Sezione I civile; sentenza 20 gennaio 1964, n. 114; Pres. Stella Richter P., Est. Di Majo, P. M.Pisano (concl. conf.); Fratini (Avv. Romagnoli, Borella) c. Comune di MontevarchiSource: Il Foro Italiano, Vol. 87, No. 5 (1964), pp. 1023/1024-1025/1026Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23155088 .
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1023 PARTE PRIMA 1024
influenzandone ovviamente la libera negoziabilità. Ora è
noto che proprio sul terreno della sanatoria per conferma
si è prospettata nella sua pratica rilevanza la possibilità di una valida rinuncia, circoscritta al mezzo processuale di
retto a far valere le invalidità della disposizione testamen
taria, in riferimento a quell'antica e ormai superata teorica, secondo cui la convalida avrebbe il limitato effetto di pro durre una situazione di fatto a favore del beneficiario, come
conseguenza della denegazione dell'azione di nullità al con
fermante. Tale opinione, che eliminava in radice le gravi dif
ficoltà di inquadramento dommatico dei tanto discussi
art. 590 e 799 cod. civ., è stata peraltro ripudiata dalla con
corde dottrina proprio sul rilievo della decisiva influenza
del diritto primario rispetto a quello strumentale di tutela.
Al riguardo si è infatti osservato che la mera rinuncia allo
ius agendi è in realtà destinata a rimanere praticamente ino
perativa, posto che la nullità, pur dopo la preclusione del
l'azione diretta ad accertarla, permane con tutte le sue ca
ratteristiche, compresa la rilevabilità di ufficio. E ciò a
prescindere dall'ulteriore ovvia considerazione che l'azione
di nullità è una azione di accertamento, sicché la sua dene
gazione non può oltre tutto modificare la situazione pree sistente di assoluta carenza di effetti, a differenza dalla
azione di annullamento, la cui perdita vale invece a rendere
definitiva l'efficacia provvisoria del negozio annullabile.
Orbene alla stregua delle considerazioni anzidette riesce
agevole intendere che la questione relativa alla pretesa ri
nuncia volontaria alla azione, peraltro neppure specifica mente prospettata nelle pregresse fasi del giudizio, non è
suscettibile di influenzare la sostanza della decisione, donde
l'irrilevanza del denunciato vizio di omessa motivazione.
Infine, per quanto riguarda l'ulteriore doglianza di cui
sopra si è fatto cenno al n. 2, esattamente la corte del me
rito ha escluso che l'avvenuta rinuncia al diritto di impu
gnativa integri sul piano sostanziale gli estremi di una va
lida sanatoria della disposizione fedecommissaria, ai sensi
dell'art. 590.
La soluzione del delicato problema dei limiti di applica bilità dell'art. 590 non sembra possa prescindere dalla pre ventiva considerazione delle concrete modalità di attuazione
dell'istituto della convalida, i cui effetti è controverso se
debbano ricollegarsi all'atto originario ovvero al negozio di conferma, sia pure quale fattispecie complessa compren siva dell'elemento qualificante, costituito dalla disposizione invalida. Con riferimento all'atto confermato si è sostenuto
infatti, in via generale, la inammissibilità della ratifica
nell'ipotesi di nullità derivanti da violazioni di norme impe rative di ordine pubblico, giacché in tal caso il fine pratico
perseguito dal testatore non potrebbe trovare concreta at
tuazione, in quanto vietato dalla legge come illecito. Tale
rigorosa interpretazione, già accolta da questa Suprema corte con la sentenza 10 luglio 1957, n. 2743 (Foro it., 1958, I, 62) è stata temperata dalla successiva pronuncia 19 ot
tobre 1957, n. 3985 (id., Eep. 1957, voce Testamento, n. 15), nel senso che, non sempre e in ogni caso, la illiceità della
disposizione testamentaria investe anche il negozio di con
valida, occorrendo invece che i motivi di ordine publico rendano invalida tanto la volontà del de cuius, quanto quella dell'erede, in guisa da inficiare in concreto la efficacia del
negozio confermativo.
Orbene, in adeienza a tale ultimo indirizzo, al quale esplicitamente si richiama la ricorrente, è fuori dubbio la
inammissibilità della sanatoria di una disposizione fedecom
missaria, sia pure de residuo, giacché la imposta sostitu
zione si risolve oltre tutto in un vincolo alla libertà di testare del primo istituito. Ed è ben noto che il diritto di disporre dei propri beni per testamento è inalienabile e irrinuncia
bile, ai sensi del tassativo disposto dell'art. 458 cod. civ., sicché la conferma del fedecommesso de residuo sia da parte del primo chiamato siti dei suoi successori non può ritenersi
giuridicamente vincolativa, ostandovi il generale divieto dei patti successori istitutivi e dispositivi.
