sezione I civile; sentenza 21 ottobre 2005, n. 20454; Pres. Losavio, Est. Del Core, P.M. Uccella(concl. conf.); Soc. F.lli Costanzo (Avv. Andolina) c. Comune di Milano (Avv. Izzo, Surano,Ammendola). Conferma App. Milano 16 aprile 2001Source: Il Foro Italiano, Vol. 129, No. 6 (GIUGNO 2006), pp. 1823/1824-1833/1834Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23203435 .
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1823 PARTE PRIMA 1824
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 21 otto
bre 2005, n. 20454; Pres. Losavio, Est. Df.l Core, P.M. Uc
cella (conci, conf.); Soc. F.lli Costanzo (Avv. Andolina) c.
Comune di Milano (Avv. Izzo, Surano, Ammendola). Con
ferma App. Milano 16 aprile 2001.
Opere pubbliche — Appalto — Gara — Esclusione — Vio lazione di direttiva comunitaria — Risarcimento danni —
Colpa — Necessità — Fattispecie (Trattato Cee, art. 177,
178; cod. civ., art. 2043; direttiva 26 luglio 1971 n.
71/305/Cee del consiglio, che coordina le procedure di aggiu dicazione degli appalti di lavori pubblici, art. 29; 1. 8 agosto 1977 n. 584, norme di adeguamento delle procedure di aggiu dicazione degli appalti di lavori pubblici alle direttive della
Comunità economica europea, art. 24; 1. 16 aprile 1987 n.
183, coordinamento delle politiche riguardanti l'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee ed adeguamento dell'ordi
namento interno agli atti normativi comunitari, art. 10, 12; d.l.
25 settembre 1987 n. 393, norme in materia di locazione di
immobili ad uso non abitativo, di alloggi di edilizia agevolata e di prestiti emessi dalle Ferrovie dello Stato, nonché inter
venti per il settore distributivo, art. 4; 1. 25 novembre 1987 n.
478, conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 25 set
tembre 1987 n. 393, art. 1; 1. 19 febbraio 1992 n. 142, dispo sizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'apparte nenza dell'Italia alle Comunità europee (legge comunitaria
per il 1991), art. 13).
In caso di esclusione da una gara pubblica d'appalto illegitti ma per violazione di direttiva Cee, non sussiste la colpa né,
dunque, la responsabilità per danno ingiusto del comune che
applichi la normativa italiana vigente alla data del bando,
anziché rilevarne il contrasto con direttive Cee. (1)
(1) La Cassazione rigetta la domanda risarcitoria proposta per l'e sclusione da una gara d'appalto risultata illegittima per contrasto con direttiva comunitaria. Si tratta della nota vicenda c.d. F.lli Costanzo che aveva portato alla pronuncia — sulle questioni pregiudiziali sollevate da Tar Lombardia, sez. I, 24 marzo 1988, n. 182, Foro it., Rep. 1988, voce Comunità europee, n. 206 — della Corte di giustizia 22 giugno 1989, causa 103/88, id., 1991, IV, 129, con la quale si affermava che «al pari del giudice nazionale, l'amministrazione, anche comunale, è tenuta ad applicare l'art. 29, n. 5, della direttiva del consiglio 71/305 e a disapplicare le norme del diritto nazionale non conformi a questa di
sposizione». Invero, la diretta applicabilità della direttiva Cee in que stione era già stata sostenuta da Corte giust. 10 febbraio 1982, causa
76/81, id., 1983, IV, 11, secondo cui «quando, ad avviso dell'ammini strazione aggiudicatrice le offerte di un concorrente sono manifesta mente anormalmente basse rispetto alle prestazioni da fornire, l'art. 29, n. 5. della direttiva 71/305 obbliga detta amministrazione, prima di de cidere sull'aggiudicazione dell'appalto, ad invitare il concorrente a for nire una giustificazione delle offerte di prezzo oppure ad informarlo di
quali offerte di prezzo siano anormali, concedendogli un termine con
gruo per presentare precisazioni complementari». Pertanto, dopo la
pronuncia della Corte di giustizia, il Tar Lombardia giudicava che «è
illegittima l'esclusione, disposta da un comune, dalla gara per l'aggiu dicazione di un appalto, di un'impresa che aveva presentato un'offerta considerata anormalmente bassa in difetto di un'apposita istruttoria in
contraddittorio, e secondo criteri meramente matematici, in conformità di una disposizione legislativa nazionale contrastante con una direttiva comunitaria c.d. self executing, e perciò disapplicabile anche dalla stes sa amministrazione» (sez. I 25 novembre 1989, n. 554, id., 1990, HI, 503). Tale sentenza veniva, poi, confermata da Cons. Stato, sez. V, 6
aprile 1991, n. 452, id.. Rep. 1991, voce cit., n. 305. Infine, la soc. F.lli Costanzo agiva per il risarcimento dei danni subiti innanzi al giudice ordinario — la cui giurisdizione nel caso di specie veniva affermata da
Cass., sez. un., 10 novembre 1993, n. 11077, id., 1994, I, 3138 — e si
giungeva così alla sentenza in epigrafe. Con essa la Cassazione esclude la responsabilità del comune. La col
pa sarebbe esclusa poiché l'amministrazione avrebbe correttamente e
«scrupolosamente applicato la normativa vigente» che prevedeva la re
gola dell'esclusione automatica dell'offerta anomala: infatti «solo in
seguito la Corte di giustizia Cee, con la sentenza resa il 22 giugno 1989, stabilì che le modifiche provvisorie apportate, col prevedere un criterio di esclusione matematico, dai d.l. 206/87, 302/87 e 393/87 al l'art. 24, 3° comma, 1. 8 agosto 1977 n. 584 — norma interna di rece
pimento dell'art. 29, n. 5, della direttiva 71/305/Cee — contraddiceva no lo scopo della direttiva, consistente nel favorire lo sviluppo di una concorrenza effettiva nel settore degli appalti di lavori pubblici». Un
peso decisivo in queste argomentazioni riveste, dunque, il tema dell'ef
II Foro Italiano — 2006.
