durata o indennizzabilità dei loro effetti cautelari o definitivi con

conseguente infondatezza della questione di costituzionalità, in riferi mento agli art. 41, 42 e 44 Cost., degli art. 2, 3 e 7 1. 29 giugno 1939 n.

1497, in quanto appunto non prescriventi indennizzi o termini finali per i vincoli»; e, da ultimo, Corte cost. 27 luglio 2000, n. 378, cit., secondo

cui, «avuto riguardo alla natura ed agli obiettivi di tutela estetico culturali ed ambientali del piano territoriale paesistico regionale, è pri va di rilievo, ai fini della legittimità costituzionale della normativa che 10 prevede, la mancata fissazione di un limite massimo di durata degli indicati vincoli, in relazione all'art. 2 1. 19 novembre 1968 n. 1187, trattandosi di vincoli non espropriativi di carattere non prettamente ur

banistico, con finalità di mantenimento delle costruzioni di rilevante di chiarato interesse estetico-culturale, sebbene le prescrizioni siano in cluse in strumento a carattere misto, territoriale e ambientale».

IV. - Sui rapporti tra vincolo di natura conformativa, sia esso pae saggistico o storico-artistico, e disciplina urbanistica dell'area ai fini dell'accertamento della natura edificabile o meno della stessa e della scelta del criterio di indennizzo in procedura espropriativa, v. Cass. 3

maggio 2000, n. 5513, id., 2001, I, 585, con ampia nota di richiami, relativa a fattispecie particolare di occupazione appropriativa di area

già sottoposta a vincolo archeologico ed in relazione alla quale si è pro spettata l'applicabilità della procedura speciale di espropriazione per fini di tutela del patrimonio storico-artistico; 12 dicembre 2001, n.

15704, id., Rep. 2001, voce Espropriazione per p.i., n. 183 (ma ripor tata per estratto anche in Urbanistica e appalti, 2002, 414), che ha rite

nuto che «ai fini dell'indennità di espropriazione per pubblica utilità, non può ritenersi l'inedificabilità del terreno, oggetto della procedura, solo perché lo stesso è sottoposto al vincolo paesistico di cui alla 1. n.

1497 del 1939 e successive modifiche, occorrendo, invece, che risulti

che l'inedificabilità sia stata concretamente imposta, in quanto l'eserci

zio dello ius aedificandi nelle zone soggette al vincolo paesaggistico non è escluso per il mero fatto della sottoposizione al medesimo vin

colo, restando solo condizionato al nulla osta della competente sovrin tendenza».

11 Foro Italiano — 2002.

Il par. 2 dell'art. 6 (F) del trattato di Maastricht, del 7 feb

braio 1992, impone all'Unione il rispetto dei diritti fondamen

tali garantiti dalla convenzione europea dei diritti dell'uomo.

Questo non deve però indurre a ritenere che si sia determinata

un'interposizione del diritto comunitario al rispetto, da parte

degli Stati membri della Comunità, della convenzione firmata a

Roma il 4 novembre 1950, di guisa che se ne possa demandare

l'interpretazione, alla stregua delle norme comunitarie, alla

Corte di giustizia di Lussemburgo.

La primazia del valore culturale-ambientale toglie ogni rilevanza alle

previsioni urbanistiche, anche se coincidenti al relativo vincolo, nella

compressione dello ius aediflcandi. Di diverso avviso pare Cass. 9 lu

glio 1999, n. 7200, Foro it., Rep. 1999, voce cit., n. 139, secondo cui la sostanziale parificazione, ai fini indennitari, introdotta dall'art. 5 bis 1. 8 agosto 1992 n. 359, tra aree agricole ed aree non edificabili, fa in modo che, una volta qualificata un'area come non edificabilc (nella specie, perché destinata a verde pubblico), perde ogni rilevanza l'ac certamento in merito all'esistenza di un eventuale vincolo archeologi co; quest'ultimo, infatti, produce l'effetto di privare, in tutto o in parte, un'area edificabile delle sue possibilità edificatorie, restando dunque privo di ogni apprezzabilità con riguardo ad aree che di quelle possibi lità sono prive.

