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sezione I civile; sentenza 21 marzo 2000, n. 3312; Pres. Sensale, Est. Criscuolo, P.M. Gambardella...

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Page 1: sezione I civile; sentenza 21 marzo 2000, n. 3312; Pres. Sensale, Est. Criscuolo, P.M. Gambardella (concl. conf.); Bignami (Avv. Pellicciari, Roda) c. Soc. O.c.m. - Officine costruzioni

sezione I civile; sentenza 21 marzo 2000, n. 3312; Pres. Sensale, Est. Criscuolo, P.M. Gambardella(concl. conf.); Bignami (Avv. Pellicciari, Roda) c. Soc. O.c.m. - Officine costruzioni meccaniche(Avv. Punzi, Panzarini). Conferma App. Milano 28 novembre 1997Source: Il Foro Italiano, Vol. 124, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 2001), pp. 2329/2330-2339/2340Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23196117 .

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

lo stato d'insolvenza sia stato determinato da un suo comporta mento improntato a mala fede in quanto contrario al dovere di

cooperare alla realizzazione degli interessi della controparte (Cass. 3775/94, id., 1995, I, 1296), il cui affidamento rappre senta certamente una situazione giuridica da tutelare.

Non v'è alcun motivo infatti, attesa la peculiarità in tal caso

della fattispecie per mancanza di altri creditori da tutelare, per non impedire che egli si sottragga impunemente ai doveri di

lealtà e di probità che gli competono come parte contrattuale e

per non utilizzare gli strumenti giuridici idonei ad evitare la

realizzazione di quegli effetti.

Orbene nel caso in esame, essendo la Banca popolare di Mi

lano, che ha dato origine alla procedura, l'unica creditrice, non

avrebbe potuto esimersi la corte d'appello, come invece ha fat

to, dal valutare se il suo ingiustificato ed arbitrario rifiuto a con

sentire al frazionamento del mutuo ed a rendere così possibile, con la vendita degli appartamenti, il conseguimento della neces

saria liquidità sia da porsi in rapporto di causalità con lo stato

d'insolvenza e, in caso affermativo, (non avrebbe potuto esi

mersi) dall'escludere, a tutela della buona fede, tale stato e gli effetti che esso di regola comporta a tutela del creditore.

L'accoglimento del terzo motivo determina all'evidenza l'as

sorbimento dei primi due, riguardanti rispettivamente la man

cata valutazione da parte della corte d'appello del difetto di

motivazione in cui sarebbe incorsa la sentenza del tribunale in

ordine agli elementi dimostrativi dello stato d'insolvenza non

ché il mancato esame del rilevante valore del patrimonio della

società, ritenuto superiore all'ammontare del credito.

L'impugnata sentenza deve essere pertanto cassata in relazio

ne al motivo accolto con rinvio, anche per le spese, ad altra se

zione della Corte d'appello di Roma che accerterà nel merito se

sussista il necessario nesso di causalità fra il rifiuto della banca

al frazionamento del mutuo, che costituisce inadempimento agli

obblighi di correttezza, e lo stato d'insolvenza che si sarebbe

venuto a determinare, revocando, in caso positivo, la dichiara

zione di fallimento.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 21 mar

zo 2000, n. 3312; Pres. Sensale, Est. Criscuolo, P.M. Gam

bardella (conci, conf.); Bignami (Avv. Pellicciare Roda) c. Soc. O.c.m. - Officine costruzioni meccaniche (Avv. Punzi,

Panzarini). Conferma App. Milano 28 novembre 1997.

Società — Società a responsabilità limitata — Amministra tori — Nomina a tempo indeterminato — Legittimità

(Cod. civ., art. 1725, 2383, 2487). Società — Società di capitali — Assemblea — Conflitto di

interessi — Estremi — Fattispecie (Cod. civ., art. 2373).

Nella società a responsabilità limitata è consentita la nomina di

amministratori a tempo indeterminato. (1)

(1) Con la sentenza in epigrafe, che può leggersi anche in Giust. civ., 2000,1, 1953, con nota critica di G. Vidiri, Art. 1725, 2° comma, c.c. e

revoca dell'amministratore di società a responsabilità limitata: un (di

scutibile) ricorso all'analogia, la Corte di cassazione si pronuncia in

merito alla nomina degli amministratori di società a responsabilità li

mitata, fissando il principio secondo cui questa può essere fatta per un

periodo di tempo superiore al triennio (al contrario di quanto invece

previsto per le società azionarie dal 2° comma dell'art. 2383 c.c.) ed

anche a tempo indeterminato. L'affermazione essenzialmente si fonda

su un argomento di carattere testuale, e cioè sul rilievo che il 2° comma

dell'art. 2487 c.c., nel disciplinare il funzionamento dell'organo ammi

nistrativo della società a responsabilità limitata mediante rinvio alle

norme in tema di società per azioni, non richiama anche la citata dispo sizione dell'art. 2383 c.c.; nel che la corte ravvisa il «significato ine

quivoco» della scelta del legislatore di non imporre un termine di du

rata per la nomina di amministratori anche nelle società a responsabilità limitata.

La conclusione cui la Corte di cassazione è pervenuta trova sostan

ziale accordo in dottrina: cfr. G. Santini, Società a responsabilità li

mitata, in Commentario Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1992, 231;

Il Foro Italiano — 2001

Non è annullabile per conflitto di interessi la deliberazione as sembleare di una società di capitali di nomina di ammini stratore e determinazione del relativo compenso assunta con il voto determinante dell'amministratore stesso, se non ne ri sulti altresì pregiudicato l'interesse sociale. (2)

G. Zanarone, Le altre società di capitali, in AA.VV., Diritto commer

ciale, Bologna, 1999, 384 (che ha modo di segnalare come gli ammini stratori si trovino così in una posizione di forte stabilità rispetto «a

quella goduta dai loro colleghi di s.p.a.»); G.C.M. Rivolta, La società a responsabilità limitata, in Trattato di diritto civile e commerciale di retto da A. Cicu e F. Messineo, Milano, 1982, 315; L.F. Paolucci, Le società a responsabilità limitata, in Trattato di diritto privato diretto da P. Rescigno, Torino, 1994, XVII, 292; G.F. Campobasso, Diritto com merciale. 2. Diritto delle società, Torino, 2000, 524; P.G. Jaeger-F.

Denozza, Appunti di diritto commerciale, Milano, 2000, 537; G. Coto

no, Le società, Padova, 1999, I, 2, 605; F. Ferrara jr.-F. Corsi, Gli im

prenditori e le società, Milano, 2001, 803; F. Di Sabato, Manuale delle

società, Torino, 1999, 409. Contra, tuttavia, F. Galgano, Diritto civile e commerciale, Padova, 1999, III, 2, 484; Id., Diritto commerciale. Le

società, Bologna, 1997, 411, a giudizio del quale la temporaneità della nomina sarebbe comunque necessaria per consentire all'assemblea la verifica dei risultati dell'amministrazione e di valutare se mantenere o meno in carica l'organo di indirizzo.

Alla suindicata conclusione — secondo la sentenza in rassegna —

neppure si contrappongono valide obiezioni di ordine sistematico. In

particolare, la possibilità che gli amministratori di società a responsa bilità limitata siano nominati anche a tempo indeterminato non trova ostacolo nella disciplina della loro revoca e nel rilievo che, secondo

quanto disposto dal 3° comma del citato art. 2383 c.c., la società reste rebbe così esposta all'alternativa tra il tenersi indefinitamente l'ammi nistratore «indesiderato» o corrispondergli il risarcimento dei danni in

ipotesi di revoca senza giusta causa. Quando la nomina dell'ammini stratore sia stata a tempo indeterminato, infatti, l'eventuale futura revo ca sarà disciplinata — a giudizio della Suprema corte — dalla disposi zione dettata dall'art. 1725 c.c. in tema di mandato a tempo indetermi

nato, e sarà quindi consentito procedere alla revoca dell'amministratore anche in difetto di giusta causa, purché con congruo preavviso. Occorre

però segnalare che su quest'ultimo punto la dottrina è divisa. Il 3° comma del citato art. 2383 c.c. (a differenza del 2°) è infatti espressa mente richiamato dall'art. 2487 c.c. in tema di società a responsabilità limitata, e v'è quindi chi ritiene di doversi conformare a tale argomento testuale, anche se ciò comporta che la società non possa procedere alla revoca dell'amministratore in difetto di giusta causa. Altri, invece, vede in ciò un'inaccettabile forzatura al normale operare dei meccanismi so

cietari, e ricerca soluzioni alternative del genere di quelle indicate dalla sentenza in epigrafe. Nella prima linea di pensiero sembrano porsi G.