Svolgimento del processo. — La F.lli Costanzo s.p.a., in pro
prio e quale capofila mandataria di un gruppo di imprese costi
tuito ai sensi della 1. 584/77, partecipò alla gara d'appalto in
detta con bando del 24 luglio 1987 dal comune di Milano per l'esecuzione di opere di ampliamento, ammodernamento e co
pertura dello stadio Meazza, per un importo a base d'asta di lire
82.043.643.386. Nel predetto bando si disponeva che, in appli cazione del d.l. 25 maggio 1987 n. 206, sarebbero state conside
rate anomale e quindi escluse dalla gara le offerte che avessero
ficacia diretta delle direttive comunitarie, per la cui analisi si rinvia a A. Barone, L'efficacia diretta delie direttive Cee nella giurisprudenza della Corte di giustizia e della Corte costituzionale, id., 1991, IV, 130, nota a Corte giust. 22 giugno 1989, causa 103/88, cit.; cfr. altresì Corte
giust. 6 ottobre 1971, causa 9/70, id., 1971, IV, 1, con nota di A. Tizza
no; 19 gennaio 1982, causa 8/81, id., 1983, IV, 132, e, da ultimo, Cass. 2 marzo 2005, n. 4466, id., Mass., 271. In dottrina, v. Pocar, Diritto dell'Unione e della Comunità europea, Milano, 2004, 285 ss.; L. Da
niele, Diritto dell'Unione europea, Milano, 2004, 138; G. Tesauro, Diritto comunitario, Padova, 2003, 162 ss.; G. Greco, Rapporti tra or dinamento comunitario e nazionale, in Trattato di diritto amministrati vo europeo a cura di M. Chiti e G. Greco, Milano, 1997, 399 ss. Sui
requisiti necessari perché una disposizione comunitaria abbia efficacia
diretta, cfr., per tutte. Corte giust. 5 ottobre 2004, cause riunite da C 397/01 a C-403/01, Foro it., 2005, IV, 23, e Dir. comunitario scambi
internaz., 2004, 751, con nota di Capelli.
Negli stessi mesi in cui la V sezione del Consiglio di Stato confer mava Tar Lombardia 554/89, cit., il principio dell'obbligo per l'ammi nistrazione di disapplicare le disposizioni nazionali contrastanti con di
rettive comunitarie veniva ribadito dalla IV sezione del Consiglio di Stato (29 ottobre 1991, n. 864, Foro it., Rep. 1991, voce cit., n. 307) che, infatti, disapplicava l'art. 4 d.l. 25 settembre 1987 n. 393 laddove
disponeva l'automatica esclusione delle offerte anomale. Ma già in pre cedenza, in analoga vertenza, il Tar Piemonte aveva giudicato addirittu ra nullo il provvedimento di automatica esclusione di simili offerte
(sez. II 8 febbraio 1989, n. 34, id., 1990, III, 203, con nota di L. Tor
chia; su questi orientamenti, cfr. M. Filippi, La giurisprudenza ammini strativa a contenuto comunitario, in AA.VV., Ordinamento comunita rio e pubblica amministrazione a cura di A. Massera, Bologna, 1994,
594). Questa giurisprudenza è, allora, il segno dei forti dubbi di com
patibilità della normativa vigente all'epoca dei fatti sui quali si pronun cia la sentenza in epigrafe con le regole comunitarie sulla valutazione delle offerte anomale.
Si discute se fosse possibile una soluzione diversa da quella accolta dalla Cassazione, e fondata su una maggiore valorizzazione del princi pio di preminenza del diritto comunitario, il quale d'altra parte opera indipendentemente dall'efficacia diretta di una direttiva o dal suo rece
pimento (oltre alla citata dottrina, cfr. M. Chiti, Diritto amministrativo
europeo, Milano, 2004, 539 e 545; Corte giust. 13 novembre 1990, cau sa C-106/89, Foro it., 1992, IV, 173, con nota di L. Daniele, Novità in tema di efficacia delle direttive comunitarie non attuate; A. Pizzorusso, L'attuazione degli obblighi comunitari: percorsi, contenuti e aspetti problematici di una riforma del quadro normativo, id., 1999, V, 225; A. Tizzano, La tutela dei privati nei confronti degli Stati membri del l'Unione europea, id., 1995, IV, 13; Tar Molise 10 agosto 1999, n.
