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Sezione I civile; sentenza 20 maggio 1969, n. 1755; Pres. Favara P., Est. Milano, P. M. Toro (concl....

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Sezione I civile; sentenza 20 maggio 1969, n. 1755; Pres. Favara P., Est. Milano, P. M. Toro (concl. conf.); Baraldi (Avv. Bianchi, Guerra) c. Finanze (Avv. dello Stato Salvatori) Source: Il Foro Italiano, Vol. 92, No. 10 (OTTOBRE 1969), pp. 2551/2552-2553/2554 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23158346 . Accessed: 24/06/2014 21:18 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.78.108.40 on Tue, 24 Jun 2014 21:18:41 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: Sezione I civile; sentenza 20 maggio 1969, n. 1755; Pres. Favara P., Est. Milano, P. M. Toro (concl. conf.); Baraldi (Avv. Bianchi, Guerra) c. Finanze (Avv. dello Stato Salvatori)

Sezione I civile; sentenza 20 maggio 1969, n. 1755; Pres. Favara P., Est. Milano, P. M. Toro(concl. conf.); Baraldi (Avv. Bianchi, Guerra) c. Finanze (Avv. dello Stato Salvatori)Source: Il Foro Italiano, Vol. 92, No. 10 (OTTOBRE 1969), pp. 2551/2552-2553/2554Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23158346 .

Accessed: 24/06/2014 21:18

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2551 PARTE PRIMA 2552

semplice e generica declaratoria iuris), e per quanto tale in

dennità formi già oggetto della domanda dell'attuale resi

stente, non è il caso, allo stato, di emettere una pronuncia formale o vincolante attributiva di giurisdizione, non avendo

la pretesa stessa carattere di attualità, in quanto subordinata

e condizionata all'ipotetica mancata riassunzione in servizio

a seguito dell'altrettanto ipotetica ed eventuale dichiarazione

d'illegittimità del licenziamento.

Analoghe considerazioni di inattualità possono farsi sulla

identificazione del giudice avente potestà giurisdizionale a

pronunciarsi sulla domanda di ulteriori e più ampi danni.

In conclusione, deve, quindi, dichiararsi l'appartenenza al

Consiglio di Stato della giurisdizione a pronunciarsi sulla

controversia insorta tra l'I.n.p.s. e il dott. Ciardo. (Omissis) Per questi motivi, dichiara la giurisdizione del Consiglio

di Stato a giudicare sulla controversia tra l'Istituto nazionale

della previdenza sociale e Ciardo Corrado, ecc.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Sezione I civile; sentenza 20 maggio 1969, n. 1755; Pres.

Favara P., Est. Milano, P.M. Toro (conci, conf.); Baraldi

(Avv. Bianchi, Guerra) c. Finanze (Avv. dello Stato

Salvatori).

(Conferma App. Torino 13 maggio 1966)

Termini processuali in materia civile — Sospensione per fe

rie — Effetti (Legge 14 luglio 1965 n. 818, sospensione dei termini processuali nel periodo feriale, art. 1).

Ricchezza mobile — Impresa agricola — Allevamento di ca

valli da corsa promiscuo con altro bestiame — Qualifi

cazione di reddito agrario — Esclusione — Autonoma

tassabilità (Cod. civ., art. 2135; legge 8 giugno 1936 n.

1231, interpretazioni e modificazioni alle leggi sulle imposte

dirette, art. 29, 30; d. pres. 29 gennaio 1958 n. 645, t. u.

sulle imposte dirette, art. 65).

Per effetto della sospensione dei termini processuali, disposta

dall'art. 1 legge 14 luglio 1965 n. 818, il periodo compreso tra il 1° agosto ed il 15 settembre di ogni anno non deve

essere calcolato ai fini della decorrenza dei termini, che,

pertanto, ricominciano a decorrere dal 16 settembre ricon

giungendosi al periodo già maturato al 31 luglio preceden te. (1)

L'attività diretta alla riproduzione ed all'allevamento di ca

valli da corsa, anche se promiscuamente con altro bestia

me, non rientra nell'esercizio normale dell'impresa agricola ed è di per sé produttiva di reddito autonomamente tas

sabile per ricchezza mobile, né rileva, ai fini della discri

minazione tra reddito agrario e reddito industriale, il ca

rattere eventualmente accessorio dell'attività stessa rispet to a quella connessa con il ciclo produttivo dell'impresa

agricola. (2)

(1) Giurisprudenza consolidata: Cass. 12 ottobre 1968, n. 3235, Foro it., Rep. 1968, voce Termini processuali, n. 31; 8 luglio 1968, n. 2346, ibid., n. 18; 17 maggio 1967, n. 1034, id., 1967, I, 1799, con nota di richiami.