Bianchi, Gli amministratori di società di capitali, Padova, 1998, 79; G.F. Campobasso, op. cit., 524 e G.C.M. Rivolta, op. cit., 315, il quale, criticando la posizione di chi ritiene — in ossequio ai principi generali — che la durata indefinita del rapporto escluda la necessità della giusta causa, sottolinea come la disciplina della revoca degli amministratori di società in accomandita per azioni (che per legge devono considerarsi a

tempo indeterminato) preveda il risarcimento del danno a favore di amministratori revocati senza giusta causa (nello stesso senso, G. Vidi

ri, op. cit.). La seconda linea di pensiero ipotizza il ricorso in via ana

logica alle disposizioni dettate in tema di mandato, ed in particolare al l'art. 1725, 2° comma, c.c.: reputa quindi che l'obbligo di risarcimento a favore dell'amministratore-mandatario a tempo indeterminato, revo cato in assenza di giusta causa, debba essere escluso se la revoca è at

tuata con congruo preavviso: in tal senso, F. Ferrara jr.-F. Corsi, op. cit., 803, e F. Dì Sabato, op. cit., 409; G. Santini, op. cit., 232, nota 5

(secondo cui «si può ritenere, peraltro, che la durata indefinita del rap porto escluda la necessità della giusta causa, essendo principio generale d'ordine pubblico [...] che nessuno sia obbligato a rimanere vincolato in perpetuo ad un rapporto obbligatorio»). Pesano tuttavia su questo orientamento le perplessità di chi segnala da un lato le difficoltà inter

pretative relative alla determinazione della «congruità» del preavviso, dall'altro come la natura organica del rapporto di amministrazione ren da quanto meno dubbia l'applicazione analogica delle norme sul man

dato. Donde la conclusione di G.C.M. Rivolta, op. cit., 315, a giudizio del quale, se analogia vi deve essere, essa deve avere piuttosto ad og

getto le citate disposizioni in tema di società in accomandita per azioni. In giurisprudenza, non sono molte le pronunce che hanno espressa

mente affrontato il tema della nomina a tempo indeterminato degli am

ministratori di società a responsabilità limitata: oltre alla decisione di

merito poi confermata dalla Cassazione (App. Milano 28 novembre

1997, Foro it., Rep. 1998, voce Società, n. 775, e Giur. it., 1998, 1201),

v., nel medesimo senso, Cass. 7 settembre 1999, n. 9482, Foro it., Rep. 1999, voce cit., n. 1006 (per esteso, Società, 2000, 436, con nota di A.

Marcinkiewicz; Giur. it., 2000, 329, e Giust. civ., 2000, I, 767). V. an

che Trib. Verona 24 aprile 1986, Foro it., Rep. 1986, voce cit., n. 592

(per esteso, Società, 1986, 1130), che ha ritenuto omologabile l'atto co

stitutivo di una società a responsabilità limitata in cui era prevista la

possibilità di revocare immotivatamente gli amministratori senza risar

cimento del danno.

(2) I. - La Suprema corte, affrontando la questione dell'eventuale

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PARTE PRIMA 2332

Svolgimento del processo. — Nel febbraio del 1992 il sig. Re

nato Bignami, socio della O.c.m. - Officine costruzioni mecca niche s.r.l., convenne in giudizio davanti al Tribunale di Milano

la detta società, chiedendo che fosse dichiarata la nullità, o co

munque fosse pronunziato l'annullamento, delle deliberazione

dell'assemblea in data 26 luglio e 6 novembre 1991, con le

quali i soci Ezio e Marco Bignami erano stati nominati ammini

stratori e mantenuti in carica «sino a dimissioni o revoca».

L'attore sostenne che la mancata predeterminazione della durata

dell'incarico (approvata, tra l'altro, con il decisivo voto dei no

minati, in conflitto d'interessi con la società) contravveniva sia

all'art. 17 dello statuto («La società è amministrata da . . . per la

conflitto di interessi nel comportamento del socio che voti a favore della propria nomina ad amministratore della società, conferma un orientamento consolidato in tema di società per azioni (applicabile a

fortiori alle società a responsabilità limitata, in ragione della «naturale»

corrispondenza tra la qualifica di amministratore e quella di socio, ex

art. 2487, 1° comma, c.c.), e ribadisce che l'esistenza del conflitto di interessi è ravvisabile solo nelle ipotesi in cui il perseguimento del l'interesse personale del socio votante sia causa di pregiudizio per la società. Quindi, il socio è libero di perseguire — attraverso l'espressio ne del voto — anche un interesse individuale, ma solo fino al punto in cui questo non incida negativamente sull'interesse sociale. Nel mede simo senso, cfr. Cass. 21 dicembre 1994, n. 11017, Foro it., Rep. 1994, voce Società, n. 524; 4 maggio 1991, n. 4927, id., Rep. 1991, voce cit., n. 439 (per esteso, Giur. comm.. 1991, II, 887, con nota di D. Preite);

App. Milano 10 giugno 1994, Foro it., Rep. 1995, voce cit., n. 601 (per esteso, Società, 1995, 189); Trib. Milano 28 gennaio 1998, Foro it.,

Rep. 1998, voce cit., n. 834 (per esteso, Società, 1998, 946, con nota di L. Picone); 12 maggio 1994, Foro it., Rep. 1994, voce cit., n. 525 (per esteso, Giur. comm., 1995, II, 237, con nota di A. Daccò, Amministra tore giudiziario: poteri ed interesse perseguito. Eventuale conflitto di interessi tra società e socio); Trib. Trani 27 settembre 2000, Società, 2001, 71, con nota di M. Cupido. In argomento, v. anche Cass. 23 mar zo 1996, n. 2562, Foro it., 1997, I, 1933, con nota di richiami, e la più recente 11 dicembre 2000, n. 15599, id., 2001, I, 1932, con nota di L.

Nazzicone, nella cui motivazione è espressamente ripreso il principio enunciato dalla sentenza in rassegna.

L'indicato orientamento della giurisprudenza evidentemente presup pone che sia possibile identificare di volta in volta un interesse sociale ben distinto da quello individuale di ciascun socio (distinzione netta mente sottolineata anche da Cass. 27 luglio 1994, n. 7030, id., Rep. 1995, voce cit., n. 862, e Giur. comm., 1997, II, 99, con nota di F. Ca

milletti, Convenzioni di voto e conflitto di interessi, e Nuova giur. civ., 1996, I, 95, con nota di M. Balzano, Sulla validità di accordi paraso ciali di voto). La questione relativa all'individuazione dell'interesse so ciale è però, in dottrina, del tutto aperta. Per un esame dell'ormai risa lente dibattito tra teorie «istituzionaliste» e «contrattualiste», nella de finizione del significato di interesse sociale, v., per tutti, D. Preite, Abuso di maggioranza e conflitto di interessi del socio nelle società per azioni, in Trattato delle società per azioni diretto da G.E. Colombo e G.B. Portale, Torino, 1993, 3**, 8 ss.; da ultimo, P.G. Jaeger, L'inte resse sociale rivisitato (quarant'anni dopo), in Giur. comm., 2000, I, 795. Per un accenno alle conseguenze che tali diverse impostazioni esplicano sulla possibilità di configurare una situazione di conflitto, G.