432, id., Rep. 2000, voce Unione europea, n. 856). Del resto, tale prin cipio e la descritta efficacia diretta — al quale Tesauro riconosce una funzione «pedagogica» e «sanzionatoria» — è condizione dell'effetti vità del diritto comunitario, rispetto alla quale il rimedio risarcitorio si
pone come utile strumento: non a caso il problema della responsabilità si è posto soprattutto nel caso di direttive prive di efficacia diretta, po sto che la loro violazione — se priva di conseguenza risarcitorie — ri marrebbe molto spesso priva di sanzione: così la sentenza Francovich
(Corte giust. 19 novembre 1991, cause riunite C-6/90 e C-9/90, id., 1992, IV, 145, con note di Barone, Pardolesi e Ponzanelli), sulla
quale, cfr. D. Sorace, La responsabilità extracontrattuale pubblica: spunti comparatistici nella prospettiva della europeizzazione, in
AA.VV., La responsabilità pubblica nell'esperienza giuridica europea, Bologna, 1994, 19; cfr., di recente, Cass. 16 maggio 2003, n. 7630, Fo ro it., 2003, I, 2015, con nota di Scoditti, Ancora sull'illecito dello Stato per mancata attuazione di direttiva comunitaria, e Trib. I grado 6 marzo 2003, causa T-57/00, e 26 febbraio 2003, cause riunite T-344/00 e T-345/00, ibid., IV, 573, con nota di G. Avanzini, Aspettative, inerzia e buona amministrazione nella responsabilità civile delle istituzioni comunitarie.
Se si accentua il profilo della funzione «sanzionatoria» svolta dal ri sarcimento in caso d'inosservanza del diritto comunitario (sulla quale, cfr. R. Bifulco, La responsabilità dello Stato per atti legislativi, Pado
va, 1999, 213), il tema della colpa dell'amministrazione muta sensibil mente. Del resto, tra i presupposti della responsabilità enunciati dalla
giurisprudenza comunitaria — vale a dire: a) norma attributiva di dirit
ti, b) violazione grave e manifesta e c) nesso causale — l'elemento psi
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
presentato «una percentuale di ribasso superiore alla media delle
percentuali delle offerte ammesse, incrementata di dieci punti
percentuali». Tale previsione venne ripetuta in una lettera di in
vito e richiamo dei critèri di aggiudicazione, in conformità del
l'art. 4 d.l. 27 luglio 1987 n. 302 nel frattempo emanato al posto del decaduto d.l. 206/87. Con delibera della giunta municipale in data 6 ottobre 1987, l'offerta della società venne esclusa, in
quanto anomala, in applicazione del sopravvenuto d.l. 393/87, e
fu dichiarata aggiudicataria altra impresa. Avverso tale delibe
razione l'impresa F.lli Costanzo propose ricorso al Tar Lombar
dia, il quale, con ordinanza n. 182 del 24 marzo 1988, chiese
alla Corte di giustizia della Cee di pronunciarsi su alcune que stioni d'interpretazione dell'art. 29, punto 5, della direttiva Cee
71/305. In data 22 giugno 1989 intervenne la sentenza della
Corte di giustizia (Foro it., 1991, IV, 129), con la quale la sud
detta norma comunitaria fu dichiarata immediatamente applica bile dal giudice e dalla pubblica amministrazione italiana, sic
ché il Tar adito, con sentenza del 25 novembre 1989, accolse il
ricorso, dichiarando l'illegittimità del provvedimento di esclu
sione dell'offerta della ricorrente. Con decisione del 9 novem
bre 1990, il Consiglio di Stato conformò la sentenza, definiti
vamente accertando che la società era stata illegittimamente esclusa dalla gara.
Con citazione notificata il 5 novembre 1991, la F.lli Costanzo
s.p.a., in proprio e nella qualità, premesse le superiori circostan
ze, convenne in giudizio il comune di Milano davanti al tribu
nale della stessa città, lamentando che, in conseguenza dell'ille
gittima esclusione dalla gara e della mancata aggiudicazione dei
cologico non è oggetto di autonoma valutazione, mentre al limite con tribuisce a determinare il requisito della gravità della violazione (cfr. Trib. Catania 28 febbraio 2004, Foro it., 2004, I, 2512, con nota di
Dalfino; Corte giust. 1° giugno 1999, causa C-302/97, id., 1999, IV, 458; Trib. Caltanisetta 15 settembre 1997, id., Rep. 1998, voce Respon sabilità civile, n. Ili; Corte giust. 8 ottobre 1996, cause riunite C
178/94, C-179/94, C-188/94 e C-189/94, id., Rep. 1997, voce Unione
europea, n. 765; 5 marzo 1996, cause riunite C-46/93 e C-48/93, id., 1996, IV, 185; Corte giust. II ottobre 1990, causa C-34/89, id., Rep. 1992, voce Comunità europee, n. 359. In dottrina, oltre agli autori già citati, cfr. R. Caranta, La giustizia amministrativa comunitaria, in
AA.VV., Trattato di diritto amministrativo, parte speciale a cura di S.
Cassese, Milano, 2003, V, 4939; G. Alpa, La responsabilità civile dello Stato per violazione di obblighi comunitari, in Rass. dir. civ., 2000, 487; Falcon, La tutela giurisdizionale, in Trattato di diritto am ministrativo europeo, cit., 368; M. Clarich, Responsabilità, in Trattato di diritto amministrativo europeo, cit., 644). Una violazione grave e manifesta sussisterebbe nell'ipotesi in cui sia l'amministrazione pub blica a non garantire l'osservanza del diritto comunitario, poiché essa non dispone di margini di scelta a riguardo (G. Tesauro, Diritto comu
nitario, cit., 347, spec, nota 341; M. Chiti, Diritto amministrativo eu
ropeo, cit., 542 ss.). In quest'ottica, la responsabilità potrebbe essere esclusa solo qualora l'amministrazione provasse un «errore scusabile»
nell'applicazione del diritto, così come propone il modello di responsa bilità «da contatto» configurabile in presenza di precisi e puntuali ob
blighi di legge (Cass. 10 gennaio 2003, n. 157, Foro it., 2003,1, 78, con nota di F. Fracchia; di recente, cfr. Cons. Stato, sez. V, 2 settembre
2005, n. 4461; Tar Lombardia, sez. II, 27 luglio 2005, n. 3438; sez. Brescia 30 marzo 2005, n. 243; Cons. Stato, sez. IV, 15 febbraio 2005, n. 478; 21 febbraio 2005, n. 551; sez. V 10 gennaio 2005, n. 32, tutte in
<www.giustizia-amministrativa.it>, e sez. IV 6 luglio 2004, n. 5012, Foro it., 2005, III, 247).
