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sezione I civile; sentenza 20 agosto 2003, n. 12235; Pres. De Musis, Est. Giuliani, P.M. Uccella...

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sezione I civile; sentenza 20 agosto 2003, n. 12235; Pres. De Musis, Est. Giuliani, P.M. Uccella (concl. parz. diff.); Soc. coop. Cea (Avv. Russo) c. Istituto autonomo case popolari della provincia di Foggia (Avv. Romano). Cassa App. Bari 19 ottobre 1999 Source: Il Foro Italiano, Vol. 128, No. 3 (MARZO 2005), pp. 857/858-867/868 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23200238 . Accessed: 25/06/2014 05:25 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 194.29.185.37 on Wed, 25 Jun 2014 05:25:19 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione I civile; sentenza 20 agosto 2003, n. 12235; Pres. De Musis, Est. Giuliani, P.M. Uccella(concl. parz. diff.); Soc. coop. Cea (Avv. Russo) c. Istituto autonomo case popolari dellaprovincia di Foggia (Avv. Romano). Cassa App. Bari 19 ottobre 1999Source: Il Foro Italiano, Vol. 128, No. 3 (MARZO 2005), pp. 857/858-867/868Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23200238 .

Accessed: 25/06/2014 05:25

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

1) l'indennità di maternità ha, come l'indennità di malattia, carattere giornaliero; si tratta di un complesso di diritti a ratei

giornalieri, aventi in comune una componente della fattispecie costitutiva (l'evento parto per il periodo ad esso successivo, la

sua previsione per il periodo anteriore) ma differenziati per l'ulteriore componente costituita dai corrispondenti giorni di

astensione (Cass. 21 dicembre 1999, n. 14421, cit.);

2) la prescrizione di un anno, di cui all'art. 6 1. 11 gennaio 1943 n. 138, inizia a decorrere dal giorno in cui le prestazioni sono dovute;

3) perché le prestazioni siano dovute occorre non solo che il

diritto sia maturato, ma che sia presentata apposita, tempestiva domanda amministrativa (Cass. 26 agosto 1997, n. 8042, cit.);

4) una volta presentata la domanda amministrativa, occorre

quindi, perché l'eventuale silenzio dell'ente previdenziale sia

significativo, che sia già maturato o maturi anche il diritto al

l'indennità; 5) l'art. 97 r.d.l. 4 ottobre 1935 n. 1827, convertito in legge,

con modificazioni, con 1. 6 aprile 1936 n. 1155, dispone, all'ul

timo comma, che il procedimento amministrativo ha effetto so

spensivo dei termini di prescrizione;

6) il procedimento amministrativo relativo all'indennità di

maternità, come per le altre prestazioni dovute dall'Inps, è

scandito dai seguenti tempi: il decorso di centoventi giorni dalla

domanda amministrativa, presentata contestualmente o succes

sivamente (e comunque tempestivamente) alla maturazione del

diritto, perché la domanda, in assenza di un provvedimento an

teriore dell'istituto, si intenda rigettata (art. 7 1. n. 533 del

1973); avverso il provvedimento di rigetto della indennità di

maternità o il silenzio-rifiuto può essere proposto, nel termine di

novanta giorni, ricorso amministrativo (art. 46, 5° comma, 1. 9

marzo 1989 n. 88); in caso di proposizione del ricorso e di man

cata pronuncia sullo stesso entro ulteriori novanta giorni, si de

termina il silenzio-rigetto (art. 46, 6° comma, 1. 88/89);

7) con la promulgazione della 1. 9 marzo 1989 n. 88, il con

tenzioso amministrativo avverso i provvedimenti negativi del

l'Inps comprende anche le prestazioni economiche per la mater

nità (art. 46, 1° comma, lett. f), di modo che anche per tali pre stazioni è stato introdotto il ricorso amministrativo, non previsto nella precedente normativa.

Da quanto sopra precisato si può sintetizzare il seguente prin

cipio di diritto: «L'indennità di maternità, di cui all'art. 15 1. 30 dicembre 1971 n. 1204, matura di giorno in giorno e si risolve

in un complesso di diritti a ratei giornalieri; l'azione per conse

guire l'indennità si prescrive nel termine di un anno dal giorno in cui i ratei sono dovuti; una volta presentata tempestiva do

manda amministrativa, l'obbligo di pagamento dei ratei decorre,

per l'ente previdenziale, dal giorno di maturazione degli stessi, sicché il silenzio-rifiuto dell'ente si perfeziona con il decorso di

centoventi giorni dalla data di presentazione della domanda, per i ratei maturati contestualmente o precedentemente alla stessa e

tempestivamente richiesti, e dal giorno di maturazione di cia

scun rateo per quelli maturati successivamente alla domanda

amministrativa; avverso il provvedimento di diniego o il silen

zio-rifiuto l'interessato ha il termine di novanta giorni per pre sentare ricorso amministrativo, ricorso che si ha per respinto

dopo ulteriori novanta giorni dalla sua presentazione; il proce dimento in sede amministrativa, ai sensi dell'art. 97, ultimo

comma, r.d.l. n. 1827 del 1935, ha effetto sospensivo dei termini

di prescrizione».

Applicando tali principi alla fattispecie in esame, si ha che

l'azione per conseguire l'indennità per l'astensione obbligato

ria, in relazione al parto previsto (ed effettivamente avvenuto) il

7 gennaio 1990, non si è prescritta. La domanda amministrativa

per tale indennità (relativa al periodo 7 novembre 1989 - 7

aprile 1990) è stata presentata, come risulta dalla sentenza im

pugnata, il 7 novembre 1989 e la prestazione è stata sollecitata

con atto interruttivo del 9 febbraio 1991.

A tale data non era decorso il termine di un anno e centoventi

giorni (tenuto conto che, da quanto risulta dalla sentenza impu

gnata, l'Inps non ha emesso un formale provvedimento di dinie

go e che la sig. Ciraci non ha presentato ricorso amministrativo)

dal 7 novembre 1989 e, a maggior ragione, dai giorni successi

vi, fino al 7 aprile 1990, per ciascuno dei quali è maturato il ra

teo all'indennità.

Il Foro Italiano — 2005.

L'indennità per l'astensione facoltativa, richiesta il 21 aprile 1990 per il periodo 21 aprile 1990 - 21 ottobre 1990, invece, te

nuto conto dell'atto interruttivo del 21 ottobre 1991 e del fatto

che l'assicurata non ha proposto ricorso amministrativo avverso

il silenzio-rifiuto dell'istituto, non è prescritta per i ratei dal 23

giugno al 21 ottobre 1990, mentre è prescritta per i ratei prece denti, considerato che dal 22 giugno 1990 (e, a maggior ragione, dai giorni precedenti di maturazione dei ratei) al 21 ottobre

1991 è decorso il periodo di un anno e centoventi giorni. In conclusione il ricorso va accolto per quanto di ragione, la

sentenza impugnata va cassata e, non essendo necessari ulteriori

accertamenti dì fatto, la causa va decisa nel merito, con la con

danna dell'Inps a pagare alla sig. Maria Ciraci l'indennità di

maternità per l'astensione obbligatoria e, per quanto concerne

l'astensione facoltativa, i relativi ratei dal 23 giugno al 21 otto

bre 1990, oltre interessi legali dalle date di maturazione al sal

do.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 20 ago sto 2003, n. 12235; Pres. De Musis, Est. Giuliani, P.M. Uc

cella (conci, parz. diff.); Soc. coop. Cea (Avv. Russo) c.

