sezione I civile; sentenza 20 agosto 2003, n. 12235; Pres. De Musis, Est. Giuliani, P.M. Uccella(concl. parz. diff.); Soc. coop. Cea (Avv. Russo) c. Istituto autonomo case popolari dellaprovincia di Foggia (Avv. Romano). Cassa App. Bari 19 ottobre 1999Source: Il Foro Italiano, Vol. 128, No. 3 (MARZO 2005), pp. 857/858-867/868Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23200238 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
1) l'indennità di maternità ha, come l'indennità di malattia, carattere giornaliero; si tratta di un complesso di diritti a ratei
giornalieri, aventi in comune una componente della fattispecie costitutiva (l'evento parto per il periodo ad esso successivo, la
sua previsione per il periodo anteriore) ma differenziati per l'ulteriore componente costituita dai corrispondenti giorni di
astensione (Cass. 21 dicembre 1999, n. 14421, cit.);
2) la prescrizione di un anno, di cui all'art. 6 1. 11 gennaio 1943 n. 138, inizia a decorrere dal giorno in cui le prestazioni sono dovute;
3) perché le prestazioni siano dovute occorre non solo che il
diritto sia maturato, ma che sia presentata apposita, tempestiva domanda amministrativa (Cass. 26 agosto 1997, n. 8042, cit.);
4) una volta presentata la domanda amministrativa, occorre
quindi, perché l'eventuale silenzio dell'ente previdenziale sia
significativo, che sia già maturato o maturi anche il diritto al
l'indennità; 5) l'art. 97 r.d.l. 4 ottobre 1935 n. 1827, convertito in legge,
con modificazioni, con 1. 6 aprile 1936 n. 1155, dispone, all'ul
timo comma, che il procedimento amministrativo ha effetto so
spensivo dei termini di prescrizione;
6) il procedimento amministrativo relativo all'indennità di
maternità, come per le altre prestazioni dovute dall'Inps, è
scandito dai seguenti tempi: il decorso di centoventi giorni dalla
domanda amministrativa, presentata contestualmente o succes
sivamente (e comunque tempestivamente) alla maturazione del
diritto, perché la domanda, in assenza di un provvedimento an
teriore dell'istituto, si intenda rigettata (art. 7 1. n. 533 del
1973); avverso il provvedimento di rigetto della indennità di
maternità o il silenzio-rifiuto può essere proposto, nel termine di
novanta giorni, ricorso amministrativo (art. 46, 5° comma, 1. 9
marzo 1989 n. 88); in caso di proposizione del ricorso e di man
cata pronuncia sullo stesso entro ulteriori novanta giorni, si de
termina il silenzio-rigetto (art. 46, 6° comma, 1. 88/89);
7) con la promulgazione della 1. 9 marzo 1989 n. 88, il con
tenzioso amministrativo avverso i provvedimenti negativi del
l'Inps comprende anche le prestazioni economiche per la mater
nità (art. 46, 1° comma, lett. f), di modo che anche per tali pre stazioni è stato introdotto il ricorso amministrativo, non previsto nella precedente normativa.
Da quanto sopra precisato si può sintetizzare il seguente prin
cipio di diritto: «L'indennità di maternità, di cui all'art. 15 1. 30 dicembre 1971 n. 1204, matura di giorno in giorno e si risolve
in un complesso di diritti a ratei giornalieri; l'azione per conse
guire l'indennità si prescrive nel termine di un anno dal giorno in cui i ratei sono dovuti; una volta presentata tempestiva do
manda amministrativa, l'obbligo di pagamento dei ratei decorre,
per l'ente previdenziale, dal giorno di maturazione degli stessi, sicché il silenzio-rifiuto dell'ente si perfeziona con il decorso di
centoventi giorni dalla data di presentazione della domanda, per i ratei maturati contestualmente o precedentemente alla stessa e
tempestivamente richiesti, e dal giorno di maturazione di cia
scun rateo per quelli maturati successivamente alla domanda
amministrativa; avverso il provvedimento di diniego o il silen
zio-rifiuto l'interessato ha il termine di novanta giorni per pre sentare ricorso amministrativo, ricorso che si ha per respinto
dopo ulteriori novanta giorni dalla sua presentazione; il proce dimento in sede amministrativa, ai sensi dell'art. 97, ultimo
comma, r.d.l. n. 1827 del 1935, ha effetto sospensivo dei termini
di prescrizione».
Applicando tali principi alla fattispecie in esame, si ha che
l'azione per conseguire l'indennità per l'astensione obbligato
ria, in relazione al parto previsto (ed effettivamente avvenuto) il
7 gennaio 1990, non si è prescritta. La domanda amministrativa
per tale indennità (relativa al periodo 7 novembre 1989 - 7
aprile 1990) è stata presentata, come risulta dalla sentenza im
pugnata, il 7 novembre 1989 e la prestazione è stata sollecitata
con atto interruttivo del 9 febbraio 1991.
A tale data non era decorso il termine di un anno e centoventi
giorni (tenuto conto che, da quanto risulta dalla sentenza impu
gnata, l'Inps non ha emesso un formale provvedimento di dinie
go e che la sig. Ciraci non ha presentato ricorso amministrativo)
dal 7 novembre 1989 e, a maggior ragione, dai giorni successi
vi, fino al 7 aprile 1990, per ciascuno dei quali è maturato il ra
teo all'indennità.
Il Foro Italiano — 2005.
L'indennità per l'astensione facoltativa, richiesta il 21 aprile 1990 per il periodo 21 aprile 1990 - 21 ottobre 1990, invece, te
nuto conto dell'atto interruttivo del 21 ottobre 1991 e del fatto
che l'assicurata non ha proposto ricorso amministrativo avverso
il silenzio-rifiuto dell'istituto, non è prescritta per i ratei dal 23
giugno al 21 ottobre 1990, mentre è prescritta per i ratei prece denti, considerato che dal 22 giugno 1990 (e, a maggior ragione, dai giorni precedenti di maturazione dei ratei) al 21 ottobre
1991 è decorso il periodo di un anno e centoventi giorni. In conclusione il ricorso va accolto per quanto di ragione, la
sentenza impugnata va cassata e, non essendo necessari ulteriori
accertamenti dì fatto, la causa va decisa nel merito, con la con
danna dell'Inps a pagare alla sig. Maria Ciraci l'indennità di
maternità per l'astensione obbligatoria e, per quanto concerne
l'astensione facoltativa, i relativi ratei dal 23 giugno al 21 otto
bre 1990, oltre interessi legali dalle date di maturazione al sal
do.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 20 ago sto 2003, n. 12235; Pres. De Musis, Est. Giuliani, P.M. Uc
cella (conci, parz. diff.); Soc. coop. Cea (Avv. Russo) c.
Istituto autonomo case popolari della provincia di Foggia
(Avv. Romano). Cassa App. Bari 19 ottobre 1999.
Opere pubbliche — Appalto — Sospensione dei lavori —
Colpa del committente — Risarcimeislo (Cod. civ., art.
1218; d.p.r. 16 luglio 1962 n. 1063, approvazione del capito lato generale d'appalto per le opere di competenza del mini
stero dei lavori pubblici, art. 30).