La Cassazione in epigrafe applica invece il tradizionale modello di
responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c. e, quindi, pone esclu sivamente a carico dell'attore l'onere della prova della colpa dell'am ministrazione (Cass., sez. un., 22 luglio 1999, n. 500/SU, id., 1999, I, 2487, con nota di Palmieri-Pardolesi, nonché 3201, con note di Ca
ranta, Fracchia, Romano e Scoditti). Rimane aperto l'interrogativo di
fondo, se cioè valga ad escludere la colpa dell'amministrazione la sua
convinzione di applicare correttamente l'unica disciplina vigente. In ef
fetti, il profilo della «correttezza» dell'amministrazione, che applica
«scrupolosamente» la disciplina italiana vigente all'epoca dei fatti, è un
profilo diverso da quello dell'accertamento dell'elemento psicologico, il quale tra l'altro deve essere verificato «in concreto» rispetto alle pe culiarità del caso deciso: nella specie, la regola applicata dal comune era del tutto alternativa (in questi termini, Tar Lombardia, sez. I, 25
novembre 1999, n. 554, cit.) ed opposta a quella della direttiva comu
nitaria ed anche della legge italiana di recepimento, per lo meno nella sua formulazione originaria. Di conseguenza il dubbio di un possibile — ed anzi probabile — contrasto tra norma italiana e regola comunita ria poteva sembrare del tutto ragionevole. [S. Rodolfo Masera]
li. Foro Italiano — 2006.
lavori oggetto dell'appalto, aveva subito un danno di notevoli
proporzioni in relazione alle spese affrontate per la partecipa zione alla gara, alla perdita del profitto d'impresa e ai riflessi
negativi alla propria immagine imprenditoriale nonché ai diritti e benefici che dall'aggiudicazione sarebbero direttamente o in
direttamente derivati. Chiese, pertanto, l'accertamento del di
ritto del raggruppamento all'aggiudicazione della gara in que stione, con conseguente condanna dell'ente convenuto al risar
cimento dei danni come innanzi evidenziati, da quantificarsi in
corso di causa.
Il comune di Milano, costituitosi in giudizio, resistette propo nendo nel contempo regolamento preventivo di giurisdizione, deciso con sentenza n. 11077 del 1993 dalle sezioni unite di
questa corte (id., 1994, I, 3138), che dichiarò la giurisdizione del giudice ordinario.
Con sentenza resa pubblica il 2 marzo 1998, l'adito tribunale
respinse la domanda. Ritenne che non sussisteva in capo alla
società attrice un diritto soggettivo all'aggiudicazione o al risar
cimento dei danni né in base alle norme comuni, in quanto la
posizione del concorrente nella fase precedente l'aggiudicazio ne della gara non è ricompresa nella sfera dei diritti soggettivi, né in forza dell'art. 12 1. 142/92, che in attuazione della diretti
va Cee 665/89 ha introdotto nell'ordinamento interno la risarci
bilità dei danni derivanti da atti della pubblica amministrazione
in materia di appalti pubblici anche lesivi di interessi legittimi, essendosi l'illecito del comune di Milano perfezionato al mo
mento dell'adozione della delibera di aggiudicazione e, quindi, anteriormente all'entrata in vigore della predetta legge.
Il gravame proposto dalla F.lli Costanzo s.p.a. venne rigettato dalla Corte d'appello di Milano, la quale confermò, innanzitut
to, l'inapplicabilità dal punto di vista cronologico alla fattispe cie di giudizio della tutela risarcitoria speciale di fonte comuni
taria, perché la data di compimento dell'illecito amministrativo
andava individuata in quella di emanazione della delibera di
esclusione. Premesso, poi, che la delibera era stata dichiarata
illegittima in attuazione della sopra richiamata sentenza della
Corte di giustizia Cee, in quanto l'esclusione dell'offerta della
gara era stata adottata secondo il sistema automatico di con
trollo delle offerte anomale e in violazione dell'obbligo di veri
fica in contraddittorio, la corte negò anche l'applicabilità del re
gime risarcitorio generale ex art. 2043 c.c. di fonte codicistica.