In tema di identificazione della disciplina urbanistica di riferimento, nella valutazione delle possibilità di edificazione, v., da ultimo, Cass., sez. un., 23 aprile 2001, n. 172/SU, id., 2002,1, 151, con nota di Benini, Edificabilità legale e utilizzazione economica dei fondi espropriati, che ha risolto il contrasto giurisprudenziale, riaffermando la tesi della pre valenza o autosufficienza della «edificabilità legale» dell'area per il solo fatto che essa risulti classificata, al momento dell'apposizione del vincolo espropriativo, dagli strumenti urbanistici anche nella sola ottica della destinazione di zona omogenea, ed assegnando, invece, al criterio della edificabilità «di fatto» un valore solo suppletivo cui poter far ri

corso, in carenza di regolamentazione dell'assetto urbanistico, per mancata adozione o per decadenza dei vincoli di edificabilità; Cass., sez. un., 23 aprile 2001, n. 173/SU, ibid., 150, che, pur attribuendo ca rattere generale ed astratto alle previsioni del piano regolatore generale ed al regime urbanistico, che consegue alla divisione del territorio co munale in zone omogenee, di cui si deve tener conto nella valutazione del bene espropriato, non esclude che in via eccezionale alcune destina zioni particolari incidano su beni determinati, configurando vincoli

preordinati all'esproprio ed irrilevanti ai fini dell'espropriazione; non ché la successiva Cass. 7 dicembre 2001, n. 15519, id.. Rep. 2001, voce

cit., n. 180, e Urbanistica e appalti, 2002, 397, sempre in tema di di stinzione tra «previsioni urbanistiche di p.r.g.» preordinate ad esproprio e «previsione programmatica», ispirata a criteri generali, svincolata dalla vicenda espropriativa e rimessa all'attuazione dei piani esecutivi.

La natura conformativa del vincolo paesaggistico se non determina il diritto ad un indennizzo, proprio perché non incide, con efficacia abla

tiva, su un preesistente diritto ad edificare, non esclude però la legitti mità di una previsione particolare che, in determinate circostanze, pos sa dar luogo ad una forma di ristoro del pregiudizio mediante indenniz zo.

La tesi, richiamata nella sentenza in epigrafe, trova il suo fonda mento nelle già citate sentenze della Corte costituzionale, in tema di natura dei vincoli in esame, oltre che in alcune decisioni anche della

Suprema corte su cui si rinvia alla nota di richiami a Cass., sez. un., 19 novembre 1998, n. 11713, Foro it., 1999, 1, 1505.

In particolare, l'art. 16 1. n. 1497 del 1939 prevedeva espressamente che non era concesso alcun indennizzo per i vincoli imposti agli immo bili di proprietà privata in base alla stessa legge e «tuttavia, nei soli casi di divieto assoluto di costruzione sopra aree da considerarsi fabbricabi

li, potrà essere concesso uno speciale contributo nei limiti della somma da stanziarsi in apposito capitolo ... in relazione al gettito dei proventi delle sanzioni di cui all'art. 15» vale a dire le sanzioni amministrative

previste per le opere realizzate senza autorizzazione paesaggistica. Merita di essere segnalato, a testimonianza della sostanziale non ap

plicazione della norma, che su tale disposizione non risulta alcun pre cedente giurisprudenziale. La norma deve ritenersi abrogata non essen do stata riportata nel nuovo testo unico dei beni culturali ed ambientali

(d.leg. 490/99), il cui art. 164 destina invece le somme ricavate dal pa gamento delle sanzioni amministrative pecuniarie a finalità di salva

guardia per interventi di recupero dei valori ambientali e di riqualifica zione delle aree degradate.

V. - La sentenza si pone nel consolidato orientamento per cui i vin coli paesaggistici, pur essendo senza termini di durata e senza previsio ne di indennizzo, non contrastano né con i principi della Costituzione italiana in tema di tutela del paesaggio e funzione sociale della pro

prietà né con il principio di protezione della proprietà inserito tra i di ritti fondamentali della convenzione europea dei diritti dell'uomo. In

fatti l'effetto conformativo, connesso al vincolo, determina solo conse

guenze limitative delle facoltà del proprietario che costituiscono un

giusto punto di equilibrio tra gli interessi del privato e gli interessi pub blici alla salvaguardia del valore culturale dei beni paesistici che. anche

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Page 5: sezione I civile; sentenza 19 luglio 2002, n. 10542; Pres. Grieco, Est. Benini, P.M. Palmieri (concl. conf.); Muscas e altri (Avv. Lauro) c. Comune di Cagliari (Avv. Melis, Farci).