Opere pubbliche — Appalto — Conclusione dei lavori oltre
il termine iniziale — Premio di incentivazione — Esclu
sione (L. 10 dicembre 1981 n. 741, ulteriori norme per l'ac
celerazione delle procedure per l'esecuzione di opere pubbli che, art. 12).
Il committente è responsabile, nei confronti dell'appaltatore, dei danni derivanti dalla sospensione dei lavori dovuta al
l'impugnazione davanti al tribunale amministrativo regionale della concessione edilizia necessaria per il compimento dei
lavori stessi, qualora non fornisca la prova della mancata
imputabilità a sé delle cause per le quali il giudice abbia so
speso l'esecuzione dei lavori, sulla base di criteri di non pre vedibilità, non evitabilità e non superabilità di simili cause, alla stregua dello sforzo dovuto secondo l'ordinaria diligen za. (1)
Correttamente il giudice di merito ha ritenuto non erogabile il
(1) La sentenza in epigrafe ha ad oggetto il problema di valutare se un ordine di sospensione di una licenza edilizia da parte del giudice amministrativo (c.d. factum principis) possa essere considerato come
causa dì forza maggiore per la sospensione di un lavoro di appalto, con
conseguente applicabilità dell'art. 30 d.p.r. 16 luglio 1962 n. 1063, il
quale esonera l'amministrazione dal pagamento di qualsiasi indennizzo
all'appaltatore. In generale, la giurisprudenza afferma che il provvedimento di una
pubblica amministrazione, estranea al rapporto contrattuale, che abbia
impedito al debitore di adempiere la prestazione non possa essere con
siderato causa idonea ad escludere l'imputabilità dell'inadempimento
qualora il provvedimento stesso fosse ragionevolmente prevedibile se
condo un criterio di comune diligenza (Cass. 23 febbraio 2000, n. 2059, Foro it., Rep. 2000, voce Obbligazioni in genere, n. 53); dunque la li
berazione del debitore dalla responsabilità per inadempimento in ragio ne della sopravvenuta impossibilità della prestazione può verificarsi in
quanto concorrano l'elemento obiettivo rappresentato dall'impossibilità
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859 PARTE PRIMA 860
premio di accelerazione per la conclusione anticipata dei la
vori qualora una clausola de! capitolato speciale della gara di appalto preveda che il premio stesso sia riconosciuto se
condo le modalità e le condizioni fissate dalle vigenti dispo sizioni ministeriali e regionali, le quali prevedono la sua
corresponsione soltanto a quei cantieri la cui effettiva durata
sia risultata inferiore ai tempi contrattuali previsti al mo
mento della consegna, e non anche ai cantieri la cui durata
lorda sia risultata superiore a causa di una sospensione dei
lavori. (2)
concreta di eseguire la prestazione medesima, e quello soggettivo atti nente all'assenza di colpa del debitore riguardo alla determinazione dell'evento che ha reso impossibile la prestazione; nel caso l'evento consista in un ordine o un divieto imposto dalla pubblica autorità non sarà consentito invocare la predetta impossibilità qualora l'atto fosse
ragionevolmente e facilmente prevedibile al momento dell'assunzione
dell'obbligazione, ovvero se il debitore non ha posto in essere quanto stava a lui, nei limiti dell'ordinaria diligenza, per vincere e rimuovere la resistenza o il rifiuto della pubblica autorità (Cass. 28 novembre
1998, n. 12093, id.. Rep. 1998, voce cit., n. 55). Il principio sopra formulato vale anche nel caso in cui il debitore sia
una pubblica amministrazione, la quale ha il dovere di osservare un
comportamento ispirato a principi di correttezza e buona fede in sede di esecuzione del contratto (Cass. 28 novembre 1998, n. 12093, cit.).
In particolare per ciò che concerne i contratti di appalto, l'orienta mento giurisprudenziale ormai consolidato prevede che tra le obbliga zioni che scaturiscono dal contratto di appalto, quali effetti naturali, vi è quella del committente di assicurare all'appaltatore, fin dall'inizio del
rapporto e per tutta la sua durata, la possibilità giuridica e concreta di
eseguire il lavoro affidatogli (Cass. 22 maggio 1998, n. 5112, ibid., vo ce Appalto, n. 36; in particolare sulle obbligazioni c.d. collaterali di collaborazione che gravano sul debitore, v. Cass. 16 gennaio 1997. n.
387, id., Rep. 1997, voce Contratto in genere, n. 529). E dunque legittima la sospensione dei lavori oggetto di appalto pub
blico da parte della pubblica amministrazione solo in una situazione in cui sopravvengano circostanze speciali non prevedibili con l'ordinaria
diligenza, o per ragioni tecniche (v. Coli. arb. Roma 9 gennaio 1997, id., Rep. 1999, voce Opere pubbliche, n. 599) ovvero per ragioni di
pubblico interesse o necessità; nel qual caso resta sospeso il termine per l'ultimazione dei lavori, e all'appaltatore non spetta alcuna indennità
(Cass. 4 febbraio 2000, n. 1217, id., Rep. 2000, voce cit., n. 620; v. an che Arb. Roma 3 marzo 1999, id., Rep. 2001, voce cit., n. 634; 12 feb braio 1998, id., Rep. 2000, voce cit., n. 630); inoltre, anche nel caso in cui la sospensione sia determinata da ragioni di pubblico interesse, ai sensi del 2° comma dell'art. 30 d.p.r. 16 luglio 1962 n. 1063, la sospen sione stessa è illegittima, e l'amministrazione appaltante risulta dunque responsabile per l'inadempimento, qualora le esigenze di pubblico inte resse siano causate non già da circostanze impreviste e imprevedibili, ma da un'evidente negligenza della stazione appaltante stessa (Cass. 5
agosto 1997, n. 7196, id., Rep. 1997, voce cit., n. 503; Arb. Milano 27
gennaio 1999, id., Rep. 2002, voce cit., n. 622). Le ragioni di pubblico interesse o necessità infatti devono essere interpretate come esigenze oggettive, sia pure discrezionalmente apprezzate (Coli. arb. Firenze 16
gennaio 1997, id., Rep. 1999, voce cit., n. 601), che non derivano da fatto proprio dell'amministrazione, ipotesi che invece si verifica allor ché con la sospensione si intende rimediare a negligenza dell'ammini strazione medesima, o comunque alla mancata tempestiva predisposi zione di tutte quelle condizioni indispensabili all'esecuzione del con tratto (Cass. 7 marzo 1995, n. 2651, id.. Rep. 1995, voce cit., n. 379: nella specie si trattava di sospensione inizialmente legittima, ma il cui
protrarsi era dovuto a fatto colposo della pubblica amministrazione; Arb. Roma 1° agosto 1997, id.. Rep. 2000, voce cit., n. 624; v. altresì Coli. arb. Roma 16 marzo 1995, id., Rep. 1998, voce cit., n. 496, che
nega che in queste situazioni si possa in effetti parlare di motivi di pub blico interesse o necessità). Lo stesso discorso può essere fatto nel caso di sospensione protrattasi eccessivamente: qualora vi sia negligenza da
parte della pubblica amministrazione la sospensione non diventa ille
gittima per il suo eccessivo protrarsi, ma è illegittima già originaria mente (Arb. Roma 3 febbraio 1998, id., Rep. 2000, voce cit., n. 628).