Ciò in quanto la società attrice non aveva neppure affrontato la
questione —
punto nodale di accertamento della concreta possi bilità di aggiudicazione dell'appalto — riguardante la giustifi cabilità della sua offerta al ribasso, nel senso che essa, benché
anomala, potesse risultare congrua e non passibile di esclusione
in una verifica in contraddittorio con l'amministrazione. Con
inammissibile salto logico di detto punto saliente, la tesi del
l'attrice si risolveva in una apodittica affermazione di specula rità fra illegittima esclusione e aggiudicazione dell'appalto. Inoltre, poiché nell'ambito dell'innovativo orientamento in te
ma di risarcibilità degli interessi legittimi, le sezioni unite di questa corte hanno precisato che il criterio di responsabilità ex
art. 2043 c.c. non è correlato alla mera illegittimità del provve
dimento, bensì a una più complessa valutazione estesa all'ac
certamento della colpa della pubblica amministrazione configu rabile nel caso in cui l'adozione e l'esecuzione dell'atto illegit timo siano avvenute in violazione dei canoni di imparzialità, correttezza e buona amministrazione cui deve ispirarsi l'azione
amministrativa, gli elementi addotti dall'attrice erano inidonei a
dimostrare la ricorrenza di tale violazione da parte del comune.
Difatti, le evidenziate anomalie — connesse soprattutto alla sin
golare carenza nella gara di altre offerte in ribasso e, per contro, alla massiccia presenza di numerose offerte al rialzo tali da as
sestare artatamente in alto la media complessiva — che, specie
se messe a raffronto con l'andamento di altre simili gare svolte
poco tempo prima, avrebbero connotato il contesto in cui era
maturata l'esclusione, costituivano mere supposizioni dell'atto
re e attenevano a un profilo diverso da quello per cui il provve dimento impugnato era stato annullato.
Contro la sopra compendiata sentenza, la F.lli Costanzo
s.p.a., in amministrazione straordinaria, ha proposto ricorso,
chiedendone la cassazione sulla base di sei motivi.
Resiste con controricorso il comune di Milano.
Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.
Motivi della decisione. — Ritiene il collegio che nel controri
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PARTE PRIMA 1828
corso può ravvisarsi il contenuto di ricorso incidentale condi
zionato. In esso, infatti, è detto che «nell'ipotesi che la corte
adita cassando la sentenza gravata riconosca la sussistenza dei
presupposti per il risarcimento dei danni si ribadisce l'eccezione
già formulata in primo grado di difetto di legittimazione passiva del comune di Milano». Nel conclusum più specificamente si
chiede «in via subordinata, (di) dichiarare il difetto di legittima zione passiva del comune».
Vale la pena qui ricordare che un atto denominato controri
corso ben può valere come ricorso incidentale, ma, a tal fine —
per il principio della strumentalità delle forme, secondo cui cia
scun atto deve avere quel contenuto minimo sufficiente al rag
giungimento del suo scopo — occorre che esso possegga i re
quisiti prescritti dall'art. 371 in relazione agli art. 365, 366 e
369 c.p.c. e, quindi, che contenga la richiesta di cassazione della
sentenza, specificamente prevista dal n. 4 dell'art. 366 cit. Tale
richiesta è essenziale per individuare nell'atto in questione un
mezzo di impugnazione, alla luce dei principi della domanda, del contraddittorio e della corrispondenza tra il chiesto ed il
pronunciato, implicanti, rispettivamente, che deve essere chia
ramente indicato il mezzo processuale azionato, che la contro
parte deve essere messa in condizione di difendersi e di replica re e che il giudice deve potere identificare la domanda senza in
certezze, per non andare oltre il limite della stessa (cfr. Cass.
4921/81, id., Rep. 1981, voce Cassazione civile, n. 296;
2841/84, id., Rep. 1984, voce cit., n. 147). Indubbiamente l'atto in questione ha tutti i requisiti prescritti
dall'art. 371 in relazione agli art. 365, 366 e 369 c.p.c. giacché la richiesta (condizionata) di cassazione della sentenza è, all'e
videnza, implicita. Con il ricorso in esame, il comune deduce che il soggetto
eventualmente legittimato passivamente è lo Stato italiano, a cui
fa capo l'attività di governo e risalgono i d.l. 25 maggio 1987 n.
206, 27 luglio 1987 n. 302 e 25 settembre 1987 n. 393 — non
convertiti in legge, ma salvati negli effetti dalla 1. 478/87 — i
quali avevano via via disposto l'esclusione, con criterio mate
matico, delle offerte ritenute anormalmente basse; lamenta
inoltre che, al pari del tribunale, la corte lombarda ha del tutto
omesso di esaminare l'eccezione di difetto di legittimazione
passiva. Benché formulato in via condizionata, il ricorso incidentale
va esaminato per primo, investendo una questione pregiudiziale di rito (Cass., sez. un., 212/SU/01, id., 2002,1, 493).
Esso è infondato.
Anzitutto, va rilevato che la questione è stata erroneamente
prospettata come attinente alla legittimazione passiva. Per vero,
quando il convenuto eccepisca la propria estraneità al rapporto giuridico sostanziale dedotto in giudizio viene a discutersi non di una condizione della trattazione del merito della causa, quale è la ìegitimatio ad causam nel duplice aspetto di legittimazione ad agire e contraddire, bensì dell'effettiva titolarità passiva del
rapporto controverso, cioè dell'identificabilità o meno nel con venuto del soggetto tenuto alla prestazione richiesta dall'attore.
Ma a prescindere dalla reale natura della questione, la do
glianza di omessa pronuncia si rivela priva di fondamento, il
giudice a quo ha infatti deciso sulla eccezione (anche da esso connotata alla stregua dell'istituto della ìegitimatio ad causam), affermando che «accertata ... l'illegittimità dell'atto ammini strativo —
per fatto imputabile alla pubblica amministrazione
(l'amministrazione anche comunale, è tenuta ad applicare l'art.
