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Sezione I civile; sentenza 19 ottobre 1960, n. 2837; Pres. Fragali P., Est. Bianchi d'Espinosa, P....

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Sezione I civile; sentenza 19 ottobre 1960, n. 2837; Pres. Fragali P., Est. Bianchi d'Espinosa, P. M. Maccarone (concl. conf.); Chiappinelli (Avv. Consiglio) c. Società R.e.s.s.a. (Avv. Di Biase) Source: Il Foro Italiano, Vol. 84, No. 2 (1961), pp. 277/278-279/280 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23151906 . Accessed: 25/06/2014 01:15 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 188.72.126.35 on Wed, 25 Jun 2014 01:15:52 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sezione I civile; sentenza 19 ottobre 1960, n. 2837; Pres. Fragali P., Est. Bianchi d'Espinosa, P.M. Maccarone (concl. conf.); Chiappinelli (Avv. Consiglio) c. Società R.e.s.s.a. (Avv. Di Biase)Source: Il Foro Italiano, Vol. 84, No. 2 (1961), pp. 277/278-279/280Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23151906 .

Accessed: 25/06/2014 01:15

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277 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 278

La Corte, ecc. — (Omissis). È ora il caso di prendere in

esame il primo mezzo. Con esso si denuncia la violazione

e falsa applicazione degli art. 531, 532, 629, 632, 633, 617, 630 cod. civ. 1865 ; 1367 cod. civ. vigente, e difetto di moti

vazione in ordine a punto decisivo della controversia, avendo la Corte del merito negato alla servitù di strada

ferrata il carattere di servitù, oltre che apparente, conti

nua, e quindi atta ad essere costituita per destinazione del

padre di famiglia. La Corte del merito negò che questa servitù (di strada

ferrata) fosse continua, perchè « i carri non possono muo

versi e transitare senza che occorra l'opera dell'uomo ».

Ciò affermando, essa ha errato. Discontinue erano le ser

vitù nelle quali, obiettivamente, il peso imposto al fondo

servente consisteva esclusivamente nel necessario fatto

attuale dell'uomo, senza oneri ulteriori di natura continua.

Se questi oneri venivano imposti, e il godimento della

servitù si completava con il fatto attuale dell'uomo, la

servitù era continua, perchè continuo era l'asservimento

del fondo gravato. Ora « l'uso di strada ferrata » (come impropriamente

qualifica la fattispecie concreta la sentenza) non consiste

soltanto nel transito dei carri, ma in una particolare modi

ficazione di struttura della parte del fondo attraverso la

quale il passaggio avviene, che non si limita ad un diverso

modo di essere del suolo (come, ad esempio, quando vi sia

un tracciato o un sentiero), ma nella imposizione perma nente, costituente incorporazione, di elementi ad essi

estranei come i binari e le traverse, che trasformano addi

rittura il fondo attraversato, e formano un impianto fisso, senza del quale il passaggio dei carri non può avvenire.

L'esercizio di questa servitù, dunque, obiettivamente con

siderato, non consiste soltanto nel passaggio dei carri (fatto attuale dell'uomo), ma nel passaggio su zona predisposta ad hoc e risultante da trasformazione del fondo servente.

E pertanto essa è continua.

Ciò è tanto vero che l'art. 208 della legge sui lavori

pubblici (legge 20 marzo 1865 n. 2248, all. F), sottoponendo « le proprietà private le quali dovranno intersecarsi con le ferrovie private di seconda categoria » (quelle cioè che toc cano in qualsivoglia modo le proprietà altrui) alla servitù di passaggio coattivo, prescrisse non l'applicazione delle norme del codice civile sulla servitù di passaggio coattivo

(discontinua), ma quella delle disposizioni sulla servitù di

acquedotto coattivo, che, com'è noto, era continua. E qui deve essere esaminata una obiezione della resi

stente : sarebbe impossibile riconoscere struttura di diritto reale in genere e di servitù in ispecie alla situazione origi natasi con la vendita di parte del suo fondo, fatta dal Barattelli allo Eichhofer, perchè in realtà il diritto concer nente il transito dei carri ferroviari consisteva; in sostanza, in un concorso nell'esercizio della concessione amministra

tiva, che deve escludersi possa costituire oggetto di diritto reale.