PARTE PRIMA

Il paragrafo citato impone semplicemente il rispetto, da parte delle istituzioni comunitarie, dei diritti umani, come riconosciuti

dalla convenzione: tanto che l'art. 46 (L), alla lett. d), sancisce

l'applicabilità delle disposizioni del trattato istitutivo della Co

munità europea relativamente alle competenze della Corte di

giustizia, solo «per quanto riguarda l'attività delle istituzioni».

La stessa Corte di giustizia, peraltro, chiamata a stabilire se la

Cedu fosse parte integrante del diritto comunitario e se essa fos

se competente a pronunciarsi nell'ambito di un rinvio pregiudi ziale (art. 234), ha dichiarato di non essere competente ad esa

minare la compatibilità delle norme nazionali di uno Stato

membro con la Cedu allorché tali norme fuoriescano dal campo di applicazione del diritto comunitario (Corte giust. 29 maggio 1997, causa C-299/95, Kremzow, in Foro it., Rep. 1998, voce

Unione europea, n. 642).

quando dovessero determinare una situazione di inedificabilità assoluta,

giustificano la legittimità dell'effetto limitativo proprio perché fa co

munque salva la libera commerciabilità o una redditività delle aree vin colate diversa da quella connessa al loro mero sfruttamento edilizio.

L'art. 1 del primo protocollo alla convenzione europea dei diritti del l'uomo garantisce il diritto di proprietà e disciplina tre distinte ipotesi. La prima proposizione del 1° comma, avente carattere generale, enun cia il diritto al rispetto della proprietà, la seconda prevede l'ipotesi della privazione della proprietà subordinandola a determinate condizio

ni; il 2° comma, infine, riconosce agli Stati contraenti il potere, tra

l'altro, di disciplinare l'uso dei beni secondo l'interesse generale anche con normative specifiche.

Le ipotesi previste dalla seconda parte del 1° comma e quella del 2° comma sono collegate da una stessa ratio, di conseguenza entrambi vanno interpretati alla luce del principio generale inizialmente enun

ciato, allorché si afferma il diritto di ogni persona fisica o giuridica al

rispetto dei propri beni. Secondo la consolidata giurisprudenza della corte di Strasburgo, il 1°

comma dell'art. 1 del primo protocollo alla convenzione, allorché af ferma che nessuno può essere privato della proprietà, va riferito non soltanto alla classica ipotesi dell'espropriazione, ma anche a provvedi menti che nella sostanza equivalgono ad una espropriazione.

il giudizio sulla compatibilità delle singole normative nazionali al

principio enunciato nella Cedu, sempre secondo l'indirizzo della corte di Strasburgo, deve essere compiuto tenendo conto che ogni ingerenza dell'autorità deve realizzare un giusto equilibrio tra gli imperativi posti dal pubblico interesse e dai diritti fondamentali dell'individuo, ed altre sì un rapporto di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perse guito. Nel controllare il rispetto di tale esigenza, la corte riconosce allo Stato un margine di apprezzamento sia nella scelta delle modalità cui si è fatto ricorso, sia nella valutazione del rapporto di proporzionalità tra

conseguenze dell'ingerenza e scopi perseguiti dalla legge: v. Corte eur. diritti dell'uomo 18 febbraio 1991, Fredin c. Svezia.

Sulla legittimità del vincolo forestale di inedificabilità relativa in

rapporto all'art. 1 del protocollo n. 1 della Cedu, v. Corte eur. diritti dell'uomo 27 ottobre 1994, Katte Klitsche de la Grange c. Italia, citata in motivazione.

Sul rispetto del giusto equilibrio tra la salvaguardia del patrimonio artistico e l'interesse del proprietario di un bene culturale, v. Corte eur. diritti dell'uomo 5 gennaio 2000, Beyeler c. Governo italiano, id., 2000, IV, 97.