29, n. 5, della direttiva del consiglio 71/305 e a disapplicare le norme del diritto nazionale non conformi a questa disposizione) ne consegue la legittimazione passiva del comune convenuto alla proposta azione di danni».
Può quindi passarsi all'esame del ricorso principale. Con il primo motivo, si denunzia violazione della direttiva
Cee 21 dicembre 1989 n. 665, per come attuata dall'art. 13 1. 19 febbraio 1992 n. 142, e omessa motivazione. Si lamenta che la corte territoriale, recependo passivamente quanto stabilito dal
giudice di prime cure e non tenendo conto delle censure mosse al riguardo con l'atto d'appello, ha disatteso la tesi — emer
gente da plurimi indici, normativi e giurisprudenziali, oltre che da più generali esigenze sistematiche — secondo cui la pretesa risarcitoria era perfettamente sussumibile sotto l'area di vigenza dell'art. 13 1. 142/92, dacché per la richiamata disciplina sostan
II Foro Itali, no — 2006.
ziale di fonte originariamente comunitaria — che subordina la
domanda di risarcimento al previo ottenimento dell'annulla
mento dell'atto illegittimo da parte del giudice amministrativo — la fattispecie lesiva si era perfezionata alla data di formazio
ne del giudicato amministrativo e cioè alla data di emanazione
della sentenza del Consiglio di Stato (9 novembre 1990). Con il secondo motivo, si denuncia violazione e falsa appli
cazione dell'art. 2043 c.c. e insufficiente e contraddittoria moti
vazione su punto decisivo della controversia. Si censura la sen
tenza per non avere la corte considerato che le istanze risarcito
ne avanzate dalla F.lli Costanzo s.p.a. riguardavano altri effetti
lesivi della colpevole illegittima esclusione dalla gara, vale a di
re il vulnus determinato all'immagine aziendale (con perdita di
ulteriori e distinte commesse) e le ingenti spese di partecipazio ne alla gara medesima. La probabilità di ottenimento dell'ap
palto non poteva essere inquadrata in una sede argomentativa diversa da quella afferente l'indagine sul nesso di causalità tra
fatto lesivo e danno ingiusto lamentato e si atteggiava a condi
zione discriminante per la risarcibilità dei soli danni connessi
alla mancata aggiudicazione dei lavori oggetto dell'appalto, laddove ogni altra lamentata lesione derivava immediatamente
dalla comune condotta causativa rappresentata dalla mera esclu
sione dalla gara. Con il terzo motivo, denunziandosi contraddittoria motiva
zione, si censura l'affermata mancanza di ogni allegazione inte
sa a dimostrare la concreta possibilità di ottenere l'aggiudica zione dell'appalto. Al contrario, la più che probabile acquisizio ne dell'appalto a favore della società emergeva da combinate e
incontroverse circostanze, prima fra tutte che la gara era stata
bandita al massimo ribasso e l'offerta presentata dalla società
era stata l'unica presentata al ribasso.
Con il quarto motivo, si denuncia falsa applicazione dell'art.
2043 c.c. e insufficiente motivazione. Si addebita alla corte di
avere valutato solo in parte le allegazioni difensive articolate da
ultimo in ben sei punti della comparsa conclusionale d'appello, mediante le quali vennero dimostrate le negligenze e scorrettez
ze caratterizzanti l'operato dell'amministrazione comunale nella
vicenda concorsuale di cui trattasi. In particolare, la corte ha
trascurato alcune circostanze che evidenziavano quanto meno la
leggerezza con cui l'amministrazione comunale non tenne conto
né delle rimostranze avanzate dall'unica offerente al ribasso con
apposito telegramma né dell'ingente pregiudizio finanziario che
sarebbe derivato alla collettività per effetto della illegittima de
cisione che stava per adottare.
Con il quinto motivo si denunzia violazione e falsa applica zione dell'art. 2043 c.c. nonché omessa e contraddittoria moti
vazione. I giudici di appello, si sostiene, nel negare indiscrimi
natamente alcuna responsabilità dell'amministrazione, trascura
rono in ogni caso di distinguere tra lo specifico pregiudizio ine
rente alla mancata aggiudicazione dei lavori appaltandi e le altre
poste di danno lamentate dall'appellante, quali gli ingenti costi di partecipazione alla gara, oltre alle spese legali sostenute in
occasione dell'articolata vicenda giudiziale amministrativa, e il
lucro cessante a causa del grave vulnus inflitto all'immagine commerciale della società per effetto dell'esclusione dalla sele
zione. Per il riconoscimento di tali danni non occorreva una po sitiva indagine prognostica in merito al nesso di causalità tra
l'illegittima esclusione dalla gara e l'aggiudicazione dell'ap palto, trattandosi di danni costituenti conseguenza diretta e im mediata della mera illegittimità dell'esclusione dalla gara.
Con il sesto motivo, si denunzia la «nullità derivata» della
sentenza per violazione degli art. 91 ss. c.p.c. Dall'illegittimità della sentenza impugnata, relativamente al suo principale deci sum di rigetto integrale dell'istanza risarcitoria, deriva l'illegit timità della pronuncia con la quale la corte lombarda compensò le spese di giudizio del secondo grado, altresì implicitamente ri
gettando l'istanza di riforma avanzata in appello avverso la
statuizione sulle spese processuali del primo grado, ivi fatte in
tegralmente gravare sull'appellante. Il primo motivo è anzitutto infondato.