La tesi non è sostenibile, neanche in linea generale, per chè anche situazioni originate da concessioni amministra tive su beni pubblici, considerate nei rapporti fra conces sionari e terzi, possono rivestire quel carattere di assolu tezza e di immediatezza che formano connotato del diritto

reale, specialmente quando esse sono suscettibili di nego ziazione, come nel caso di specie (vedi il Capitolato gene rale), e ad esse è apprestata almeno in parte, nei rapporti fra privati, la tutela che è propria dei diritti reali (arg. ex art. 1144, ult. comma, cod. civ.). Ma nella fattispecie non

può essere distinta la posizione oggettiva di asservimento di fondi, da quella connessa all'esercizio della concessione, l'una e l'altra strettamente congiunte ; perchè proprio l'art. 208 citato della legge sui lavori pubblici offre un argomento insuperabile a favore della natura reale del diritto, allorché

assoggetta i fondi, intersecati da ferrovie private della seconda categoria, proprio ad una servitù coattiva. (Omissis)

Per questi motivi, cassa, ecc.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.

Sezione I civile ; sentenza 19 ottobre 1960, n. 2837 ; Pres.

Fbagali P., Est. Bianchi d'Espinosa, P. M. Macca

rone (conci, conf.) ; Chiappinoli! (Avv. Consiglio) c. Società R.e.s.s.a. (Avv. Di Biase).

{Conferma Trìb. Foggia 16 settembre 1959)

Arbitrato — Clausola compromissoria unilateral

mente obbligatoria —- Validità —- Fattispecie in con

tratto d'appalto (Cod. proc. civ., art. 806 ; cod. civ., art. 1331).

È valida la clausola, contenuta in un contratto d'appalto, che riservi al committente, attore o convenuto, la facoltà di scelta tra giudice ordinario ed arbitri. (1)

La Corte, eco. ■— La clausola: compromissoria, la vali dità della quale è contestata dal ricorrente col primo motivo del ricorso, è del seguente tenore : « In caso di controversie che attengano all'interpretazione ed all'ese

cuzione del presente contratto, sarà in facoltà della commit

tente, anche in relazione alla specifica natura del dissenso, di affidarne la risoluzione ad un arbitro amichevole com

positore, da eleggersi d'accordo tra le parti, o in difetto, da nominarsi dal segretario del Consiglio nazionale degli

ingegneri ».

Si tratta, quindi, di una clausola compromissoria « unilaterale », obbligatoria per una delle parti (l'appal tatore), soltanto facoltativa per l'altra (il committente), la quale, se lo preferisce, potrà, invece di adire l'arbitro,

portare la controversia innanzi ai giudici ordinari. Il ricor

rente, come si è accennato, solleva la questione della

validità o meno di una clausola del genere : questione che (contrariamente a quanto afferma la Società resistente)

può, e deve essere riesaminata anche da questa Corte

suprema, la quale, in materia di competenza, ha la più ampia facoltà di apprezzamento dei fatti.

La questione medesima, nei termini in cui è stata ora

prospettata (clausola compromissoria inclusa in un con tratto fra privati), si presenta per la prima volta a questa Corte suprema, dopo l'unificazione della Cassazione (essa fu invece risolta nel senso della validità della clausola

compromissoria « unilaterale » dalla Cassazione di Torino, con sentenza 17 marzo 1893, Foro it., Rep. 1893, voce Arbi

tramento, n. 2 bis) ; anche se la Corte medesima ebbe ad affrontare (ritenendo anche in questo caso valida la clausola)

analoga questione, per quanto concerne la facoltà di scelta fra giudice ordinario e collegio arbitrale, che è lasciata alla sola Amministrazione, e non al privato contraente, nell'art. 14 del Capitolato generale di oneri delle Ferrovie dello Stato (decreto 13 ottobre 1931 del Ministro delle

comunicazioni). In quella occasione la Cassazione (con la

sentenza 19 febbraio 1946, n. 171, id., 1944-46, I, 453) attribuì a quella norma valore ed efficacia regolamentari ; ma, in definitiva, la questione si presenta negli identici termini ove si tratti, come nella specie, di clausola compro missoria inserita in un contratto (di diritto privato, e fra

privati) ; perchè neanche il regolamento, così come una

(1) In senso favorevole, a proposito della facoltà"di scelta tra il collegio arbitrale e il giudice ordinario attribuita all'Ammi nistrazione dall'art. 14 del Capitolato generale per le opere delle Ferrovie dello Stato, approvato con decreto min. 13 ottobre 1931, v. Cass. 19 febbraio 1946, n. 171, Foro it., 1944-46, I, 453, con nota di richiami (pubblicata con nota di Andbioli, in Riv. dir. proc., 1946, II, 88), citata nel testo della sentenza che si annota.

