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sezione I civile; sentenza 20 gennaio 1993, n. 655; Pres. Salafia, Est. R. Sgroi, P.M. Zema (concl.conf.); Istituto autonomo case popolari Agrigento (Avv. Corso) c. Lauria (Avv. Condino).Conferma App. Palermo 25 febbraio 1988Source: Il Foro Italiano, Vol. 116, No. 3 (MARZO 1993), pp. 751/752-755/756Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23186130 .
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PARTE PRIMA
esperti in materia agraria ed a seguito di un complesso procedi mento disciplinato degli art. 25/a - 25/g del citato decreto 32/78.
Orbene, è evidente che la determinazione deprezzo di assun
zione riguarda esclusivamente i rapporti privatistici tra i coeredi
o comproprietari, e non incide, né può incidere sui rapporti tributari conseguenti alla trasmissione, inter vivos o mortis cau
sa, del maso chiuso che sono regolati soltanto dalla legge stata
le; ed in particolare non incide sulla regola che l'imposta di
successione è commisurata al valore venale dei cespiti che costi
tuiscono l'asse ereditario.
Deve essere d'altra parte rilevato che la «assunzione» attiene
alla divisione del patrimonio ereditario (art. 16 del decreto 32/78), vale a dire ad un momento successivo a quello della successione
in senso proprio, ed è vicenda meramente eventuale, che manca
del tutto, ad esempio, nel caso di unico erede, ma può mancare
anche nell'ipotesi di pluralità dei eredi, se e fin quando questi
preferiscono rimanere in comunione.
In ogni caso il «prezzo» di assunzione non è affatto indero
gabilmente imposto e prederminato dalla legge, potendo invece
anzitutto essere liberamente stabilito dal de cuius ovvero dal
l'accordo tra gli interessati, ed è certo che la ricchezza trasferita
all'assuntore corrisponde al valore pieno del bene di cui egli
può liberamente e illimitatamente disporre, tanto che, se ciò
avvenga, lo stesso è tenuto a versare ai coeredi l'eccedenza del
ricavo dalla vendita sul prezzo di assunzione (art. 29 del decreto
38/72). Nella specie, infine, come ha sottolineato la resistente, non
è nemmeno noto se ed in favore di chi è avvenuta l'assunzione
del maso chiuso e se, in quale misura ed in quale modo è stato
determinato il prezzo di assunzione.
Da tutto ciò deriva l'evidente irrilevanza della proposta que
stione di legittimità costituzionale, la quale è comunque manife
stamente infondata non potendo ravvisarsi alcun contrasto con
il principio di uguaglianza nella pretesa di un privilegio fiscale nei confronti degli ordinari contribuenti, né con il principio del
la capacità contributiva, l'imposta essendo commisurata all'ef
fettiva ricchezza trasferita.
Il ricorso deve essere pertanto rigettato.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 20 gen naio 1993, n. 655; Pres. Salafia, Est. R. Sgroi, P.M. Zema
(conci, conf.); Istituto autonomo case popolari Agrigento (Aw.
Corso) c. Lauria (Aw. Condino). Conferma App. Palermo
25 febbraio 1988.
Espropriazione per pubblico interesse — Occupazione appro priativa — Azione risarcitoria promossa dal privato — Legit timazione passiva — Fattispecie (Cod. civ., art. 2043; 1. 27
ottobre 1988 n. 458, concorso dello Stato nelle spese degli enti locali in relazione ai pregressi maggiori oneri delle inden
nità di esproprio, art. 3).
Obbligato al risarcimento del danno subito dal privato in segui to ad occupazione appropriativa è l'ente pubblico che acqui sta la proprietà del bene, e, nell'ipotesi in cui l'irreversibile trasformazione del suolo avvenga entro il termine di occupa zione legittima, l'ente in nome e per conto del quale l'occupa zione e l'opera sono state eseguite, e non l'ente a ciò delegato
(nella specie si è ritenuta la legittimazione passiva dell'istituto autonomo case popolari, in quanto ente beneficiario dell'ac
quisto alla proprietà pubblica, nell'azione risarcitoria promossa dal privato). (1)
(1) La fattispecie presenta un qualche aspetto di singolarità, non ap parendo l'istituto autonomo case popolari, come di consueto, delegato all'occupazione dall'ente territoriale (per tale ordinaria ipotesi, v. Cass. 16 gennaio 1992, n. 496, Foro it., 1992, I, 2428, con nota di richiami di S. Benini), bensì beneficiario dell'espropriazione sostanziale, per ef fetto di statuizione del giudice di merito passata in giudicato, in quanto non interessata dall'impugnazione.