In tema di incompatibilità dell'istituto, di creazione giurispruden ziale, dell'occupazione appropriativa con il principio di legalità di cui all'art. 1 del protocollo n. 1 della convenzione europea dei diritti del l'uomo in tema di tutela del diritto di proprietà, v. le due decisioni, di

pari data, Corte eur. diritti dell'uomo 30 maggio 2000, Soc. Belvedere

alberghiera c. Italia e Carbonara c. Italia, entrambe id., 2001, IV, 233, con ampia nota di Sabato.

VI. - Ulteriore estremo tentativo di incidere sugli effetti conformativi del vincolo paesaggistico, previsti dalla normativa nazionale italiana, è stato compiuto dal ricorrente nella causa decisa dalla sentenza che si ri

porta, il quale ha richiesto di investire, in via pregiudiziale, la Corte di

giustizia delle Comunità europee sulla interpretazione dell'art. 6 del trattato di Maastricht ed in particolare sulla questione se detta norma, nella parte in cui impone all'Unione il rispetto dei diritti fondamentali dell'uomo richiamando espressamente il contenuto della convenzione

europea dei diritti dell'uomo, possa ritenersi violata dalla normativa nazionale che consente ai piani paesistici di porre vincoli di inedifica bilità senza indennizzo.

Il preambolo del trattato dell'Unione europea contiene la riafferma

zione, da parte degli Stati impegnati nel processo di integrazione euro

pea, del rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali; tale volontà è stata poi ripresa, formalmente, nell'art. 6 dello stesso trattato in cui espressamente si afferma che «l'Unione si fonda sui principi di

libertà, democrazia, rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fonda

mentali, e dello Stato di diritto» riconosciuti come «principi comuni

agli Stati membri». Quindi condivisione dei principi fondanti degli

Il Foro Italiano — 2002.

Le considerazioni ora esposte, del resto, rispecchiano il diver

so ambito in cui agiscono le norme comunitarie, da un lato, e la

Cedu, dall'altro, che costituisce fonte extra ordinem.

In conclusione, la violazione delle disposizioni della Cedu in

quanto tale, e a prescindere dal principio generale di diritto co

munitario che eventualmente contribuiscono a formare, non può essere oggetto di scrutinio da parte delle corti comunitarie.

L'eventuale applicazione, diretta, dell'art. 1 del protocollo n.

1 della convenzione (peraltro introdotta nel nostro ordinamento

con la legge di ratifica 4 agosto 1955 n. 848), spetta al giudice nazionale, che ove ravvisi un contrasto della disciplina nazio

nale è tenuto a dare prevalenza alla norma pattizia, che sia do

tata di immediata precettività rispetto al caso concreto, anche

ove ciò comporti una disapplicazione della norma interna.

Non sembra che alla luce della norma citata possa ravvisarsi

Stati e solenne affermazione degli stessi come principi fondamentali e costitutivi dell'Unione.

Lo stesso art. 6, 2° comma, precisa, poi, che l'Unione rispetta i diritti

fondamentali, quali garantiti dalla convenzione europea e quali risulta no dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, e li quali fica come «principi generali del diritto comunitario».

Con riferimento alla indicata distinzione tra principi fondamentali e

principi generali dell'Unione è da segnalare che solo rispetto ai primi è

previsto (art. 7) che il consiglio, nella composizione dei capi di Stato o di governo, possa accertare la violazione grave e persistente, da parte di uno Stato membro, dei principi comuni su cui si fonda l'Unione, con la

possibilità della grave sanzione, di carattere politico, della sospensione dei diritti derivanti allo Stato membro dall'applicazione del trattato.

Viceversa i principi della convenzione in tema di diritti dell'uomo, cosi come riconosciuti e garantiti dalla Cedu, entrano a far parte del di ritto comunitario come principi generali ma tale effetto non comporta l'adesione della Comunità in quanto tale alla convenzione di Roma.

Tanto premesso nel rapporto tra diritto comunitario e convenzione

europea dei diritti dell'uomo, conseguenziale e corretta è la decisione della Suprema corte che ha ritenuto inammissibile demandare alla Corte di giustizia l'interpretazione della convenzione dei diritti del l'uomo perché, in tal modo, si finisce per rimettere alla Corte di giusti zia, mediante l'interposizione del diritto comunitario, la risoluzione di una questione di conformità della normativa nazionale ai diritti fonda mentali garantiti dalla Cedu che, invece, rientra nell'attribuzione della corte di Strasburgo.