Si premette al riguardo che l'art. 13 1. 142/92 (poi abrogata dall'art. 35 d.leg. n. 80 del 1998, in quanto l'art. 33 medesimo
decreto dispone un più esteso ambito di applicazione della tutela
giurisdizionale — nel quale è ricompresa pure la materia degli appalti pubblici — attribuita peraltro al giudice amministrativo
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
e non all'autorità giudiziaria ordinaria) prevedeva, in attuazione
della direttiva del consiglio Cee n. 665 del 1989, la risarcibilità
dei danni ai soggetti lesi a causa di atti compiuti (in particolare, dall'amministrazione aggiudicatrice), in materia di appalti pub blici di lavori e forniture, in violazione del diritto comunitario e
delle norme interne di recepimento. L'area di applicabilità della
previsione (la materia degli appalti pubblici) è assai ampia, an
che alla luce della predetta direttiva e di quelle precedenti in
materia (la 71/305/Cee e la 77/62/Cee), che si riferiscono alla
procedura di aggiudicazione, intesa in senso lato, dalla pubbli cazione del bando, passando, appunto, per la selezione qualita tiva anteriore alla gara, fino alla gara vera e propria e all'aggiu dicazione. Il principio della risarcibilità dei danni per i soggetti lesi in materia di appalti pubblici di lavori e forniture, introdotto
dalla predetta direttiva Cee del 1989 (si parla, nel preambolo, della necessità di garantire in tutti gli Stati membri procedure
adeguate che permettano l'indennizzo delle persone lese, e an
cora, nell'art. 2, n. 6, di annullamento della decisione illegittima e di conseguente risarcimento dei danni) venne recepito per la
prima volta nel nostro ordinamento dalla 1. n. 142 del 1992, al
l'art. 13, e fu salutato come un contributo inedito e decisivo del
diritto comunitario per il superamento, nel diritto interno, del
l'orientamento giurisprudenziale consolidato che escludeva la
risarcibilità degli interessi legittimi. Come detto, non erano
mancate direttive Cee anteriori, che potevano sicuramente vin
colare l'attività della pubblica amministrazione (71/305/Cee e
77/62/Cee), ma esse si limitavano in genere a individuare mec
canismi più agili per l'annullamento delle decisioni illegittime, senza alcun riferimento ad indennizzi e risarcimenti.
La direttiva Cee del 1969 e l'art. 13 1. n. 142 del 1992 (e suc
cessive estensioni) non possono applicarsi se non a fatti e com
portamenti venuti in essere dopo la loro entrata in vigore, per il
principio generale di efficacia della legge nel tempo di cui al
l'art. 11, 10 comma, preleggi, sicuramente derogabile, ma, nella
specie, non derogato. È evidente l'inapplicabilità del predetto art. 13 1. 142/92 a un rapporto esaurito o comunque a un fatto
verificatosi anteriormente alla sua entrata in vigore. Nella spe cie, è incontrovertibile che i fatti e i comportamenti ritenuti le
sivi si svolsero nel 1987, mentre la ricorrente richiama la diret
tiva del 1989 nonché l'art. 13 1. n. 142 del 1992, senza riferirsi
ad altre disposizioni di diritto interno o a direttive comunitarie
anteriori. Per vero, gli effetti dannosi sono riconducibili al
provvedimento di indebita esclusione dalla gara e non certo al
passaggio in giudicato della sentenza del giudice amministrativo
che ne accertò l'illegittimità e che in ogni caso risale a epoca anteriore all'entrata in vigore della ridetta legge. Il momento di
perfezionamento della fattispecie lesiva va, in altri termini, sicu
ramente ricondotto alla data 6 ottobre 1987 in cui fu emanata la
delibera di esclusione dalla gara successivamente impugnata
dall'impresa Costanzo e dichiarata illegittima per violazione
dell'art. 29, n. 5, della direttiva 71/305/Cee del consiglio del 26
luglio 1971. Essa infatti rilevava di per sé come fatto dannoso. A quella
data non era stata emanata la direttiva 89/665/Cee del consiglio del 21 dicembre 1989 in materia di procedimento di aggiudica zione di appalti a rilevanza comunitaria e non era ancora entrata
in vigore la 1. 142/92 che ha recepito nell'ordinamento l'art. 2,
punto 1, lett. e), punto 5, della direttiva predetta, sancendo (art.
13) che «I soggetti che hanno subito una lesione a causa di atti
compiuti in violazione del diritto comunitario in materia di ap
palti pubblici di lavori o di forniture o delle relative norme in
terne di recepimento possono chiedere all'amministrazione ag
giudicatrice il risarcimento del danno».
La società ricorrente indugia poi nel criticare la sentenza per non aver preso in considerazione le censure rivolte alla decisio
ne di primo grado ma, in contrasto con il principio di autosuffi
cienza del ricorso, non specifica quali siano queste censure. In
tema di contenuto del ricorso per cassazione è infatti costante
l'indirizzo giurisprudenziale secondo cui la finalità della norma
di cui all'art. 366, n. 4, c.p.c. è quella di assicurare che il ricorso
stesso presenti l'autonomia necessaria a consentire, senza il sus
sidio di altre fonti, l'immediata e pronta individuazione delle
questioni da risolvere, consentendo quindi un controllo alla
Corte di cassazione sulla base delle deduzioni contenute nel
l'atto, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini in
II Foro Italiano — 2006.
tegrative (in tali sensi, ex plurimis, Cass. 17627/03, id., Rep.
2003, voce cit., n. 165; 10324/00, id., Rep. 2000, voce cit., n.