Zanarone, L'assemblea, in AA.VV. Diritto commerciale, Bologna, 1999, 253.

Sulla diversa configurazione del conflitto di interessi tra socio e so

cietà, come sopra definito, da un lato, ed il conflitto di interessi tra soci

(maggioritari e minoritari), che può determinare l'annullamento della deliberazione assembleare per vizio di eccesso di potere, dall'altro, v., invece, da ultimo, Trib. Como 1° giugno 2000, Foro it., 2001, I, 1396, alla cui nota redazionale si rinvia per ulteriori riferimenti.

II. - Sulla possibilità che un socio voti a favore della propria nomina alla carica di amministratore, v., per tutti, F. Bonelli, Gli amministra tori di società per azioni, Milano, 1985, 54; D. Preite, op. cit., 163, e G. Bianchi, Gli amministratori di società di capitali, Padova, 1998, 138

(con ampia rassegna di giurisprudenza); e, in giurisprudenza, Trib. Mi lano 29 giugno 1992, Foro it.. Rep. 1993, voce cit., n. 571 (per esteso, Giur.it., 1993,1,2,234).

Anche con riguardo alle deliberazioni concernenti la determinazione del compenso dell'amministratore, assunte con il voto determinante del medesimo socio-amministratore, la giurisprudenza nega che la situa zione di conflitto possa ritenersi esistente a priori, dovendo invece es sere valutata caso per caso e ravvisata nelle sole ipotesi in cui la deter minazione del compenso risulti irragionevole o sproporzionata: App. Milano 18 dicembre 1990, Foro it., Rep. 1991, voce cit., n. 562, e Giur.

it., 1991,1, 2, 793, con nota di R. Weigmann; 5 gennaio 1996, id., Rep. 1996, voce cit., n. 557, e Giur. it., 1996, I, 2, 739; 8 novembre 1996, Foro it., Rep. 1997, voce cit., n. 579, e Società, 1997, 547, con nota di B. Ianniello. In senso critico, sottolineando l'inopportunità di ogni ge neralizzazione, v. anche G. Bianchi, op. cit., 138, che ha elaborato indi ci in base ai quali valutare caso per caso l'esistenza di un danno per la società. [M. Bragantini]

Il Foro Italiano — 2001.

durata che l'assemblea stessa determinerà di volta in volta»), sia

alla regola di legge derivante dal combinato disposto degli art.

2383, 2385 e 2487 c.c. La convenuta contestò gli argomenti di controparte, deducen

do che la prima delibera era stata approvata anche dall'impu

gnante, e chiese il rigetto della domanda.

Il tribunale adito, ritenuto che la norma statutaria non esclu

deva la possibilità d'indicare una durata indefinita e che il man

cato richiamo, per le società a responsabilità limitata, della re

gola di cui al 2° comma dell'art. 2383 c.c. consentiva che la du

rata dell'incarico ad amministrare tali società potesse essere in

determinata, escluso ogni conflitto d'interessi tra soci-ammi

nistratori e società, respinse le impugnazioni. Il Bignami propose appello, ribadendo gli argomenti di diritto

già sottoposti al primo giudice e denunciando lo svuotamento

dei poteri dell'assemblea e la violazione di principi di ordine

pubblico, derivanti dall'affermazione della regola contestata.

La società si costituì per resistere al gravame, del quale chie

se il rigetto. La Corte d'appello di Milano, con sentenza 3335/97 deposi

tata il 28 novembre 1997 (Foro it., Rep. 1998, voce Società, nn.

774, 775) rigettò l'appello e condannò l'appellante al paga mento delle spese del grado, considerando:

che la legge non vieta alle società a responsabilità limitata di

nominare amministratori a tempo indeterminato, come dimostra

il non casuale (ed altrimenti incomprensibile) mancato richiamo

del solo 2° comma dell'art. 2383 c.c. da parte dell'art. 2487

stesso codice; che non è rilevante in senso contrario il richiamo dell'intero

art. 2385, essendo evidente che la disciplina ivi prevista in caso

di cessazione degli amministratori per scadenza del termine si

applica soltanto quando quel caso si verifichi, cioè quando un

termine sia stato previsto; che con tale interpretazione non rimane svuotata la sovranità

dell'assemblea, in quanto questa può sempre revocare gli am

ministratori in carica, prescindendo dalla durata del loro man

dato;

che, per costante orientamento della giurisprudenza, non sus

siste conflitto d'interessi quando il socio voti per la propria no

mina ad amministratore (ovvero in tema di durata o di compen so), essendo necessario dimostrare in concreto, nel singolo caso, che la deliberazione approvata in potenziale conflitto sia danno

sa per la società, mentre nel caso di specie non si era neppure

allegato che alla società convenisse avere amministratori a sca

denza predeterminata; che meno evidente, invece, era la conformità delle delibera

zioni impugnate alla ricordata norma statutaria, la quale impo neva all'assemblea di «determinare» la durata dell'incarico al

l'atto della nomina (o della conferma) degli amministratori; che il tenore della disposizione statutaria non dirimeva ogni

controversia interpretativa, potendosi sostenere, da un lato, che

essa sarebbe priva di senso se fosse consentito anche di non de

terminare la durata, come avviene in concreto quando si preveda la fine dell'incarico in relazione ad eventi (come le dimissioni o

la revoca) incerti sia nell'an che nel quando, ma potendosi af

fermare, dall'altro, che prevedere la durata dell'incarico di am

ministratore fino a dimissioni o revoca significa pur sempre

prevedere, cioè «determinare» una durata, ancorché «a tempo indefinito», e che ciò sia sufficiente a realizzare la ratio della

norma statutaria, diretta semplicemente a vietare l'incertezza in

tema di durata del rapporto e contenente, per il resto, una riserva

deliberativa a favore dell'assemblea; che nell'interpretazione della disposizione statutaria, dunque,

dovevano soccorrere i criteri di cui all'art. 1362 c.c., ed era allo

ra indubbio che la comune intenzione delle parti, resa esplicita dalla successiva condotta dei contraenti, fosse nel senso della

seconda opzione ermeneutica, essendo incontestato che già in

precedenza altri amministratori — e lo stesso Renato Bignami — erano stati nominati, con unanime consenso, a tempo indefi

nito;

che, del resto, la stessa approvazione da parte dell'appellante della prima delibera di nomina, poi impugnata, costituiva indice

univoco di quella corrente interpretazione, comune a tutti i soci, della norma statutaria, sicché anche sotto questo terzo profilo le

delibere impugnate andavano ritenute valide, mentre non era

dato comprendere quale fosse il principio di ordine pubblico in

ipotesi violato dalla disciplina societaria così affermata.

Contro la suddetta sentenza il signor Renato Bignami ha pro posto ricorso per cassazione, affidato a sette motivi illustrati con memoria.

La società O.c.m. a r.l., in persona del presidente Ezio Bi

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

gnami, resiste con controricorso ed a sua volta ha depositato memoria.

Motivi della decisione. — Con il primo mezzo di cassazione il ricorrente denunzia, in relazione al 2° comma dell'art. 2283

c.c., violazione e falsa applicazione dell'art. 2385 c.c., richia mato dall'art. 2487 stesso codice (art. 360, 1° comma, n. 3,

c.p.c.); ciò in quanto verrebbe erroneamente attribuita al man cato richiamo del 2° comma dell'art. 2383 c.c. la possibilità di effettuare nomine a tempo indeterminato di amministratori di società a responsabilità limitata.

In base al senso letterale del 2° comma dell'art. 2383 c.c. non si riscontrerebbe alcun elemento certo, tale da indurre a sostene re che la norma ivi enunciata imponga la statuizione di una data nelle società per azioni.

Il significato del detto comma, quindi, non potrebbe essere

interpretato se non come un completamento dell'art. 2385, 2°

comma, c.c., se si voglia conseguire la certezza che è esclusa dal legislatore la nomina a tempo indeterminato nelle società

per azioni.