Si può dunque concludere che sia gli eventi previsti dal 1° comma dell'art. 30 cit. (cause di forza maggiore, condizioni climatologiche e altre simili circostanze naturali) che quelli indicati dal 2° comma (ra gioni di pubblico interesse o necessità) agiscono come limiti obiettivi alla facoltà dell'amministrazione di disporre sospensioni temporanee nell'esecuzione dei lavori (Coli. arb. 17 giugno 1993, id., Rep. 1996, voce cit., n. 379).
Non può ad esempio essere ricondotta ad una causa di forza maggio re la sospensione dei lavori determinata dalla necessità di acquisire una
prescritta autorizzazione, comportamento che costituisce al contrario
grave inadempimento agli obblighi contrattuali, senza che sia richiesto
Il Foro Italiano — 2005.
Svolgimento del processo. — Con atto di citazione notificato
il 23 giugno 1988, la società cooperativa a r.l. Cea (Consorzio edili artigiani) conveniva in giudizio davanti al Tribunale di
Foggia l'Istituto autonomo case popolari (Iacp) della locale
provincia, premettendo:
a) di avere il 10 luglio 1984, quale aggiudicataria dei lavori per la costruzione, in quattro corpi di fabbrica, di trentadue al
loggi di edilizia residenziale pubblica nel comune di Troia
(Foggia), stipulato con il convenuto il relativo contratto di ap
palto, dietro espressa previsione, a mezzo clausola contenuta nel
alcun onere probatorio sul comportamento della stazione appaltante, atteso che la relativa negligenza si considera in re ipsa (Arb. Roma 26 novembre 1998, id., Rep. 2001, voce cit., n. 631); non è possibile invo care le norme sulla sospensione dei lavori ex art. 30 cit. neanche nel ca so di lavori sospesi per l'impossibilità di emettere l'ordine di servizio relativo alle attività di cui a una perizia di variante e suppletiva a causa del colpevole ritardo con cui la stazione committente ha provveduto al
l'approvazione (Arb. Roma 7 aprile 1998, id., Rep. 2000, voce cit., n.
634); né la necessità di apportare una perizia di variante per sanare ca renze di progetto è sufficiente ad individuare un interesse pubblico ge nerale, o tantomeno può essere ricondotta a causa di forza maggiore (Arb. Roma 23 dicembre 1997, ibid., n. 640).
In materia, v., da ultimo. Cass. 23 maggio 2002, n. 7543, id., 2003, I, 557, con nota di M.P. Genesin, la quale afferma che costituisce motivo di legittima sospensione dei lavori il verificarsi di cause di forza mag giore, tra le quali può essere annoverato il c.d. factum principis consi stente in ordini o divieti di un'autorità amministrativa estranea al rap porto contrattuale, dai quali derivi l'impossibilità di eseguire la presta zione a prescindere dal comportamento dell'obbligato e senza sua colpa riguardo alle cause che hanno determinato i medesimi.
(2) La giurisprudenza in tema di premi di accelerazione si attesta su una posizione comune.
I premi di accelerazione, o di incentivazione, possono essere ricono sciuti solamente qualora esista un'espressa previsione nel capitolato speciale d'appalto, così come previsto anche dall'art. 12 1. 10 dicembre 1981 n. 741 (Arb. Roma 28 luglio 1998, Foro it., Rep. 2001, voce Ope re pubbliche, n. 671).
La giurisprudenza ha sottolineato come tali premi abbiano una causa del tutto autonoma rispetto al contratto d'appalto cui accedono, non co stituendo tanto una remunerazione per i lavori eseguiti, quanto piuttosto un corrispettivo legato all'anticipata disponibilità, per il creditore, del
l'opera e quindi del più pronto e sollecito soddisfacimento dell'interes se collettivo (Cass. 26 giugno 2001, n. 8705, id., Rep. 2002, voce cit., n. 720; App. Roma 16 settembre 1996, id.. Rep. 1999, voce cit., n.
698). Si tratta quindi di un credito, a favore dell'appaltatore, avente natura di obbligazione contrattuale, eventuale ed accessoria, che trae le sue origini dall'esercizio di una facoltà dell'appaltatore stesso prevista nel contratto, e che opera come fonte di un'obbligazione per l'ammini strazione che sfugge alla disciplina del sinallagma contrattuale (Coli, arb. 15 giugno 1993, id.. Rep. 1996, voce cit., n. 449).
II premio è dunque collegato solamente ad un'ultimazione anticipata dei lavori rispetto al termine inizialmente fissato dal contratto, e non
può essere collegato ad ulteriori termini eventualmente risultanti da so
spensioni e varianti, anche se disposte dalla stazione appaltante (Cass. 26 marzo 2003, n. 4477, id., 2004, I, 571; v. anche Cons, giust. amm.
sic., sez. consult., 15 marzo 1994, n. 127/94, id.. Rep. 1994, voce Sici lia, n. 226); di conseguenza non spetta il premio qualora i lavori siano stati ultimati nei tempi contrattuali inizialmente previsti e non prima degli stessi (Cons, giust. amm. sic., sez. consult., 18 febbraio 1997, n. 556/96, id.. Rep. 1997, voce cit., n. 243), né, in generale, quando sia stato assegnato un più ampio termine per l'ultimazione dei lavori ri
spetto a quello convenuto inizialmente, anche per motivi di forza mag giore (Cass. 6 dicembre 2002, n. 17331, id., Rep. 2002, voce Opere pubbliche, n. 722) e i lavori siano stati ultimati prima della scadenza del nuovo termine, ma non del precedente (Trib. Palermo 28 ottobre
1997, id., Rep. 1998, voce Sicilia, n. 207). La possibilità di prevedere un premio di incentivazione nei contratti
d'appalto è in alcuni casi contestata; ad esempio la 1. reg. Sicilia 29
aprile 1985 n. 21, così come modificata dalla 1. reg. 12 gennaio 1993 n.
10, prevede che l'anticipata ultimazione dei lavori rispetto al termine
assegnato non consenta l'attribuzione di alcun premio di incentivazio ne: di conseguenza dall'entrata in vigore della 1. reg. 10/93 è fatto di vieto all'amministrazione di attribuire premi di acceleramento per i nuovi appalti, non essendo invece la norma applicabile ai lavori di ap palto già concessi o per i quali sia già stato pubblicato il bando di gara alla data di pubblicazione della legge (Cons, giust. amm. sic., sez. con
sult., 18 febbraio 1997, n. 556/96, cit.; 12 marzo 1996, n. 86/96, id..
Rep. 1996, voce cit., n. 196). Sulla corresponsione di premi di accelerazione, v., da ultimo, Trib.