Il Foro Italiano — 1993.
Motivi della decisione. — Con il primo motivo, l'Iacp denun
cia la violazione e falsa applicazione dell'art. 2043 c.c. e dei
principi in tema di responsabilità civile (art. 360, n. 3, c.p.c.), nonché motivazione contraddittoria su un punto decisivo (art.
360, n. 5, c.p.c.), osservando che era stata provata non soltanto
la sua estraneità al procedimento espropriativo (e quindi al fat
to omissivo consistente nel mancato completamento del proce
dimento stesso) ma anche la sua sollecitudine nei confronti del
le amministrazioni competenti (assessorato ai 11. pp. della regio
ne e comune di Licata). Osserva il ricorrente che, se l'apprensione dei beni è legitti
mata, in quanto autorizzata dal decreto dell'assessore regionale ai ll.pp. 20 marzo 1975 che fissava un termine di cinque anni
per l'espropriazione e se l'opera era stata realizzata ed ultimata
il 4 maggio 1978, prima della scadenza, era evidente che l'istitu
to aveva lecitamente occupato l'immobile fino al 20 marzo 1980;
che, scaduto detto termine, l'immobile non poteva essere resti
tuito al privato, essendo entrato a far parte del patrimonio indi
sponibile pubblico (art. 828, ultimo comma, e 830, ultimo com
ma, c.c.) insieme agli alloggi costruiti, per il fatto della costru
zione; che, pertanto, anche l'occupazione successiva al 20 marzo
1980 deve considerarsi lecita (quanto meno nei riguardi dell'Iacp),
mentre era illecita l'omessa emanazione entro i termini del de
creto di espropriazione, perché il privato viene a perdere la pro
prietà non in forza di un provvedimento ablativo, ma in forza
di una trasformazione di fatto del bene, solo provvisoriamente
legittimata da un decreto di occupazione. Condannando l'istitu
to al risarcimento (anche per la parte eccedente l'importo del
l'indennità di occupazione) la sentenza impugnata è errata, per ché prescinde dall'elemento della colpevolezza (ascrivibile alle
altre due amministrazioni) e dalla stessa imputabilità del fatto,
consistente nell'omessa adozione degli atti espropriativi. Con il secondo motivo, l'Iacp denuncia la violazione e falsa
applicazione della 1. reg. 28 novembre 1970 n. 48, perché non
risulta dagli atti che le costruzioni degli alloggi oggetto del pre
sente giudizio sia avvenuta ai sensi della suddetta legge regiona
le, per cui il richiamo a detta normativa, ai fini dell'individua
zione dei rapporti fra l'assessorato e l'Iacp e della conseguente individuazione di quest'ultimo, come unico responsabile e legit timato passivo, è errato.
Col terzo motivo, l'Iacp denuncia l'insufficiente motivazione
su un punto decisivo (art. 360, n. 5, c.p.c.), osservando che
l'illecito non consiste nell'occupazione del bene o nella sua tra
sformazione e nella sua persistente detenzione a trasformazione
avvenuta (comportamenti tutti leciti e doverosi), bensì nella man
cata adozione del decreto di espropriazione e nella tardiva ema
Qualche perplessità suscita la segnalazione, contenuta in sentenza, di un presunto contrasto giurisprudenziale nell'identificazione del bene ficiario dell'occupazione appropriativa (e legittimato a resistere all'azio ne di risarcimento proposta dall'«espropriato di fatto»). L'orientamen to che si cita in contrapposizione alla tendenza prevalente attributiva della legittimazione passiva al beneficiario dell'espropriazione, e dun
que all'ente delegante (tendenza in cui si colloca anche la sentenza in
epigrafe), si riferisce in realtà alla diversa ipotesi di fattispecie acquisiti va maturata dopo la scadenza del termine di legittima occupazione, in cui appare determinante la condotta materiale dell'occupante di fatto
(Cass. 18 gennaio 1991, n. 477, id., Rep. 1991, voce Espropriazione per p.i., n. 264; 14 marzo 1990, n. 2097, id., Rep. 1990, voce cit., n. 354; 27 luglio 1989, n. 3513, ibid., n. 353; 12 dicembre 1988, n.
