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Sezione I civile; sentenza 19 marzo 1981, n. 1622; Pres. Sandulli, Est. Virgilio, P. M. Zema (concl....

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Sezione I civile; sentenza 19 marzo 1981, n. 1622; Pres. Sandulli, Est. Virgilio, P. M. Zema (concl. conf.); Min. finanze (Avv. dello Stato Salimeni) c. Soc. Latterie coop. riunite di Reggio Emilia (Avv. Felisetti, Zoppis). Conferma Comm. trib. centrale 5 luglio 1978, n. 10894 Source: Il Foro Italiano, Vol. 104, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1981), pp. 1945/1946-1949/1950 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23172587 . Accessed: 28/06/2014 08:52 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.31.195.108 on Sat, 28 Jun 2014 08:52:50 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sezione I civile; sentenza 19 marzo 1981, n. 1622; Pres. Sandulli, Est. Virgilio, P. M. Zema(concl. conf.); Min. finanze (Avv. dello Stato Salimeni) c. Soc. Latterie coop. riunite di ReggioEmilia (Avv. Felisetti, Zoppis). Conferma Comm. trib. centrale 5 luglio 1978, n. 10894Source: Il Foro Italiano, Vol. 104, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1981), pp. 1945/1946-1949/1950Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23172587 .

Accessed: 28/06/2014 08:52

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Né va taciuta la scarsa plausibilità di una tesi diretta a negare proprio nel caso degli organi costituzionali la ricorrenza di quella dimensione organizzatoria funzionale — realizzata dal meccanismo istituzione in parola — nella quale, secondo dottrina e giuris prudenza, l'avvocatura dello Stato opera anche quando difende le regioni a statuto speciale e persino quando difende enti diversi dallo Stato ai sensi dell'art. 43 t. u. n. 1611/1933.

che la segnalata distinzione di profili rimasti a lungo indifferenziati agevola la giustiziabilità dei rapporti stabiliti, in definitiva, con un'i stanza prettamente amministrativa e che, pili opportunamente del

presidente d'assemblea, è in grado di assumere la veste di parte in

giudizio senza che ciò appaia come una menomazione dell'indipendenza dell'organo costituzionale.

Per la presidenza della Repubblica, le Camere e la Corte costituzio

nale, la dizione « amministrazioni dello Stato », che ricorre all'art. 1 r. d. n. 1611 del 1933, si presenta allora più appropriata con riferimen to ai rispettivi segretariati generali piuttosto che agli organi costituzio nali in quanto tali. Nessuno dubita tuttavia che l'espressione ricom

prenda anche i secondi, come è nella ratio della normativa, intesa ad accentrare nell'avvocatura la rappresentanza in giudizio sia di ciascuna delle figure soggettive statali dotate di separata legittimazione che dello

Stato-persona nella sua unitarietà. Lo confermano le intitolazioni dis seminate nel corpo del testo unico predetto ed una significativa ammissione in tal senso si coglie anche nei comma 2° e 3° dell'art. 20 ed ultimo dell'art. 37 legge 11 marzo 1953 n. 87, dove si prevede che, mentre il governo è sempre difeso dall'avvocatura nei giudizi dinanzi alla Corte costituzionale, si proibisce all'opposto che l'avvocatura stes sa possa rappresentare, nell'ipotesi di conflitti d'attribuzione tra i

poteri dello Stato, un organo statale diverso dal governo (21). Rimane da toccare un ultimo punto. Ribadita la natura di organi

dello Stato-persona sia delle Camere che delle amministrazioni parla mentari ed esclusa la necessità di un espresso mandato alle liti per incaricare del patrocinio l'avvocatura, si tratta di verificare se anche

sugli organi parlamentari — e sugli organi costituzionali in genere diversi dal governo — ricada l'obbligo ex lege di ricorrere sempre e

comunque alla rappresentanza dell'organo legale, fatti salvi i soli casi eccezionali di cui all'art. 5 r. d. n. 1611 citato. Lo status di pariordina zione e di indipendenza che caratterizza gli organi supremi impedisce la configurazione di un obbligo siffatto e quindi il ricorso in ogni caso