Roma 24 maggio 1994, id., 1995,1, 1365, con nota di richiami.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
capitolato speciale, del diritto a percepire il c.d. «premio di ac
celerazione» là dove la durata dei lavori fosse risultata inferiore
al tempo di ultimazione contrattuale, prevista per il 19 ottobre
1985; b) che, in data 18 ottobre 1984, i proprietari dei suoli sui
quali ricadeva l'intervento edificatorio avevano proposto ricorso
al Tar Puglia per l'annullamento della concessione edilizia rila
sciata il 20 marzo 1984 dal predetto comune all'Iacp;
c) che detto giudice, il 25 ottobre 1984, aveva sospeso l'ese
cuzione degli atti impugnati;
d) che l'Iacp, a seguito del blocco dell'operatività della ri
chiamata concessione comunicatogli dal comune, aveva ordi
nato all'impresa la sospensione dei lavori a decorrere dalla me
desima data del 25 ottobre 1984, onde il relativo processo ver
bale sottoscritto in data 6 novembre 1984 da essa attrice e dal
direttore dei lavori;
e) che, infine, essendo stata annullata il 5 febbraio 1985 la
sospensiva disposta dal Tar, su ricorso al Consiglio di Stato
proposto dall'Iacp, l'anzidetto direttore aveva ordinato all'ap
paltatrice, a decorrere dall' 11 febbraio 1985, la ripresa dei lavo
ri stessi, i quali, quindi, benché rimasti fermi per 109 giorni, erano stati ultimati in complessivi 492 giorni, ovvero con un
anticipo di 97 giorni rispetto alla durata contrattuale di 480
giorni, escludendo il richiamato periodo di fermo.
Tanto premesso, l'attrice chiedeva la condanna del convenuto
al risarcimento dei danni patiti per effetto della sospensione dei
lavori, oltre gli accessori, nonché al pagamento del premio di
accelerazione contrattualmente previsto. Si costituiva l'Iacp, deducendo l'infondatezza della pretesa
avversaria sul duplice rilievo vuoi di non dover rispondere della
sospensione in oggetto, cagionata da forza maggiore ai sensi
dell'art. 30 d.p.r. n. 1063 del 1962, vuoi di non essere tenuto al
pagamento dell'invocato premio di accelerazione in ragione di
quanto previsto dal capitolato speciale. Il medesimo convenuto, peraltro, chiedeva ed otteneva di es
sere autorizzato a chiamare in garanzia il comune, il quale, pure costituitosi, contestava la domanda, che il giudice adito, con
sentenza pubblicata il 21 dicembre 1995, rigettava, compensan do integralmente le spese del giudizio tra tutte le parti.
Avverso la decisione, proponeva appello la Cea, lamentando
ne l'erroneità là dove il tribunale aveva ritenuto legittima la so
spensione, mentre, invece, la fattispecie non rientrava nel nove
ro delle cause di forza maggiore di cui al sopra citato art. 30, nonché deducendo che, una volta consentita la proroga del ter
mine di completamento dell'opera, il premio di accelerazione
fosse dovuto, restando inopponibile all'appaltatore la diversa
opinione della regione Puglia, la quale operava sul piano dei
rapporti tra l'ente anzidetto e l'appaltante Iacp. Resistevano nel grado lo stesso Iacp ed il comune di Troia,
chiedendo il rigetto del gravame avversario e spiegando a pro
pria volta appello incidentale in ordine al regolamento delle
spese processuali, a loro dire ingiustificatamente compensate in
prima istanza.
La Corte d'appello di Bari, con sentenza del 5-19 ottobre
1999, rigettava l'appello principale ed accoglieva gli appelli in cidentali, assumendo:
a) che il provvedimento del giudice amministrativo il quale aveva imposto la sospensione dei lavori costituisse certamente
causa di forza maggiore;
b) che la clausola 1.7 del capitolato speciale precisasse pun tualmente che il premio di accelerazione sarebbe stato ricono
sciuto «secondo le modalità e le condizioni fissate dalle vigenti
disposizioni ministeriali e regionali», ovvero anche alla stregua della delibera della regione Puglia 4376/81 con la quale l'ente
aveva stabilito, come regola generale per tale genere di appalti, che il premio di accelerazione sarebbe stato applicato solo per
quei cantieri la cui effettiva durata, anche lorda, fosse risultata
inferiore ai tempi contrattuali dal momento della consegna, pur in presenza di un ritardo ascrivibile ad obiettive cause di forza
maggiore;
c) che il primo giudice non si fosse curato di motivare la
compensazione, laddove la piena soccombenza dell'attuale ap
pellante in quella sede ne comportava la condanna al ristoro
delle spese processuali patite ex adverso.
Avverso tale sentenza, propone ricorso per cassazione la so
cietà cooperativa a r.l. Cea, deducendo tre motivi di gravame, ai
Il Foro Italiano — 2005.
quali resiste l'Iacp della provincia di Foggia con controricorso, illustrato da memoria, mentre non resiste il comune di Troia.
Motivi della decisione. — Con il primo motivo di impugna zione, lamenta la ricorrente violazione e falsa applicazione degli art. 30 d.p.r. 16 luglio 1962 n. 1063; 10 r.d. 25 maggio 1895 n. 350; 1218 e 1655 c.c., in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c., as
sumendo:
a) che, nel caso di specie, non costituisce causa di forza
maggiore il provvedimento cautelare con il quale il Tar ha so
speso 1'«esecuzione degli atti impugnati» e, segnatamente, della
concessione edilizia (non già, come pure affermato, i «lavori»), siccome provocato dal ricorso dei proprietari dell'area destinata
alla costruzione degli alloggi popolari e, cioè, dal fatto del ter
zo;
b) che al sindaco di Troia non restava che ottemperare al
l'ordine del Tar, disponendo la sospensione dell'operatività della concessione medesima (factum principis), con relativa im
possibilità giuridica per l'appaltatore di proseguire i lavori di costruzione dell'opera edilizia;
c) che il committente deve assicurare all'appaltatore, per tutta la durata dell'esecuzione dell'opera, la disponibilità dell'a
rea nonché la legittimità della concessione edilizia, onde, qualo ra tale licenza venga impugnata dinanzi al giudice amministrati
vo e venga disposta la sospensione dei lavori, si configura un
inadempimento del committente stesso, il quale è responsabile, verso l'appaltatore, dei relativi danni, ai sensi dell'art. 1218
c.c., in quanto la sospensione disposta dal giudice amministrati
vo non integra l'ipotesi di forza maggiore derivante dal factum
principis e si ricollega a causa normalmente imputabile al titola
re della licenza.
Il motivo è fondato.
La corte territoriale, esaminando la censura di appello relativa
all'asserita illegittimità della sospensione dei lavori, ha affer
mato:
a) che il dettato letterale dell'art. 30 d.p.r. n. 1063 del 1962, insuscettibile di interpretazione diversa da quella che scaturisce
dal senso apparente delle parole, prevede espressamente che al
l'appaltatore non spetti alcun compenso od indennizzo per le
sospensioni disposte dall'ingegnere capo per «cause di forza
maggiore, condizioni climatologiche od altre simili circostanze
speciali» che impediscano in via temporanea che i lavori proce dano utilmente;
b) che la norma contempla quindi tre diverse categorie di
eventi impeditivi alla prosecuzione dei lavori, tali che le cause
di forza maggiore, in particolare, debbono essere diverse dalle
altre due (e segnatamente dagli eventi climatici), perché, in caso
contrario, non si comprenderebbe il motivo della superflua ri
petizione;
c) che il provvedimento dell'autorità giudiziaria amministra
tiva il quale impose la sospensione dei lavori costituiva certa
mente causa di forza maggiore, come correttamente ritenuto già dal primo giudice.