6730, id., Rep. 1988, voce cit., n. 233). Una diversa impostazione al problema era data, semmai, da quella
giurisprudenza in materia di occupazione appropriativa, che sdoppiava spossessamento illecito e fattispecie acquisitiva, facenti capo a diversi
soggetti, e di conseguenza configurava un'obbligazione solidale dell'oc
cupante e del beneficiario per il controvalore del bene (Cass. 16 gennaio 1992, n. 496, cit.; da ultimo, Cass. 8 ottobre 1992, n. 10979, id., 1993,
I, 88, con nota di richiami di S. Benini e note di R. Caso e G. De
Marzo, riportata unitamente a Cass., sez. un., 25 novembre 1992, n.
12546, che ha risolto il contrasto sulla natura della occupazione appro priativa).
La diversa questione inerente all'azione di regresso da parte dell'ente individuato come obbligato al risarcimento, che nella sentenza riportata è considerata inammissibile per non essere parte in giudizio il comune, astrattamente responsabile, è stata risolta negativamente in altre occa sioni (Cass. 18 gennaio 1991, n. 477, cit.; 17 novembre 1982, n. 6159, id., Rep. 1982, voce cit., n. 206), in cui è apparsa priva di rilievo la circostanza dell'omissione del decreto espropriativo da parte dell'ente titolare del relativo potere. [S. Benini]
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
nazione degli atti del procedimento che devono precedere il de
creto, e quindi l'Iacp non è responsabile, bensì altri (assessora to o comune) che non spetta all'istituto individuare.
Se poi l'istituto dovesse essere ritenuto responsabile, avrebbe
titolo a rivalersi su chi, con la sua condotta, ha impedito di
regolarizzare o rendere definitivo il titolo della detenzione, omet
tendo o ritardando i relativi adempimenti.
L'Iacp fa valere una responsabilità extracontrattuale nei ri
guardi di chi (l'assessorato) gli ha procurato un danno (corri
spondente alla somma da risarcire al proprietario); domanda
subordinata rispetto all'eccezione pura e semplice di difetto di
legittimazione passiva. Il ricorso è infondato, anche se alcune affermazioni in linea
di diritto della sentenza impugnata si devono correggere, fermo
restando il dispositivo (art. 384 c.p.c.). In primo luogo, non solo non risultava che la costruzione
degli alloggi di cui si tratta fosse stata effettuata ai sensi del
l'art. 31 1. reg. 28 novembre 1970 n. 48, e cioè per affidamento
da parte dell'assessorato ai 11.pp. della regione, ma tale immoti
vata affermazione della corte d'appello contrasta con la frase
di apertura della motivazione della sentenza di secondo grado,
secondo la quale detta costruzione (come era «assolutamente
incontroverso») era stata eseguita su incarico del comune di Li
cata. Ed invero, nella sentenza di primo grado, come è stato
esposto supra, era affermato in modo esplicito che detto incari
co era contenuto nelle deliberazioni del comune di Licata del
30 ottobre e 9 dicembre 1972 e del 9 febbraio 1974, e tale affer
mazione non è stata impugnata, in appello, da alcuna delle par
ti, di guisa che è passata in giudicato. Non solo: è altresì passa
ta in giudicato, sempre per mancata impugnazione, l'altra af
fermazione, più volte ripetuta dalla sentenza di primo grado,
secondo cui, per effetto dell'irreversibile trasformazione del suolo
con la costruzione dell'opera pubblica, il suolo stesso, assieme
all'opera pubblica, era passata in proprietà, a titolo originario,
dell'amministrazione convenuta (e cioè dell'Iacp). Nell'atto d'ap
pello il punto non solo non è stato contestato, ma è stato as
sunto a sostegno della tesi secondo cui l'inquadramento del suolo
nel regime giuridico dei beni patrimoniali indisponibili rendeva
doveroso per l'ente il mantenimento del possesso del bene e
la mancata restituzione al privato (danneggiato, non da tale omes
sa restituzione, ma dalla mancata adozione tempestiva del de
creto di esproprio, secondo la tesi dell'appellante). Si deve, pertanto, risolvere la problematica di causa sulla ba
se della premessa che, in essa, non si può più discutere di due
punti fondamentali affermati dalla sentenza di primo grado: che
l'affidamento della costruzione fosse stato effettuato dal comu
ne all'Iacp e che tale affidamento non comportava affatto l'ac
quisto della proprietà da parte dell'ente comunale affidante, ma
bensì l'acquisto della proprietà da parte dell'Iacp affidatario.