L'affermazione è conforme alla giurisprudenza della Corte di giusti zia: v. sentenza 29 maggio 1997, causa C-299/95, Kremzow, citata in

motivazione, id., Rep. 1998, voce Unione europea, n. 642, e trova ulte riore conforto anche nella richiamata previsione dell'art. 46 del trattato dell'Unione che estende le competenze della Corte di giustizia anche ad alcune disposizioni del trattato tra le quali è compreso anche il rispetto, da parte delle istituzioni comunitarie, dei diritti garantiti e riconosciuti dalla Cedu ma solo «per quanto riguarda l'attività delle istituzioni».

In dottrina, in senso conforme, Ferrari Bravo-Milanesi, Lezioni di diritto comunitario, Napoli, 2000, 36 ss., che danno conto anche del pa rere della Corte di giustizia n. 2/94 del 28 marzo 1996, Foro it., 1997, IV, 13, in cui si ritiene che, in assenza di adeguate precisazioni circa le modalità con cui la Comunità prevede di assoggettarsi ai meccanismi di controllo giurisdizionale previsti dalla Cedu e secondo il vigente diritto comunitario, nessuna disposizione del trattato attribuisce alle istituzioni comunitarie il potere di stabilire norme in materia di diritti umani.

Gli stessi autori preannunciano, peraltro, i lavori avviati dal consiglio europeo di Tampere che hanno poi condotto alla redazione ed approva zione della carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, allegata al trattato di Nizza, il cui art. 17, 1° comma, dispone, con formulazione

analoga a quella dell'art. 1 del protocollo n. 1 della Cedu, che «ogni in dividuo ha il diritto di godere della proprietà dei beni che ha acquistato legalmente, di usarli, di disporne e di lasciarli in eredità. Nessuno può essere privato della proprietà se non per causa di pubblico interesse, nei casi e modi previsti dalla legge e contro pagamento in tempo utile di una giusta indennità per la perdita della stessa. L'uso dei beni può esse re regolato dalla legge nei limiti imposti dall'interesse generale».

Sulla natura ed efficacia della carta dei diritti, v. Cartabia, Cronache costituzionali dell'Unione europea, in Quaderni costituzionali, 2001, 423, ed ivi riferimenti anche ai primi segnali, che provengono da alcuni

provvedimenti emessi da alcune istituzioni dell'Unione, sulla natura non solamente politica della carta.

In proposito si segnala che al di là degli ulteriori sviluppi della fase costituente dell'Unione (i lavori della convenzione europea sono crona ca dell'oggi), una volta definita la portata del riconoscimento dei diritti della carta nell'ambito della «Costituzione dell'Unione» delicata que stione viene a porsi non solo nei rapporti tra diritto comunitario e di ritto internazionale ma anche nelle reciproche attribuzioni giurisdizio nali delle corti di Lussemburgo e di Strasburgo e dell'efficacia vinco lante per i giudici nazionali delle rispettive decisioni. [R. Fuzio]

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

una violazione del diritto fondamentale della proprietà da parte della normativa urbanistica e di tutela del paesaggio. La con

venzione, a parte il potere di espropriare per cause di pubblica utilità, fa salvo il diritto degli Stati di disciplinare l'uso dei beni posseduti, in modo conforme all'interesse generale, e non sem

bra che ciò precluda, ove lo impongano le esigenze connesse

alla protezione dei beni paesaggistici e ambientali, oltre che al

l'interesse ad un ordinato sviluppo del territorio, una compres sione dello ius aedificandi. Dalla giurisprudenza della corte di

Strasburgo, si coglie il principio di una necessaria proporziona lità tra l'interesse pubblico perseguito e la proprietà privata, ma

di sicuro non si esclude che alla proprietà possa venire imposto un particolare sacrificio per la salvaguardia di interessi paesag

gistici e ambientali (sulla legittimità del vincolo forestale, de

terminante un regime di inedificabilità relativa: Corte eur. diritti

dell'uomo 27 ottobre 1994, Katte Klitsche de la Grange v.

