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sezione I civile; sentenza 20 gennaio 1993, n. 655; Pres. Salafia, Est. R. Sgroi, P.M. Zema (concl....

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Page 1: sezione I civile; sentenza 20 gennaio 1993, n. 655; Pres. Salafia, Est. R. Sgroi, P.M. Zema (concl. conf.); Istituto autonomo case popolari Agrigento (Avv. Corso) c. Lauria (Avv. Condino).

sezione I civile; sentenza 20 gennaio 1993, n. 655; Pres. Salafia, Est. R. Sgroi, P.M. Zema (concl.conf.); Istituto autonomo case popolari Agrigento (Avv. Corso) c. Lauria (Avv. Condino).Conferma App. Palermo 25 febbraio 1988Source: Il Foro Italiano, Vol. 116, No. 3 (MARZO 1993), pp. 751/752-755/756Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23186130 .

Accessed: 24/06/2014 21:29

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PARTE PRIMA

esperti in materia agraria ed a seguito di un complesso procedi mento disciplinato degli art. 25/a - 25/g del citato decreto 32/78.

Orbene, è evidente che la determinazione deprezzo di assun

zione riguarda esclusivamente i rapporti privatistici tra i coeredi

o comproprietari, e non incide, né può incidere sui rapporti tributari conseguenti alla trasmissione, inter vivos o mortis cau

sa, del maso chiuso che sono regolati soltanto dalla legge stata

le; ed in particolare non incide sulla regola che l'imposta di

successione è commisurata al valore venale dei cespiti che costi

tuiscono l'asse ereditario.

Deve essere d'altra parte rilevato che la «assunzione» attiene

alla divisione del patrimonio ereditario (art. 16 del decreto 32/78), vale a dire ad un momento successivo a quello della successione

in senso proprio, ed è vicenda meramente eventuale, che manca

del tutto, ad esempio, nel caso di unico erede, ma può mancare

anche nell'ipotesi di pluralità dei eredi, se e fin quando questi

preferiscono rimanere in comunione.

In ogni caso il «prezzo» di assunzione non è affatto indero

gabilmente imposto e prederminato dalla legge, potendo invece

anzitutto essere liberamente stabilito dal de cuius ovvero dal

l'accordo tra gli interessati, ed è certo che la ricchezza trasferita

all'assuntore corrisponde al valore pieno del bene di cui egli

può liberamente e illimitatamente disporre, tanto che, se ciò

avvenga, lo stesso è tenuto a versare ai coeredi l'eccedenza del

ricavo dalla vendita sul prezzo di assunzione (art. 29 del decreto

38/72). Nella specie, infine, come ha sottolineato la resistente, non

è nemmeno noto se ed in favore di chi è avvenuta l'assunzione

del maso chiuso e se, in quale misura ed in quale modo è stato

determinato il prezzo di assunzione.

Da tutto ciò deriva l'evidente irrilevanza della proposta que

stione di legittimità costituzionale, la quale è comunque manife

stamente infondata non potendo ravvisarsi alcun contrasto con

il principio di uguaglianza nella pretesa di un privilegio fiscale nei confronti degli ordinari contribuenti, né con il principio del

la capacità contributiva, l'imposta essendo commisurata all'ef

fettiva ricchezza trasferita.

Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 20 gen naio 1993, n. 655; Pres. Salafia, Est. R. Sgroi, P.M. Zema

(conci, conf.); Istituto autonomo case popolari Agrigento (Aw.

Corso) c. Lauria (Aw. Condino). Conferma App. Palermo

25 febbraio 1988.

Espropriazione per pubblico interesse — Occupazione appro priativa — Azione risarcitoria promossa dal privato — Legit timazione passiva — Fattispecie (Cod. civ., art. 2043; 1. 27

ottobre 1988 n. 458, concorso dello Stato nelle spese degli enti locali in relazione ai pregressi maggiori oneri delle inden

nità di esproprio, art. 3).