Istituto autonomo case popolari della provincia di Foggia

(Avv. Romano). Cassa App. Bari 19 ottobre 1999.

Opere pubbliche — Appalto — Sospensione dei lavori —

Colpa del committente — Risarcimeislo (Cod. civ., art.

1218; d.p.r. 16 luglio 1962 n. 1063, approvazione del capito lato generale d'appalto per le opere di competenza del mini

stero dei lavori pubblici, art. 30).

Opere pubbliche — Appalto — Conclusione dei lavori oltre

il termine iniziale — Premio di incentivazione — Esclu

sione (L. 10 dicembre 1981 n. 741, ulteriori norme per l'ac

celerazione delle procedure per l'esecuzione di opere pubbli che, art. 12).

Il committente è responsabile, nei confronti dell'appaltatore, dei danni derivanti dalla sospensione dei lavori dovuta al

l'impugnazione davanti al tribunale amministrativo regionale della concessione edilizia necessaria per il compimento dei

lavori stessi, qualora non fornisca la prova della mancata

imputabilità a sé delle cause per le quali il giudice abbia so

speso l'esecuzione dei lavori, sulla base di criteri di non pre vedibilità, non evitabilità e non superabilità di simili cause, alla stregua dello sforzo dovuto secondo l'ordinaria diligen za. (1)

Correttamente il giudice di merito ha ritenuto non erogabile il

(1) La sentenza in epigrafe ha ad oggetto il problema di valutare se un ordine di sospensione di una licenza edilizia da parte del giudice amministrativo (c.d. factum principis) possa essere considerato come

causa dì forza maggiore per la sospensione di un lavoro di appalto, con

conseguente applicabilità dell'art. 30 d.p.r. 16 luglio 1962 n. 1063, il

quale esonera l'amministrazione dal pagamento di qualsiasi indennizzo

all'appaltatore. In generale, la giurisprudenza afferma che il provvedimento di una

pubblica amministrazione, estranea al rapporto contrattuale, che abbia

impedito al debitore di adempiere la prestazione non possa essere con

siderato causa idonea ad escludere l'imputabilità dell'inadempimento

qualora il provvedimento stesso fosse ragionevolmente prevedibile se

condo un criterio di comune diligenza (Cass. 23 febbraio 2000, n. 2059, Foro it., Rep. 2000, voce Obbligazioni in genere, n. 53); dunque la li

berazione del debitore dalla responsabilità per inadempimento in ragio ne della sopravvenuta impossibilità della prestazione può verificarsi in

quanto concorrano l'elemento obiettivo rappresentato dall'impossibilità

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859 PARTE PRIMA 860

premio di accelerazione per la conclusione anticipata dei la

vori qualora una clausola de! capitolato speciale della gara di appalto preveda che il premio stesso sia riconosciuto se

condo le modalità e le condizioni fissate dalle vigenti dispo sizioni ministeriali e regionali, le quali prevedono la sua

corresponsione soltanto a quei cantieri la cui effettiva durata

sia risultata inferiore ai tempi contrattuali previsti al mo

mento della consegna, e non anche ai cantieri la cui durata

lorda sia risultata superiore a causa di una sospensione dei

lavori. (2)

concreta di eseguire la prestazione medesima, e quello soggettivo atti nente all'assenza di colpa del debitore riguardo alla determinazione dell'evento che ha reso impossibile la prestazione; nel caso l'evento consista in un ordine o un divieto imposto dalla pubblica autorità non sarà consentito invocare la predetta impossibilità qualora l'atto fosse

ragionevolmente e facilmente prevedibile al momento dell'assunzione

dell'obbligazione, ovvero se il debitore non ha posto in essere quanto stava a lui, nei limiti dell'ordinaria diligenza, per vincere e rimuovere la resistenza o il rifiuto della pubblica autorità (Cass. 28 novembre

1998, n. 12093, id.. Rep. 1998, voce cit., n. 55). Il principio sopra formulato vale anche nel caso in cui il debitore sia

una pubblica amministrazione, la quale ha il dovere di osservare un

comportamento ispirato a principi di correttezza e buona fede in sede di esecuzione del contratto (Cass. 28 novembre 1998, n. 12093, cit.).

In particolare per ciò che concerne i contratti di appalto, l'orienta mento giurisprudenziale ormai consolidato prevede che tra le obbliga zioni che scaturiscono dal contratto di appalto, quali effetti naturali, vi è quella del committente di assicurare all'appaltatore, fin dall'inizio del

rapporto e per tutta la sua durata, la possibilità giuridica e concreta di

eseguire il lavoro affidatogli (Cass. 22 maggio 1998, n. 5112, ibid., vo ce Appalto, n. 36; in particolare sulle obbligazioni c.d. collaterali di collaborazione che gravano sul debitore, v. Cass. 16 gennaio 1997. n.

387, id., Rep. 1997, voce Contratto in genere, n. 529). E dunque legittima la sospensione dei lavori oggetto di appalto pub

blico da parte della pubblica amministrazione solo in una situazione in cui sopravvengano circostanze speciali non prevedibili con l'ordinaria

diligenza, o per ragioni tecniche (v. Coli. arb. Roma 9 gennaio 1997, id., Rep. 1999, voce Opere pubbliche, n. 599) ovvero per ragioni di

pubblico interesse o necessità; nel qual caso resta sospeso il termine per l'ultimazione dei lavori, e all'appaltatore non spetta alcuna indennità

(Cass. 4 febbraio 2000, n. 1217, id., Rep. 2000, voce cit., n. 620; v. an che Arb. Roma 3 marzo 1999, id., Rep. 2001, voce cit., n. 634; 12 feb braio 1998, id., Rep. 2000, voce cit., n. 630); inoltre, anche nel caso in cui la sospensione sia determinata da ragioni di pubblico interesse, ai sensi del 2° comma dell'art. 30 d.p.r. 16 luglio 1962 n. 1063, la sospen sione stessa è illegittima, e l'amministrazione appaltante risulta dunque responsabile per l'inadempimento, qualora le esigenze di pubblico inte resse siano causate non già da circostanze impreviste e imprevedibili, ma da un'evidente negligenza della stazione appaltante stessa (Cass. 5

agosto 1997, n. 7196, id., Rep. 1997, voce cit., n. 503; Arb. Milano 27

gennaio 1999, id., Rep. 2002, voce cit., n. 622). Le ragioni di pubblico interesse o necessità infatti devono essere interpretate come esigenze oggettive, sia pure discrezionalmente apprezzate (Coli. arb. Firenze 16

gennaio 1997, id., Rep. 1999, voce cit., n. 601), che non derivano da fatto proprio dell'amministrazione, ipotesi che invece si verifica allor ché con la sospensione si intende rimediare a negligenza dell'ammini strazione medesima, o comunque alla mancata tempestiva predisposi zione di tutte quelle condizioni indispensabili all'esecuzione del con tratto (Cass. 7 marzo 1995, n. 2651, id.. Rep. 1995, voce cit., n. 379: nella specie si trattava di sospensione inizialmente legittima, ma il cui

protrarsi era dovuto a fatto colposo della pubblica amministrazione; Arb. Roma 1° agosto 1997, id.. Rep. 2000, voce cit., n. 624; v. altresì Coli. arb. Roma 16 marzo 1995, id., Rep. 1998, voce cit., n. 496, che

nega che in queste situazioni si possa in effetti parlare di motivi di pub blico interesse o necessità). Lo stesso discorso può essere fatto nel caso di sospensione protrattasi eccessivamente: qualora vi sia negligenza da

parte della pubblica amministrazione la sospensione non diventa ille

gittima per il suo eccessivo protrarsi, ma è illegittima già originaria mente (Arb. Roma 3 febbraio 1998, id., Rep. 2000, voce cit., n. 628).