Rettificate nei sensi sopra esposti le argomentazioni svolte in sentenza, a norma dell'art. 384, 2° comma, cod. proc. civ., la pronuncia anche su tale punto della controversia non
merita censura.
Il rigetto del ricorso principale importa l'assorbimento
di quello incidentale condizionato e la condanna della Sirao
alla perdita del deposito e alla rivalsa delle spese del presente
giudizio. Per questi motivi, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezione I civile; sentenza 20 gennaio 1964, n. 114; Pres. Stella Richter P., Est. Di Majo, P. M. Pisano (conci, conf.) ; Fratini (Avv. Romagnoli, Borella) c. Comune di Montevarchi.
(Conferma App. Firenze 10 luglio 1961)
Cimitero — Codice civile abrogalo — Istallazione
lampade votive — Concessione amministrativa del comune (Cod. civ. del 1865, art. 432 ; cod. civ., art. 824 ; r. d. 3 marzo 1934 n. 383, t. u. legge com.
prov., art. 91).
Poiché i cimiteri anche sotto il governo ìlei codice civile abro
gato facevano parte del demanio comunale, potevano i comuni affidare in concessione ai privati l'istallazione di lampade votive e l'impianto di linea elettrica per l'ali mentazione delle medesime nei privati sepolcri. (1)
La Corte, ecc. — Con l'unico mezzo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli art. 1 e 4 della legge 7 giugno 1894 n. 232, degli art. 5, 6, 7, 8 del relativo regola mento 25 ottobre 1895 (art. 120 e 125 r. decreto 11 dicembre 1933 n. 1775), dell'art. 432 cod. civ. 1865 e degli art. 824, 1325, 1418, 1419, 1427, 1428, 1442 cod. civ. nonché del re
golamento di polizia mortuaria approvato con r. decreto 25 luglio 1892 n. 448 (r. decreto 21 dicembre 1942 n. 1880) in relazione all'art. 360, nn. 3, e 5, cod. proc. civile. Assume sostanzialmente il ricorrente che anche a voler ammettere la natura demaniale dei cimiteri comunali alla stregua del vecchio codice civile, sotto il cui impero sorse il rapporto controverso (1930), l'installazione di lampade votive nei
sepolcri e l'adduzione di energia elettrica non potevano es
(1) Sul carattere demaniale dei cimiteri, v., da ultimo, per una riaffermazione incidentale del principio, Cass. 28 dicembre 1961, n. 2835, Foro it., Rep. 1962, voce Cimitero, n. 2 ; per ampi richiami, cons, la nota alla sentenza Cass. 4 marzo 1957, n. 762, id., 1958, X, 942.
Per quanto concerne il merito della questione oggetto della sentenza in rassegna, un accenno parimenti incidentale può reperirsi nella sentenza della Corte di cassazione 7 gennaio 1942, Pomari e Nalin, id., 1942, II, 154, ove — riconosciutosi che il diritto di sepoltura oggetto della concessione non si può separare dalla facoltà di testimoniare, con i segni tangibili d'uso, i senti menti di culto e di pietà religiosa verso i defunti — si è affermato che costituisce menomazione di tale diritto il divieto di accen dere lumi o lampade votive se non con l'impiego dell'illumina zione elettrica a prezzo di abbonamento presso una determinata società, a meno che tale obbligo avesse formato oggetto di appo sita clausola nell'atto di concessione. Un esplicito accenno ad un rapporto di concessione avente ad oggetto il servizio di illu minazione delle tombe di un cimitero, si trova in Cass. 24 set tembre 1951, n. 2568, id., Rep. 1951, voce Municipalizzazione dei pubblici servizi, n. 7, che ha fermato la massima secondo cui, qualora il comune abbia municipalizzato il servizio di illu minazione delle tombe di un cimitero mediante concessione ad un privato, nessun estraneo alla concessione può, da qualunque titolo intenda derivare la sua pretesa, gestire il servizio in luogo e in vece del concessionario, nè gestirlo autonomamente in re gime di libera concorrenza servendosi di quegli stessi beni che il comune secondo le clausole della concessione ha il diritto di acquistare al momento della scadenza della concessione o della revoca di essa per inadempimento.