In senso contrario, App. Parma 28 giugno 1910, Foro it., 1910, I, 1507, con nota di richiami, tra i quali, in senso conforme alla riportata sentenza, Cass. Torino 17 marzo 1893 (id., Rep. 1893, voce Arbitrament, n. 2 bis), richiamata anche in moti vazione.

In dottrina, vedi pure Pacchioni, In tema di clausole com promissorie, in Giur. it., 1942, I, 2, 67.

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279 PARTE PRIMA 280

convenzione, potrebbe derogare ad una norma imperativa di legge.

E questa Suprema corte non ritiene sussistano validi

argomenti, che consiglino a discostarsi dall'orientamento

adottato con quelli, anche se remoti o indiretti, precedenti. Sul piano strettamente negoziale, infatti, la clausola com

promissoria « unilateralmente facoltativa » può essere facil

mente inquadrata nella figura dell'opzione ; con la quale

(art. 1331 cod. civ.) le parti convengono che una soltanto

di esse rimanga vincolata alla propria dichiarazione, e

l'altra abbia facoltà di accettarla o meno. In definitiva,

all'opzione si applicano le norme sulla proposta irrevocabile

(art. 1329), con la differenza strutturale, posta in luce

dalla dottrina, che la proposta è unilaterale, mentre l'opzione è convenuta contrattualmente ; ma, nell'uno e nell'altro

caso, per concludere il negozio occorre una successiva

manifestazione di volontà, l'adesione cioè della parte che si

è riservata la facoltà di accettare o meno. Su questo piano,

quindi, la clausola compromissoria obbligatoria per una

delle parti si risolve in una offerta ferma da parte del

contraente, che si è vincolato (nella specie, l'appaltatore), di adire il giudizio arbitrale ; e una facoltà dell'altro con

traente (il committente) di dar vita al negozio di com

promesso (o di rifiutarsi ad esso), accettando o meno di

adire detto giudizio. . Tali considerazioni valgono a dimostrare la inconsi

stenza della tesi (proposta dal ricorrente innanzi ai Giudici

di merito, anche se non esplicitamente prospettata in

questa sede), secondo la quale la convenzione sarebbe

nulla, perchè sottoposta a condizione meramente potesta tiva (art. 1355). È infatti chiara la differenza fra il negozio

sottoposto a condizione sospensiva, negozio già concluso, e del quale è sospesa soltanto l'efficacia (art. 1353), ed il

negozio, il quale si conclude solo al momento dell'accet

tazione della proposta irrevocabile (o dell'opzione), da

parte del contraente che non è vincolato. Non è quindi invocabile nella specie la disposizione dell'art. 1355 ; an

che a non voler considerare poi che, nel caso concreto non potrebbe mai parlarsi di condizione meramente pote stativa, essendosi la committente riservata la facoltà di

accettare il giudizio arbitrale non a suo mero arbitrio, ma « in relazione alla specifica natura della controversia ».

D'altra parte, non sembra che formi ostacolo, all'appli cabilità alla clausola compromissoria delle regole dettate

per le proposte irrevocabili e le opzioni, la natura di accordo

processuale della clausola medesima. Indubbiamente il

compromesso è un negozio che spiega effetti di carattere

processuale ; purtuttavia, secondo il più recente orienta

mento di questa Suprema corte, ad esso non può negarsi il carattere negoziale, e l'assoggettabilità, per diversi

riguardi, alle disposizioni dettate per i contratti (con la

sentenza 2 maggio 1960, n. 968, Foro it., 1960, I, 736, la Cassazione ha infatti stabilito che, agli effetti dell'appli cabilità delle norme di diritto internazionale privato, la forma del compromesso deve essere regolata dalla legge del luogo dove il compromesso è stipulato, secondo la norma che regola la forma degli atti fra vivi, art. 26 pre leggi, e non della lex fori, e cioè dalla legge regolatrice delle forme del processo, art. 27 delle preleggi) ; onde, in assenza di una espressa norma che lo vieti, non deve ritenersi vietata la convenzione relativa ad un compro messo unilateralmente facoltativo, in applicazione del l'art. 1331. È infine da notare, anche da un punto di vista

più strettamente riguardante il diritto processuale, che

gli effetti del compromesso si riflettono, non nel campo della giurisdizione, ma, come è costante giurisprudenza di

questa Corte suprema, nel campo della competenza : la

competenza arbitrale si pone accanto a quella ordinaria, ed è regolata con disposizioni, le quali, sia pure sommaria