ad un organo che, seppur esplicante funzioni contrassegnate da un

certo grado di neutralità nei confronti di enti anche diversi dallo

Stato-persona, tuttavia dipende pur sempre dall'esecutivo nella cui

struttura ausiliaria esso è inquadrato (22). La disciplina del 1933, per le

impiegata dall'art. 409, n. 5, cod. proc. civ., non s'attaglia egualmente bene ai dipendenti della Corte costituzionale, già perfettamente ed

espressamente « inquadrati » nell'ambito della giustizia domestica della

corte medesima (art. 14, 3° comma, legge 11 marzo 1953 n. 87) ma

che pure il mitico legislatore — a quanto è dato di capire —

aveva inteso assimilare ai dipendenti delle Camere ai fini qui conside

rati: 4) in definitiva, anche prima del nuovo testo dell'art. 409, n. 5, cod. proc. civ., per il personale degli organi costituzionali non era

ravvisabile un « vuoto » derivante da una carente normazione nella

materia, bensì' vi era — e vi è tuttora — attribuzione di tali rapporti all'autodichia dei rispettivi organi: si potrà discutere della costituziona lità di queste giurisdizioni, ma nessuno può negare l'esistenza di queste forme di tutela giuridica.

Per una visione comparata di sintesi dello stato giuridico del

personale dipendente dalle amministrazioni parlamentari, cfr. Lidderda

le, Le personnel des Parlements, in Informations costitutionnelles et

parlementaires, 1969, 82; per il Parlamento italiano, v. Pinto, L'evolu

zione dell'apparato camerale: brevi profili storici, comunicazione al

convegno citato alla nota 18.

(21) F. Favara, La Costituzione repubblicana, cit., 454.

(22) M. S. Giannini, Lezioni di diritto amministrativo, 1950, I. Per

le stesse considerazioni si deve ritenere che sia del pari non esclusiva

ma facoltativa la rappresentanza, da parte dell'avvocatura, delle ammi

nistrazioni che affiancano gli organi costituzionali, se riconosciute

capaci di separata legittimazione processuale. L'affidamento senza alter

native del patrocinio a tale organo tecnico infatti non garantisce del

tutto l'amministrazione titolare del rapporto sostanziale dedotto in

controversia. Essa se può, com'è suo diritto, far presente il proprio avviso sulla piti opportuna condotta del giudizio, si trova però

sprovvista di altre idonee forme di collegamento con l'organo de quo, raccordato al contrario al governo in primo luogo mediante la nomina

(fiduciaria) ai più elevati uffici dell'avvocatura. In base a quanto

previsto dall'art. 12 legge n. 103 del 1979, le eventuali divergenze che

insorgano tra l'avvocatura e l'amministrazione interessata sono compo ste facendo prevalere la posizione del rappresentante di quest'ultima. La diminuita facoltà di « resistenza » dell'avvocatura all'amministrazio

ne rappresentata avrebbe poi forse giustificato per la prima la previ sione della possibilità di declinare in casi eccezionali il patrocinio

legalmente assunto. Il rapporto che intercorre tra l'organo costituzionale ed il suo

rappresentante in giudizio non presuppone allora un istituzionale conferimento di funzioni nel quadro della distribuzione legislativa di

competenze tra gli organi dello Stato, ma, diversamente da quanto accade per le rimanenti amministrazioni contemplate dall'art. 1 r. d. n.

1611 del 1933, tale rapporto (interorganico) è più agevolmente assimi

labile a quello che si stabilisce tra la parte ed il difensore privato

professionista.

L'eccezione va dunque rigettata mentre con separata ordinanza va provveduto in ordine alla questione di legittimità costituziona le.

Per questi motivi, rigetta l'eccezione di inammissibilità del ricorso della Camera dei deputati sollevata dal Muscariello; sospende ogni altra decisione e provvede come da separata ordinanza in ordine alla questione di legittimità costituzionale.

ben note gerarchie giuridiche dell'epoca, rivolte ad esaltare la premi nenza del capo del governo sotto la cui direzione veniva posta l'avvocatura, non poteva certo avvertire la dichiarata esigenza, impre scindibile invece nell'attuale forma di regime. La facoltatività del man dato difensivo affidato dagli organi costituzionali all'avvocatura non deriva dunque dal carattere non statale di tali amministrazioni, in quanto cioè appartenenti allo Stato-ordinamento, bensì dalla condi zione di libertà in cui versano organi superiores non recognoscen tes, non conculcabile mediante legge ordinaria. Del resto, riguardo ai conflitti d'attribuzione, il ricorso al patrocinio privato è per i medesimi organi espressamente previsto dall'art. 37, ult. comma, legge n. 87/1953.