(2) In termini, oltre alle sentenze appellata e confermata,

rispettivamente: Trib. Torino, 4 giugno 1965 e App. Torino 13

maggio 1966, che non risultano edite, si veda, C. centrale 26

ottobre 1966, n. 85853, Foro it., Rep. 1967, voce Ricchezza mobile, n. 165.

Per l'applicazione del principio, in fattispecie diverse, cfr.

C. centrale 29 novembre 1967 n. 93486, id., Rep. 1968, voce cit., n. 100, a proposito dell'attività di vivaista, produttiva di reddito tassabile per ricchezza mobile allorquando l'organizzazione azien dale ed i mezzi impiegati superino largamente quelli richiesti dall'esercizio di una normale attività agricola; 14 giugno 1967, n. 91240, ibid., n. 101, relativamente alla compravendita di be

La Corte, ecc. — Svolgimento del processo. — L'ufficio del

le imposte dirette di Volpedo, rilevato che Baraldi Francesco

allevava nella sua tenuta agricola, oltre a vario bestiame, an

che cavalli da corsa, possedendo una decina di fattrici, i cui

puledri venivano venduti in età tra i sei ed i diciotto mesi, riteneva che tale allevamento costituiva un'attività esorbitante

da quella agricola ed accertava, quindi, a suo carico redditi

di categoria B per ricchezza mobile per gli esercizi 1956-57, 1957-58 e 1958-59.

11 Baraldi, affermando che l'allevamento di cavalli da cor

sa doveva ricomprendersi nell'ambito dell'impresa agraria giac ché costituiva un accessorio dell'attività propriamente agraria,

dopo aver adito le commissioni tributarie, conveniva innanzi

al Tribunale di Torino l'amministrazione finanziaria dello Sta

to chiedendo che venisse dichiarata la illegittimità della tas

sazione. Lamentava, inoltre, che per gli stessi esercizi l'ufficio

aveva accertato l'imposta complementare con il metodo in

duttivo sull'erroneo presupposto che egli possedesse redditi di

natura diversa da quella puramente agraria e chiedeva, per

tanto, che anche tale tassazione venisse dichiarata illegittima. In via subordinata deduceva capitoli di prova per testi e chie

deva l'ammissione di una consulenza tecnica in ordine al

l'entità dell'allevamento di cavalli ed alla congruità dell'al

levamento stesso in relazione alle dimensioni dell'azienda.

L'amministrazione finanziaria si costituiva e deduceva che

l'allevamento di cavalli da corsa non rientrava nella normale

attività agraria, sicché era generatore di un reddito autono

mamente tassabile per ricchezza mobile, mentre, per quanto riguardava l'imposta complementare, era legittimo il ricorso

al metodo induttivo fondato su non contestati fatti rilevatori di ricchezza. (Omissis)

Motivi della decisione. — Manifestamente infondata è l'ec

cezione, sollevata dalla resistente amministrazione, di inam

missibilità del ricorso perché proposto oltre il termine di cui

all'art. 325, capov., cod. proc. civ. Si sostiene al riguardo che, essendo stata la denunciata sentenza notificata il 13 giugno 1966, il termine di sessanta giorni, tenuto conto del periodo di

proroga di cui alla legge 14 luglio 1965 n. 818, veniva a sca

dere il successivo 16 settembre, mentre il ricorso è stato no

tificato il 26 settembre e, cioè, tardivamente. Senonché, se

condo l'ormai consolidata giurisprudenza di questa Suprema corte, l'art. 1 legge n. 818 del 1965 non si limita a prorogare sino al 16 settembre di ogni anno i termini processuali « sca

denti » nel periodo compreso tra il 1° agosto ed il 15 settem

bre, ma ha disposto una vera sospensione dei detti termini

durante tale periodo, con la conseguenza che questo periodo non si calcola ai fini della decorrenza del termine, il quale ricomincia a decorrere subito dopo, ricongiungendosi alla par te di essa già maturata prima della sospensione. Nella specie, dunque, i quarantotto giorni trascorsi fino al 31 luglio 1966

vanno sommati ai residui dodici giorni successivi al 15 set

tembre e, perciò, il termine di sessanta giorni veniva a scadere

dopo il 26 settembre 1966, data di notifica del ricorso.