Si può dunque concludere che sia gli eventi previsti dal 1° comma dell'art. 30 cit. (cause di forza maggiore, condizioni climatologiche e altre simili circostanze naturali) che quelli indicati dal 2° comma (ra gioni di pubblico interesse o necessità) agiscono come limiti obiettivi alla facoltà dell'amministrazione di disporre sospensioni temporanee nell'esecuzione dei lavori (Coli. arb. 17 giugno 1993, id., Rep. 1996, voce cit., n. 379).

Non può ad esempio essere ricondotta ad una causa di forza maggio re la sospensione dei lavori determinata dalla necessità di acquisire una

prescritta autorizzazione, comportamento che costituisce al contrario

grave inadempimento agli obblighi contrattuali, senza che sia richiesto

Il Foro Italiano — 2005.

Svolgimento del processo. — Con atto di citazione notificato

il 23 giugno 1988, la società cooperativa a r.l. Cea (Consorzio edili artigiani) conveniva in giudizio davanti al Tribunale di

Foggia l'Istituto autonomo case popolari (Iacp) della locale

provincia, premettendo:

a) di avere il 10 luglio 1984, quale aggiudicataria dei lavori per la costruzione, in quattro corpi di fabbrica, di trentadue al

loggi di edilizia residenziale pubblica nel comune di Troia

(Foggia), stipulato con il convenuto il relativo contratto di ap

palto, dietro espressa previsione, a mezzo clausola contenuta nel

alcun onere probatorio sul comportamento della stazione appaltante, atteso che la relativa negligenza si considera in re ipsa (Arb. Roma 26 novembre 1998, id., Rep. 2001, voce cit., n. 631); non è possibile invo care le norme sulla sospensione dei lavori ex art. 30 cit. neanche nel ca so di lavori sospesi per l'impossibilità di emettere l'ordine di servizio relativo alle attività di cui a una perizia di variante e suppletiva a causa del colpevole ritardo con cui la stazione committente ha provveduto al

l'approvazione (Arb. Roma 7 aprile 1998, id., Rep. 2000, voce cit., n.

634); né la necessità di apportare una perizia di variante per sanare ca renze di progetto è sufficiente ad individuare un interesse pubblico ge nerale, o tantomeno può essere ricondotta a causa di forza maggiore (Arb. Roma 23 dicembre 1997, ibid., n. 640).

In materia, v., da ultimo. Cass. 23 maggio 2002, n. 7543, id., 2003, I, 557, con nota di M.P. Genesin, la quale afferma che costituisce motivo di legittima sospensione dei lavori il verificarsi di cause di forza mag giore, tra le quali può essere annoverato il c.d. factum principis consi stente in ordini o divieti di un'autorità amministrativa estranea al rap porto contrattuale, dai quali derivi l'impossibilità di eseguire la presta zione a prescindere dal comportamento dell'obbligato e senza sua colpa riguardo alle cause che hanno determinato i medesimi.

(2) La giurisprudenza in tema di premi di accelerazione si attesta su una posizione comune.

I premi di accelerazione, o di incentivazione, possono essere ricono sciuti solamente qualora esista un'espressa previsione nel capitolato speciale d'appalto, così come previsto anche dall'art. 12 1. 10 dicembre 1981 n. 741 (Arb. Roma 28 luglio 1998, Foro it., Rep. 2001, voce Ope re pubbliche, n. 671).

La giurisprudenza ha sottolineato come tali premi abbiano una causa del tutto autonoma rispetto al contratto d'appalto cui accedono, non co stituendo tanto una remunerazione per i lavori eseguiti, quanto piuttosto un corrispettivo legato all'anticipata disponibilità, per il creditore, del

l'opera e quindi del più pronto e sollecito soddisfacimento dell'interes se collettivo (Cass. 26 giugno 2001, n. 8705, id., Rep. 2002, voce cit., n. 720; App. Roma 16 settembre 1996, id.. Rep. 1999, voce cit., n.

698). Si tratta quindi di un credito, a favore dell'appaltatore, avente natura di obbligazione contrattuale, eventuale ed accessoria, che trae le sue origini dall'esercizio di una facoltà dell'appaltatore stesso prevista nel contratto, e che opera come fonte di un'obbligazione per l'ammini strazione che sfugge alla disciplina del sinallagma contrattuale (Coli, arb. 15 giugno 1993, id.. Rep. 1996, voce cit., n. 449).

II premio è dunque collegato solamente ad un'ultimazione anticipata dei lavori rispetto al termine inizialmente fissato dal contratto, e non

può essere collegato ad ulteriori termini eventualmente risultanti da so

spensioni e varianti, anche se disposte dalla stazione appaltante (Cass. 26 marzo 2003, n. 4477, id., 2004, I, 571; v. anche Cons, giust. amm.

sic., sez. consult., 15 marzo 1994, n. 127/94, id.. Rep. 1994, voce Sici lia, n. 226); di conseguenza non spetta il premio qualora i lavori siano stati ultimati nei tempi contrattuali inizialmente previsti e non prima degli stessi (Cons, giust. amm. sic., sez. consult., 18 febbraio 1997, n. 556/96, id.. Rep. 1997, voce cit., n. 243), né, in generale, quando sia stato assegnato un più ampio termine per l'ultimazione dei lavori ri

spetto a quello convenuto inizialmente, anche per motivi di forza mag giore (Cass. 6 dicembre 2002, n. 17331, id., Rep. 2002, voce Opere pubbliche, n. 722) e i lavori siano stati ultimati prima della scadenza del nuovo termine, ma non del precedente (Trib. Palermo 28 ottobre

1997, id., Rep. 1998, voce Sicilia, n. 207). La possibilità di prevedere un premio di incentivazione nei contratti

d'appalto è in alcuni casi contestata; ad esempio la 1. reg. Sicilia 29

aprile 1985 n. 21, così come modificata dalla 1. reg. 12 gennaio 1993 n.

10, prevede che l'anticipata ultimazione dei lavori rispetto al termine

assegnato non consenta l'attribuzione di alcun premio di incentivazio ne: di conseguenza dall'entrata in vigore della 1. reg. 10/93 è fatto di vieto all'amministrazione di attribuire premi di acceleramento per i nuovi appalti, non essendo invece la norma applicabile ai lavori di ap palto già concessi o per i quali sia già stato pubblicato il bando di gara alla data di pubblicazione della legge (Cons, giust. amm. sic., sez. con

sult., 18 febbraio 1997, n. 556/96, cit.; 12 marzo 1996, n. 86/96, id..