In forza dello stesso principio che comporta la facoltatività (per l'organo costituzionale) del mandato difensivo attribuito all'avvocatura, si comprende infine come sia in potere di quelle particolari ammini strazioni modificare nel corso del giudizio tale scelta, conferendo l'incarico ad un difensore del libero foro. La diversa posizione degli organi costituzionali dinanzi all'avvocatura riflette dunque l'origine storica dell'istituto, sorto per assicurare la tutela degli interessi pa trimoniali dello Stato-amministrazione e del quale si sono successiva mente avvalsi organi ed enti diversi senza però che ai mutamenti funzionali corrispondessero modificazioni di collocazione dell'organo legale, il cui rapporto con il governo è rimasto in definitiva privi legiato (23).

Renato Moretti

Dopo le recenti modificazioni apportate all'art. 43 r. d. n. 1611 del 1933 (v. supra note 8 e 13), come residue occasioni di rappresentanza facoltativa dell'avvocatura sono rimaste le controversie in cui sono implicati gli organi costituzionali diversi dal governo. A questi casi vanno poi aggiunti gli altri previsti dall'art. 10 legge n. 103 del 1979, che ammette le regioni a statuto ordinario ad avvalersi, previa delibe razione del consiglio regionale, delle funzioni dell'avvocatura, salve le ipotesi di giudizio contro lo Stato. A norma del quinto comma della disposizione richiamata sembra altresì che le regioni medesime possano rinunciare « in particolari casi e con provvedimento motivato » all'in carico cosi' conferito, ricorrendo ad avvocati del libero foro. Il campo d'applicazione della nuova disciplina va oltre l'ambito soggettivo te stualmente determinato. La facoltatività della rappresentanza suddetta deve infatti estendersi alle regioni ad autonomia differenziata, i cui statuti consentono il ricorso al patrocinio dell'avvocatura, non essendoci ragione per intendere diversamente sul punto situazioni tra loro del tutto simili.

(23) Sui rapporti tra avvocatura dello Stato e governo e, in par ticolare, sui criteri che presiedono alla nomina dell'avvocato generale sono di recente intervenute due decisioni giurisdizionali: T.A.R. La

zio, Sez. I, 9 luglio 1980. n. 793 (Foro it., 1980, III, 466) e Cons.

Stato, Sez. IV, 14 aprile 1981, n. 340, in questo fascicolo, III, 415. Si segnala in proposito che mentre il T.A.R. ha negato con una certa enfasi che l'avvocato generale debba essere « persona di fiducia del

governo... perché l'avvocato generale è avvocato dello Stato e di

questo tutela gli interessi unitari, che non necessariamente si identi ficano con quelli dell'esecutivo », il giudice d'appello, nell'annullare la decisione di primo grado, ha accordato maggior latitudine di scelta al potere di nomina del governo, da esercitarsi con la sola osservan za dei principi d'imparzialità e buon andamento previsti dall'art. 97 Cost., tenendo altresì conto della necessità di una « stretta omogeneità di azione tra avvocatura e amministrazione ».

Renato Moretti

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione I civile; sentenza 19 marzo

1981, n. 1622; Pres. Sandulli, Est. Virgilio, P. M. Zema

(conci, conf.); Min. finanze (Aw. dello Stato Salimeni) c.

Soc. Latterie coop, riunite di Reggio Emilia (Avv. Felisetti,

Zoppis). Conferma Comm. trib. centrale 5 luglio 1978, n.

10894.

Tributi in genere — Condono fiscale — Detrazione per nuovi in

vestimenti risultanti dal bilancio — Computabilità (D. I. 30

agosto 1968 n. 918, provvidenze creditizie, agevolazioni fi

scali e sgravio di oneri sociali per favorire nuovi investimenti

nei settori dell'industria, del commercio e dell'artigianato, art.

8; legge 25 ottobre 1968 n. 1089, Conversione in legge con mo

dificazioni del d.l. 30 agosto 1968 n. 918, art. 1; d.l. 5 novem

bre 1973 n. 660, norme per agevolare la definizione di pen denze giudiziarie, art. 3; legge 19 dicembre 1973 n. 823, con

versione in legge con modificazioni del d. 1. 5 novembre 1973

n. 660, art. 1).