Passando, dopo ciò, all'esame dei primi due motivi del ricorso osservasi che con gli stessi il ricorrente denuncia la

violazione degli art. 2135 cod. civ. e 65 t. u. sulle imposte di

rette, nonché il difetto di motivazione su punti decisivi della

controversia e censura la sentenza impugnata per aver ritenu to che, ai fini di stabilire la natura del reddito derivante dal l'allevamento di cavalli da corsa, dovevasi aver riguardo, non alla disciplina dettata dall'art. 2135 per la definizione dell'im

presa agricola, bensì al concetto di reddito agrario quale è

posto dall'art. 65 t. u. sulle imposte dirette e per avere, di

stiame da parte dell'imprenditore agricolo che però abbia solo in

parte attinenza con la selezione del bestiame stesso per le necessità dell'azienda.

In dottrina, A. Sacristano, Del reddito agrario e suoi limiti, in Nuova riv. trib., 1965, 121.

Sull'applicazione degli stessi criteri interpretativi dell'art. 2135 cod. civ. nel campo del fallimento Cass. 17 maggio 1966, n. 1245, Foro it., 1967, I, 816, con nota di richiami, cui adde Cigarini, in Riv. dir. agr., 1967, I, 544; Bione, in Riv. dir. civ., 1968, I, 537; nonché a proposito dello sfruttamento delle risorse idriche del fondo, Cass. 24 marzo 1969, n. 946, retro, 1102, con nota di richiami.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

conseguenza, escluso che un modesto allevamento di cavalli

da corsa non rientrasse nella normale attività agraria. Premesso che, essendo il reddito agrario quello dell'impren

ditore agricolo, la norma da applicare era quella di diritto

comune, anche perché non è concepibile una diversa disci

plina dello stesso fenomeno giuridico-economico dal punto di

vista civilistico e dal punto di vista tributario, il ricorrente

sostiene che, in base al 2° comma dell'art. 2135, determinate

attività, anche se non tipicamente agrarie, possono essere as

sunte nell'attività agricola, qualora, come nella fattispecie, si

tratti di quelle attività che possono normalmente essere svolte

e divenire accessorie rispetto alla coltivazione del fondo. Ag

giunge che anche applicando la norma fiscale il reddito deri

vante dal suo allevamento da corsa era pur sempre reddito

agrario, in quanto tale attività era svolta nei limiti della po

tenzialità del fondo, e con l'impiego di capitale d'esercizio,

integrandosi nell'allevamento del bestiame e nella utilizzazione

dei prodotti del fondo. Deduce, infine, che in ogni caso la

motivazione della sentenza denunciata appare difettosa in

quanto non giustifica l'affermazione che l'allevamento di po

chi cavalli in rapporto alla potenzialità del fondo non rientrava

nel normale esercizio dell'agricoltura. I due mezzi sono infondati. Esattamente si è ritenuto dalla

corte di merito che, ai fini di accertare se il reddito derivante

al Baraldi dall'attività diretta alla riproduzione ed all'alle

vamento di cavalli da corsa dovevasi far capo, non tanto alla

disciplina dettata dall'art. 2135 cod. civ., quanto al concetto di

reddito agrario fissato dall'art. 65 t. u. delle leggi sulle impo

ste dirette.

È noto invero che la legislazione finanziaria, pure presup

ponendo e ponendo i rapporti di diritto privato a base delle

imposte, segue tuttavia criteri propri al diritto tributario, qua

lificandone gli effetti in conformità a tali criteri, talvolta in

difformità dei principi di diritto privato che li reggono e,

attesa l'autonomia strutturale e funzionale del diritto tribu

tario, è evidente che, in caso di difformità tra la norma fiscale

e quella di diritto privato, la prima deve avere la prevalenza

(Cass., Sez. un., 31 gennaio 1958, n. 282, Foro it., 1958, I,

1109).

Peraltro, neppure sembra a questa corte che tra l'art. 2135,

che definisce l'oggetto dell'impresa agricola, e l'art. 65 del ci

tato testo unico, che definisce il reddito agrario come base per

l'imposta omonima, vi sia sostanziale contrasto.

La norma fiscale, pure richiamandosi infatti agli art. 29 e

30 legge 8 giugno 1936 n. 1231 ed agli art. 4 e 7 r. decreto 4

aprile 1939 n. 589, riproduce nella lettera e nello spirito la nor

ma di diritto civile dettata in materia di impresa agricola, in

quanto, al pari della suddetta disposizione, dopo aver indi

cato le tre attività agrarie per intrinseca natura (coltivazione

del fondo, silvicoltura ed allevamento del bestiame), riconosce

legislativamente che, per delimitare il campo di applicazione

dell'imposta sul reddito agrario rispetto a quello dell'imposta

di ricchezza mobile, cui è assoggettato il reddito derivante

dall'industria, è sempre al concetto del normale ciclo pro duttivo agrario che si deve ricorrere.