Un simile assunto non può condividersi.
Giova premettere come il richiamo della ricorrente alla giu
risprudenza di questa corte non sia di per sé pertinente, atteso
che le relative pronunce (Cass. 19 marzo 1980, n. 1818, Foro
it., Rep. 1982, voce Appalto, n. 17; 13 marzo 1982, n. 1638, id.,
Rep. 1983, voce Opere pubbliche, n. 248; 20 febbraio 1984, n.
1201, id.. Rep. 1984, voce Appalto, n. 24; 27 aprile 1993, n.
4959, id., Rep. 1993, voce cit., n. 43; alle quali possono aggiun
gersi, peraltro, Cass. 16 gennaio 1986, n. 227, id., Rep. 1987, voce cit., n. 76; 14 gennaio 1987, n. 173, ibid., n. 77; 28 marzo
2001, n. 4463, id., Rep. 2001, voce cit., n. 45), là dove hanno
affermato l'impossibilità di assimilare il fatto del terzo o il fac tum principis alle «cause geologiche, idriche o simili ... che
rendano notevolmente più onerosa la prestazione dell'appaltato re» e che conferiscono a quest'ultimo il «diritto a un equo com
penso», risultano intervenute con riguardo al dettato del 2°
comma dell'art. 1664 c.c., ovvero ad una disposizione che, sia
pure applicabile anche agli appalti di opere pubbliche (Cass. 26 novembre 1984, n. 6106, id., Rep. 1986, voce cit., n. 15; 27
marzo 1993, n. 3733, id., Rep. 1994, voce Opere pubbliche, n.
324; 4959/93, cit.), non viene certamente in considerazione nel
caso di specie, in cui si verte, cioè, secondo l'incensurato (entro
questi limiti) apprezzamento della corte territoriale, riguardo al
l'interpretazione della norma speciale contenuta nell'art. 30
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PARTE PRIMA 864
d.p.r. 16 luglio 1962 n. 1063 (recante approvazione del capito lato generale d'appalto per le opere di competenza del ministero
dei lavori pubblici), il quale, sotto la rubrica «sospensione dei
lavori», stabilisce al 1° comma che «qualora cause di forza
maggiore, condizioni climatologiche od altre simili circostanze
speciali impediscano in via temporanea che i lavori procedano utilmente a regola d'arte, l'ingegnere capo, d'ufficio o su se
gnalazione dell'appaltatore, può ordinare la sospensione dei la
vori, disponendone la ripresa quando siano cessate le ragioni che determinarono la sospensione», prevedendo, quindi, al 3°
comma, che, «per la sospensione disposta nei casi, modi e ter
mini indicati nel 1° comma ... del presente articolo, non spetta
all'appaltatore alcun compenso o indennizzo».
Piuttosto, è da notare che, con riguardo ad un caso (ancorché non recente) perfettamente analogo a quello di specie, questa stessa corte (Cass. 25 febbraio 1971, n. 491, id., 1971. I, 1254) si è pronunciata nel senso:
a) che tra le obbligazioni che nascono dal contratto di ap
palto a carico del committente vi è quella di assicurargli, per tutta la durata del rapporto, la giuridica possibilità di compiere i
lavori affidatigli; b) che la legittimità della licenza edilizia, necessaria per il
compimento dei lavori anzidetti, deve essere garantita dal mede
simo committente;
c) che, ove la licenza sia impugnata innanzi al giudice ammi
nistrativo, siccome illegittima, venendone quindi sospesa l'ese
cuzione ad opera di quest'ultimo giudice, la sospensione dei la
vori, che costituisce corollario di tale provvedimento, rappre senta, dal lato obiettivo, un inadempimento della sopra indicata
obbligazione da parte del committente;
d) che il committente stesso è pertanto responsabile verso
l'appaltatore, ex art. 1218 c.c., dei danni derivanti dalla sospen sione, là dove non fornisca la prova liberatoria richiesta dalla
norma dianzi citata;
e) che il predetto non può tuttavia scagionarsi allegando
semplicemente la forza cogente dell'ordinanza giudiziale di so
spensione dell'esecuzione della licenza edilizia, segnatamente
quando questa sia stata accordata dal comune in conformità ad
una sua richiesta, onde non è possibile considerarlo estraneo alla
illegittimità che abbia provocato l'intervento della richiamata
ordinanza, spettando piuttosto al medesimo committente dimo
strare che le ragioni per le quali il giudice amministrativo abbia
sospeso l'esecuzione della licenza derivassero da cause da lui
indipendenti e non normalmente prevedibili allorché egli stipulò il contratto di appalto;
f) che non rileva al riguardo neppure il fatto della definizione
del giudizio amministrativo con una sentenza che dichiari l'i
nammissibilità ovvero rigetti nel merito il ricorso (o i ricorsi), dovendo tenersi presente l'autonomia, rispetto alla sentenza an
zidetta, dell'ordinanza di sospensione del provvedimento impu
gnato. pronunciata su una specifica istanza e per specifiche ra
gioni. L'orientamento sopra riferito ha trovato, quindi, sostanziale
conferma vuoi nella successiva giurisprudenza di questa corte
vuoi in dottrina.
La prima, infatti, ha avuto modo di ribadire:
a) che tra le obbligazioni le quali scaturiscono, come effetti
naturali, dal contratto di appalto, vi è quella, gravante sulla parte committente, di assicurare all'appaltatore, fin dall'inizio del
rapporto, e per tutta la durata di questo, la possibilità giuridica e
concreta di eseguire il lavoro affidatogli, così che l'inadempi mento di tale obbligo, cui non può non corrispondere il diritto
dell'appaltatore alla relativa osservanza, è ben suscettibile di as
sumere, in astratto, valenza ai sensi degli art. 1453 ss. c.c.
(Cass. 22 maggio 1998, n. 5112, id., Rep. 1998, voce Appalto, n. 36);
b) che la liberazione del debitore per sopravvenuta impossi bilità della sua prestazione può verificarsi, secondo la previsio ne degli art. 1218 e 1256 c.c., soltanto se ed in quanto concorra
no vuoi l'elemento obiettivo dell'impossibilità di eseguire la
prestazione medesima, in sé considerata, vuoi l'elemento sog
gettivo rappresentato dall'assenza di colpa da parte del debitore
riguardo alla determinazione dell'evento che ha reso impossi bile siffatta prestazione, onde, nel caso in cui lo stesso debitore
non abbia adempiuto la propria obbligazione nei termini con
trattualmente stabiliti, egli non può invocare l'anzidetta impos
II Foro Italiano — 2005.
sibilità, sotto le specie della forza maggiore idonea ad escludere
l'imputabilità dell'inadempimento, con riguardo ad un ordine o
divieto sopravvenuto dell'autorità amministrativa o giurisdizio nale {factum prìncipis) che fosse ragionevolmente e facilmente
prevedibile, secondo la comune diligenza, all'atto dell'assun
zione dell'obbligazione, ovvero rispetto al quale non abbia,
sempre nei limiti segnati dal criterio dell'ordinaria diligenza,
sperimentato ed esaurito tutte le possibilità che gli si offrivano
per vincere o rimuovere la resistenza o il rifiuto della pubblica
autorità, restando così inerte e ponendosi in condizione di sog
giacervi senza rimedio (Cass. 11 gennaio 1982, n. 119, id., Rep.