Obbligato al risarcimento del danno subito dal privato in segui to ad occupazione appropriativa è l'ente pubblico che acqui sta la proprietà del bene, e, nell'ipotesi in cui l'irreversibile trasformazione del suolo avvenga entro il termine di occupa zione legittima, l'ente in nome e per conto del quale l'occupa zione e l'opera sono state eseguite, e non l'ente a ciò delegato

(nella specie si è ritenuta la legittimazione passiva dell'istituto autonomo case popolari, in quanto ente beneficiario dell'ac

quisto alla proprietà pubblica, nell'azione risarcitoria promossa dal privato). (1)

(1) La fattispecie presenta un qualche aspetto di singolarità, non ap parendo l'istituto autonomo case popolari, come di consueto, delegato all'occupazione dall'ente territoriale (per tale ordinaria ipotesi, v. Cass. 16 gennaio 1992, n. 496, Foro it., 1992, I, 2428, con nota di richiami di S. Benini), bensì beneficiario dell'espropriazione sostanziale, per ef fetto di statuizione del giudice di merito passata in giudicato, in quanto non interessata dall'impugnazione.

Il Foro Italiano — 1993.

Motivi della decisione. — Con il primo motivo, l'Iacp denun

cia la violazione e falsa applicazione dell'art. 2043 c.c. e dei

principi in tema di responsabilità civile (art. 360, n. 3, c.p.c.), nonché motivazione contraddittoria su un punto decisivo (art.

360, n. 5, c.p.c.), osservando che era stata provata non soltanto

la sua estraneità al procedimento espropriativo (e quindi al fat

to omissivo consistente nel mancato completamento del proce

dimento stesso) ma anche la sua sollecitudine nei confronti del

le amministrazioni competenti (assessorato ai 11. pp. della regio

ne e comune di Licata). Osserva il ricorrente che, se l'apprensione dei beni è legitti

mata, in quanto autorizzata dal decreto dell'assessore regionale ai ll.pp. 20 marzo 1975 che fissava un termine di cinque anni

per l'espropriazione e se l'opera era stata realizzata ed ultimata

il 4 maggio 1978, prima della scadenza, era evidente che l'istitu

to aveva lecitamente occupato l'immobile fino al 20 marzo 1980;

che, scaduto detto termine, l'immobile non poteva essere resti

tuito al privato, essendo entrato a far parte del patrimonio indi

sponibile pubblico (art. 828, ultimo comma, e 830, ultimo com

ma, c.c.) insieme agli alloggi costruiti, per il fatto della costru

zione; che, pertanto, anche l'occupazione successiva al 20 marzo

1980 deve considerarsi lecita (quanto meno nei riguardi dell'Iacp),

mentre era illecita l'omessa emanazione entro i termini del de

creto di espropriazione, perché il privato viene a perdere la pro

prietà non in forza di un provvedimento ablativo, ma in forza

di una trasformazione di fatto del bene, solo provvisoriamente

legittimata da un decreto di occupazione. Condannando l'istitu

to al risarcimento (anche per la parte eccedente l'importo del

l'indennità di occupazione) la sentenza impugnata è errata, per ché prescinde dall'elemento della colpevolezza (ascrivibile alle

altre due amministrazioni) e dalla stessa imputabilità del fatto,

consistente nell'omessa adozione degli atti espropriativi. Con il secondo motivo, l'Iacp denuncia la violazione e falsa

applicazione della 1. reg. 28 novembre 1970 n. 48, perché non

risulta dagli atti che le costruzioni degli alloggi oggetto del pre

sente giudizio sia avvenuta ai sensi della suddetta legge regiona

le, per cui il richiamo a detta normativa, ai fini dell'individua

zione dei rapporti fra l'assessorato e l'Iacp e della conseguente individuazione di quest'ultimo, come unico responsabile e legit timato passivo, è errato.

Col terzo motivo, l'Iacp denuncia l'insufficiente motivazione

su un punto decisivo (art. 360, n. 5, c.p.c.), osservando che

l'illecito non consiste nell'occupazione del bene o nella sua tra

sformazione e nella sua persistente detenzione a trasformazione

avvenuta (comportamenti tutti leciti e doverosi), bensì nella man

cata adozione del decreto di espropriazione e nella tardiva ema

Qualche perplessità suscita la segnalazione, contenuta in sentenza, di un presunto contrasto giurisprudenziale nell'identificazione del bene ficiario dell'occupazione appropriativa (e legittimato a resistere all'azio ne di risarcimento proposta dall'«espropriato di fatto»). L'orientamen to che si cita in contrapposizione alla tendenza prevalente attributiva della legittimazione passiva al beneficiario dell'espropriazione, e dun

que all'ente delegante (tendenza in cui si colloca anche la sentenza in

epigrafe), si riferisce in realtà alla diversa ipotesi di fattispecie acquisiti va maturata dopo la scadenza del termine di legittima occupazione, in cui appare determinante la condotta materiale dell'occupante di fatto

(Cass. 18 gennaio 1991, n. 477, id., Rep. 1991, voce Espropriazione per p.i., n. 264; 14 marzo 1990, n. 2097, id., Rep. 1990, voce cit., n. 354; 27 luglio 1989, n. 3513, ibid., n. 353; 12 dicembre 1988, n.