In dottrina, sui cimiteri in generale, vedasi Rosa, Cimitero, voce dell' Enciclopedia del diritto, VI, pag. 990, nonché Caccia paolia, Le concessioni amministrative comunali, 1952, pagg. 78 93 (ove, peraltro, mancano accenni alla questione di specie di cui alla massima sopra riportata).
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
sere oggetto di concessione amministrativa da parte del
comune, donde la nullità della convenzione per difetto di
oggetto o di causa, o quanto meno la annullabilità della convenzione stessa per errore essenziale di diritto ricono scibile dal comune.
La censura è infondata. La corte del merito, premessa la natura demaniale dei cimiteri comunali anche nel vi
gore del codice civile del 1865, ha considerato che il comune
poteva regolarne l'uso per quanto riguardava la concessione fatta al Fratini di impiantare in quei luoghi condutture elet triche destinate all'illuminazione delle lampade votive. Ed hanno spiegato i giudici di appello che non sussiste il vizio di consenso dedotto dal Fratini (errore di diritto per avere costui ritenuto legittime le clausole imposte dal co mune e per avere ignorato la possibilità di chiedere la ser vitù di elettrodotto coattivo). Infatti da un lato il comune
aveva legittimamente esercitato le facoltà inerenti alla
proprietà demaniale e, dall'altra, la servitù di elettrodotto
spetta quando l'energia elettrica deve passare per il fondo servente per raggiungere altri fondi e non quando, come nella specie, viene utilizzata per un uso che viene fatto nello stesso fondo servente.
Ora, così ragionando, la corte del merito ha esatta mente applicato la legge dando sufficienti e adeguate ra
gioni della adottata decisione. In effetti è anzitutto da ri
cordare che l'abrogato codice civile distingueva i beni co munali in beni di uso pubblico e beni patrimoniali (art. 432) e da ciò si argomentava che i cimiteri facevano parte del demanio comunale in quanto appunto destinati all'uso
pubblico diretto ed immediato. Il nuovo codice assoggetta
esplicitamente i cimiteri al regime delle cose demaniali
(art. 824, 2° comma) confermando in tal modo l'opinione che già si era in precedenza affermata.
Indiscussa perciò la demanialità dei cimiteri, ed indiscusso
altresì che la costruzione, la manutenzione e l'esercizio di
tali beni è funzione propria dei comuni (art. 91, lett. c, n. 14, del t. u. legge com. e prov. 3 marzo 1934 n. 383), si
scorge agevolmente come al comune spettasse di poter con
sentire al Fratini, titolare dell'impresa « Sempiterna Lux », l'uso particolare del bene concretantesi nell'impianto di
linea elettrica per l'illuminazione delle lampade votive nei
privati sepolcri. Perchè era ovvio che la concessione riguar dava una attività che sarebbe stata esplicata dal Fratini non
in virtù del suo diritto all'uso generale del pubblico bene, sibbene e soltanto in funzione di un uso particolare, che, riconosciuto compatibile con la destinazione del bene mede
simo, abbisognava precisamente dell'atto permissivo del
l'autorità per la pratica attuazione dei fini speculativi del
l'impresa nell'àmbito delle aree cimiteriali.
É ben noto che il rapporto che viene a formarsi in situa
zioni del genere tra l'ente titolare del bene demaniale ed il
singolo ammesso all'uso particolare del bene stesso ha sem
pre alla sua base un atto di concessione che costituisce l'es
senziale presupposto del collegato regolamento contrattuale, col quale pubblica amministrazione e privato concessio
nario regolano le condizioni e le modalità della concessione
medesima con obbligazioni e corrispettivi di natura patri moniale per entrambe le parti.
Le considerazioni che precedono sono di per sè suffi
cienti a dimostrare che a ragione la corte del merito ha rite
nuto la piena liceità della concessione-contratto di cui si
discute.
Non ha anzitutto pregio l'argomento del ricorrente il
quale assume che i poteri del comune sui cimiteri sarebbero
soltanto quelli previsti dal regolamento di polizia mortuaria
e che attengono principalmente alla materia dell'igiene e dell'edilizia.
Già si è detto innanzi che per esplicito disposto della
legge comunale e provinciale la costruzione, la manuten
zione e l'esercizio dei cimiteri è funzione propria dei co
muni, sicché nell'ambito dei relativi poteri il comune ha
sicuramente facoltà di consentire ai privati ogni attività
che si dimostri compatibile con la destinazione del bene.
E nel caso concreto è intuitivo che tale compatibilità è
stata ritenuta sussistente dall'autorità amministrativa ri
solvendosi quella concessione nella disciplina del servizio
Il Fono Italiano — Volume LXXXV11 — Parte jf-65.
di accensione elettrica delle lampade votive per quei pri vati clie del servizio stesso volessero avvalersi.