1982, voce Contratto in genere, n. 248; 28 novembre 1998, n.
12093, id., Rep. 1998, voce Obbligazioni in genere, n. 55; 23 febbraio 2000, n. 2059, id., Rep. 2000, voce cit., n. 53, relativa
al caso della promessa di vendita di un locale ad uso commer
ciale munito di licenza di esercizio, rispetto al quale è stata
esclusa la possibilità di ravvisare il factum prìncipis nella man
cata concessione della licenza stessa, ad opera della competente autorità amministrativa, derivata dall'inosservanza, da parte del
richiedente, delle prescrizioni all'uopo necessarie). Non dissimile, come si è accennato, è stato al riguardo l'o
rientamento della dottrina, la quale:
a) per un verso, ancorché con riguardo allo ius superveniens
(che non viene in considerazione, nella specie, ratione temporis)
rappresentato, per quanto qui interessa, dall'art. 133, 1° comma,
d.p.r. 21 dicembre 1999 n. 554 (che contiene il regolamento di
attuazione della legge quadro in materia di lavori pubblici 11
febbraio 1994 n. 109 e successive modificazioni) e dall'art. 24, 1° comma, decreto 19 aprile 2000 n. 145 (che contiene il rego lamento recante il capitolato generale di appalto dei lavori pub blici, ai sensi dell'art. 3, 5° comma, della legge sopra citata), i
quali, in piena analogia rispetto alla normativa precedente, og
getto di causa, ribadiscono l'ammissibilità della «sospensione dei lavori nei casi di avverse condizioni climatiche, di forza
maggiore, o di altre circostanze speciali che impediscono la ese
cuzione o la realizzazione a regola d'arte dei lavori stessi», ha
osservato che gli ordini di sospensione da parte di autorità terze
debbono farsi rientrare tra le cause di forza maggiore che legit timano la sospensione dei lavori, sempre che, naturalmente, tali
ordini non traggano origine da pregresse inadempienze e caren
ze progettuali imputabili all'amministrazione appaltante, nel
qual caso la sospensione sarebbe da considerare illegittima per ché, alla base di essa, sarebbe da individuare un comportamento
negligente dell'amministrazione che ha determinato l'ordine di
sospensione dell'autorità terza;
b) per altro verso, ed in termini più ampi, ha ritenuto, con ri
ferimento al disposto della norma generale di cui all'art. 1218
c.c., che, nei riguardi dell'impedimento determinato dagli atti
imperativi emanati dalla pubblica autorità, come esattamente i
provvedimenti giurisdizionali a carattere sospensivo del tipo di
quello di specie, occorra procedere ad un concreto apprezza mento della loro prevedibilità, evitabilità e superabilità, alla
stregua dello sforzo diligente dovuto, onde non è esentato da re
sponsabilità il debitore che abbia assunto l'obbligazione nono
stante la prevedibilità dell'adozione dell'atto impeditivo (là do
ve vi sia una concreta previsione di questo in ragione dell'inizio
del suo procedimento di formazione o del costituirsi di una si
tuazione di fatto che debba provocarne l'emanazione con ragio nevole probabilità), ovvero che abbia colposamente dato causa a
tale emanazione, ovvero, ancora, che non si adoperi diligente mente per ottenere il rilascio degli atti permissivi necessari per
eseguire la prestazione o per procurare i mezzi dell'adempi mento, ovvero, infine, che non ponga in essere uno sforzo dili
gente per ottenere, attraverso le apposite procedure, la caduca
zione degli atti impeditivi illegittimi. In questo senso, la corte territoriale, là dove ha stabilito una
immotivata assimilazione tra «provvedimento dell'autorità giu diziaria amministrativa che impose la sospensione dei lavori» da
un lato e sussistenza di una «causa di forza maggiore» dall'al
tro, non ha fatto corretta applicazione dei principi sopra enun
ciati, essendo in particolare venuta meno, ai fini del riconosci
mento della sussistenza appunto di una causa di forza maggiore,
all'obbligo di apprezzare, sulla base degli opportuni accerta
menti, se l'obiettivo intervento della sospensione dell'esecuzio
ne disposta dal giudice amministrativo (e della relativa sospen sione dei lavori che ne è il corollario) possa dirsi altresì munito
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
dei caratteri di «non prevedibilità», «non evitabilità» e «non su
perabilità» che sono stati prima indicati.
Con il secondo motivo di impugnazione, lamenta la ricorrente
violazione degli art. 30 d.p.r. n. 1063 del 1962; 12 1. n. 741 del 1981; 112 e 345 c.p.c.; 1173, 1321, 1655, 1354, 1341, 1362 ss. c.c., in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c., deducendo:
a) che il giudice di primo grado, pronunciandosi sul capo della domanda relativo alla corresponsione del premio di incen
tivazione consentito dall'art. 12 della sopra richiamata 1. n. 741
del 1981, aveva rigettato la domanda per difetto di legittimazio ne passiva del convenuto Iacp, ritenendo che unica, eventuale
responsabile della mancata erogazione fosse la regione Puglia, venendo il premio anzidetto erogato secondo le modalità e le
condizioni fissate dalle vigenti disposizioni ministeriali e regio nali;
b) che il giudice di secondo grado, con argomentazione nuo
va la quale si basa su una situazione giuridica che non è stata
prospettata dalle parti e che non ha formato oggetto del thema
decidendum, ha rilevato d'ufficio che il premio in questione
poteva essere corrisposto soltanto alla stregua della delibera del
1981 della giunta regionale, ovvero in forza di un documento
che consentirebbe l'erogazione «solo per quei cantieri la cui ef
fettiva durata, anche lorda, sarebbe stata inferiore ai tempi con
trattuali dal momento della consegna, anche se il ritardo fosse
ascrivibile ad obiettive cause di forza maggiore». Tanto premesso, deduce ancora la ricorrente che l'argomen
tazione del secondo giudice sia illegittima sotto diversi profili e
specialmente:
1) perché fonte dell'obbligazione di corrispondere il premio di incentivazione è il capitolato speciale di appalto, dal cui art.
1.7 si evince che pattiziamente obbligato all'adempimento ed al
pagamento nei confronti dell'appaltatore risulta esclusivamente
e soltanto l'appaltante Iacp e non la regione Puglia, intercorren
do tra questi due enti un diverso rapporto, cui l'appaltatore resta
completamente estraneo, avente ad oggetto il mero finanzia
mento dell'opera e del premio;
2) perché costituisce eccezione inammissibile, ai sensi del
novellato art. 345 c.p.c.;
3) perché è affetta da extrapetizione, ex art. 112 c.p.c.;
4) perché viola i canoni ermeneutici contrattuali di cui agli art. 1362 ss. c.c. e, segnatamente, all'art. 1370 c.c., dovendosi
considerare clausola di stile il generico riferimento alle «vigenti
disposizioni ministeriali e regionali»; 5) perché la durata contrattuale va calcolata, nell'ipotesi di
sospensione disposta dall'amministrazione, in ogni caso ai sensi
del sopra citato art. 30;
6) perché una clausola siffatta doveva quantomeno essere
espressamente richiamata e specificatamente approvata per iscritto ai sensi dell'art. 1341 c.c.;
7) perché detta clausola, comunque, recando una condizione
risolutiva giuridicamente impossibile ed illecita, doveva ritener
si non apposta, ex art. 1354, cpv., c.c.