Soltanto nel suddetto comma, infatti, verrebbe imposto un

«termine», ovvero una data, alla durata in carica dell'organo amministrativo.

La sentenza impugnata avrebbe dichiarato essere «altrimenti

incomprensibile ... il mancato richiamo» del 2° comma dell'art. 2383 da parte dell'art. 2487 c.c., se non per rendere ammissibi

le, soltanto nelle s.r.l., la nomina a tempo indeterminato. Ma a tale argomento si sarebbe data la seguente, chiara e non consi derata spiegazione: nelle s.r.l. il legislatore avrebbe inteso con sentire un periodo di durata in carica degli amministratori anche

superiore al triennio, ma, stante il richiamo integrale dell'art. 2385 c.c. e, in particolare, del 2° comma, sempre determinato da una scadenza temporale.

La corte d'appello avrebbe poi rilevato che l'espresso richia mo del 2° comma dell'art. 2385 c.c. non comporterebbe per le s.r.l. l'obbligo di determinare una data di scadenza del mandato

degli amministratori, bensì una mera possibilità applicabile sol tanto nel caso in cui sia stato facoltativamente previsto un ter mine.

Ma, se così fosse, anche il 1° e il 3° comma potrebbero essere

discrezionalmente applicati, portando all'integrale esclusione dell'art. 2385 per le s.r.l.

In tal guisa argomentando, poi, la stessa norma contenuta nel 2° comma dell'art. 2383 c.c. potrebbe restare inapplicata anche dalle s.p.a., essendo infatti sufficiente non nominare mai ammi

nistratori.

L'erroneità della motivazione sarebbe dunque palese, come la

violazione e falsa applicazione dell'art. 2385 c.c.

In sostanza, l'illegittimità della nomina a tempo indetermi

nato dell'organo amministrativo in una società per azioni non

deriverebbe dal 2° comma dell'art. 2383 c.c. bensì dal 2° com ma dell'art. 2385 c.c.

Del resto, non avrebbe senso effettuare la medesima imposi zione da parte di due diverse norme e neppure sarebbe logico che l'indicata «scadenza del termine» non evocasse la sua pur subordinata obbligatorietà.

Pertanto l'eventualità che non sia apposta una data di scaden

za del mandato degli amministratori sarebbe esclusa dal legis latore in entrambe le società di capitali e la possibilità che la cessazione del consiglio di amministrazione avvenga per sca denza del termine non sarebbe rimessa ad una facoltà assem

bleare bensì al verificarsi di altri fatti contingenti, richiamati nel

1° e 3° comma dell'art. 2385 c.c.

Ciò costituirebbe la dimostrazione che, in una delibera di no mina di amministratori, la statuizione della data di cessazione de

gli stessi sarebbe scelta obbligata soltanto per le s.r.l. e non anche

per le s.p.a., per le quali il contenuto del 2° comma dell'art. 2383

c.c., in assenza della deliberazione di un termine inferiore, circo

scriverebbe a tre anni il periodo massimo del mandato.

Il motivo non ha fondamento.

Per la corretta soluzione della questione in esame il primo pa rametro normativo di riferimento è costituito dall'art. 2383 c.c.

e non dal successivo art. 2385, come opina il ricorrente. Infatti, è l'art. 2383 che disciplina la nomina e la revoca degli ammini

stratori, stabilendo (tra l'altro) la durata dell'incarico, che è

previsione (quando sia contemplata) necessariamente connessa

col momento iniziale dell'incarico medesimo.

Orbene, l'art. 2383 c.c. (dettato nella disciplina delle società

per azioni) dispone nel 2° comma che «la nomina degli ammini

stratori non può essere fatta per un periodo superiore a tre an

ni».

Afferma il ricorrente che, stando al suo senso letterale «non si

Il Foro Italiano — 2001.

riscontra alcun elemento certo che induca a sostenere che la norma ivi enunciata imponga la statuizione di una data nelle so cietà per azioni»; e che il menzionato precetto normativo «non

impone alcun termine ma, unicamente, circoscrive un periodo che, di per sé, permane indefinito». Il tutto finalizzato a sostene re che il detto 2° comma dell'art. 2383 c.c. sarebbe soltanto un

completamento dell'art. 2385, 2° comma, c.c., norma nella

quale sarebbe contenuto l'effettivo divieto di nomina degli am ministratori a tempo indeterminato nelle società per azioni.

Questa prospettazione non può essere sotto alcun profilo con

divisa, perché si rivela in contrasto con la legge. L'art. 2383, 2° comma, c.c. contiene un termine chiarissimo

per la durata in carica degli amministratori, la cui nomina «non

può essere fatta per un periodo superiore a tre anni». Il precetto, dunque, non si limita a «circoscrivere» un periodo ma impone una durata massima (salva la rielezione, ove l'atto costitutivo lo consenta: art. 2383, 3° comma, c.c.). Gli amministratori possono essere nominati per un tempo inferiore ma non per un tempo ec cedente il triennio. Al limite, per il caso — nella pratica impro babile — che all'atto della nomina non sia prefissato alcun ter

mine, può ritenersi che alla carenza supplisca la predetermina zione legale di esso, sicché la nomina s'intende effettuata per un

triennio. Ma non è possibile, in presenza dell'inequivoco dettato

normativo, affermare che la fonte dell'obbligo, per l'assemblea delle società per azioni, di nominare gli amministratori (art. 2364, 1° comma, n. 2, c.c.) fissandone la durata in un periodo non superiore a tre anni, non si trovi nell'art. 2383, 2° comma, c.c., quando proprio detta norma impone espressamente quel termine (come massimo), con l'ovvia implicazione che nelle so

cietà per azioni la nomina degli amministratori non può essere fatta a tempo indeterminato.

L'art. 2385, 2° comma, c.c. — stabilendo che la cessazione

degli amministratori per scadenza del termine ha effetto dal momento in cui il consiglio di amministrazione è stato ricosti

tuito —- non intende certo imporre un termine alla nomina, come

si evince dal semplice rilievo che di quel termine non indica

neppure la durata (e, del resto, in base all'efficace notazione dello stesso ricorrente non avrebbe senso effettuare la medesima

imposizione da parte di due diverse norme). Esso, invece, è di retto a disciplinare gli effetti, sulla posizione degli amministra

tori, della scadenza del termine già fissato dall'art. 2383, 2°

comma, c.c., tant'è che prevede la proroga dei poteri fino al

momento in cui il consiglio di amministrazione è stato ricosti

tuito.

Se questa è la corretta interpretazione delle due norme citate

(e il dettato normativo davvero non sembra consentire scelte

ermeneutiche diverse) la conclusione cui sul punto è pervenuta la sentenza impugnata merita senz'altro di essere condivisa. In

fatti, essendo imposto il termine dall'art. 2383, 2° comma, il

mancato richiamo di detta norma da parte dell'art. 2487 c.c. in

tema di società a responsabilità limitata assume un significato inequivoco: in questo tipo di società il legislatore non ha inteso

imporre un termine di durata per la nomina degli amministrato

ri, sicché tale nomina può essere fatta per un periodo superiore al triennio o anche a tempo indeterminato (in tal senso appare orientata la prevalente dottrina e, in giurisprudenza, Cass. 7

settembre 1999, n. 9482, in motivazione, id., Rep. 1999, voce

cit., n. 1006). E si noti, a conforto di quanto ora detto, che non si tratta di

valorizzare semplicemente un dato letterale, perché la tecnica

normativa adottata pone bene in luce l'intenzione del legislato re. Invero, l'art. 2487, 2° comma, c.c., nell'operare il rinvio alla

disciplina delle società per azioni, a proposito dell'art. 2383 ri

chiama tutti i commi di detta norma (1°, 3°, 4°, 5°, 6° e 7°), escludendo il 2° ed usando quindi una formula che rende tale

esclusione espressa, in guisa da rendere palese la voluntas legis, intesa a non imporre alcun termine per la nomina degli ammini

stratori nelle società a responsabilità limitata.