Nè poi ha pregio l'altro argomento secondo cui, sotto il
profilo del dedotto errore di diritto, si dice che esso Fra tini avrebbe avuto diritto ad imporre una servitù di elet
trodotto sul cimitero senza essere tenuto alle contropresta zioni patrimoniali pretese dal comune nel « disciplinare » della concessione. Anche per questa parte è agevole il
rilievo, come ha osservato la corte di merito, che nel caso non si trattava di una servitù di elettrodotto, bensì e uni
camente dell'allacciamento dell'impianto elettrico interno alla rete esterna di distribuzione con la conseguente forni
tura ai richiedenti di un impianto particolare per la cen nata accensione delle lampade votive nei sepolcri.
Per questi motivi, rigetta, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezione II civile ; sentenza 14 gennaio 1964, n. 79 ; Pres.
Marletta P., Est. Bekri, P. M. Gentile (conci, conf.) ; Fiori (Avv. Gazzoni) c. Amministrazione della
quota disponibile dell'eredità di G. Mecheri (Avv. Sequi) ; Mecheri (Avv. Fazzalari) c. Fiori ed altri ; Pesci
(Avv. Ciabattini) c. Mecheri ed altri.
(Cassa App. Eoma 25 giugno 1962)
Appello in materia civile — Obbligazione solidale da fatto illecito — Risarcimento dei danni —
Citazione di primo grado nei confronti di per sona carente di « legitimatio ad cansam »— Nullità — Effetti (Cod. proc. civ., art. 164, 354).
Lavoro (competenza e procedimento) — Domanda
di riassunzione — Adempimento di onere testa
mentario — Controversia individuale di lavoro —
Esclusione (Cod. proc. civ., art. 429).
Qualora tra i condebitori solidali chiamati a rispondere dei
danni causati dal loro illecito comportamento sia stata ci
tata persona carente di legitimatio ad causam, il giudice
d'appello, accertata la sussistenza di tale vizio, deve di
chiarare la nullità del giudizio di primo grado limitata
mente alla parte non legittimata. (1)
(1) Sebbene nei precisi termini della massima non si rin
vengano precedenti, la soluzione accolta dalla Suprema corte si uniforma a principi ripetutamente affermati dalla giurispru denza : a) l'obbligazione solidale non dà luogo a litisconsorzio necessario tra i coobbligati, sicché il rapporto processuale può validamente svolgersi anche nei confronti di uno solo dei debi
tori, contro il quale la sentenza è utiliter data (fra le altre, cons, le sentenze della Cassazione, citate nel testo della presente, 4 luglio 1962, n. 1690, Foro it., Rep. 1962, voce Procedimento
civ., nn. 147, 148, e 8 settembre 1958, n. 2988, id., Rep. 1958, voce cit., n. 101) ; b) accertata la nullità della citazione di primo grado, il giudice di appello, fuori dell'ipotesi di causa inscindi
bile, deve limitarsi a dichiarare la nullità del giudizio ma non
può esaminare il merito nè rimettere la causa al primo giudice (Cass. 20 aprile 1963, n. 969, id., 1963, I, 1722, con nota di ri
chiami, tra i quali Cass. 9 ottobre 1954, n. 3494, citata in moti vazione ; nonché App. Milano 22 gennaio 1957, id., Rep. 1957, voce Appello civ., n. 382 ; App. L'Aquila 10 marzo 1955, id., Rep. 1955, voce cit., n. 437 ; cui adde, in motivazione, Cass. 14
marzo 1962, n. 532, id., 1962, I, 1108, con nota di richiami, tra i quali Cass. 29 maggio 1954, n. 1785, citata, al pari della
precedente, nella parte motiva della riportata sentenza). Secondo App. Firenze 11 febbraio 1960, id., Rep. 1960,
voce cit., n. 286, il giudice di appello che dichiari la nullità del
giudizio di primo grado per essere stato ivi citato un minore
personalmente anziché nella persona del suo legittimo rappre sentante, deve rimettere la causa al primo giudice ai sensi del l'art. 354 cod. proc. civile.
Cass. 3 gennaio 1961, n. 11, 16 febbraio 1960, n. 250 e 3
novembre 1959, n. 3265, pure richiamate in motivazione, sono
riassunte rispettivamente nel Rep. 1961, voce Procedimento civ., n. 132, nel Rep. 1960, voce cit., n. 106 e nel Rep. 1959, voce
cit., nn. 107, 108.
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