Il motivo non è fondato.
Giova premettere come la corte territoriale, riguardo al pre mio di accelerazione o incentivazione, abbia disatteso le do
glianze dell'appellante (principale) assumendo:
a) che la regione Puglia, con delibera 4376/81 aveva stabili
to, come regola generale per tal tipo di appalti, che il premio di
accelerazione sarebbe stato applicato solo per quei cantieri la
cui effettiva durata, anche lorda, fosse risultata inferiore ai tem
pi contrattuali dal momento della consegna, anche in caso di
ascrivibilità del ritardo ad obiettive cause di forza maggiore;
b) che, in applicazione di tale principio, la medesima regio
ne, con nota n. 16246 del 27 luglio 1985, ebbe a chiarire che
non era possibile la corresponsione del premio di accelerazione
invocato;
c) che, del resto, la clausola 1.7 del capitolato speciale preci sava puntualmente che il premio di accelerazione sarebbe stato
riconosciuto «secondo le modalità e le condizioni fissate dalle
vigenti disposizioni ministeriali e regionali», ovvero anche alla
stregua della delibera del 1981.
Tanto premesso, si osserva:
a) quanto al profilo di doglianza illustrato sotto il precedente n. 1), che dal tenore dell'art. 1.7 del capitolato speciale di ap
palto, quale risulta dall'incensurato apprezzamento della corte
territoriale, non si evince affatto che pattiziamente obbligato al
II Foro Italiano — 2005 — Parte I-15.
l'adempimento nei confronti dell'appaltatore è esclusivamente
l'appaltante Iacp e non la regione Puglia, atteso che, al contra
rio, siffatta disposizione prevede l'attribuzione del premio di
accelerazione «secondo le modalità e le condizioni fissate dalle
vigenti disposizioni ministeriali e regionali», ovvero anche alla
stregua della delibera della predetta regione n. 4376 del 1981;
b) quanto al profilo di doglianza illustrato sotto il precedente n. 2), che il novellato art. 345 c.p.c. non trova applicazione ai
giudizi (come l'attuale) pendenti al 30 aprile 1995 (ex art. 90 1.
n. 353 del 1990, come da ultimo sostituito dall'art. 9 d.l. n. 432
del 1995, convertito, con modificazioni, nella 1. n. 534 del
1995), laddove, in ogni caso, l'eccezione relativa al fatto «di
non essere tenuta al pagamento del premio di accelerazione in
vocato stante quanto previsto dal capitolato speciale» risulta già
proposta dall'Iacp in primo grado, secpndo l'incensurato ap
prezzamento della corte territoriale al riguardo;
c) quanto al profilo di doglianza illustrato sotto il precedente' n. 3), che non è dato quindi scorgere, in capo all'impugnata sentenza, alcun vizio di extrapetizione secondo il disposto del
l'art. 112 c.p.c.;
d) quanto al profilo di doglianza illustrato sotto il precedente n. 4), che la censura si palesa assorbita dall'implicito apprezza
mento, compiuto dalla medesima corte, circa il fatto che la clau
sola 1.7 del capitolato speciale, lungi dal rappresentare una
clausola di stile, ovvero una clausola che si limita a riprodurre una prassi costante riguardo a determinati atti rimanendo priva di qualsiasi significato giuridico a cagione della sua genericità ed indeterminatezza, sia invece l'espressione di una concreta e
specifica volontà negoziale ed abbia quindi efficacia normativa
sul rapporto, laddove un simile apprezzamento costituisce un
giudizio di merito insindacabile in sede di legittimità; e) quanto al profilo di doglianza illustrato sotto il precedente
n. 5), che non costituisce oggetto di censura il fatto che «fonte
dell'obbligazione di corrispondere il premio di incentivazione è
il capitolato speciale di appalto», il cui art. 1.7, giusta quanto
precede, reca l'esplicito rinvio alle «modalità e ... condizioni
fissate dalle vigenti disposizioni ministeriali e regionali» e, cioè, anche alla delibera della regione Puglia n. 4376 del 1981;
f) quanto ai profili di doglianza illustrati sotto i precedenti nn. 6) e 7), che trattasi di censure nuove, e come tali inammissi
bili, involgendo l'esame di questioni mai prima prospettate in
sede di merito.
Con il terzo motivo di impugnazione, lamenta la ricorrente
violazione degli art. 91 e 112 c.p.c., in relazione al disposto del
l'art. 360, n. 3, c.p.c., deducendo:
a) che il comune di Troia, siccome garante chiamato nel giu dizio dal convenuto Iacp ed ivi costituitosi, ha acquistato la
qualità di parte;
b) che la notificazione al comune stesso, pertanto, dell'ap
pello principale non contiene una vocatio in ius, ma ha il sem
plice valore di una litis denuntiatio\
c) che l'appellante non poteva essere perciò condannato alle
spese in suo favore e, per giunta, del doppio grado del giudizio;
d) che, peraltro, non si rinviene nel giudizio di secondo grado alcun cenno ad una valida proposizione di appello incidentale da
parte del comune stesso contro l'appellante principale «per ave
re patito la compensazione delle spese di primo grado del tutto
ingiustificatamente», come affermato nell'impugnata sentenza
dalla corte territoriale la quale, in tal modo, è incorsa nel vizio
di extrapetizione. Il motivo non è fondato.
Dall'esame, infatti, degli atti processuali (consentito a questa corte essendo stato specificatamente dedotto il sopra indicato
vizio di extrapetizione), emerge che il comune di Troia:
a) nella nota di udienza depositata il 17 settembre 1997, ha
espressamente richiesto alla corte territoriale, «in parziale ri
forma dell'impugnata sentenza ed in accoglimento dell'appello
incidentale, (di) condannare chi di dovere al pagamento in (suo)
favore anche delle spese di giudizio di primo grado»; b) in sede di precisazione delle conclusioni, all'udienza del
21 gennaio 1998, ha ribadito la richiesta, «in parziale riforma
dell'impugnata sentenza ed in accoglimento dell'appello inci
dentale proposto dal comune di Troia, (di) condannare chi di
dovere al pagamento in (suo) favore anche delle spese di giudi zio di primo grado».