Esatta o errata che sia questa affermazione (per eventuale con
trasto con l'art. 60 1. n. 865 del 1971, giusta giurisprudenza
costante: vedi, fra le altre, Cass. 6204/91, Foro it., Rep. 1991,
voce Espropriazione per p.i., n. 144) da essa non si può pre
scindere, per risolvere la suddetta problematica. Da tale pre messa discende anche l'inapplicabilità alla presente causa dei
principi affermati da Cass. 10 ottobre 1991, n. 10667 (id., 1992,
I, 1210), riguardanti una fattispecie diversa (si applicava la 1.
reg. 48/70 e l'Iacp non era stato dichiarato proprietario del bene).
L'impostazione dell'Iacp, tanto nel giudizio d'appello che nel
ricorso per cassazione, è travagliata da due errori fondamentali:
il primo consiste nell'identificazione dell'evento dannoso, che
ha provocato il danno di cui il privato ha chiesto il risarcimen
to; il secondo consiste nella confusione fra espropriante ed au
torità amministrativa che pronuncia l'espropriazione.
Sotto il primo profilo, il privato non è affatto danneggiato
dalla mancata emanazione del decreto di esproprio, almeno ai
fini dell'adozione in concreto proposta (richiesta del «controva
lore» del bene perduto), ma dalla «perdita» senza titolo della
proprietà. Se si partisse dall'idea che il danno è provocato dalla
mancata adozione tempestiva del decreto, si dovrebbe ammette
re, di conseguenza, che la sua adozione tempestiva evita il dan
no, mentre invece il suo effettp è del tutto diverso (esistenza
del titolo per ottenere il controvalore a titolo di indennità di
esproprio). L'evento dannoso consiste sempre e soltanto nella
perdita della proprietà; se detta perdita si ha per effetto del
Il Foro Italiano — 1993.
decreto di esproprio, il privato ha titolo ad indennizzo per atto
legittimo; se la perdita si ha per un'attività illegittima e di fatto, il privato ha titolo al danno liquidato secondo i criteri del con
trovalore effettivo. L'altra faccia della perdita della proprietà è l'acquisto della stessa da parte dell'ente pubblico; obbligato al risarcimento del controvalore non può essere che l'ente pub blico che acquista la proprietà (nella specie, come si è detto,
in forza del giudicato, l'Iacp) (si veda Corte cost. 27 dicembre
1991, n. 486, id., 1992, I, 1073). Anche l'altro errore influisce sull'inesatta soluzione del pro
blema. Bisogna distinguere, nell'ambito della procedura di espro
priazione per p.u., l'ente espropriante, e cioè l'ente a cui favore
il trapasso della proprietà è pronunciato, dall'autorità espro
priante, e cioè l'organo della pubblica amministrazione che ha
il potere di pronunciare l'esproprio. Secondo la legge del 1865,
l'autotità espropriante era sempre il prefetto, ma è evidente che
né il prefetto né l'amministrazione dell'interno, di cui era orga
no, erano i beneficiari dell'espropriazione, per cui l'acquisto della
proprietà avveniva in capo ai singoli enti espropriami. In Sicilia, in forza delle competenze attribuite alla regione
dagli art. 20 e 14, lett. g) ed s), dello statuto, l'espropriazione
è pronunciata da organi regionali, e precisamente, prima della
1. n. 35 del 1978, dall'assessore regionale ai ll.pp., e dopo tale
legge (art. 2 ed art. 39, che rende applicabile il 1° comma del
l'art. 2 alle procedure in corso) «per le opere pubbliche di com
petenza del comuni... anche a finanziamento regionale, i prov
vedimenti di accesso, di occupazione d'urgenza e di espropria
zione, emanati in esecuzione della 1. 22 ottobre 1971 n. 865
e successive modifiche sono di competenza del sindaco su con
forme deliberazione della giunta municipale». È evidente che detta compenza riguarda l'emanazione dei prov
vedimenti, che deve essere tenuta ontologicamente distinta dal
l'acquisizione della proprietà, anche se, in genere, dato che quella
competenza è stabilita in relazione alla materia delle opere pub
bliche di competenza dei comuni, dei loro consorzi e delle co
munità montane, la pronuncia dei decreti è a favore dei comuni
stessi.