In questo quadro non giova, per propugnare la tesi contraria, far leva sul fatto che poi lo stesso art. 2487, 2° comma, richiama

integralmente l'art. 2385 e quindi anche il 2° comma di esso.

Poiché, come si è visto, l'imposizione del termine alla nomi

na degli amministratori delle società per azioni è nel 2° comma

dell'art. 2383, mentre il 2° comma dell'art. 2385 persegue la di

versa finalità di regolare la posizione degli amministratori me

desimi al cessar della carica per scadenza del termine, è evi

dente che la trasposizione del precetto di cui all'art. 2385 nel si

stema delle società a responsabilità limitata (in cui il termine

suddetto non è imposto ma ben può essere previsto dall'atto co

stitutivo) comporta che esso operi se e in quanto un termine sia

previsto.

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2335 PARTE PRIMA 2336

Né ha pregio l'argomento del Bignami, secondo cui nelle

s.r.l. il legislatore avrebbe inteso consentire un periodo di durata in carica degli amministratori anche superiore al triennio ma, stante l'integrale richiamo dell'art. 2385 c.c., tale periodo do

vrebbe sempre essere determinato da una scadenza temporale. Questo argomento muove ancora una volta dal concetto (er

rato) per cui l'art. 2385, 2° comma, c.c. sarebbe diretto a prefis sare la scadenza di un termine, laddove esso presuppone un ter

mine già stabilito (dall'art. 2383) e disciplina le situazioni con seguenti alla sua scadenza.

Conclusivamente, alla stregua degli argomenti fin qui esposti il primo motivo del ricorso deve essere respinto.

Con il secondo mezzo di cassazione il ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione dell'art. 2364 c.c., in particolare del n. 2, richiamato dall'art. 2486 c.c., in quanto la durata inde finita del mandato dell'organo amministrativo precluderebbe al l'assemblea una delle sue primarie attribuzioni, cioè la nomina di amministratori (art. 360, 1° comma, n. 3, c.p.c.).

Nella specie, l'organo amministrativo potrebbe rimanere in

carica anche dopo la data di scadenza della società, fissata nel

2005, e, qualora la società medesima fosse prorogata, potrebbe prolungare indefinitamente il proprio mandato, così pregiudi cando l'equilibrio, voluto dalla legge, tra gli organi sociali.

La corte territoriale avrebbe osservato che, nonostante la mancata previsione di un termine per la cessazione del mandato

degli amministratori, la sovranità dell'assemblea non sarebbe

svuotata perché essa potrebbe sempre revocare gli amministra tori in carica. Ma l'asserita sovranità potrebbe attuarsi soltanto attraverso una revoca, in difetto della quale l'assemblea conti nuerebbe a non nominare amministratori sine die, onde la viola zione e falsa applicazione dell'art. 2364 c.c. sarebbero palesi.

Il motivo non ha fondamento.

A parte il rilievo che, alla stregua delle considerazioni svolte trattando del primo mezzo, la possibilità di nominare ammini stratori a tempo indeterminato nelle società a r.l. deriva da una

scelta legislativa, deve osservarsi che, come esattamente ha po sto in luce la sentenza impugnata, la sovranità dell'assemblea non è in alcun modo infirmata, e conseguentemente nessun

equilibrio societario è alterato, poiché essa può sempre revocare

gli amministratori in carica. Che ciò nella specie non sia avve

nuto, è questione di fatto non suscettibile di valutazione in que sta sede (e conseguente, comunque, a determinazioni proprie dello stesso organo assembleare).

Né può condividersi l'assunto del Bignami, accennato nella

memoria, secondo cui la revoca esporrebbe la società e i soci «ad un non quantificabile risarcimento danni». Questa corte ha

già chiarito che la revoca di amministratore di società a respon sabilità limitata, nominato a tempo indeterminato, non trova la sua disciplina normativa nel combinato disposto degli art. 2487 e 2383 c.c. La fonte di tale disciplina deve, invece, attingersi dall'art. 1725 c.c., il cui 2° comma prevede che la revoca del mandato oneroso a tempo indeterminato attribuisca al mandata rio il diritto al risarcimento del danno, in assenza di giusta cau

sa, soltanto se la revoca non sia stata comunicata con congruo preavviso; ed il principio deve considerarsi applicabile in via

analogica all'amministratore di società di capitali (Cass. n. 9482 del 1999, cit.).

Con il terzo motivo il ricorrente deduce insufficiente e con traddittoria motivazione su punto decisivo della controversia, cioè sulla violazione dell'art. 17 dello statuto sociale della O.c.m. (art. 360, 1° comma, n. 5, c.p.c.).

L'art. 17 dello statuto disporrebbe che gli amministratori re stino in carica «per la durata che l'assemblea determinerà di volta in volta».

In base a tale dizione l'assemblea dovrebbe determinare la

data, perché il significato della determinazione della durata

(cioè, letteralmente, della decisione di un termine) non potrebbe discostarsi dal «termine» (ovvero da una data) menzionato dal 2° comma dell'art. 2385 c.c., non ravvisandosi ragione per cui

gli esecutori del predetto disposto statutario non dovrebbero es sersi riferiti, nella stesura del medesimo, al citato teste normati vo.

Ma, a parte tali assorbenti rilievi (rimasti privi di risposta), la corte territoriale, per un verso, avrebbe affermato che la norma statutaria sarebbe «... priva di senso quando viene consentito non determinare, come avviene in concreto ... in relazione ad eventi incerti (come le dimissioni o la revoca) ...»; per altro verso avrebbe sostenuto che la nomina fino a «revoca o dimis sioni» ha lo stesso effetto di «... prevedere una durata ... »; per altro verso ancora avrebbe sostenuto, invece, che nessun termi ne era stato previsto, giustificando in tal modo la mancata appli cazione del 2° comma dell'art. 2385 c.c. e così incorrendo irf

Il Foro Italiano — 2001.

palesi contraddizioni, col sostenere che la delibera risulterebbe

conforme alla disposizione statutaria, in quanto vi sarebbero già stati dei precedenti e quindi l'intenzione delle parti sarebbe stata

quella di effettuare nomine «... a tempo indefinito ...», mal

grado «... la ratio della norma statutaria ...» sia «... intesa

semplicemente a vietare l'incertezza in tema di durata ...» e

«contenente per il resto una riserva deliberativa a favore del

l'assemblea». Ciò realizzerebbe un'ulteriore contraddizione,

perché determinare costituirebbe l'antitesi di riservarsi di de

terminare.

Parrebbe che la corte d'appello abbia interpretato le impu

gnate delibere, prese all'unanimità, come implicite modifiche o

ampliamenti statutari, ma, se così fosse, si sarebbe in presenza di un'altra contraddizione, giacché la modifica dello statuto sa

rebbe competenza dell'assemblea straordinaria e non di quella ordinaria.

La sentenza impugnata, poi, sosterrebbe che la previsione di

un termine sarebbe pleonastica, in quanto la revoca e le dimis

sioni «pongono fine al mandato anche quando sia stata prevista una precisa scadenza temporale». La contraddizione sarebbe

manifesta, perché allora anche nelle società per azioni il legis latore avrebbe superfluamente imposto una data di scadenza al

mandato degli amministratori.

Le suddette censure non hanno fondamento.

Contrariamente a quanto l'articolazione del motivo indurreb

be a presumere, la sentenza impugnata, con motivazione sobria ma sufficiente (e soprattutto comprensibile), ha svolto un ragio namento diretto a ricercare il significato dell'art. 17 dello sta

tuto.