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1947 PARTE PRIMA 1948

Il sistema della definizione delle controversie tributarie in sede

amministrativa, ai sensi della legge sul condono 25 ottobre 1968

n. 1089, pur essendo improntata ad automatismo, consente di tener conto delle riduzioni di imponibile di cui all'art. 8 d. I. 30

agosto 1968 n. 918, convertito in legge 25 ottobre 1968 n. 1089, anche se gli importi da calcolare in detrazione siano stati

indicati dal contribuente anziché nelle singole dichiarazioni

annuali, nei bilanci ad essi allegati. (1)

La Corte, ecc — Svolgimento del processo. — Con domanda

del 27 febbraio 1974 la soc. coop, a r.l. Latterie cooperative riunite di Reggio Emilia chiedeva l'applicazione dei benefici

previsti dal d. 1. 5 novembre 1973 n. 660 per la definizione delle

pendenze arretrate relative agli anni dal 1960 al 1972, per importo di r. m. cat. B.

Chiedeva anche il riconoscimento delle detrazioni per nuovi

investimenti, riguardanti gli anni dal 1969 al 1972, ai sensi del

d. 1. 30 agosto 1968 n. 918, convertito nella legge 25 ottobre 1968

n. 1089.

L'ufficio negava l'ammissibilità delle dette detrazioni perché la

relativa istanza era stata formulata in sede di domanda di condono e non contestualmente alle rispettive originarie dichiara

zioni dei redditi.

Dopo la iscrizione a ruolo delle imposte dovute in relazione alla domanda di condono, la contribuente ricorreva alla commis

sione tributaria di primo grado di Reggio Emilia per sostenere che le detrazioni erano applicabili.

La tesi veniva accolta sia dalla detta commissione che da quella di secondo grado, la quale rigettava l'appello proposto dall'uffi

cio.

Questo proponeva quindi ricorso alla Commissione tributaria centrale.

Con la decisione ora impugnata l'organo centrale rigettava a sua volta l'impugnazione dell'ufficio e rilevava che la cooperativa, nelle dichiarazioni dei redditi relative agli anni per i quali erano state chieste le detrazioni, aveva fatto riserva di applicazione dei benefici di cui alla legge n. 1089 del 1968 per gli importi concernenti nuovi investimenti, importi che erano stati però spe cificamente indicati nei bilanci allegati alle singole dichiarazioni.

Rilevava inoltre che la legge di condono, prescrivendo che gli imponibili si assumono al lordo delle detrazioni previste dalla menzionata legge n. 1089 del 1968 e che le imposte sono invece commisurate al maggior imponibile al netto della detrazione relativa al periodo da definire, consentiva nella fattispecie che il reddito non ancora definito concernente gli anni in contestazione

potesse godere delle agevolazioni di cui alla indicata legge (sem pre che il termine per chiederle non fosse decorso), in quanto non poteva ritenersi sussistente l'obbligo del contribuente di determinare e specificare la detrazione fin dal momento della dichiarazione del reddito, indicandone l'ammontare nella dichiara zione medesima.

Ha proposto ricorso per cassazione l'amministrazione delle

finanze, mentre la cooperativa resiste con controricorso. Motivi della decisione. — La ricorrente deduce che il sistema

di definizione delle controversie tributarie in sede amministrativa, come delineato e disciplinato nel d. 1. 5 novembre 1973 n. 660,

(1) Nel senso che ai fini dell'applicazione del condono, l'ufficio deve prendere in considerazione il reddito imponibile dichiarato dal contri buente, senza poter procedere ad alcuna rettifica, correzione od integra zione, né indugiare in controlli (e relative rettifiche) per dati omessi nelle dichiarazioni dei redditi, si era altre volte espressa la Commissio ne tributaria centrale (cfr. dee. 24 gennaio 1980,, n. 900, Comm. trib. centrale, 1980, I, 719 e 791; 23 novembre 1979, n. 12366, Foro it., Rep. 1980, voce Fabbricati (imposta), n. 3).

Circa l'irrilevanza, peraltro, di omissioni puramente formali (nella specie: dichiarazione dei redditi priva del quadro C ma con foglio allegato contenente gli estremi di questo), cfr. Comm. trib. centrale 30 maggio 1978, n. 9824, id., Rep. 1979, voce Tributi in genere, n. 943.