Italy). Ove si passi a valutare la conformità della disciplina dell'uso

del territorio, anche se comporti vincoli di inedificabilità, ai

principi della Costituzione repubblicana (e fra questi va escluso,

per i motivi già detti, il richiamo all'art. 10), va ricordato come

risalga proprio all'elaborazione della giurisprudenza costituzio

nale la teorizzazione di un tipo di vincoli, quelli conformativi

della proprietà, configurabili per via di imposizioni a carattere

generale e con criteri predeterminati, che riguardano intere ca

tegorie di beni, e in quanto connaturati al diritto stesso su quel

bene, che nasce limitato, non sono suscettibili di indennizzo

(Corte cost. 29 maggio 1968, nn. 55 e 56, id., 1968,1, 1361). Anche il secondo motivo di ricorso appare infondato. Poca

importanza ha stabilire se il piano particolareggiato di Monte

Urpinu sia scaduto, ove si consideri che il regime sostanziale

giuridico del suolo occupato è stato ricondotto dal giudice di

merito, in base ad una ratio decidendi complessa, anche al piano territoriale paesistico di Molentargius

- Monte Urpinu approvato nel 1979, all'interno del quale per relationem le limitazioni del

p.r.p. sono richiamate, ma autonomamente e con ulteriore ridu

zione (e senza problemi di scadenza). Al piano paesistico, infat

ti, vanno ricondotti non solo gli effetti propri di un piano di di

rettive — destinato a orientare e condizionare l'azione dei sog

getti pubblici investiti di competenze urbanistiche — ma anche

quelli connaturati ad un piano di prescrizioni, immediatamente

vincolante per i soggetti privati (Corte cost. 13 luglio 1990, n.

327, id., 1991, I, 2010; sull'irrilevanza della disciplina urbani stica, pur conforme, in presenza di vincolo di inedificabilità per la tutela di testimonianze archeologiche: Cass. 3 maggio 2000, n. 5513, id., 2001,1, 585).

Analoga sorte riceve il terzo motivo di doglianza. Non è rav

visabile un interesse a contestare la qualificazione del vincolo

urbanistico apposto all'area, se conformativo o espropriativo, se

è vero che la disciplina di inedificabilità, o, come sembra nella

specie, di edificabilità funzionale alla fruizione pubblica della

zona, può essere autonomamente tratta dal piano territoriale

paesistico, le cui previsioni limitative all'uso della proprietà non

è discutibile che siano conformative. Va osservato in proposito che la primazia assicurata dall'ordinamento al valore ambienta

le, fa sì che le previsioni di tutela del paesaggio prevalgano su

ogni altra disciplina concernente l'assetto del territorio. I piani

regolatori debbono conformarsi alle indicazioni dei piani paesi stici (art. 150 d.leg. 490/99).

1 beni immobili privati qualificati come bellezza naturale co

stituiscono, fin dall'origine, una categoria di interesse pubblico in virtù delle particolari qualità, previste dalla legge, che ad essi

ineriscono; pertanto, quando l'amministrazione impone vincoli

paesaggistici a tali beni, non ne modifica la qualità, né determi

na alcuna compressione del diritto su di essi, essendo connatu

rato a tali beni il limite che il vincolo imposto si è limitato ad e

videnziare, con la conseguenza che la suddetta imposizione di

vincoli da parte dell'amministrazione non determina l'insorgen za di un diritto costituzionalmente garantito all'indennizzo, sen

za che, però, possa escludersi la legittimità di specifiche dispo sizioni prevedenti, caso per caso, l'adozione di misure intese a

ristorare il pregiudizio patito dai titolari di diritti sui beni og getto del vincolo (Cass. 19 novembre 1998, n. 11713, id., 1999,

I, 1505; Corte cost. 29 maggio 1968, n. 56, cit.; 4 luglio 1974, n.