Dopo aver rilevato che la clausola statutaria, nella sua te

stuale espressione, non dirimeva ogni controversia interpretativa (id est: si prestava a più di una interpretazione), ha dato conto

delle possibili opzioni ermeneutiche (le proposizioni, riportate in ricorso per dimostrare presunte contraddizioni, vanno lette

nel contesto e nell'ordine in cui sono state formulate). Ha os

servato che, nella ricerca del significato della clausola, doveva

no soccorrere i criteri di cui all'art. 1362 c.c. Ha quindi ricer

cato la comune intenzione dei contraenti ed a tale scopo, in os

servanza del 2° comma dell'art. 1362 c.c., ha valutato il com

portamento dei soci anche posteriore alla conclusione del con

tratto di società. Ha rimarcato che in precedenza altri ammini

stratori — e lo stesso Renato Bignami — erano stati nominati

con unanime consenso a tempo indefinito, ponendo altresì l'ac

cento sul fatto che anche l'appellante aveva approvato la prima delibera di nomina. Da tale complessivo comportamento ha

tratto la conclusione che l'interpretazione della clausola statuta

ria, comune a tutti i soci, fosse quella per cui la previsione della durata dell'incarico fino a dimissioni o revoca era da ritenere

compatibile con la clausola stessa, contenendo pur sempre una

determinazione di durata, e che ciò fosse sufficiente a realizzare

la ratio della disposizione di statuto, «intesa semplicemente a vietare l'incertezza in tema di durata del rapporto e contenente,

per il resto, una riserva deliberativa a favore dell'assemblea».

Orbene, fermo il punto che non sono denunciate in questa se de violazioni dei criteri legali d'interpretazione, deve osservarsi che il percorso argomentativo seguito dalla corte distrettuale non manifesta alcuna contraddizione ed appare anzi logicamente corretto, nonché basato su un accertamento di fatto, qual è

quello relativo al comportamento dei soci (compreso il ricor

rente), munito di indubbia capacità dimostrativa e, comunque, incensurabile nella presente sede di legittimità.

Conseguentemente, del pari incensurabile si rivela l'inter

pretazione cui è pervenuta la corte di merito.

Non hanno pregio gli ulteriori argomenti addotti dal Bignami. L'assunto che gli estensori della norma statutaria avrebbero

fatto riferimento al 2° comma dell'art. 2385 c.c., a parte l'erro nea interpretazione di questo articolo che il ricorrente propugna, si risolve in una mera congettura priva di riscontro.

Il rilievo secondo cui la corte territoriale avrebbe interpretato le delibere impugnate, adottate all'unanimità, come implicite modifiche o ampliamenti statutari non trova alcun collegamento con la sentenza impugnata, perché questa non ha ravvisato am

pliamenti o modifiche statutarie, ma ha ricercato l'interpreta zione dell'art. 17 dello statuto, avvalendosi del criterio erme neutico di cui all'art. 1362 c.c.

Infine, l'accenno al carattere pleonastico di una previsione di durata s'inserisce nell'analisi di una possibile opzione interpre tativa della clausola (poi scartata) e non riveste certo ruolo deci sivo della controversia, apparendo piuttosto mero argomento aggiuntivo (com'è reso palese dall'uso dell'espressione «tra

l'altro»). Con il quarto motivo il ricorrente deduce, con riferimento al

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

l'art. 360, n. 3, c.p.c. ed in relazione all'art. 2383, 3° comma,

c.c., richiamato dall'art. 2487, omesso esame dell'eccepita con

trarietà a principio generale di ordine pubblico (in senso norma

tivo) della nomina di amministratori «sino a dimissioni o revo

ca».

Sostiene che in una s.r.l. la nomina di amministratori sarebbe

possibile a tempo determinato anche per un periodo superiore al

triennio, mentre non sarebbe configurabile a tempo indetermi

nato, «poiché non esisterebbe soluzione alle conseguenti insorte

perplessità, atteso che, in tale caso, dovrebbesi poter parlare di

revoca ad nutum anche in assenza di giusta causa, precludendo il diritto, per l'organo amministrativo rimosso dall'incarico, al

risarcimento del danno, ma creando, così, insanabile contrasto

con il 3° comma dell'art. 2383 c.c.; né, d'altro canto, sarebbe

ipotizzabile legittimare che una delle parti, cioè la società, sia

obbligata a restare in perpetuo vincolata ad un rapporto obbli

gatorio a titolo oneroso essendo l'anzidetta situazione contraria

a principio generale di ordine pubblico». A fronte di tale eccezione nessuna motivazione sarebbe stata

data dalla corte d'appello, secondo la quale non sarebbe stato

possibile identificare il principio di ordine pubblico violato. Ma

esso non sarebbe una norma recante un numero, bensì un prin

cipio generale richiamato più volte nel codice civile. Secondo la

dottrina le previsioni di tale principio raggiungerebbero sempli cemente l'effetto di constatare che l'autonomia negoziale in

contra limiti in ogni settore dell'ordinamento giuridico e non

soltanto nel codice civile.

Il motivo non è fondato.

Sembra di capire, studiando il nucleo della censura (dianzi

trascritto), che l'invocato «principio generale di ordine pubbli co» sia quello diretto ad escludere che un soggetto resti vinco

lato in perpetuo ad un rapporto obbligatorio a titolo oneroso. Per

la verità, più che di principio di ordine pubblico (attinente ad

una sfera diversa) dovrebbe parlarsi del principio di diritto che, salve diverse disposizioni di legge, consente alle parti di scio

gliersi in vario modo dai rapporti a tempo indeterminato (v., ad

es„ per la società di persone l'art. 2285 c.c., per la somministra

zione l'art. 1569 c.c. e così via). Nel caso in esame, come già si è osservato in precedenza, tale

principio è ben realizzabile perché l'amministratore nominato a

tempo indeterminato (fino a dimissioni o revoca) può essere, per

l'appunto, revocato con preavviso ai sensi dell'art. 1725, 2°

comma, c.c. Né sussiste il preteso «insanabile contrasto» con il

3° comma dell'art. 2383 c.c., perché detta norma riguarda la

nomina a tempo determinato (e fa salvo il diritto dell'ammini

stratore al risarcimento dei danni, se la revoca avviene senza

giusta causa), non la diversa ipotesi di nomina a tempo indeter

minato.

In tali sensi precisata la motivazione in diritto della sentenza

impugnata (art. 384, 2° comma, c.p.c.), la censura in questione deve essere respinta.

Con il quinto mezzo di cassazione il ricorrente denunzia «con

riferimento al n. 3 dell'art. 360 c.p.c. violazione dell'art. 2379

c.c. poiché, da quanto sopra esposto ne consegue una chiara de

viazione dallo scopo socio-economicopratico del rapporto di so

cietà che trascende l'interesse del singolo membro della compa

gine sociale, il quale, in sostanza, per un verso si autoesclude

dal proprio diritto (dovere) di sostituire i vertici della società, con il proprio voto ed a suo insindacabile giudizio, per un altro

verso egli si abilita a tale sua incontestabile prerogativa espo nendo la medesima società ed indirettamente sé stesso, ad un

ingiusto risarcimento dei danni».

Il motivo, ai limiti dell'inammissibilità stante il suo carattere

generico, è comunque destituito di fondamento.

Quanto all'accenno al risarcimento dei danni, se con esso

s'intende ritornare sulla possibilità di revoca degli amministra

tori, valgono le considerazioni sopra svolte.

Quanto alla presunta violazione dell'art. 2379 c.c., detta nor

ma riguarda le deliberazioni nulle per impossibilità o illiceità

dell'oggetto, e tali ipotesi non ricorrono nella fattispecie, la

quale — alla stregua dei precedenti rilievi — è conforme alla

normativa vigente. Con il sesto mezzo, relativo alla deliberazione del 26 luglio

1991, il ricorrente denunzia altresì omesso esame dell'eccepito abuso della regola della maggioranza.

Sostiene di avere evidenziato, in sede di gravame, la contrad

dittorietà della motivazione di primo grado, nella parte in cui si

affermava che il socio di minoranza avrebbe sempre potuto pro

porre di fissare un termine ed impugnare la contraria delibera

per eccesso di potere della maggioranza, ove ne fossero ravvi

sati i presupposti.