Nell'ambito dell'esecuzione delle opere pubbliche su delega
od affidamento da un ente pubblico ad un altro, la materia
della responsabilità verso il privato, per l'occupazione «acquisi
tiva» del bene senza emanazione tempestiva del decreto di espro
prio, ha dato luogo a qualche contrasto di giurisprudenza. Secondo alcune sentenze, nel caso di delega ad un ente pub
blico ad eseguire l'occupazione d'urgenza di un suolo privato
in nome e per conto di un altro ente per la realizzazione di
un'opera pubblica, ove l'ente occupante provveda al totale com
pletamento ed alla consegna dell'opera ancor prima della sca
denza del termine di occupazione legittima, legittimato passivo all'azione risarcitoria promossa dal proprietario del fondo per
la mancata restituzione del suolo conseguente all'irreversibile
destinazione dello stesso a finalità pubbliche è — salva diversa
previsione del provvedimento di delega — l'ente in nome e per
conto del quale l'occupazione e l'opera sono state eseguite e
non l'ente a ciò delegato (Cass. 14 marzo 1991, n. 2731, id., Rep. 1991, voce cit., n. 281; 10 ottobre 1991, n. 10667, cit.,
che fonda la legittimazione passiva sulla titolarità dell'immobile
in capo al delegante, nel caso di delega ai sensi della 1. reg.
sic. n. 48 del 1970; Cass. 28 marzo 1990, n. 2532, id., Rep.
1990, voce cit., n. 357).
Invece, secondo altre decisioni, la responsabilità appartiene all'ente delegato (Cass. 14 marzo 1990, n. 2099, ibid., n. 355,
precisandosi che l'ente delegato agisce in nome proprio e non
come rappresentante del delegante; Cass. 18 gennaio 1991, n.
477, id., Rep. 1991, voce cit., n. 264 che precisa che è irrilavan te sia la non imputabilità per la mancata o ritardata pronuncia
nel decreto espropriativo sia che altro ente sia beneficiario del
l'opera pubblica; Cass. 12 dicembre 1988, n. 6730, id., Rep.
1989, voce cit., n. 233; 27 luglio 1989, n. 3513, id., Rep. 1989, voce cit., n. 353).
Non occorre prendere posizione in ordine a tale contrasto,
perché anche il primo orientamento si fonda sull'agire «in no
me e per conto» e cioè sulla destinazione dell'opera al patrimo nio del delegante. Nella specie, si è già detto che esiste un giudi
cato sull'attribuzione dell'opera pubblica (e del terreno incor
porato) al patrimonio dell'Iacp e quindi è lo stesso ente che
è il responsabile del pagamento dei danni e cioè del controvalo
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PARTE PRIMA
re del bene, non potendosi applicare in toto il primo ordina
mento, che infatti fa salva diversa previsione del provvedimento di delega (ovvero, come nel caso, il giudicato diverso sugli ef
fetti della delega).
Concludendo, poiché ai fini del risarcimento del danno chie
sto dal privato non ha rilevato la mancata adozione del decreto
di esproprio o il ritardo nell'adempimento della formalità preli
minari, è evidente che nei confronti del privato stesso, il legitti mato passivo è l'Iacp (cfr., sull'ininfluenza, ai fini di questa
responsabilità, dipendente dall'acquisizione della proprietà, del
l'imputabilità nel ritardo del decreto di esproprio, Cass. 6159/82,
id., Rep. 1982, voce cit., n. 206, e 477/91, cit.) Per quanto attiene alla rivalsa, è evidente che nella specie
potrebbe esaminarsi soltanto l'azione contro l'assessorato, per ché il comune non è in causa; si tratta di un'azione dipendente dall'affermazione della responsabilità verso il privato, in capo
all'Iacp, che potrebbe teoricamente fondarsi su quel ritardo od
omissione.