Vero è che la norma di diritto privato stabilisce che deb

bono considerarsi agricole « le attività dirette alla trasforma

zione o all'alienazione dei prodotti agricoli, quando rientrano

nell'esercizio normale dell'agricoltura », mentre la legge fi

scale usa la diversa dizione « normale esercizio dell'impresa

agricola secondo la tecnica che lo governa », onde si è rite

nuto che il legislatore fiscale con il richiamo alla tecnica agra ria intende il criterio del normale esercizio dell'impresa agra

ria, non tanto con riferimento all 'id quod plerumque accidit,

bensì nel senso di ritenere il normale ciclo agrario compren

sivo di tutte le possibli tecniche anche le più progredite.

Ma, mentre tale diversità di dizione non assume rilevanza

per la risoluzione della controversia, è in ogni caso certo che

il legislatore, con entrambe le norme, ha inteso fornire dei

principi non rigidi per la discriminazione dell'attività agri

cola da quella industriale in modo da consentire l'accogli

mento di quelle modificazioni che, in un prosieguo di tempo,

si sarebbero necessariamente verificate nella realtà, come è al

II Foro Italiano — Volume XCII — Parte I-162.

trettanto certo che il criterio della normalità dell'esercizio del

l'impresa agricola è il solo e valido criterio per determinare

se determinate attività, che non siano quelle definite agrarie dalla stessa norma di legge, rientrino o meno nell'ambito del

l'impresa agraria e debbano essere, quindi, assoggettate al

l'imposta sui redditi agrari, a prescindere da ogni altra consi derazione e, in particolare, a prescindere dalla considera zione che le attività stesse possono ritenersi prevalenti o ac cessorie ovvero necessarie rispetto alla coltivazione della terra.

Ed a tale criterio si è appunto attenuta la corte di merito al fine di escludere che l'attività diretta alla riproduzione ed all'allevamento di cavalli da corsa appartenga all'esercizio nor male dell'impresa agricola e sia da considerarsi atta a produrre un reddito di natura agraria. Ha, infatti, esattamente osservato la corte che per esercitare un'attività del genere non sono certo sufficienti le normali cognizioni del comune agricoltore, ma è necessario un complesso di specifiche conoscenze tecniche in un campo che esula del tutto da quello propriamente agricolo. Ha, inoltre, del pari esattamente rilevato che il Baraldi non soltanto allevava e vendeva cavalli da corsa, ma riusciva anche a percepire ingenti premi nelle gare di corsa alle quali parte cipavano i cavalli da lui allevati, deducendone che il risultato economico di quella attività era dovuto a fattori in gran parte estranei al normale esercizio dell'impresa agraria.

Questo giudizio di merito, fondato su un esatto concetto del « normale » esercizio della impresa agraria e sorretto da

motivazione ineccepibile sotto il profilo logico-giuridico, si sot trae ad ogni censura. In particolare non può rimproverarsi alla corte di merito di non aver preso in adeguata considera zione la circostanza che, nella specie, si sarebbe trattato di un allevamento di poco conto, svolto in un'azienda agraria pro miscuamente ad altro bestiame con l'impiego della stessa ma no d'opera, per cui esso si presentava come una attività ac cessoria rispetto a quella principale e prevalente della coltiva zione della terra.

L'inconsistenza di tale assunto del ricorrente (per altro non

corrispondente agli accertamenti di merito) si evince facil

mente osservando che, come si è già accennato, il criterio

dell'accessorietà, non soltanto è stato respinto dal nostro legi slatore quale criterio discriminatore tra il reddito agrario e

quello industriale, ma è anche in netta contraddizione con il

criterio della normalità dell'esercizio dell'impresa agraria, trat

tandosi di un criterio di differenziazione strettamente sogget tivo, in quanto con esso si classifica un'attività in rapporto ad

altra o ad altre attività del soggetto, mentre il criterio della

normalità del ciclo produttivo è un criterio oggettivo, giacché con esso l'attività del soggetto viene classificata sulle possibili tecniche di una impresa agraria in relazione alla specifica atti

vità presa in considerazione.

Bene a ragione, pertanto, la corte di merito ha anche consi

derato irrilevanti le circostanze dedotte a prova dal ricor

rente concernenti l'entità dell'allevamento dei cavalli da corsa

e la congruità dell'allevamento stesso in relazione alle dimen

sioni del fondo giacché, una volta venuto a mancare il pre

supposto qualificativo del reddito, la « potenzialità » e la ca

pienza produttiva del fondo perdevano totalmente la funzione

di metro di discriminazione tra il reddito agrario e quello in

dustriale e si manifestavano, nel quadro economico dell'atti

vità industriale e commerciale del Baraldi, quali risparmi nei

costi di esercizio.

I primi due motivi del ricorso vanno, pertanto, rigettati.

(Omissis) Per questi motivi, rigetta, ecc.

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