Il Foro Italiano — 2001.

Egli avrebbe, quindi, eccepito l'eccesso di potere della mag

gioranza (nella specie, del cinquanta per cento dei soci), ravvi

sandolo in primis nella violazione dell'art. 17 dello statuto e

precisando che non sarebbe stato indicato né chiarito con quali altre motivazioni, se non con quelle già dedotte, sarebbe stato

ipotizzabile inoltrare impugnazione, come esso Bignami, socio

di minoranza, aveva fatto.

Su tale eccezione nulla la corte di appello avrebbe argomen tato.

Neppure questo motivo è fondato.

Come risulta dalla sua stessa articolazione, l'abuso di potere della maggioranza sarebbe stato essenzialmente identificato

nella violazione dell'art. 17 dello statuto. Ed in effetti altre ra

gioni non sono allegate. Orbene, la corte distrettuale ha escluso la violazione del citato

art. 17, riconoscendo valide le delibere impugnate. Ma, se non

c'era violazione della disposizione statutaria, non c'era nemme

no abuso di potere della maggioranza, ravvisato in quella (inesi

stente) violazione. Il punto, quindi, era con ogni evidenza assor

bito, sicché nessuna motivazione o esame la corte di merito do

veva effettuare al riguardo. Infine, con il settimo motivo, il Bignami denunzia violazione

e falsa applicazione dell'art. 2373 c.c„ richiamato dall'art. 2486

c.c., con riferimento all'art. 360, 1° comma, n. 3, c.p.c., nonché

vizio di omessa motivazione, in quanto il danno potenziale per la società, derivante dall'eventualità di revocare senza giusta causa l'organo amministrativo in carica, risulterebbe perpetua mente protratto nel tempo per la durata indefinita del rapporto.

La sentenza impugnata avrebbe argomentato, richiamando

una pronunzia di questa corte, con la necessità di dimostrare in

concreto, nel singolo caso, che la deliberazione approvata in

potenziale conflitto d'interessi fosse dannosa per la società, mentre l'appellante non avrebbe neppure allegato che alla so

cietà convenisse avere amministratori a scadenza predetermi nata.

Tuttavia il conflitto denunziato non sarebbe quello del socio

che abbia votato per la propria nomina ad amministratore, ovve

ro per il suo compenso, e neppure per la propria durata in carica.

Il conflitto sarebbe quello per cui i soci titolari del cinquanta per cento del capitale sociale, con il proprio voto, si erano dati con

ferma della durata indefinita del loro mandato, esponendo la so

cietà al danno potenziale di un ingiusto e non quantificabile ri

sarcimento, qualora la società medesima avesse inteso revocare

senza giusta causa l'organo amministrativo illimitatamente in

carica.

Danno potenziale tutt'altro che remoto e che sarebbe stato

inesistente se fosse stata decisa una data ragionevole di scaden

za del mandato degli amministratori, raggiunta la quale essi po trebbero essere sostituiti senza pregiudizio patrimoniale per la

società.

L'interesse personale dei soci amministratori, in conflitto con

quello della società, consisterebbe sia nel fatto che l'emolu

mento stabilito resterebbe illimitatamente protratto nel tempo, tramutandosi in vitalizio, sia e soprattutto nel concreto ed ille

gale obbligo, per la società, di remunerare l'eventuale revoca

senza giusta causa di un organo amministrativo indefinitamente

in carica.

Nella memoria ex art. 378 c.p.c., peraltro, il ricorrente ribadi

sce di non avere mai posto in discussione che i soci non sono in

conflitto allorché votino per la propria nomina ad amministrato

ri, ovvero per il proprio emolumento o per la durata dell'incari

co.

Il motivo non ha fondamento.

Come questa corte ha già notato, il collegamento esistente tra

il 1° e il 2° comma dell'art. 2373 c.c. — in forza del quale la

determinazione, assunta col voto deliberante del socio che ha un

interesse sulla materia che ne costituisce oggetto, è annullabile

quando la delibera medesima possa arrecare danno alla società —

comporta che, secondo il sistema positivo, l'elemento giuri dicamente essenziale al fini dell'invalidità sia costituito dall'i

doneità potenziale della delibera a ledere gli interessi sociali.

Vale a dire che è irrilevante che la delibera consenta al socio di

raggiungere anche un proprio interesse se, nel contempo, non ne

risulti pregiudicato quello sociale; ovvero, che il socio può av

valersi del voto per realizzare anche un suo interesse personale, fino a quando attraverso il voto non sacrifichi a proprio favore

quello sociale (così Cass. 4 maggio 1991, n. 4927, id., Rep.

1991, voce cit., n. 439; v. anche Cass. 21 dicembre 1994, n.

11017, id., Rep. 1994, voce cit., n. 524). In questo contesto l'interesse del socio come amministratore

ad ottenere un compenso non è, per ciò solo, confliggente con

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2339 PARTE PRIMA 2340

quello della società, in quanto obbligata a corrispondere il com

penso medesimo (art. 2389, richiamato dall'art. 2487, 2° com

ma, c.c.), a prescindere dalla durata dell'incarico. Un conflitto

può profilarsi qualora la misura del compenso risulti eccessiva

rispetto alla prestazione dovuta e la relativa prova è a carico di

chi impugna la delibera. Ma la sussistenza di una siffatta spro

porzione non risulta dedotta, né viene menzionata nel motivo,

mentre (come si è detto) è irrilevante la protrazione nel tempo dell'incarico.

Circa, poi, il presunto obbligo per la società di risarcire l'e

ventuale revoca senza giusta causa, è sufficiente rinviare alle

considerazioni svolte trattando del secondo motivo e ai principi affermati da questa corte con la ricordata sentenza n. 9482 del

1999. Per evitare l'obbligo risarcitorio, in presenza di nomina a

tempo indeterminato, basta che la revoca sia comunicata con

congruo preavviso, e ciò esclude che la società rimanga esposta ad un «ingiusto e non quantificabile risarcimento».

Non è dunque configurabile il denunziato conflitto d'interes

si, onde corretta si rivela la concisa ma sufficiente motivazione

sul punto della corte territoriale.

Conclusivamente, il ricorso deve essere respinto.

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 1° marzo 2000, n. 50/SU; Pres. Bile, Est. Criscuolo, P.M. Det

tori (conci, conf.); Comunità montana del Sebino bresciano

(Avv. Romanelli, Bonomi) c. Bettoni e altri (Avv. Ragusa).

Regolamento di giurisdizione.

Responsabilità civile — Pubblica amministrazione — Inte ressi meritevoli di tutela — Risarcibilità — Condizioni —

Questione di merito — Regolamento di giurisdizione —

Inammissibilità (Cod. civ., art. 2043; cod. proc. civ., art. 37,

41).

Attiene al merito la questione della natura della situazione sog

gettiva lesa, sollevata allo scopo di trarre, come conseguenza, il fatto che l'ordinamento non attribuisce diritto al risarci

mento del pregiudizio risentito dalla parte; va conseguente mente dichiarato inammissibile il ricorso per regolamento di

giurisdizione proposto con riferimento a controversia instau

rata anteriormente al 1° luglio 1998 nella quale veniva de

dotta dinanzi al giudice ordinario una domanda risarcitoria

nei confronti dell'amministrazione per i danni subiti a se

guito di accessione invertita e di occupazione illegittima di

terreni privati. (1)