Comm. trib. centrale (11 luglio 1978, n. 12274, ibid., n. 901) ha altresì' ritenuto — stante la determinazione dell'imponibile con criteri automatici — che con la presentazione della domanda di condono il contribuente abbia inteso rinunziare a precedente domanda di esenzione (nella specie: decennale ex art. 8 legge 22 luglio 1966 n. 614) il cui esito era in quel momento imprevedibile.

Quanto al valore, rispetto alla dichiarazione di redditi, dei suoi allegati, Cass. 15 gennaio 1981, n. 369, id., Mass., 87, ha di recente precisato che, ai fini delle sanzioni previste per infedele denunzia, rileva la non veritiera indicazione delle poste attive e passive nel modulo delle dichiarazioni annuali dei redditi, mentre rimane irrilevan te l'eventuale esattezza delle indicazioni contenute negli allegati al predetto modulo.

La decisione confermata, Comm. trib. centrale 19 giugno 1978, n. 10894, è riportata per esteso in Foro it., 1979, III, 139, ove, in nota, ulteriori richiami.

convertito nella legge 19 dicembre 1973 n. 823 è improntato al

principio dell'automatismo, nel senso che la determinazione del

l'imponibile e della corrispondente imposta deve costituire il

risultato di una semplice operazione aritmetica sui dati emergenti dalle dichiarazioni del contribuente e dell'ufficio, ovvero dalle decisioni degli organi menzionati nel citato provvedimento legisla tivo

Questo particolare rapido sistema di accertamento e di determi

nazione dei tributi effettivamente dovuti, per godere del beneficio del cosiddetto condono, non consentirebbe, dunque, di introdurre nel meccanismo di quel sistema operazioni o calcoli diversi da

quelli strettamente indispensabili per applicare, in riferimento ai dati già risultanti dalle fonti di cognizione indicate negli art. 2 e

3, i parametri previsti per le diverse fattispecie. Da tale premessa la ricorrente trae la conseguenza che la

cooperativa Latterie di Reggio Emilia non poteva pretendere —

ai fini della definizione della controversia secondo il d. 1. n. 660 del 1973 — che si tenesse conto della riduzione d'imponibile di cui all'art. 8 d. 1. 30 agosto 1968 n. 918 (convertito nella legge 25

ottobre 1968 n. 1089), in quanto l'accertamento valutativo neces sario per calcolare la detta riduzione avrebbe comportato deroga al principio di automatismo.

La censura non è fondata. Va preliminarmente chiarito che pur non essendo stati indicati nelle dichiarazioni dei redditi (che contenevano però la riserva di far valere i benefici in esame) gli importi che avrebbero dovuto essere calcolati in detrazione erano

specificamente precisati nei bilanci allegati alle singole dichiara zioni.

Altro dato pacifico è che non erano scaduti i termini per la richiesta dei benefici derivanti dall'art. 8 d. 1. n. 918/1968.

Sulla base di questi elementi, la Commissione tributaria centrale ha ritenuto che, ai sensi dell'art. 3, 4° comma, prima parte, d. 1. 5

novembre 1973 n. 660, la cooperativa potesse ottenere, in sede di definizione della controversia con il sistema del cosiddetto « con dono », le riduzioni dell'imponibile previste dall'art. 8 d. 1. n. 918 del 1968.

La decisione è informata ad esatti criteri giuridici.

Il provvedimento legislativo del 1973 contenente « norme per agevolare la definizione delle pendenze in materia tributaria » è sicuramente improntato, come questa corte ha più volte rilevato, a criteri di semplicità e di rapidità di calcoli, al fine precipuo di ridurre nella maggiore misura possibile il contenzioso tributario e di consentire, nello stesso tempo, il sollecito incasso delle somme dovute all'erario; ma il ricorso ai detti criteri e la correlativa

predeterminazione di rigidi parametri per il calcolo dell'ammonta re dei tributi concretamente dovuti nelle diverse fattispecie per godere dei benefici previsti, non possono essere considerati in

ogni caso preclusivi di ogni operazione concettuale o aritmetica che non sia rigorosamente inquadrabile in uno schema congegnato in modo da porre in rilievo soltanto dati numerici già evidenziati formalmente prima facie.