6730, id., Rep. 1988, voce cit., n. 233). Una diversa impostazione al problema era data, semmai, da quella

giurisprudenza in materia di occupazione appropriativa, che sdoppiava spossessamento illecito e fattispecie acquisitiva, facenti capo a diversi

soggetti, e di conseguenza configurava un'obbligazione solidale dell'oc

cupante e del beneficiario per il controvalore del bene (Cass. 16 gennaio 1992, n. 496, cit.; da ultimo, Cass. 8 ottobre 1992, n. 10979, id., 1993,

I, 88, con nota di richiami di S. Benini e note di R. Caso e G. De

Marzo, riportata unitamente a Cass., sez. un., 25 novembre 1992, n.

12546, che ha risolto il contrasto sulla natura della occupazione appro priativa).

La diversa questione inerente all'azione di regresso da parte dell'ente individuato come obbligato al risarcimento, che nella sentenza riportata è considerata inammissibile per non essere parte in giudizio il comune, astrattamente responsabile, è stata risolta negativamente in altre occa sioni (Cass. 18 gennaio 1991, n. 477, cit.; 17 novembre 1982, n. 6159, id., Rep. 1982, voce cit., n. 206), in cui è apparsa priva di rilievo la circostanza dell'omissione del decreto espropriativo da parte dell'ente titolare del relativo potere. [S. Benini]

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

nazione degli atti del procedimento che devono precedere il de

creto, e quindi l'Iacp non è responsabile, bensì altri (assessora to o comune) che non spetta all'istituto individuare.

Se poi l'istituto dovesse essere ritenuto responsabile, avrebbe

titolo a rivalersi su chi, con la sua condotta, ha impedito di

regolarizzare o rendere definitivo il titolo della detenzione, omet

tendo o ritardando i relativi adempimenti.

L'Iacp fa valere una responsabilità extracontrattuale nei ri

guardi di chi (l'assessorato) gli ha procurato un danno (corri

spondente alla somma da risarcire al proprietario); domanda

subordinata rispetto all'eccezione pura e semplice di difetto di

legittimazione passiva. Il ricorso è infondato, anche se alcune affermazioni in linea

di diritto della sentenza impugnata si devono correggere, fermo

restando il dispositivo (art. 384 c.p.c.). In primo luogo, non solo non risultava che la costruzione

degli alloggi di cui si tratta fosse stata effettuata ai sensi del

l'art. 31 1. reg. 28 novembre 1970 n. 48, e cioè per affidamento

da parte dell'assessorato ai 11.pp. della regione, ma tale immoti

vata affermazione della corte d'appello contrasta con la frase

di apertura della motivazione della sentenza di secondo grado,

secondo la quale detta costruzione (come era «assolutamente

incontroverso») era stata eseguita su incarico del comune di Li

cata. Ed invero, nella sentenza di primo grado, come è stato

esposto supra, era affermato in modo esplicito che detto incari

co era contenuto nelle deliberazioni del comune di Licata del

30 ottobre e 9 dicembre 1972 e del 9 febbraio 1974, e tale affer

mazione non è stata impugnata, in appello, da alcuna delle par

ti, di guisa che è passata in giudicato. Non solo: è altresì passa

ta in giudicato, sempre per mancata impugnazione, l'altra af

fermazione, più volte ripetuta dalla sentenza di primo grado,

secondo cui, per effetto dell'irreversibile trasformazione del suolo

con la costruzione dell'opera pubblica, il suolo stesso, assieme

all'opera pubblica, era passata in proprietà, a titolo originario,

dell'amministrazione convenuta (e cioè dell'Iacp). Nell'atto d'ap

pello il punto non solo non è stato contestato, ma è stato as

sunto a sostegno della tesi secondo cui l'inquadramento del suolo

nel regime giuridico dei beni patrimoniali indisponibili rendeva

doveroso per l'ente il mantenimento del possesso del bene e

la mancata restituzione al privato (danneggiato, non da tale omes

sa restituzione, ma dalla mancata adozione tempestiva del de

creto di esproprio, secondo la tesi dell'appellante). Si deve, pertanto, risolvere la problematica di causa sulla ba