Rep. 1996, voce cit., n. 196). Sulla corresponsione di premi di accelerazione, v., da ultimo, Trib.

Roma 24 maggio 1994, id., 1995,1, 1365, con nota di richiami.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

capitolato speciale, del diritto a percepire il c.d. «premio di ac

celerazione» là dove la durata dei lavori fosse risultata inferiore

al tempo di ultimazione contrattuale, prevista per il 19 ottobre

1985; b) che, in data 18 ottobre 1984, i proprietari dei suoli sui

quali ricadeva l'intervento edificatorio avevano proposto ricorso

al Tar Puglia per l'annullamento della concessione edilizia rila

sciata il 20 marzo 1984 dal predetto comune all'Iacp;

c) che detto giudice, il 25 ottobre 1984, aveva sospeso l'ese

cuzione degli atti impugnati;

d) che l'Iacp, a seguito del blocco dell'operatività della ri

chiamata concessione comunicatogli dal comune, aveva ordi

nato all'impresa la sospensione dei lavori a decorrere dalla me

desima data del 25 ottobre 1984, onde il relativo processo ver

bale sottoscritto in data 6 novembre 1984 da essa attrice e dal

direttore dei lavori;

e) che, infine, essendo stata annullata il 5 febbraio 1985 la

sospensiva disposta dal Tar, su ricorso al Consiglio di Stato

proposto dall'Iacp, l'anzidetto direttore aveva ordinato all'ap

paltatrice, a decorrere dall' 11 febbraio 1985, la ripresa dei lavo

ri stessi, i quali, quindi, benché rimasti fermi per 109 giorni, erano stati ultimati in complessivi 492 giorni, ovvero con un

anticipo di 97 giorni rispetto alla durata contrattuale di 480

giorni, escludendo il richiamato periodo di fermo.

Tanto premesso, l'attrice chiedeva la condanna del convenuto

al risarcimento dei danni patiti per effetto della sospensione dei

lavori, oltre gli accessori, nonché al pagamento del premio di

accelerazione contrattualmente previsto. Si costituiva l'Iacp, deducendo l'infondatezza della pretesa

avversaria sul duplice rilievo vuoi di non dover rispondere della

sospensione in oggetto, cagionata da forza maggiore ai sensi

dell'art. 30 d.p.r. n. 1063 del 1962, vuoi di non essere tenuto al

pagamento dell'invocato premio di accelerazione in ragione di

quanto previsto dal capitolato speciale. Il medesimo convenuto, peraltro, chiedeva ed otteneva di es

sere autorizzato a chiamare in garanzia il comune, il quale, pure costituitosi, contestava la domanda, che il giudice adito, con

sentenza pubblicata il 21 dicembre 1995, rigettava, compensan do integralmente le spese del giudizio tra tutte le parti.

Avverso la decisione, proponeva appello la Cea, lamentando

ne l'erroneità là dove il tribunale aveva ritenuto legittima la so

spensione, mentre, invece, la fattispecie non rientrava nel nove

ro delle cause di forza maggiore di cui al sopra citato art. 30, nonché deducendo che, una volta consentita la proroga del ter

mine di completamento dell'opera, il premio di accelerazione

fosse dovuto, restando inopponibile all'appaltatore la diversa

opinione della regione Puglia, la quale operava sul piano dei

rapporti tra l'ente anzidetto e l'appaltante Iacp. Resistevano nel grado lo stesso Iacp ed il comune di Troia,

chiedendo il rigetto del gravame avversario e spiegando a pro

pria volta appello incidentale in ordine al regolamento delle

spese processuali, a loro dire ingiustificatamente compensate in

prima istanza.

La Corte d'appello di Bari, con sentenza del 5-19 ottobre

1999, rigettava l'appello principale ed accoglieva gli appelli in cidentali, assumendo:

a) che il provvedimento del giudice amministrativo il quale aveva imposto la sospensione dei lavori costituisse certamente

causa di forza maggiore;

b) che la clausola 1.7 del capitolato speciale precisasse pun tualmente che il premio di accelerazione sarebbe stato ricono

sciuto «secondo le modalità e le condizioni fissate dalle vigenti

disposizioni ministeriali e regionali», ovvero anche alla stregua della delibera della regione Puglia 4376/81 con la quale l'ente

aveva stabilito, come regola generale per tale genere di appalti, che il premio di accelerazione sarebbe stato applicato solo per

quei cantieri la cui effettiva durata, anche lorda, fosse risultata

inferiore ai tempi contrattuali dal momento della consegna, pur in presenza di un ritardo ascrivibile ad obiettive cause di forza

maggiore;

c) che il primo giudice non si fosse curato di motivare la

compensazione, laddove la piena soccombenza dell'attuale ap

pellante in quella sede ne comportava la condanna al ristoro

delle spese processuali patite ex adverso.

Avverso tale sentenza, propone ricorso per cassazione la so

cietà cooperativa a r.l. Cea, deducendo tre motivi di gravame, ai

Il Foro Italiano — 2005.

quali resiste l'Iacp della provincia di Foggia con controricorso, illustrato da memoria, mentre non resiste il comune di Troia.

Motivi della decisione. — Con il primo motivo di impugna zione, lamenta la ricorrente violazione e falsa applicazione degli art. 30 d.p.r. 16 luglio 1962 n. 1063; 10 r.d. 25 maggio 1895 n. 350; 1218 e 1655 c.c., in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c., as

sumendo:

a) che, nel caso di specie, non costituisce causa di forza

maggiore il provvedimento cautelare con il quale il Tar ha so

speso 1'«esecuzione degli atti impugnati» e, segnatamente, della

concessione edilizia (non già, come pure affermato, i «lavori»), siccome provocato dal ricorso dei proprietari dell'area destinata

alla costruzione degli alloggi popolari e, cioè, dal fatto del ter

zo;

b) che al sindaco di Troia non restava che ottemperare al

l'ordine del Tar, disponendo la sospensione dell'operatività della concessione medesima (factum principis), con relativa im

possibilità giuridica per l'appaltatore di proseguire i lavori di costruzione dell'opera edilizia;

c) che il committente deve assicurare all'appaltatore, per tutta la durata dell'esecuzione dell'opera, la disponibilità dell'a

rea nonché la legittimità della concessione edilizia, onde, qualo ra tale licenza venga impugnata dinanzi al giudice amministrati

vo e venga disposta la sospensione dei lavori, si configura un

inadempimento del committente stesso, il quale è responsabile, verso l'appaltatore, dei relativi danni, ai sensi dell'art. 1218

c.c., in quanto la sospensione disposta dal giudice amministrati

vo non integra l'ipotesi di forza maggiore derivante dal factum

principis e si ricollega a causa normalmente imputabile al titola

re della licenza.

Il motivo è fondato.