(1) La Suprema corte conferma il principio della risarcibilità degli interessi meritevoli di tutela, espresso con la fondamentale pronuncia 22 luglio 1999, n. 500/SU, Foro it., 1999, I, 2487, con nota di A. Pal mieri-R. Pardolesi; la decisione è stata commentata da R. Caranta, La

pubblica amministrazione nell'età della responsabilità, F. Fracchia, Dalla negazione della risarcibilità degli interessi legittimi all'afférma zione della risarcibilità di quelli giuridicamente rilevanti: la svolta della Suprema corte lascia aperti alcuni interrogativi, A. Romano, So no risarcibili: ma perché devono essere interessi legittimi?, e E. Sco

ditti, L'interesse legittimo e il costituzionalismo. Conseguenze della svolta giurisprudenziale in materia risarcitoria, ibid., 3201 ss. V. inol tre G. Cugurra, Risarcimento dell'interesse legittimo e riparto di giu risdizione, in Dir. proc. ammin., 2000, 1 ss.; G. Greco, Interesse legit timo e risarcimento dei danni: crollo di un pregiudizio sotto la pressio ne della normativa europea e dei contributi della dottrina, in Riv. it. dir. pubbl. comunitario, 1999, 1126 ss.; L.V. Moscarini, Risarcibilità

degli interessi legittimi e termini di decadenza, in Giur. it., 2000, 20

ss.; F. Ledda, Agonia e morte ingloriosa dell'interesse legittimo, in Foro amm., 1999, 2713 ss.; L. Torchia, La risarcibilità degli interessi

legittimi: dalla foresta pietrificata al bosco di Bimani, in Giornale dir.

amm., 1999, 844 ss.; A. Orsi Battaglini-C. Marzuoli, La Cassazione sul risarcimento del danno arrecato dalla pubblica amministrazione:

trasfigurazione e morte dell'interesse legittimo, in Dir. pubbl., 1999, 487 ss.; B. Dalfino, La fine del dogma dell' irrisarcibilità dei danni per lesione di interessi legittimi: luci ed ombre di una svolta storica, in Fo ro amm., 1999, 2007 ss.; M. Protto, E crollato il muro della irrisarci bilità della lesione degli interessi legittimi: una svolta epocale?, in Ur banistica e appalti, 1999, 1091 ss.

Il Foro Italiano — 2001.

Svolgimento del processo. — Con citazione del 3 aprile 1995

le sig. Luigia Bettoni e Marinella Poiatti, quest'ultima in pro

prio e quale legale rappresentante della Costruzioni edili di

Poiatti Marinella & C. s.n.c., con sede in Gratacasolo di Piso

gne, dichiararono che:

Marinella Poiatti era proprietaria, per una parte in proprio e

per altra parte quale legale rappresentante della detta società, di

alcuni terreni siti in località Rovina, frazione di Gratacasolo di

Pisogne, estesi complessivamente circa mq 12.360, distinti in

mappa ai numeri 9616, 2214, 4268, 4333, 7929, 7935, 7939, 9614, 8199, 4405, 7928, 9615 del censuario di Pisogne;

Quattro i profili di interesse della decisione in epigrafe. In primo luogo, essa, come del resto Cass. n. 500/SU del 1999, af

fronta il problema della risarcibilità degli interessi legittimi nell'ambito di un giudizio su ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione (sul punto, v. i dubbi espressi da V. Caianiello, Postilla in tema di ri

parto di giurisdizioni, in Foro amm., 1999, 2034 ss., secondo cui, una

volta correttamente stabilito che la questione sia di merito e non di giu risdizione, la Suprema corte non potrebbe risolverla in un giudizio su

ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione), ritenendo che la

qualificazione formale della posizione giuridica vantata dal soggetto non assume rilievo determinante ai fini della configurabilità della re

sponsabilità aquiliana dell'amministrazione. Va notato che nel caso di

specie — relativo ad accessione invertita — sarebbe astrattamente stato

possibile sostenere la titolarità in capo alla parte attrice di un diritto

soggettivo leso: ciò nonostante, la Suprema corte liquida il problema

separando nettamente questione di merito e questione di giurisdizione e, cioè, distinguendo la situazione giuridica la cui lesione è fonte di

danno ingiusto e la pretesa al risarcimento del danno, quest'ultima avente sempre natura di diritto soggettivo e, come tale, costituente il

fondamento della giurisdizione del giudice ordinario. In secondo luogo, la pronuncia in epigrafe, anche in ragione della

peculiarità della fattispecie, non affronta il delicato problema della c.d.

«pregiudizialità amministrativa», nel senso che non si sofferma sulla

possibilità per il giudice ordinario di accertare l'illegittimità dell'atto a

prescindere dalla previa decisione di annullamento del giudice ammini strativo.

In terzo luogo, viene ribadito che una questione di giurisdizione è

configurabile soltanto se sussiste, in relazione alla materia nella quale è sorta la fattispecie, una giurisdizione esclusiva del giudice amministra tivo.

In quarto luogo, si afferma che non sono indiscriminatamente risar cibili gli interessi legittimi, atteso che all'illegittimità dell'azione, ele

mento necessario ma non sufficiente, deve accompagnarsi «la lesione dell'interesse al bene della vita al quale l'interesse legittimo, secondo il concreto atteggiarsi del suo contenuto, effettivamente si collega, e che risulta meritevole di protezione alla stregua dell'ordinamento». La

chiarezza dell'assunto viene in parte offuscata da ulteriori affermazioni in quanto, riproducendo quanto già espresso da Cass. n. 500/SU del

1999, la Suprema corte annovera in linea di principio tra le posizioni giuridiche la cui lesione è fonte di danno anche l'interesse legittimo.

A tacere di tale ultimo aspetto, alla luce delle osservazioni svolte, sembra possibile rilevare (nello stesso senso, F. Fracchia, Dalla nega zione, cit.) che le conseguenze scaturenti dalla svolta impressa da tale ultima pronuncia sono sicuramente di interesse, ma un giudizio com

plessivo sulla loro rilevanza (almeno per quanto attiene al giudice ordi

nario) impone l'approfondimento dei seguenti profili. a) Risarcibile non è la lesione di un interesse legittimo in quanto tale,

ma, come s'è visto, quella dell'interesse meritevole di tutela da parte di un comportamento che si collega ad un atto illecito e al contempo ille

gittimo; la mera lesione dell'interesse legittimo apre dunque la via sol tanto all'azione di annullamento dinanzi al giudice amministrativo

(come rilevato da G. Cugurra, Risarcimento dell'interesse legittimo, cit., 2). Ciò non esclude peraltro l'insorgere di problemi scaturenti da

possibili differenti valutazioni operate dal giudice ordinario (beninteso: ove si ravvisi ancora uno spazio, dinanzi ad esso, per azioni di condan na al risarcimento del danno dovuto ad attività provvedimentale del l'amministrazione: v. sub c) e dal giudice amministrativo in ordine alla

legittimità del medesimo atto nel caso in cui il privato impugni dinanzi al tribunale amministrativo regionale l'atto lesivo di interessi legittimi e, contemporaneamente, azioni la pretesa risarcitoria dinanzi al giudice ordinario (dovendo in tale sede altresì provare la lesione di un interesse meritevole di tutela). Le prime applicazioni da parte del giudice ammi nistrativo (commentate da L. Carrozza-F. Fracchia, Art. 35 d.leg. 80/98 e risarcibilità degli «interessi meritevoli di tutela»: prime appli cazioni giurisprudenziali, nota a Tar Sicilia, sede Catania, sez. I, 18

gennaio 2000, n. 38, Tar Lombardia, sez. Brescia, 14 gennaio 2000, n.

8, sez. Ili 23 dicembre 1999, n. 5049 e Tar Toscana, sez. I, 21 ottobre

1999, n. 766, in Foro it., 2000, III, 200; cfr. anche Tar Puglia, sez. I, 4

aprile 2000, n. 1401, Tar Valle d'Aosta 18 febbraio 2000, n. 2 e Tar

Puglia, sez. II, 17 gennaio 2000, n. 169, ibid., 479, con nota di F. Frac

chia, Risarcimento danni da c.d. lesione di interessi legittimi: deve ri

guardare i soli interessi a «risultato garantito»?) confermano l'esat tezza della tesi qui ribadita, atteso che, ai fini dell'integrazione dell'il

lecito, in aggiunta all'illegittimità dell'atto richiedono sempre la sussi stenza in capo al ricorrente di un interesse meritevole di tutela, configu

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