se della premessa che, in essa, non si può più discutere di due

punti fondamentali affermati dalla sentenza di primo grado: che

l'affidamento della costruzione fosse stato effettuato dal comu

ne all'Iacp e che tale affidamento non comportava affatto l'ac

quisto della proprietà da parte dell'ente comunale affidante, ma

bensì l'acquisto della proprietà da parte dell'Iacp affidatario.

Esatta o errata che sia questa affermazione (per eventuale con

trasto con l'art. 60 1. n. 865 del 1971, giusta giurisprudenza

costante: vedi, fra le altre, Cass. 6204/91, Foro it., Rep. 1991,

voce Espropriazione per p.i., n. 144) da essa non si può pre

scindere, per risolvere la suddetta problematica. Da tale pre messa discende anche l'inapplicabilità alla presente causa dei

principi affermati da Cass. 10 ottobre 1991, n. 10667 (id., 1992,

I, 1210), riguardanti una fattispecie diversa (si applicava la 1.

reg. 48/70 e l'Iacp non era stato dichiarato proprietario del bene).

L'impostazione dell'Iacp, tanto nel giudizio d'appello che nel

ricorso per cassazione, è travagliata da due errori fondamentali:

il primo consiste nell'identificazione dell'evento dannoso, che

ha provocato il danno di cui il privato ha chiesto il risarcimen

to; il secondo consiste nella confusione fra espropriante ed au

torità amministrativa che pronuncia l'espropriazione.

Sotto il primo profilo, il privato non è affatto danneggiato

dalla mancata emanazione del decreto di esproprio, almeno ai

fini dell'adozione in concreto proposta (richiesta del «controva

lore» del bene perduto), ma dalla «perdita» senza titolo della

proprietà. Se si partisse dall'idea che il danno è provocato dalla

mancata adozione tempestiva del decreto, si dovrebbe ammette

re, di conseguenza, che la sua adozione tempestiva evita il dan

no, mentre invece il suo effettp è del tutto diverso (esistenza

del titolo per ottenere il controvalore a titolo di indennità di

esproprio). L'evento dannoso consiste sempre e soltanto nella

perdita della proprietà; se detta perdita si ha per effetto del

Il Foro Italiano — 1993.

decreto di esproprio, il privato ha titolo ad indennizzo per atto

legittimo; se la perdita si ha per un'attività illegittima e di fatto, il privato ha titolo al danno liquidato secondo i criteri del con

trovalore effettivo. L'altra faccia della perdita della proprietà è l'acquisto della stessa da parte dell'ente pubblico; obbligato al risarcimento del controvalore non può essere che l'ente pub blico che acquista la proprietà (nella specie, come si è detto,

in forza del giudicato, l'Iacp) (si veda Corte cost. 27 dicembre

1991, n. 486, id., 1992, I, 1073). Anche l'altro errore influisce sull'inesatta soluzione del pro

blema. Bisogna distinguere, nell'ambito della procedura di espro

priazione per p.u., l'ente espropriante, e cioè l'ente a cui favore

il trapasso della proprietà è pronunciato, dall'autorità espro

priante, e cioè l'organo della pubblica amministrazione che ha

il potere di pronunciare l'esproprio. Secondo la legge del 1865,

l'autotità espropriante era sempre il prefetto, ma è evidente che

né il prefetto né l'amministrazione dell'interno, di cui era orga

no, erano i beneficiari dell'espropriazione, per cui l'acquisto della

proprietà avveniva in capo ai singoli enti espropriami. In Sicilia, in forza delle competenze attribuite alla regione