La corte territoriale, esaminando la censura di appello relativa

all'asserita illegittimità della sospensione dei lavori, ha affer

mato:

a) che il dettato letterale dell'art. 30 d.p.r. n. 1063 del 1962, insuscettibile di interpretazione diversa da quella che scaturisce

dal senso apparente delle parole, prevede espressamente che al

l'appaltatore non spetti alcun compenso od indennizzo per le

sospensioni disposte dall'ingegnere capo per «cause di forza

maggiore, condizioni climatologiche od altre simili circostanze

speciali» che impediscano in via temporanea che i lavori proce dano utilmente;

b) che la norma contempla quindi tre diverse categorie di

eventi impeditivi alla prosecuzione dei lavori, tali che le cause

di forza maggiore, in particolare, debbono essere diverse dalle

altre due (e segnatamente dagli eventi climatici), perché, in caso

contrario, non si comprenderebbe il motivo della superflua ri

petizione;

c) che il provvedimento dell'autorità giudiziaria amministra

tiva il quale impose la sospensione dei lavori costituiva certa

mente causa di forza maggiore, come correttamente ritenuto già dal primo giudice.

Un simile assunto non può condividersi.

Giova premettere come il richiamo della ricorrente alla giu

risprudenza di questa corte non sia di per sé pertinente, atteso

che le relative pronunce (Cass. 19 marzo 1980, n. 1818, Foro

it., Rep. 1982, voce Appalto, n. 17; 13 marzo 1982, n. 1638, id.,

Rep. 1983, voce Opere pubbliche, n. 248; 20 febbraio 1984, n.

1201, id.. Rep. 1984, voce Appalto, n. 24; 27 aprile 1993, n.

4959, id., Rep. 1993, voce cit., n. 43; alle quali possono aggiun

gersi, peraltro, Cass. 16 gennaio 1986, n. 227, id., Rep. 1987, voce cit., n. 76; 14 gennaio 1987, n. 173, ibid., n. 77; 28 marzo

2001, n. 4463, id., Rep. 2001, voce cit., n. 45), là dove hanno

affermato l'impossibilità di assimilare il fatto del terzo o il fac tum principis alle «cause geologiche, idriche o simili ... che

rendano notevolmente più onerosa la prestazione dell'appaltato re» e che conferiscono a quest'ultimo il «diritto a un equo com

penso», risultano intervenute con riguardo al dettato del 2°

comma dell'art. 1664 c.c., ovvero ad una disposizione che, sia

pure applicabile anche agli appalti di opere pubbliche (Cass. 26 novembre 1984, n. 6106, id., Rep. 1986, voce cit., n. 15; 27

marzo 1993, n. 3733, id., Rep. 1994, voce Opere pubbliche, n.

324; 4959/93, cit.), non viene certamente in considerazione nel

caso di specie, in cui si verte, cioè, secondo l'incensurato (entro

questi limiti) apprezzamento della corte territoriale, riguardo al

l'interpretazione della norma speciale contenuta nell'art. 30

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PARTE PRIMA 864

d.p.r. 16 luglio 1962 n. 1063 (recante approvazione del capito lato generale d'appalto per le opere di competenza del ministero

dei lavori pubblici), il quale, sotto la rubrica «sospensione dei

lavori», stabilisce al 1° comma che «qualora cause di forza

maggiore, condizioni climatologiche od altre simili circostanze

speciali impediscano in via temporanea che i lavori procedano utilmente a regola d'arte, l'ingegnere capo, d'ufficio o su se

gnalazione dell'appaltatore, può ordinare la sospensione dei la

vori, disponendone la ripresa quando siano cessate le ragioni che determinarono la sospensione», prevedendo, quindi, al 3°

comma, che, «per la sospensione disposta nei casi, modi e ter

mini indicati nel 1° comma ... del presente articolo, non spetta

all'appaltatore alcun compenso o indennizzo».

Piuttosto, è da notare che, con riguardo ad un caso (ancorché non recente) perfettamente analogo a quello di specie, questa stessa corte (Cass. 25 febbraio 1971, n. 491, id., 1971. I, 1254) si è pronunciata nel senso:

a) che tra le obbligazioni che nascono dal contratto di ap

palto a carico del committente vi è quella di assicurargli, per tutta la durata del rapporto, la giuridica possibilità di compiere i

lavori affidatigli; b) che la legittimità della licenza edilizia, necessaria per il

compimento dei lavori anzidetti, deve essere garantita dal mede

simo committente;

c) che, ove la licenza sia impugnata innanzi al giudice ammi

nistrativo, siccome illegittima, venendone quindi sospesa l'ese

cuzione ad opera di quest'ultimo giudice, la sospensione dei la

vori, che costituisce corollario di tale provvedimento, rappre senta, dal lato obiettivo, un inadempimento della sopra indicata

obbligazione da parte del committente;

d) che il committente stesso è pertanto responsabile verso

l'appaltatore, ex art. 1218 c.c., dei danni derivanti dalla sospen sione, là dove non fornisca la prova liberatoria richiesta dalla

norma dianzi citata;

e) che il predetto non può tuttavia scagionarsi allegando

semplicemente la forza cogente dell'ordinanza giudiziale di so

spensione dell'esecuzione della licenza edilizia, segnatamente

quando questa sia stata accordata dal comune in conformità ad

una sua richiesta, onde non è possibile considerarlo estraneo alla

illegittimità che abbia provocato l'intervento della richiamata

ordinanza, spettando piuttosto al medesimo committente dimo

strare che le ragioni per le quali il giudice amministrativo abbia

sospeso l'esecuzione della licenza derivassero da cause da lui

indipendenti e non normalmente prevedibili allorché egli stipulò il contratto di appalto;

f) che non rileva al riguardo neppure il fatto della definizione

del giudizio amministrativo con una sentenza che dichiari l'i

nammissibilità ovvero rigetti nel merito il ricorso (o i ricorsi), dovendo tenersi presente l'autonomia, rispetto alla sentenza an

zidetta, dell'ordinanza di sospensione del provvedimento impu

gnato. pronunciata su una specifica istanza e per specifiche ra

gioni. L'orientamento sopra riferito ha trovato, quindi, sostanziale

conferma vuoi nella successiva giurisprudenza di questa corte

vuoi in dottrina.

La prima, infatti, ha avuto modo di ribadire:

a) che tra le obbligazioni le quali scaturiscono, come effetti

naturali, dal contratto di appalto, vi è quella, gravante sulla parte committente, di assicurare all'appaltatore, fin dall'inizio del

rapporto, e per tutta la durata di questo, la possibilità giuridica e

concreta di eseguire il lavoro affidatogli, così che l'inadempi mento di tale obbligo, cui non può non corrispondere il diritto

dell'appaltatore alla relativa osservanza, è ben suscettibile di as

sumere, in astratto, valenza ai sensi degli art. 1453 ss. c.c.

(Cass. 22 maggio 1998, n. 5112, id., Rep. 1998, voce Appalto, n. 36);

b) che la liberazione del debitore per sopravvenuta impossi bilità della sua prestazione può verificarsi, secondo la previsio ne degli art. 1218 e 1256 c.c., soltanto se ed in quanto concorra

no vuoi l'elemento obiettivo dell'impossibilità di eseguire la

prestazione medesima, in sé considerata, vuoi l'elemento sog

gettivo rappresentato dall'assenza di colpa da parte del debitore

riguardo alla determinazione dell'evento che ha reso impossi bile siffatta prestazione, onde, nel caso in cui lo stesso debitore

non abbia adempiuto la propria obbligazione nei termini con

trattualmente stabiliti, egli non può invocare l'anzidetta impos

II Foro Italiano — 2005.

sibilità, sotto le specie della forza maggiore idonea ad escludere

l'imputabilità dell'inadempimento, con riguardo ad un ordine o

divieto sopravvenuto dell'autorità amministrativa o giurisdizio nale {factum prìncipis) che fosse ragionevolmente e facilmente

prevedibile, secondo la comune diligenza, all'atto dell'assun

zione dell'obbligazione, ovvero rispetto al quale non abbia,

sempre nei limiti segnati dal criterio dell'ordinaria diligenza,

sperimentato ed esaurito tutte le possibilità che gli si offrivano

per vincere o rimuovere la resistenza o il rifiuto della pubblica

autorità, restando così inerte e ponendosi in condizione di sog

giacervi senza rimedio (Cass. 11 gennaio 1982, n. 119, id., Rep.