La statuizione, quindi, della corte territoriale, va esente dalle
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PARTE PRIMA
censure dedotte dall'odierna ricorrente, atteso che detto giudice, stante la correttezza (giusta quanto precede) del presupposto
rappresentato dall'esistenza di una «valida, formale proposizio ne di appello incidentale da parte del comune stesso contro
l'appellante principale», ha fatto (altrettanto) corretta applica zione dei principi secondo i quali:
a) per un verso, il rimborso delle spese processuali sostenute
da chi sia stato chiamato in causa dal convenuto, a titolo di ga ranzia propria od impropria, legittimamente viene posto a carico
dell'attore, ove questi risulti soccombente nei confronti del
convenuto in ordine a quella pretesa che ha provocato e giustifi cato la medesima chiamata in garanzia (Cass. 10 giugno 1981, n. 3770, id., Rep. 1981, voce Spese giudiziali civili, n. 30; 1° settembre 1989, n. 3835, id.. Rep. 1989, voce cit., n. 12; 1°
marzo 1995, n. 2330, id., Rep. 1995, voce cit., n. 41);
b) per altro verso, il giudice di appello, respingendo l'appello
principale proposto dall'attore ed accogliendo quello incidentale
proposto dal terzo chiamato in garanzia, ben può condannare il
primo al pagamento delle spese di lite nei confronti del secondo,
dal momento che, con l'appello incidentale, la causa principale si inserisce nel giudizio di appello, a cui l'attore stesso ha dato
causa ed in cui è rimasto soccombente anche nei confronti del
terzo-appellante incidentale (Cass. 9 settembre 1978, n. 4076,
id., Rep. 1978, voce cit., n. 50). Pertanto, il primo motivo del ricorso merita accoglimento,
laddove gli altri due vanno rigettati, onde la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio, anche ai fini delle spese del giudizio di cassazione limitata
mente ai rapporti tra la ricorrente ed il controricorrente (Iacp), ad altra sezione della Corte d'appello di Bari, affinché detto
giudice provveda a statuire sulla questione demandata alla sua
cognizione facendo applicazione del seguente principio di di
ritto: «Ai fini del riconoscimento della sussistenza di una causa
di forza maggiore, in presenza della quale l'art. 30 d.p.r. 16 lu
glio 1962 n. 1063 (recante approvazione del capitolato generale
d'appalto per le opere di competenza del ministero dei lavori
pubblici) contempla, al 1° comma, tra gli altri motivi, la possi bilità per l'ingegnere capo, d'ufficio o su segnalazione dell'ap
paltatore, di ordinare la sospensione dei lavori, stabilendo quin di al 3° comma che in tal caso non spetta all'appaltatore alcun
compenso o indennizzo, non è di per sé sufficiente che il com
mittente si limiti ad allegare, invocandone la forza cogente, il
mero fatto obiettivo dell'intervento di un provvedimento, anche
di natura cautelare, con cui il giudice amministrativo abbia so
speso l'esecuzione della concessione edilizia impugnata da terzi
(onde la relativa sospensione dei lavori che di siffatto provve dimento costituisce corollario), occorrendo altresì che il mede
simo committente dimostri la propria assenza di colpa riguardo alla determinazione dell'evento che abbia reso impossibile la
prestazione, a suo carico, di assicurare all'appaltatore la giuridi ca possibilità di compiere i lavori affidatigli garantendogli la le
gittimità della sopra indicata concessione, ovvero provi la man
cata imputabilità a sé delle cause per le quali lo stesso giudice abbia sospeso l'esecuzione in parola, sulla base di criteri di non
prevedibilità, non evitabilità e non superabilità di simili cause, alla stregua dello sforzo dovuto secondo l'ordinaria diligenza».
Il Foro Italiano — 2005.
I
CORTE D'APPELLO DI TRIESTE; ordinanza 5 novembre
2004; Pres. Drigani, Rei. Cerroni; Soc. Grassotto 2 e altri
(Avv. Marpillero, Scarabizzi Hartmann) c. Battiston e altri
(Avv. Fantin, Marin).
CORTE D'APPELLO DI TRIESTE;
Società — Società a responsabilità limitata — Gravi irrego larità nella gestione — Controllo giudiziario — Esclusione — Questione non manifestamente infondata di costituzio
nalità (Cost., art. 76; cod. civ., art. 2409, 2476, 2477; 1. 3 ot
tobre 2001 n. 366, delega al governo per la riforma del diritto
societario, art. 3, 4, 5).
Non è manifestamente infondata la questione di legittimità co
stituzionale degli art. 2409, 1° e 7° comma, 2476, 3° comma, e 2477, 4° comma, c.c., nella parte in cui escludono la possi bilità del controllo giudiziario di società a responsabilità li
mitata, in riferimento all'art. 76 Cost. (1)
II
TRIBUNALE DI ROMA; ordinanza 5 agosto 2004; Giud. Co velli; Soc. Falck (Avv. Ripa di Meana, Scordino, Marti
netti) c. Longhi e altri (Avv. Libonati, Guizzi).
Società — Società a responsabilità limitata — Gravi irrego larità nella gestione — Revoca cautelare degli amministra
tori — Ricorso «ante causam» — Ammissibilità (Cod. civ., art. 2259, 2293, 2315, 2378, 2476, 2479 ter, 2519; cod. proc. civ., art. 669 ter, d.leg. 17 gennaio 2003 n. 5, definizione dei
procedimenti in materia di diritto societario e di intermedia
zione finanziaria, nonché in materia bancaria e creditizia, in
attuazione dell'art. 12 1. 3 ottobre 2001 n. 366, art. 23).
Il provvedimento cautelare di revoca degli amministratori di
società a responsabilità limitata contemplato dall'art. 2476, 3° comma, c.c. può essere richiesto anche con ricorso ante
causam, senza necessità della preventiva instaurazione del
giudizio di merito. (2)
III
TRIBUNALE DI ROMA; decreto 6 luglio 2004; Pres. Deoda
to, Rei. Vannucci; Sorrentino e altri (Avv. Iannotta) c. Di
Raimondo e altri (Avv. Bussoletti, La Marca) e altri.
Società — Società a responsabilità limitata — Obbligatorie tà del collegio sindacale — Controllo giudiziario — Am missibilità (Cod. civ., art. 2403, 2407, 2409, 2476, 2477).
Il controllo giudiziario ex art. 2409 c.c. è ammissibile nelle so
cietà a responsabilità limitata nei casi in cui sia obbligatoria la nomina del collegio sindacale. (3)
IV
TRIBUNALE DI TERNI; decreto 9 aprile 2004; Pres. Villa
ni, Rei. Porreca; Sistarelli e altra c. Quadrini e altri.
Società — Società a responsabilità limitata — Riforma del diritto societario — Controllo giudiziario — Inammissibi lità (Cod. civ., art. 2409, 2476; d.leg. 17 gennaio 2003 n. 5, art. 30, 31,32, 33).
A seguito dell' entrata in vigore della riforma del diritto socie
tario è inammissibile il ricorso per la denuncia di gravi irre
golarità nella gestione di società a responsabilità limitata. (4)
(1-4) Sul tema del controllo giudiziario nelle s.r.l., con specifico rife rimento alla questione di diritto transitorio e sul presupposto della sua eliminazione per effetto della riforma del diritto societario, cfr. Trib.
Napoli 4 giugno 2004, Società, 2005, 69, con commento di Tripaldi, che ritiene l'applicabilità dell'art. 2409 c.c., sino al 30 settembre 2004, alle s.r.l. che non abbiano adottato le delibere assembleari di modifica
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