dagli art. 20 e 14, lett. g) ed s), dello statuto, l'espropriazione

è pronunciata da organi regionali, e precisamente, prima della

1. n. 35 del 1978, dall'assessore regionale ai ll.pp., e dopo tale

legge (art. 2 ed art. 39, che rende applicabile il 1° comma del

l'art. 2 alle procedure in corso) «per le opere pubbliche di com

petenza del comuni... anche a finanziamento regionale, i prov

vedimenti di accesso, di occupazione d'urgenza e di espropria

zione, emanati in esecuzione della 1. 22 ottobre 1971 n. 865

e successive modifiche sono di competenza del sindaco su con

forme deliberazione della giunta municipale». È evidente che detta compenza riguarda l'emanazione dei prov

vedimenti, che deve essere tenuta ontologicamente distinta dal

l'acquisizione della proprietà, anche se, in genere, dato che quella

competenza è stabilita in relazione alla materia delle opere pub

bliche di competenza dei comuni, dei loro consorzi e delle co

munità montane, la pronuncia dei decreti è a favore dei comuni

stessi.

Nell'ambito dell'esecuzione delle opere pubbliche su delega

od affidamento da un ente pubblico ad un altro, la materia

della responsabilità verso il privato, per l'occupazione «acquisi

tiva» del bene senza emanazione tempestiva del decreto di espro

prio, ha dato luogo a qualche contrasto di giurisprudenza. Secondo alcune sentenze, nel caso di delega ad un ente pub

blico ad eseguire l'occupazione d'urgenza di un suolo privato

in nome e per conto di un altro ente per la realizzazione di

un'opera pubblica, ove l'ente occupante provveda al totale com

pletamento ed alla consegna dell'opera ancor prima della sca

denza del termine di occupazione legittima, legittimato passivo all'azione risarcitoria promossa dal proprietario del fondo per

la mancata restituzione del suolo conseguente all'irreversibile

destinazione dello stesso a finalità pubbliche è — salva diversa

previsione del provvedimento di delega — l'ente in nome e per

conto del quale l'occupazione e l'opera sono state eseguite e

non l'ente a ciò delegato (Cass. 14 marzo 1991, n. 2731, id., Rep. 1991, voce cit., n. 281; 10 ottobre 1991, n. 10667, cit.,

che fonda la legittimazione passiva sulla titolarità dell'immobile

in capo al delegante, nel caso di delega ai sensi della 1. reg.

sic. n. 48 del 1970; Cass. 28 marzo 1990, n. 2532, id., Rep.

1990, voce cit., n. 357).

Invece, secondo altre decisioni, la responsabilità appartiene all'ente delegato (Cass. 14 marzo 1990, n. 2099, ibid., n. 355,

precisandosi che l'ente delegato agisce in nome proprio e non

come rappresentante del delegante; Cass. 18 gennaio 1991, n.

477, id., Rep. 1991, voce cit., n. 264 che precisa che è irrilavan te sia la non imputabilità per la mancata o ritardata pronuncia

nel decreto espropriativo sia che altro ente sia beneficiario del

l'opera pubblica; Cass. 12 dicembre 1988, n. 6730, id., Rep.

1989, voce cit., n. 233; 27 luglio 1989, n. 3513, id., Rep. 1989, voce cit., n. 353).

Non occorre prendere posizione in ordine a tale contrasto,

perché anche il primo orientamento si fonda sull'agire «in no

me e per conto» e cioè sulla destinazione dell'opera al patrimo nio del delegante. Nella specie, si è già detto che esiste un giudi

cato sull'attribuzione dell'opera pubblica (e del terreno incor

porato) al patrimonio dell'Iacp e quindi è lo stesso ente che

è il responsabile del pagamento dei danni e cioè del controvalo

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PARTE PRIMA

re del bene, non potendosi applicare in toto il primo ordina

mento, che infatti fa salva diversa previsione del provvedimento di delega (ovvero, come nel caso, il giudicato diverso sugli ef

fetti della delega).

Concludendo, poiché ai fini del risarcimento del danno chie

sto dal privato non ha rilevato la mancata adozione del decreto

di esproprio o il ritardo nell'adempimento della formalità preli

minari, è evidente che nei confronti del privato stesso, il legitti mato passivo è l'Iacp (cfr., sull'ininfluenza, ai fini di questa

responsabilità, dipendente dall'acquisizione della proprietà, del

l'imputabilità nel ritardo del decreto di esproprio, Cass. 6159/82,

id., Rep. 1982, voce cit., n. 206, e 477/91, cit.) Per quanto attiene alla rivalsa, è evidente che nella specie

potrebbe esaminarsi soltanto l'azione contro l'assessorato, per ché il comune non è in causa; si tratta di un'azione dipendente dall'affermazione della responsabilità verso il privato, in capo

all'Iacp, che potrebbe teoricamente fondarsi su quel ritardo od

omissione.