1982, voce Contratto in genere, n. 248; 28 novembre 1998, n.

12093, id., Rep. 1998, voce Obbligazioni in genere, n. 55; 23 febbraio 2000, n. 2059, id., Rep. 2000, voce cit., n. 53, relativa

al caso della promessa di vendita di un locale ad uso commer

ciale munito di licenza di esercizio, rispetto al quale è stata

esclusa la possibilità di ravvisare il factum prìncipis nella man

cata concessione della licenza stessa, ad opera della competente autorità amministrativa, derivata dall'inosservanza, da parte del

richiedente, delle prescrizioni all'uopo necessarie). Non dissimile, come si è accennato, è stato al riguardo l'o

rientamento della dottrina, la quale:

a) per un verso, ancorché con riguardo allo ius superveniens

(che non viene in considerazione, nella specie, ratione temporis)

rappresentato, per quanto qui interessa, dall'art. 133, 1° comma,

d.p.r. 21 dicembre 1999 n. 554 (che contiene il regolamento di

attuazione della legge quadro in materia di lavori pubblici 11

febbraio 1994 n. 109 e successive modificazioni) e dall'art. 24, 1° comma, decreto 19 aprile 2000 n. 145 (che contiene il rego lamento recante il capitolato generale di appalto dei lavori pub blici, ai sensi dell'art. 3, 5° comma, della legge sopra citata), i

quali, in piena analogia rispetto alla normativa precedente, og

getto di causa, ribadiscono l'ammissibilità della «sospensione dei lavori nei casi di avverse condizioni climatiche, di forza

maggiore, o di altre circostanze speciali che impediscono la ese

cuzione o la realizzazione a regola d'arte dei lavori stessi», ha

osservato che gli ordini di sospensione da parte di autorità terze

debbono farsi rientrare tra le cause di forza maggiore che legit timano la sospensione dei lavori, sempre che, naturalmente, tali

ordini non traggano origine da pregresse inadempienze e caren

ze progettuali imputabili all'amministrazione appaltante, nel

qual caso la sospensione sarebbe da considerare illegittima per ché, alla base di essa, sarebbe da individuare un comportamento

negligente dell'amministrazione che ha determinato l'ordine di

sospensione dell'autorità terza;

b) per altro verso, ed in termini più ampi, ha ritenuto, con ri

ferimento al disposto della norma generale di cui all'art. 1218

c.c., che, nei riguardi dell'impedimento determinato dagli atti

imperativi emanati dalla pubblica autorità, come esattamente i

provvedimenti giurisdizionali a carattere sospensivo del tipo di

quello di specie, occorra procedere ad un concreto apprezza mento della loro prevedibilità, evitabilità e superabilità, alla

stregua dello sforzo diligente dovuto, onde non è esentato da re

sponsabilità il debitore che abbia assunto l'obbligazione nono

stante la prevedibilità dell'adozione dell'atto impeditivo (là do

ve vi sia una concreta previsione di questo in ragione dell'inizio

del suo procedimento di formazione o del costituirsi di una si

tuazione di fatto che debba provocarne l'emanazione con ragio nevole probabilità), ovvero che abbia colposamente dato causa a

tale emanazione, ovvero, ancora, che non si adoperi diligente mente per ottenere il rilascio degli atti permissivi necessari per

eseguire la prestazione o per procurare i mezzi dell'adempi mento, ovvero, infine, che non ponga in essere uno sforzo dili

gente per ottenere, attraverso le apposite procedure, la caduca

zione degli atti impeditivi illegittimi. In questo senso, la corte territoriale, là dove ha stabilito una

immotivata assimilazione tra «provvedimento dell'autorità giu diziaria amministrativa che impose la sospensione dei lavori» da

un lato e sussistenza di una «causa di forza maggiore» dall'al

tro, non ha fatto corretta applicazione dei principi sopra enun

ciati, essendo in particolare venuta meno, ai fini del riconosci

mento della sussistenza appunto di una causa di forza maggiore,

all'obbligo di apprezzare, sulla base degli opportuni accerta

menti, se l'obiettivo intervento della sospensione dell'esecuzio

ne disposta dal giudice amministrativo (e della relativa sospen sione dei lavori che ne è il corollario) possa dirsi altresì munito

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

dei caratteri di «non prevedibilità», «non evitabilità» e «non su

perabilità» che sono stati prima indicati.

Con il secondo motivo di impugnazione, lamenta la ricorrente

violazione degli art. 30 d.p.r. n. 1063 del 1962; 12 1. n. 741 del 1981; 112 e 345 c.p.c.; 1173, 1321, 1655, 1354, 1341, 1362 ss. c.c., in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c., deducendo:

a) che il giudice di primo grado, pronunciandosi sul capo della domanda relativo alla corresponsione del premio di incen

tivazione consentito dall'art. 12 della sopra richiamata 1. n. 741

del 1981, aveva rigettato la domanda per difetto di legittimazio ne passiva del convenuto Iacp, ritenendo che unica, eventuale

responsabile della mancata erogazione fosse la regione Puglia, venendo il premio anzidetto erogato secondo le modalità e le

condizioni fissate dalle vigenti disposizioni ministeriali e regio nali;

b) che il giudice di secondo grado, con argomentazione nuo

va la quale si basa su una situazione giuridica che non è stata

prospettata dalle parti e che non ha formato oggetto del thema

decidendum, ha rilevato d'ufficio che il premio in questione

poteva essere corrisposto soltanto alla stregua della delibera del

1981 della giunta regionale, ovvero in forza di un documento

che consentirebbe l'erogazione «solo per quei cantieri la cui ef

fettiva durata, anche lorda, sarebbe stata inferiore ai tempi con

trattuali dal momento della consegna, anche se il ritardo fosse

ascrivibile ad obiettive cause di forza maggiore». Tanto premesso, deduce ancora la ricorrente che l'argomen

tazione del secondo giudice sia illegittima sotto diversi profili e

specialmente:

1) perché fonte dell'obbligazione di corrispondere il premio di incentivazione è il capitolato speciale di appalto, dal cui art.