Ma, nella specie, per confermare il dispositivo di rigetto, con
diversa motivazione in diritto (art. 384 c.p.c.) è sufficiente os
servare che lo stesso Iacp ha esposto che a decorrere dal 27
agosto 1978, data di entrata in vigore della 1. reg. 10 agosto 1978 n. 35, la competenza era stata trasferita dall'assessorato
regionale al comune; e poiché a quella data il termine quin quennale dell'occupazione non era ancora trascorso (mancava no ancora un anno e circa sette mesi, durante i quali avrebbe
dovuto provvedere il comune), non si poteva configurare una
responsabilità aquiliana dell'assessorato nei confronti dell'Iacp
(a prescindere da ogni altra considerazione sulla sua posizione
soggettiva tutelabile), dal momento che alla data della cessazio ne della sua competenza l'assessorato non poteva considerarsi
inadempiente o in situazione di ritardo, poiché era ancora nei
termini di legge, per la definizione della procedura; giova anche
sottolineare che dall'esposizione dell'appellante risulta che la ri
chiesta all'assessorato era stata inoltrata il 21 settembre 1977
e che il sollecito era stato inviato il 14 dicembre 1978, quando già lo stesso assessorato non era più competente, di guisa, che
dalla stessa prospettazione dell'Iacp non risultano gli elementi
dell'affermata responsabilità per illecito da ritardo od omissione.
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 20 gen naio 1993, n. 651; Pres. Vela, Est. Garofalo, P.M. Moroz zo della Rocca (conci, conf.); Soc. Gestor (Aw. Lorenzo
ni) c. Soc. Vide (Avv. Passeggia, Mariscalco Interretta,
Greco), Comune di Alessandria, Soc. Igap. Conferma Cons.
Stato, sez. V, 21 marzo 1991 n. 315.
Giustizia amministrativa — Decisione del Consiglio di Stato —
Ricorso in Cassazione — Interesse legittimo del ricorrente —
Contestazione — Questione di giurisdizione — Esclusione.
La deduzione della inesistenza in concreto dell'interesse legitti mo del ricorrente, riconosciuto nella decisione del Consiglio di Stato, investendo il merito della sua pronuncia, non intro duce una questione di giurisdizione che ne consente l'impu
gnazione in Cassazione. (1)
(1) La decisione della V sezione del Consiglio di Stato 21 marzo 1991, n. 315, impugnata con il ricorso disatteso dalle sezioni unite è riassunta in Foro it., Rep. 1991, voci Contratti della p.a., n. 80 e Pubblicità (imposta di), n. 1.
Nello stesso senso, ma con più pertinente ed articolata motivazione sul punto, sez. un. 9 maggio 1983, n. 3145, id., 1983, I, 1792, con nota di richiami; adde, per analoga impostazione, Cass. 14 gennaio 1987, n. 190, id., Rep. 1987, voce Giustizia amministrativa, n. 921 e 19 aprile 1984, n. 2565, id., Rep. 1984, voce Sicilia, n. 70.
Nella parte motiva, corrispondente all'affermazione riassunta in mas sima, la corte si riferisce ripetutamente al regolamento di giurisdizione laddove nella specie vertevasi in tema di ricorso ex art. Ill Cost, e
Il Foro Italiano — 1993.
Fatto e svolgimento del processo. — 1. - La società Vide,
concessionaria del comune di Alessandria per il servizio di ac
certamento e di riscossione dell'imposta comunale sulla pubbli cità e dei diritti sulle pubbliche affissioni, essendo scaduto, alla
data del 31 dicembre 1985, il contratto di concessione ed aven
do conseguito (con delibera in data 23 dicembre 1985 della giunta
comunale) la proroga di un anno sino al 31 dicembre dell'anno
successivo, con istanza del 4 aprile 1986 chiese il rinnovo della
concessione, in applicazione dell'art. 44 d.p.r. 26 ottobre 1972
n. 639.