Ma, nella specie, per confermare il dispositivo di rigetto, con

diversa motivazione in diritto (art. 384 c.p.c.) è sufficiente os

servare che lo stesso Iacp ha esposto che a decorrere dal 27

agosto 1978, data di entrata in vigore della 1. reg. 10 agosto 1978 n. 35, la competenza era stata trasferita dall'assessorato

regionale al comune; e poiché a quella data il termine quin quennale dell'occupazione non era ancora trascorso (mancava no ancora un anno e circa sette mesi, durante i quali avrebbe

dovuto provvedere il comune), non si poteva configurare una

responsabilità aquiliana dell'assessorato nei confronti dell'Iacp

(a prescindere da ogni altra considerazione sulla sua posizione

soggettiva tutelabile), dal momento che alla data della cessazio ne della sua competenza l'assessorato non poteva considerarsi

inadempiente o in situazione di ritardo, poiché era ancora nei

termini di legge, per la definizione della procedura; giova anche

sottolineare che dall'esposizione dell'appellante risulta che la ri

chiesta all'assessorato era stata inoltrata il 21 settembre 1977

e che il sollecito era stato inviato il 14 dicembre 1978, quando già lo stesso assessorato non era più competente, di guisa, che

dalla stessa prospettazione dell'Iacp non risultano gli elementi

dell'affermata responsabilità per illecito da ritardo od omissione.

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 20 gen naio 1993, n. 651; Pres. Vela, Est. Garofalo, P.M. Moroz zo della Rocca (conci, conf.); Soc. Gestor (Aw. Lorenzo

ni) c. Soc. Vide (Avv. Passeggia, Mariscalco Interretta,

Greco), Comune di Alessandria, Soc. Igap. Conferma Cons.

Stato, sez. V, 21 marzo 1991 n. 315.

Giustizia amministrativa — Decisione del Consiglio di Stato —

Ricorso in Cassazione — Interesse legittimo del ricorrente —

Contestazione — Questione di giurisdizione — Esclusione.

La deduzione della inesistenza in concreto dell'interesse legitti mo del ricorrente, riconosciuto nella decisione del Consiglio di Stato, investendo il merito della sua pronuncia, non intro duce una questione di giurisdizione che ne consente l'impu

gnazione in Cassazione. (1)

(1) La decisione della V sezione del Consiglio di Stato 21 marzo 1991, n. 315, impugnata con il ricorso disatteso dalle sezioni unite è riassunta in Foro it., Rep. 1991, voci Contratti della p.a., n. 80 e Pubblicità (imposta di), n. 1.

Nello stesso senso, ma con più pertinente ed articolata motivazione sul punto, sez. un. 9 maggio 1983, n. 3145, id., 1983, I, 1792, con nota di richiami; adde, per analoga impostazione, Cass. 14 gennaio 1987, n. 190, id., Rep. 1987, voce Giustizia amministrativa, n. 921 e 19 aprile 1984, n. 2565, id., Rep. 1984, voce Sicilia, n. 70.

Nella parte motiva, corrispondente all'affermazione riassunta in mas sima, la corte si riferisce ripetutamente al regolamento di giurisdizione laddove nella specie vertevasi in tema di ricorso ex art. Ill Cost, e

Il Foro Italiano — 1993.

Fatto e svolgimento del processo. — 1. - La società Vide,

concessionaria del comune di Alessandria per il servizio di ac

certamento e di riscossione dell'imposta comunale sulla pubbli cità e dei diritti sulle pubbliche affissioni, essendo scaduto, alla

data del 31 dicembre 1985, il contratto di concessione ed aven

do conseguito (con delibera in data 23 dicembre 1985 della giunta

comunale) la proroga di un anno sino al 31 dicembre dell'anno

successivo, con istanza del 4 aprile 1986 chiese il rinnovo della

concessione, in applicazione dell'art. 44 d.p.r. 26 ottobre 1972

n. 639.