1.7 si evince che pattiziamente obbligato all'adempimento ed al

pagamento nei confronti dell'appaltatore risulta esclusivamente

e soltanto l'appaltante Iacp e non la regione Puglia, intercorren

do tra questi due enti un diverso rapporto, cui l'appaltatore resta

completamente estraneo, avente ad oggetto il mero finanzia

mento dell'opera e del premio;

2) perché costituisce eccezione inammissibile, ai sensi del

novellato art. 345 c.p.c.;

3) perché è affetta da extrapetizione, ex art. 112 c.p.c.;

4) perché viola i canoni ermeneutici contrattuali di cui agli art. 1362 ss. c.c. e, segnatamente, all'art. 1370 c.c., dovendosi

considerare clausola di stile il generico riferimento alle «vigenti

disposizioni ministeriali e regionali»; 5) perché la durata contrattuale va calcolata, nell'ipotesi di

sospensione disposta dall'amministrazione, in ogni caso ai sensi

del sopra citato art. 30;

6) perché una clausola siffatta doveva quantomeno essere

espressamente richiamata e specificatamente approvata per iscritto ai sensi dell'art. 1341 c.c.;

7) perché detta clausola, comunque, recando una condizione

risolutiva giuridicamente impossibile ed illecita, doveva ritener

si non apposta, ex art. 1354, cpv., c.c.

Il motivo non è fondato.

Giova premettere come la corte territoriale, riguardo al pre mio di accelerazione o incentivazione, abbia disatteso le do

glianze dell'appellante (principale) assumendo:

a) che la regione Puglia, con delibera 4376/81 aveva stabili

to, come regola generale per tal tipo di appalti, che il premio di

accelerazione sarebbe stato applicato solo per quei cantieri la

cui effettiva durata, anche lorda, fosse risultata inferiore ai tem

pi contrattuali dal momento della consegna, anche in caso di

ascrivibilità del ritardo ad obiettive cause di forza maggiore;

b) che, in applicazione di tale principio, la medesima regio

ne, con nota n. 16246 del 27 luglio 1985, ebbe a chiarire che

non era possibile la corresponsione del premio di accelerazione

invocato;

c) che, del resto, la clausola 1.7 del capitolato speciale preci sava puntualmente che il premio di accelerazione sarebbe stato

riconosciuto «secondo le modalità e le condizioni fissate dalle

vigenti disposizioni ministeriali e regionali», ovvero anche alla

stregua della delibera del 1981.

Tanto premesso, si osserva:

a) quanto al profilo di doglianza illustrato sotto il precedente n. 1), che dal tenore dell'art. 1.7 del capitolato speciale di ap

palto, quale risulta dall'incensurato apprezzamento della corte

territoriale, non si evince affatto che pattiziamente obbligato al

II Foro Italiano — 2005 — Parte I-15.

l'adempimento nei confronti dell'appaltatore è esclusivamente

l'appaltante Iacp e non la regione Puglia, atteso che, al contra

rio, siffatta disposizione prevede l'attribuzione del premio di

accelerazione «secondo le modalità e le condizioni fissate dalle

vigenti disposizioni ministeriali e regionali», ovvero anche alla

stregua della delibera della predetta regione n. 4376 del 1981;

b) quanto al profilo di doglianza illustrato sotto il precedente n. 2), che il novellato art. 345 c.p.c. non trova applicazione ai

giudizi (come l'attuale) pendenti al 30 aprile 1995 (ex art. 90 1.

n. 353 del 1990, come da ultimo sostituito dall'art. 9 d.l. n. 432

del 1995, convertito, con modificazioni, nella 1. n. 534 del

1995), laddove, in ogni caso, l'eccezione relativa al fatto «di

non essere tenuta al pagamento del premio di accelerazione in

vocato stante quanto previsto dal capitolato speciale» risulta già

proposta dall'Iacp in primo grado, secpndo l'incensurato ap

prezzamento della corte territoriale al riguardo;

c) quanto al profilo di doglianza illustrato sotto il precedente' n. 3), che non è dato quindi scorgere, in capo all'impugnata sentenza, alcun vizio di extrapetizione secondo il disposto del

l'art. 112 c.p.c.;

d) quanto al profilo di doglianza illustrato sotto il precedente n. 4), che la censura si palesa assorbita dall'implicito apprezza

mento, compiuto dalla medesima corte, circa il fatto che la clau

sola 1.7 del capitolato speciale, lungi dal rappresentare una

clausola di stile, ovvero una clausola che si limita a riprodurre una prassi costante riguardo a determinati atti rimanendo priva di qualsiasi significato giuridico a cagione della sua genericità ed indeterminatezza, sia invece l'espressione di una concreta e

specifica volontà negoziale ed abbia quindi efficacia normativa

sul rapporto, laddove un simile apprezzamento costituisce un

giudizio di merito insindacabile in sede di legittimità; e) quanto al profilo di doglianza illustrato sotto il precedente

n. 5), che non costituisce oggetto di censura il fatto che «fonte

dell'obbligazione di corrispondere il premio di incentivazione è

il capitolato speciale di appalto», il cui art. 1.7, giusta quanto

precede, reca l'esplicito rinvio alle «modalità e ... condizioni

fissate dalle vigenti disposizioni ministeriali e regionali» e, cioè, anche alla delibera della regione Puglia n. 4376 del 1981;

f) quanto ai profili di doglianza illustrati sotto i precedenti nn. 6) e 7), che trattasi di censure nuove, e come tali inammissi

bili, involgendo l'esame di questioni mai prima prospettate in

sede di merito.

Con il terzo motivo di impugnazione, lamenta la ricorrente

violazione degli art. 91 e 112 c.p.c., in relazione al disposto del

l'art. 360, n. 3, c.p.c., deducendo:

a) che il comune di Troia, siccome garante chiamato nel giu dizio dal convenuto Iacp ed ivi costituitosi, ha acquistato la

qualità di parte;

b) che la notificazione al comune stesso, pertanto, dell'ap

pello principale non contiene una vocatio in ius, ma ha il sem

plice valore di una litis denuntiatio\

c) che l'appellante non poteva essere perciò condannato alle

spese in suo favore e, per giunta, del doppio grado del giudizio;

d) che, peraltro, non si rinviene nel giudizio di secondo grado alcun cenno ad una valida proposizione di appello incidentale da

parte del comune stesso contro l'appellante principale «per ave

re patito la compensazione delle spese di primo grado del tutto

ingiustificatamente», come affermato nell'impugnata sentenza

dalla corte territoriale la quale, in tal modo, è incorsa nel vizio

di extrapetizione. Il motivo non è fondato.

Dall'esame, infatti, degli atti processuali (consentito a questa corte essendo stato specificatamente dedotto il sopra indicato

vizio di extrapetizione), emerge che il comune di Troia:

a) nella nota di udienza depositata il 17 settembre 1997, ha

espressamente richiesto alla corte territoriale, «in parziale ri

forma dell'impugnata sentenza ed in accoglimento dell'appello

incidentale, (di) condannare chi di dovere al pagamento in (suo)

favore anche delle spese di giudizio di primo grado»; b) in sede di precisazione delle conclusioni, all'udienza del

21 gennaio 1998, ha ribadito la richiesta, «in parziale riforma

dell'impugnata sentenza ed in accoglimento dell'appello inci

dentale proposto dal comune di Troia, (di) condannare chi di

dovere al pagamento in (suo) favore anche delle spese di giudi zio di primo grado».