Ciò premesso in linea generale (la stessa ricorrente ammette che nell'altro caso di cui al 3° comma dell'art. 3 d. 1. n. 660 del 1973 il legislatore ha derogato al criterio dell'automatismo), va rilevato che il 4° comma dell'art. 3 — che nella fattispecie concreta interessa — espressamente prevede l'applicazione delle riduzioni di imponibile di cui si discute.

Precisa, infatti, la norma che, ai fini del primo comma, ossia

per stabilire in concreto l'importo dei tributi da corrispondere per godere del condono, « l'imponibile dichiarato e l'ultimo imponibi le definito si assumono al lordo delle detrazioni previste dall'art. 8 d. 1. 30 agosto 1968 n. 918, convertito con modificazioni nella

legge 25 ottobre 1968 n. 1089, e successive modificazioni, e le

imposte sono commisurate al maggiore imponibile al netto della detrazione relativa al periodo da definire ».

Aggiunge lo stesso comma quarto che « di ogni altra nuova o

maggiore agevolazione o nuova esenzione eventualmente spettante nei periodi di imposta da definire non si tiene conto nei casi in cui... ».

Esattamente ha ritenuto la Commissione tributaria centrale che le riportate disposizioni chiaramente denotano la volontà del

legislatore di consentire che anche in sede di definizione delle vertenze ai sensi del d. 1 n. 660 del 1973 fosse consentito di tener conto delle riduzioni concesse con il d. 1. n. 918 del 1968 (contenente provvidenze e agevolazioni per favorire nuovi inve stimenti nel settore socialmente molto importante dell'industria, del commercio e dell'artigianato). In relazione a tale intento furono stabilite le concrete modalità del calcolo degli imponibili.

La stessa difesa dell'amministrazione non contesta, in linea di massima che delle detrazioni d'imponibile di cui si discute si

possa tener conto anche in sede di condono, ma ravvisa un ostacolo d'ordine formale nel fatto che nel caso in esame le

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

detrazioni non erano state indicate dalla cooperativa nelle dichia razioni dei redditi presentate per ciascun anno, in modo che si

potesse procedere con il sistema dell'automatismo al calcolo del

l'imposta dovuta sulla base di elementi numerici contenuti nelle dichiarazioni stesse, ma erano state invece riportate (sia pure con indicazione specifica degli importi, come hanno accertato le commissioni tributarie) nei bilanci allegati alle singole dichiara zioni annuali.

La tesi dell'amministrazione trova la sua confutazione nell'ec cessivo formalismo cui è improntata, in quanto i bilanci « allegati alle dichiarazioni » non possono neppure considerarsi documenti autonomi (extratestuali) rispetto alla dichiarazione vera e propria, perché di quest'ultima rappresentano una evidente integrazione.

Ne discende che la valutazione di un dato contabile che debba essere desunto dal bilancio, anziché dalla dichiarazione, non

comporta neppure un concreto e rilevante aggravio ai fini di

quella automaticità di calcolo al quale fa riferimento l'amministra zione.

In conclusione, poiché il 4° comma dell'art. 3 d. 1. n. 660 del 1973 contiene un espresso riferimento alle detrazioni previste dall'art. 8 d 1. n. 918 del 1968, il computo delle detrazioni stesse, secondo i criteri del provvedimento legislativo richiamato, deve ritenersi consentito anche in sede di condono, non potendo costituire ostacolo a ciò il fatto che l'ammontare delle detrazioni

risulti specificato nel bilancio allegato alla dichiarazione dei reddi

ti e non già nella dichiarazione medesima, perché anche in tal caso i dati contabili da assumere a base del calcolo dell'imposta sono desumibili in modo semplice dall'esame di documenti inte

grativi della dichiarazione.

Né il rilievo ulteriore dell'amministrazione, aggiunto nella di

scussione orale, sulla impossibilità di controllare l'esattezza delle

detrazioni di riferimento agli investimenti realmente effettuati può considerarsi elemento idoneo a sostenere la tesi dell'amministra

zione stessa, sia perché anche le detrazioni indicate nella dichia

razione offrono, in tesi, la stessa possibilità di non veridicità, sia

perché in sede di definizione della controversia secondo il sistema del d. 1. n. 660 del 1973 i dati contabili sui quali si computa l'ammontare dell'imposta dovuta sono assunti nella loro entità

risultante dagli atti, indipendentemente cioè da un controllo di

veridicità che riaprirebbe quelle contestazioni (e dunque le relati

ve controversie) che il provvedimento legislativo ha, invece, inteso

chiaramente di eliminare.