mente, possono essere paragonate a quelle che disciplinano la competenza per territorio (con ampi poteri dispositivi, e di deroga, affidati alle parti, ecc.). L'art. 808, come osservò questa Corte in altra occasione (sentenza 19 feb braio 1946, citata), funziona soltanto in senso positivo, non in senso negativo ; nel senso cioè che la competenza

arbitrate, nei limiti in cui venne accettata, non può essere

declinata da una delle parti ; ma nulla impedisce alle parti di non adire il collegio arbitrale previsto, portando invece

concordemente la controversia innanzi al giudice compe tente. Nella sfera di facoltà lasciate alle parti in proposito, ben può inquadrarsi quindi l'istituto del compromesso unilateralmente facoltativo ; nel quale una delle parti, ed una soltanto, lia la facoltà di scelta fra competenza ordinaria e competenza arbitrale.

Non è questo del resto il solo caso nel quale la legge accorda ad una delle parti (l'attore) la scelta fra più giudici :

basta ricordare i fori facoltativi concorrenti (art. 20), e

l'ipotesi di foro stabilito concordemente dalle parti, ma

in modo non esclusivo (art. 29, capov., cod. proc. civ.),

per constatare come non ripugni affatto al nostro ordina

mento processuale l'ipotesi di una facoltà lasciata ad una

delle parti di scegliere il giudice competente ; mentre

l'altra parto deve sottostare alla scelta. È analogo a

queste ipotesi, quindi, il caso in cui, per contratto, le parti

convengano che una di esse soltanto abbia la facoltà di

scelta fra due giudici, in astratto ritenuti competenti :

il giudice ordinario e l'arbitro.

Per queste considerazioni deve ritenersi valida la clausola

compromissoria de qua ; ed il primo motivo del ricorso

dev'essere respinto. (Omissis) Del pari infondati sono gli altri motivi del ricorso. Col

secondo, il Chiappinelli ripropone la tesi, secondo cui il

giudizio arbitrale era previsto in contratto solo per le con

troversie di natura tecnica, non per le contestazioni di di

versa natura. Ma la tesi fu giustamente respinta dal Tribu

nale di Foggia ; il quale osservò (e questa Corte ritiene di

poter far proprio il rilievo), che l'aver previsto, tra le altre

controversie da devolvere alla competenza arbitrale, quelle relative all'« interpretazione » del contratto, dimostra che

le parti intesero consentire, secondo la scelta della com

mittente, il giudizio arbitrale anche per quelle controversie

che, vertendo sull'esegesi della volontà contrattuale, asso

lutamente esulavano dal campo tecnico ; e perciò per tutte le contestazioni cui l'esecuzione del contratto avrebbe

potuto dar luogo. Nello stesso secondo motivo, il Chiappinelli propone

altra tesi (non avanzata dinanzi ai Giudici di merito), se condo cui la clausola compromissoria dovrebbe interpre tarsi in maniera restrittiva : nel senso cioè che la facoltà di adire il collegio arbitrale sia riservata alla Società com mittente soltanto allorché questa si faccia iniziatrice del

giudizio (agisca cioè nella veste di attrice), non quando, come nella specie, attore è l'appaltatore. Ma nulla, nella clausola in questione, sopra riportata, autorizza questa interpretazione restrittiva, che fa dipendere l'operatività della clausola (e perciò la possibilità per il committente di esercitare la facoltà riservatasi, di adire il giudizio ar

bitrale) da un elemento puramente estrinseco ed acciden

tale, e per il quale sarebbe praticamente possibile all'ap paltatore rendere inoperante la convenzione, prendendo l'iniziativa della controversia innanzi ai giudici ; quando invece l'evidente scopo, cui mira la clausola compromis soria, è quello di affidare la decisione delle controversie all'arbitro « in relazione alla specifica natura del dissenso », da apprezzarsi, quest'ultima, dalla committente, che si è riservata la facoltà di accettare o meno, in ogni caso, la

competenza arbitrale.

Non si può poi riconoscere, con il ricorrente, che il ricorso al giudizio arbitrale darebbe luogo a pratiche dif ficoltà nel caso che sia attore l'appaltatore (questi dovrebbe

previamente interpellare la Società committente, per sapere se intende ricorrere all'arbitro o al giudice ordinario) ; essendo, com'è chiaro, sufficiente che la convenuta mani festi la sua volontà di valersi della facoltà che si è riservata ; ad esempio, con il sollevare l'eccezione d'incompetenza, se convenuta innanzi al giudice ordinario, così come ha fatto nel caso concreto. (Omissis)

Per questi motivi, ecc.

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