La statuizione, quindi, della corte territoriale, va esente dalle

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PARTE PRIMA

censure dedotte dall'odierna ricorrente, atteso che detto giudice, stante la correttezza (giusta quanto precede) del presupposto

rappresentato dall'esistenza di una «valida, formale proposizio ne di appello incidentale da parte del comune stesso contro

l'appellante principale», ha fatto (altrettanto) corretta applica zione dei principi secondo i quali:

a) per un verso, il rimborso delle spese processuali sostenute

da chi sia stato chiamato in causa dal convenuto, a titolo di ga ranzia propria od impropria, legittimamente viene posto a carico

dell'attore, ove questi risulti soccombente nei confronti del

convenuto in ordine a quella pretesa che ha provocato e giustifi cato la medesima chiamata in garanzia (Cass. 10 giugno 1981, n. 3770, id., Rep. 1981, voce Spese giudiziali civili, n. 30; 1° settembre 1989, n. 3835, id.. Rep. 1989, voce cit., n. 12; 1°

marzo 1995, n. 2330, id., Rep. 1995, voce cit., n. 41);

b) per altro verso, il giudice di appello, respingendo l'appello

principale proposto dall'attore ed accogliendo quello incidentale

proposto dal terzo chiamato in garanzia, ben può condannare il

primo al pagamento delle spese di lite nei confronti del secondo,

dal momento che, con l'appello incidentale, la causa principale si inserisce nel giudizio di appello, a cui l'attore stesso ha dato

causa ed in cui è rimasto soccombente anche nei confronti del

terzo-appellante incidentale (Cass. 9 settembre 1978, n. 4076,

id., Rep. 1978, voce cit., n. 50). Pertanto, il primo motivo del ricorso merita accoglimento,

laddove gli altri due vanno rigettati, onde la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio, anche ai fini delle spese del giudizio di cassazione limitata

mente ai rapporti tra la ricorrente ed il controricorrente (Iacp), ad altra sezione della Corte d'appello di Bari, affinché detto

giudice provveda a statuire sulla questione demandata alla sua

cognizione facendo applicazione del seguente principio di di

ritto: «Ai fini del riconoscimento della sussistenza di una causa

di forza maggiore, in presenza della quale l'art. 30 d.p.r. 16 lu

glio 1962 n. 1063 (recante approvazione del capitolato generale

d'appalto per le opere di competenza del ministero dei lavori

pubblici) contempla, al 1° comma, tra gli altri motivi, la possi bilità per l'ingegnere capo, d'ufficio o su segnalazione dell'ap

paltatore, di ordinare la sospensione dei lavori, stabilendo quin di al 3° comma che in tal caso non spetta all'appaltatore alcun

compenso o indennizzo, non è di per sé sufficiente che il com

mittente si limiti ad allegare, invocandone la forza cogente, il

mero fatto obiettivo dell'intervento di un provvedimento, anche

di natura cautelare, con cui il giudice amministrativo abbia so

speso l'esecuzione della concessione edilizia impugnata da terzi

(onde la relativa sospensione dei lavori che di siffatto provve dimento costituisce corollario), occorrendo altresì che il mede

simo committente dimostri la propria assenza di colpa riguardo alla determinazione dell'evento che abbia reso impossibile la

prestazione, a suo carico, di assicurare all'appaltatore la giuridi ca possibilità di compiere i lavori affidatigli garantendogli la le

gittimità della sopra indicata concessione, ovvero provi la man

cata imputabilità a sé delle cause per le quali lo stesso giudice abbia sospeso l'esecuzione in parola, sulla base di criteri di non

prevedibilità, non evitabilità e non superabilità di simili cause, alla stregua dello sforzo dovuto secondo l'ordinaria diligenza».

Il Foro Italiano — 2005.

I

CORTE D'APPELLO DI TRIESTE; ordinanza 5 novembre

2004; Pres. Drigani, Rei. Cerroni; Soc. Grassotto 2 e altri

(Avv. Marpillero, Scarabizzi Hartmann) c. Battiston e altri

(Avv. Fantin, Marin).

CORTE D'APPELLO DI TRIESTE;

Società — Società a responsabilità limitata — Gravi irrego larità nella gestione — Controllo giudiziario — Esclusione — Questione non manifestamente infondata di costituzio

nalità (Cost., art. 76; cod. civ., art. 2409, 2476, 2477; 1. 3 ot

tobre 2001 n. 366, delega al governo per la riforma del diritto

societario, art. 3, 4, 5).

Non è manifestamente infondata la questione di legittimità co

stituzionale degli art. 2409, 1° e 7° comma, 2476, 3° comma, e 2477, 4° comma, c.c., nella parte in cui escludono la possi bilità del controllo giudiziario di società a responsabilità li

mitata, in riferimento all'art. 76 Cost. (1)

II

TRIBUNALE DI ROMA; ordinanza 5 agosto 2004; Giud. Co velli; Soc. Falck (Avv. Ripa di Meana, Scordino, Marti

netti) c. Longhi e altri (Avv. Libonati, Guizzi).

Società — Società a responsabilità limitata — Gravi irrego larità nella gestione — Revoca cautelare degli amministra

tori — Ricorso «ante causam» — Ammissibilità (Cod. civ., art. 2259, 2293, 2315, 2378, 2476, 2479 ter, 2519; cod. proc. civ., art. 669 ter, d.leg. 17 gennaio 2003 n. 5, definizione dei

procedimenti in materia di diritto societario e di intermedia

zione finanziaria, nonché in materia bancaria e creditizia, in

attuazione dell'art. 12 1. 3 ottobre 2001 n. 366, art. 23).

Il provvedimento cautelare di revoca degli amministratori di

società a responsabilità limitata contemplato dall'art. 2476, 3° comma, c.c. può essere richiesto anche con ricorso ante

causam, senza necessità della preventiva instaurazione del

giudizio di merito. (2)

III

TRIBUNALE DI ROMA; decreto 6 luglio 2004; Pres. Deoda

to, Rei. Vannucci; Sorrentino e altri (Avv. Iannotta) c. Di

Raimondo e altri (Avv. Bussoletti, La Marca) e altri.

Società — Società a responsabilità limitata — Obbligatorie tà del collegio sindacale — Controllo giudiziario — Am missibilità (Cod. civ., art. 2403, 2407, 2409, 2476, 2477).

Il controllo giudiziario ex art. 2409 c.c. è ammissibile nelle so

cietà a responsabilità limitata nei casi in cui sia obbligatoria la nomina del collegio sindacale. (3)

IV

TRIBUNALE DI TERNI; decreto 9 aprile 2004; Pres. Villa

ni, Rei. Porreca; Sistarelli e altra c. Quadrini e altri.

Società — Società a responsabilità limitata — Riforma del diritto societario — Controllo giudiziario — Inammissibi lità (Cod. civ., art. 2409, 2476; d.leg. 17 gennaio 2003 n. 5, art. 30, 31,32, 33).

A seguito dell' entrata in vigore della riforma del diritto socie

tario è inammissibile il ricorso per la denuncia di gravi irre

golarità nella gestione di società a responsabilità limitata. (4)

(1-4) Sul tema del controllo giudiziario nelle s.r.l., con specifico rife rimento alla questione di diritto transitorio e sul presupposto della sua eliminazione per effetto della riforma del diritto societario, cfr. Trib.

Napoli 4 giugno 2004, Società, 2005, 69, con commento di Tripaldi, che ritiene l'applicabilità dell'art. 2409 c.c., sino al 30 settembre 2004, alle s.r.l. che non abbiano adottato le delibere assembleari di modifica

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