202, id., 1974, I, 2245). Il vincolo panoramico non è soggetto alla disciplina della temporaneità ai sensi dell'art. 2 1. 19 no

vembre 1968 n. 1187, che è dichiaratamente applicabile ai soli

Il Foro Italiano — 2002.

vincoli di piano regolatore, e di conseguenza non incorre nella

ivi prevista decadenza nel caso di mancata approvazione del

piano particolareggiato nel termine previsto, essendo correlato

alla tutela del paesaggio in virtù delle caratteristiche dei beni

naturalmente paesistici che sono ad esso sottoposti (Cass. 12

giugno 1991, n. 6649, id., Rep. 1991, voce Edilizia e urbanisti

ca, n. 135): la distinzione, contenuta nella norma citata, tra vin

coli preordinati a esproprio e vincoli che comportano l'inedifi

cabilità, è da riferire, rispettivamente, alle previsioni funzionali

alla realizzazione dell'opera pubblica, con imposizioni a titolo

particolare su determinate aree, e alle situazioni di temporanea neutralizzazione dello ius aedificandi in attesa di successive re

golamentazioni particolareggiate, applicate in via generale a

consistenti estensioni territoriali, nella logica della zonizzazione

(Cass. 23 aprile 2001, n. 173/SU, id., 2002, I, 150; 15 marzo 1999, n. 2272, id., 1999, I, 1432), sempre comunque a previsio ni di piano rese nell'esercizio del potere di pianificazione.

Il sistema di tutela del paesaggio, dell'ambiente, del patrimo nio storico e artistico, giustificano l'affermazione di limitazioni

all'uso della proprietà dei beni vincolati, senza limitarne, peral

tro, la commerciabilità, o una redditività diversa da quella dello

sfruttamento edilizio, alla luce dell'equilibrio costituzionale tra

gli interessi in gioco, che vede alcune delle facoltà del diritto

dominicale recessive di fronte alle esigenze di salvaguardia dei

valori culturali ed ambientali (art. 9 Cost.), in attuazione della

funzione sociale della proprietà (art. 42, 2° comma, Cost.): la

questione di legittimità costituzionale degli art. 5 e 16 1.

1497/39 e dell'art. 149 d.leg. 490/99, è da considerare manife

stamente infondata. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 17 luglio

2002, n. 10347; Pres. Senese, Est. D'Agostino, P.M. Fedeli

(conci, diff.); Lamanno (Avv. Sadurny, Grattarola, Bara

valle) c. Soc. Officine meccaniche Giovanni Cerutti. Cassa

Trib. Casale Monferrato 8 luglio 1998.

Lavoro (rapporto di) — Licenziamento di invalido —

Ag

gravamento dell'infermità — Estremi (L. 15 luglio 1966 n.

604, norme sui licenziamenti individuali, art. 3; 1. 2 aprile 1968 n. 482, disciplina generale delle assunzioni obbligatorie

presso le pubbliche amministrazioni e le aziende private, art.

10, 20).

L 'aggravamento dell 'infermità che ha dato luogo al colloca

mento obbligatorio del lavoratore consente il licenziamento

del medesimo solo quando, a giudizio del collegio medico

provinciale di cui all'art. 20 l. 2 aprile 1968 n. 482, sia tale

da portare o alla perdita totale della capacità lavorativa o ad

una situazione di obiettivo pregiudizio alla salute o incolu

mità dei compagni di lavoro ovvero alla sicurezza degli im

pianti, e ciò anche in presenza di clausola contrattuale col

lettiva che preveda, quale ipotesi di giustificato motivo og

gettivo di licenziamento, la malattia che renda il lavoratore

inidoneo allo svolgimento delle precedenti mansioni. (1)

(1) Non si rinvengono precedenti negli esatti termini. Secondo Cass.

10347/02 in epigrafe, e 8 febbraio 1986, n. 820, Foro it., Rep. 1986, voce Lavoro (rapporto), n. 2225, la sopravvenuta incapacità fisica del

lavoratore allo svolgimento delle mansioni cui era stato assegnato che

renda impossibile la prosecuzione del rapporto, integra una causa og

gettiva di licenziamento ancorché si tratti di lavoratore invalido civile

assunto a termini della 1. n. 482 del 1968, atteso che la tutela accordata

della legge a tale categoria di lavoratori è diretta a garantire le modalità

di assunzione e di avviamento al lavoro ma non sottrae tale rapporto alla disciplina comune; nello stesso senso, cfr. Cass. 19 luglio 1985, n.

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