11 ricorso va, pertanto, rigettato. Per questi motivi, ecc.

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione lavoro; sentenza 17 marzo

1981, n. 1570; Pres. Tresca, Est. Chiavelli, P. M. Ferraiuolo

(conci, conf.); Soc. V.L.M. (Avv. Manzella, Lodolo D'Oria,

Bozzotti) c. Carbone (Avv. a. Di Maio). Cassa Trib. Milano

26 giugno 1976.

Lavoro (rapporto) — Lavoro a domicilio — Disciplina limitativa

dei licenziamenti individuali — Applicabilità — Limiti (Cod.

civ., art. 2118, 2128; legge 14 luglio 1966 n. 604, norme sui licenziamenti individuali; legge 20 maggio 1970 n. 300, nor me sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della li

bertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro

e norme sul collocamento, art. 18; legge 18 dicembre 1975

n. 877, nuove norme per la tutela del lavoro a domicilio).

La disciplina limitativa dei licenziamenti individuali, di cui alla

legge n. 604/1966 ed all'art. 18 legge n. 300/\1970, è inapplica bile al rapporto di lavoro a domicilio, a meno che questo, per accordo fra le parti o per il concreto suo svolgimento, non

abbia ad oggetto una qualificata e ragionevole continuità di

prestazioni lavorative, valutata specificamente in rapporto alla

durata dell'ordinario orario di lavoro previsto nel settore di

attività produttiva esercitata dall'impresa committente. (1)

(1) La sentenza è di estrema importanza e va segnalata. È infatti la prima volta che la Cassazione si pronuncia sul tema

della compatibilità della tutela normativa contro i licenziamenti indivi

duali con il rapporto di lavoro a domicilio. La decisione giunge all'esito di una vicenda processuale nella quale

la pretesa del lavorante a domicilio di essere « reintegrato nel posto di lavoro » aveva avuto alterne fortune. Il giudice di primo grado (Pret. Milano 20 giugno 1975, Foro it., Rep. 1975, voce Lavoro (rapporto), n.

357) aveva ritenuto di escludere l'applicabilità della tutela sul presup

posto della precarietà e non continuità della prestazione lavorativa del

ricorrente. Il giudice di secondo grado, viceversa, aveva optato per una

soluzione più radicale ritenendo pienamente compatibile con la « spe

Jl Foro Italiano — 1981 — Parte /-125.

La Corte, ecc. — Svolgimento del processo. — Lucia Carbone, con ricorso del 25 aprile 1975, assumendo di essere lavoratrice a domicilio della s.p.a. V.L.M. chiedeva al Pretore di Milano, in funzione di giudice del lavoro, di dichiarare la nullità del licen ziamento intimatole il 22 marzo precedente, perché privo di forma scritta e di giusta causa o giustificato motivo e di emettere i conseguenti provvedimenti di cui all'art. 18 legge n. 300/1970.

Costituitasi in giudizio, la società V.L.M. si opponeva all'acco glimento della domanda deducendo che le leggi n. 604 del 1966 e 300 del 1970 non si applicano al rapporto di lavoro a domicilio.

Con sentenza del 20 giugno 1975 (Foro it., Rep. 1975, voce Lavoro (rapporto) n. 357) il giudice adito rigettava la domanda ritenendo che il rapporto di lavoro intercorso tra le parti aveva carattere precario e quantitativamente discontinuo, onde per esso non poteva esservi alcun rimedio a tutela della stabilità.

cialità » del lavoro a domicilio la disciplina protettiva contro i licenziamenti individuali (Trib. Milano 26 giugno 1976, id., Rep. 1976, voce cit., n. 198).

A fronte di tali decisioni la Cassazione si attesta su di una posizione intermedia, distinguendo nell'ambito del lavoro a domicilio due diverse aree: quella del lavoro « precario » o « occasionale » non protetta contro i licenziamenti, e quella del lavoro « continuativo » rientrante, invece, nell'ambito di applicabilità della legge n. 604/1966 e dell'art. 18 dello statuto dei lavoratori.