Alla concessionaria fu comunicato che, in esecuzione della

citata delibera, nell'anno 1986 si sarebbe proceduto ad una gara di appalto; successivamente, con la stessa gara, effettuata il 26

maggio 1987, la concessione venne aggiudicata alla società Gestor.

2. - Il Tar del Piemonte, adito dalla società Vide con due

ricorsi e dall'altra società Igap, con decisione del 18 dicembre

1987 ritenne la società Vide carente di legittimazione attiva per ché priva di un interesse protetto in relazione al diniego di con

ferma della concessione, mentre, in parziale accoglimento degli altri ricorsi, ritenendo non applicabile alla gara de qua la nor

mativa della 1. 14/73 (disciplinante unicamente gli appalti per

opere pubbliche) dispose l'annullamento di tutti gli atti dell'e

sperita licitazione privata. 3. - Il Consiglio di Stato, con decisione del 28 giugno 1990,

pronunciando su ricorsi delle società Gestor e Vide e del comu

ne di Alessandria, in riforma dell'impugnata decisione del Tar

ed in accoglimento del ricorso proposto dalla società Vide, ri

tenne quest'ultima assistita da interesse protetto e, quindi, for

nita di legittimazione in ordine all'impugnativa dei provvedi menti dell'amministrazione comunale che avevano disatteso la

richiesta di rinnovo della concessione; rigettò invece gli altri

ricorsi.

Per quanto interessa in questa sede, osservò il Consiglio di

Stato che erroneamente dal primo giudice era stato configurato nei confronti della società Vide il difetto di legittimazione a

ricorrere a causa dell'asserita mancanza di titolarità di un inte

resse protetto; infatti ai sensi dell'art. 44 d.p.r. 26 ottobre 1972

n. 639 il concessionario può essere confermato a sua istanza

e con apposita deliberazione del consiglio comunale — purché le condizioni contrattuali non siano più onerose per il comune

—; che se di norma il conferimento della concessione avviene

a mezzo di licitazione privata, ai sensi dell'art. 43 del citato

decreto, non di meno il successivo art. 44 attribuisce al conces

sionario in carica la possibilità di essere confermato a discrezio

ne del comune, si che egli è titolare di una posizione di interes

se, differenziato e qualificato e distinto da quello di altri sog

getti, a che l'amministrazione si pronunci, in modo adeguato e motivato, sulla istanza di rinnovo; che sull'istanza della socie tà Vide avrebbe dovuto pronunciarsi il consiglio comunale (non il sindaco), al fine di valutare la ricorrenza delle condizioni pre liminari richieste per la conferma e costituite dall'insussistenza

di condizioni contrattuali più onerose per il comune e dalla pre sentazione dell'istanza del privato entro i sei mesi dalla scaden

za della concessione, laddove nel caso in esame siffatta valuta zione era mancata e da ciò derivava l'interesse a ricorrere della

società Vide, privata, a seguito dell'aggiudicazione in favore della

società Gestor, della possibilità di conferma della concessione.

4. - Ha proposto ricorso per cassazione la società Gestor sul

la base di otto motivi, successivamente illustrati con memoria.

362 c.p.c. avverso decisione del Consiglio di Stato, (ricorso) che, con trariamente a quanto opinato dalle sezioni unite, non si identifica tout court con l'istanza di regolamento. Questa, infatti, come già rilevato da Cass. 20 luglio 1983, n. 4995, id., 1983, I, 2114 e precisato nella nota alla pronuncia da C.M. Barone, non costituendo un mezzo di

impugnazione, non deve necessariamente contenere, a differenza del men zionato ricorso, la specificazione dei motivi, essendo sufficiente, per la rituale configurazione di essa, la sola esposizione dei fatti di causa rilevanti per la decisione.

Ed è appena il caso di aggiungere che le differenze esistenti tra i due rimedi non sono influenzate dal riconoscimento della convertibilità del ricorso ex art. Ill Cost, e 362 c.p.c. in istanza di regolamento, (riconoscimento) operato oltretutto dalle sezioni unite (cons., ad es., sent. 26 gennaio 1988, n. 634, id., 1989, I, 2589, con nota di richiami) avendo riguardo al tipo di questioni sollevate più che alla natura e alla formulazione degli atti utilizzati per proporle.

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