Alla concessionaria fu comunicato che, in esecuzione della
citata delibera, nell'anno 1986 si sarebbe proceduto ad una gara di appalto; successivamente, con la stessa gara, effettuata il 26
maggio 1987, la concessione venne aggiudicata alla società Gestor.
2. - Il Tar del Piemonte, adito dalla società Vide con due
ricorsi e dall'altra società Igap, con decisione del 18 dicembre
1987 ritenne la società Vide carente di legittimazione attiva per ché priva di un interesse protetto in relazione al diniego di con
ferma della concessione, mentre, in parziale accoglimento degli altri ricorsi, ritenendo non applicabile alla gara de qua la nor
mativa della 1. 14/73 (disciplinante unicamente gli appalti per
opere pubbliche) dispose l'annullamento di tutti gli atti dell'e
sperita licitazione privata. 3. - Il Consiglio di Stato, con decisione del 28 giugno 1990,
pronunciando su ricorsi delle società Gestor e Vide e del comu
ne di Alessandria, in riforma dell'impugnata decisione del Tar
ed in accoglimento del ricorso proposto dalla società Vide, ri
tenne quest'ultima assistita da interesse protetto e, quindi, for
nita di legittimazione in ordine all'impugnativa dei provvedi menti dell'amministrazione comunale che avevano disatteso la
richiesta di rinnovo della concessione; rigettò invece gli altri
ricorsi.
Per quanto interessa in questa sede, osservò il Consiglio di
Stato che erroneamente dal primo giudice era stato configurato nei confronti della società Vide il difetto di legittimazione a
ricorrere a causa dell'asserita mancanza di titolarità di un inte
resse protetto; infatti ai sensi dell'art. 44 d.p.r. 26 ottobre 1972
n. 639 il concessionario può essere confermato a sua istanza
e con apposita deliberazione del consiglio comunale — purché le condizioni contrattuali non siano più onerose per il comune
—; che se di norma il conferimento della concessione avviene
a mezzo di licitazione privata, ai sensi dell'art. 43 del citato
decreto, non di meno il successivo art. 44 attribuisce al conces
sionario in carica la possibilità di essere confermato a discrezio
ne del comune, si che egli è titolare di una posizione di interes
se, differenziato e qualificato e distinto da quello di altri sog
getti, a che l'amministrazione si pronunci, in modo adeguato e motivato, sulla istanza di rinnovo; che sull'istanza della socie tà Vide avrebbe dovuto pronunciarsi il consiglio comunale (non il sindaco), al fine di valutare la ricorrenza delle condizioni pre liminari richieste per la conferma e costituite dall'insussistenza
di condizioni contrattuali più onerose per il comune e dalla pre sentazione dell'istanza del privato entro i sei mesi dalla scaden
za della concessione, laddove nel caso in esame siffatta valuta zione era mancata e da ciò derivava l'interesse a ricorrere della
società Vide, privata, a seguito dell'aggiudicazione in favore della
società Gestor, della possibilità di conferma della concessione.
4. - Ha proposto ricorso per cassazione la società Gestor sul
la base di otto motivi, successivamente illustrati con memoria.
362 c.p.c. avverso decisione del Consiglio di Stato, (ricorso) che, con trariamente a quanto opinato dalle sezioni unite, non si identifica tout court con l'istanza di regolamento. Questa, infatti, come già rilevato da Cass. 20 luglio 1983, n. 4995, id., 1983, I, 2114 e precisato nella nota alla pronuncia da C.M. Barone, non costituendo un mezzo di
impugnazione, non deve necessariamente contenere, a differenza del men zionato ricorso, la specificazione dei motivi, essendo sufficiente, per la rituale configurazione di essa, la sola esposizione dei fatti di causa rilevanti per la decisione.
Ed è appena il caso di aggiungere che le differenze esistenti tra i due rimedi non sono influenzate dal riconoscimento della convertibilità del ricorso ex art. Ill Cost, e 362 c.p.c. in istanza di regolamento, (riconoscimento) operato oltretutto dalle sezioni unite (cons., ad es., sent. 26 gennaio 1988, n. 634, id., 1989, I, 2589, con nota di richiami) avendo riguardo al tipo di questioni sollevate più che alla natura e alla formulazione degli atti utilizzati per proporle.
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