Mentre va segnalato l'apprezzabile tentativo di ricostruzione dei caratteri del lavoro a domicilio e dei nessi fra specialità e subordina zione (specie per l'affermazione della « elasticità » della subordinazione in tale tipo di prestazione, suscettibile di convertirsi, a titolo sanziona torio, in quella propria del lavoro subordinato « interno ») non si può fare a meno di rimarcare talune contraddizioni nel discorso propositivo.

Pur senza prendere posizione sulla correttezza della soluzione finale cui approda (con una buona dose di « creatività ») la Cassazione, occorre segnalare che la nitidezza dell'assunto secondo cui la subordi nazione del lavorante a domicilio non costituisce una species diversa da quella del lavoratore « interno » ma si atteggia e commisura alle peculiarità « in fatto » della prestazione lavorativa, cosi come diversa mente si atteggia la subordinazione tout court « a seconda della natura del rapporto », sembra sbiadire quando la Suprema corte passa a formulare la suddistinzione fra lavoro a domicilio « precario » e lavoro a domicilio « continuativo ».

È evidente, infatti, che il discorso rischia di collocarsi fra due estremi palesemente contraddittori.

Da una parte la spaccatura postulata fra i due tipi di « sotto-presta zioni » o di « sotto-rapporti » rischia, nella sostanza, di rievocare categorie giuridiche che ormai e per apprezzamento unanime — come la stessa corte riconosce — sono state abbandonate dagli interpreti: quelle cioè che si riferivano all'alternativa ricostruttiva fra lavoro a domicilio « autonomo » (i. d. « precario », o « occasionale ») e lavoro a domicilio « subordinato » (i. e. « continuativo ») (v., per tale distin zione, ancora di recente, Cass. 1° aprile 1976, Perotto, id., Rep. 1977, voce cit., n. 282; v. peraltro Pret. Pavia 18 giugno 1980, Pret. Legnano 21 aprile 1980 e 5 aprile 1980, id., 1981, II, 566, con nota di richiami), penalizzando, oltretutto e paradossalmente, i lavora tori in astratto più meritevoli di tutela proprio perché « precari ».

Dall'altra tale suddistinzione, e soprattutto l'individuazione nel dato della « continuità » dell'elemento discretivo fondamentale fra rapporti « stabili » e non, trascura del tutto di considerare che tale elemento costituisce un dato con cui fare i conti al fine di individuare gli stessi tratti della subordinazione del lavorante a domicilio. È ben noto infatti (e la stessa corte in un inciso lo segnala) che da sempre la giurispru denza attribuisce alla « continuità » della prestazione e del rapporto la facoltà di discriminare fra prestazioni di lavoro autonomo e di lavoro subordinato.

Ne consegue che il discorso propositivo-ricostruttivo non può fare a meno di verificare se ed in che misura il legislatore del 1973 abbia « inglobato » nella valutazione definitoria della subordinazione del lavorante a domicilio anche il requisito di una apprezzabile « continui tà » della prestazione (e quindi delle commesse).

È evidente, infatti, che, al di fuori di una tale verifica, il discorso non riesce ad uscire da una rigida alternativa: o la riproposizione sotto mentite spoglie della vecchia segmentazione del rapporto in « autonomo » o « subordinato »; ovvero la proposizione di una « fal sa » alternativa fra rapporto « precario » o « stabile », a fronte della scelta legislativa a favore della tutela del solo lavoro a domicilio « continuativo ».

Nella giurisprudenza anteriore sullo specifico problema dell'applicabi lità della disciplina limitativa dei licenziamenti v., oltre alle due decisioni che si iscrivono nella medesima vicenda processuale già citate, Pret. Firenze 22 maggio 1979, id., Rep. 1980, voce Prescrizione e decadenza, n. 85, e in Dir. lav., 1980, II, 405, che ne ha escluso l'applicabilità (la decisione è annotata criticamente da A. Mundo, La tutela dell'interesse del lavoratore a domicilio alla stabilità del rapporto).

In dottrina v., per l'applicabilità in toto, M. V. Ballestrero, L'applicazione dello statuto dei lavoratori al lavoro a domicilio, in Riv. giur. lav., 1979, I, 339.

In senso opposto v. M. De Cristofaro, Il lavoro a domicilio, Padova, 1978, 159; Pera, La cessazione del rapporto di lavoro, Padova, 1980, 29.

O. Mazzotta Mazzotta

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