223; 8013/98, id.. Rep. 1998, voce cit., n. 203; 1161/95, id.. Rep. 1995, voce cit., n. 112). Alla luce dell'indicato principio,
può dunque affermarsi che, allorquando con il ricorso per cassa
zione si lamenti il mancato esame da parte del giudice d'appello delle critiche rivolte alla sentenza di primo grado, è necessario
che il ricorrente specifichi quali siano state queste critiche onde
consentire al giudice di legittimità di valutare la dedotta omis
sione. Né il requisito della specificità, completezza e riferibilità
dei motivi del ricorso alla decisione impugnata potrebbe dirsi ri
spettato quando il ricorso per cassazione è basato sul richiamo
ai motivi di appello, nonché alle deduzioni svolte nei precedenti
gradi del giudizio. Per vero, l'onere dell'indicazione specifica dei motivi di impugnazione, imposto a pena di inammissibilità
del ricorso per cassazione dall'art. 366, n. 4, c.p.c., qualunque sia il tipo di errore per cui è proposto (in procedendo o in iudi
cando), non può essere assolto per relationem, con il generico rinvio ad atti del giudizio di appello, senza l'esplicazione del lo
ro contenuto (cfr. Cass. 14075/02, id., Rep. 2002, voce cit., n.
183; 13258/00, id., Rep. 2000, voce cit.. n. 224; 252/96, id.. Rep. 1996, voce cit., n. 161; 5217/87, id.. Rep. 1987, voce cit., n. 92).
Non coglie il segno neanche la critica alla motivazione della
sentenza impugnata. Questa, con trama argomentativa concisa
ma sufficiente, ha dato atto che su tale punto della controversia, ossia in ordine all'applicabilità della direttiva 89/665/Cee e/o
della 1. 142/92 alla fattispecie, il giudice di prime cure ha svolto
una corretta e compiuta motivazione esente da vizi logici o giu ridici. In sostanza, la corte territoriale ha motivato per relatio
nem richiamando la pronuncia del tribunale, di cui ha condiviso
le ragioni logico-giuridiche. Come è noto, la motivazione per relationem deve considerarsi rituale quando il rinvio sia fatto ad
una decisione di grado precedente nello stesso processo, pure né
il giudice del gravame abbia dato conto di aver valutato critica
mente sia il provvedimento impugnato che le censure proposte
(Cass. 5612/98, id.. Rep. 1998, voce Sentenza civile, n. 57;
4725/96, id.. Rep. 1996, voce Appello civile, n. 17; 4637/83, id., Rep. 1983, voce Cassazione civile, n. 78). Nel caso in esame, in
ordine alla motivazione della corte d'appello che, a fronte delle
critiche dell'appellante quali riportate nel testo della sentenza (e incentrate sulla sussumibilità della fattispecie nell'area applica tiva delle sopra richiamate normative), ha ritenuto congruo e
compiutamente motivato il percorso argomentativo seguito in
parte qua dalla decisione del tribunale, la ricorrente si è limitata
a dedurre in maniera generica che i giudici di seconde cure non
hanno tenuto conto dei motivi di gravame, sicché restano non
chiarite le ragioni che dovrebbero giustificare l'asserita viola
zione della regola di diritto.
Di qui l'inammissibilità oltre che l'infondatezza del mezzo.
Per il resto, la sentenza si fonda su due autonome rationes
decidendi al fine di rigettare l'appello e quindi la domanda del
l'attrice; la prima è che non risulterebbe integrata la responsa bilità aquiliana della pubblica amministrazione per mancanza
dell'elemento psicologico (dolo o colpa); la seconda è che non
risulterebbe provata dall'attrice la concreta possibilità di ottene
re l'aggiudicazione dell'appalto. Verso la prima di tali rationes
sono diretti, con diverse sfumature, i motivi secondo, quarto e
quinto del ricorso; contro l'altra, il terzo motivo del ricorso. Ne
segue che è sufficiente dimostrare l'infondatezza delle censure
rivolte a una sola di tali ragioni per rigettare il ricorso, senza
necessità di esaminare le censure che investono più direttamente
l'altra.
Con il secondo e il quinto motivo (del tutto sovrapponibili) si
censura la sentenza per avere ritenuto necessaria la prova del
l'elemento soggettivo anche per il risarcimento dei danni diversi
dalla perdita della chance di aggiudicazione dell'appalto. Con il
quarto motivo si ascrive alla corte meneghina di avere ritenuto
non provata la colpa della pubblica amministrazione.
Le censure (che, a parte la segnalata sovrapposizione, vanno
trattate insieme in quanto attinenti tutte al tema della prova della
colpa) si appalesano destituite di giuridico fondamento. Quella innucleata nel quarto motivo presenta anche rilevanti profili di
inammissibilità. Con la nota sentenza n. 500/SU del 22 luglio 1999 (id., 1999,
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PARTE PRIMA 1832
I, 2487), le sezioni unite di questa corte hanno rilevato che, agli effetti della risarcibilità, ai sensi dell'art. 2043 c.c., si considera
ingiusto il danno arrecato in difetto di una causa di giustifica zione (non iure infectimi), che non può rimanere a carico della
vittima, ma va trasferito all'autore del fatto, perché lesivo di
interessi giuridicamente tutelati (in quanto comunque presi in
considerazione da qualche norma di protezione anche a fini di
versi da quelli risarcitori), quale che sia la qualificazione for
male di detti interessi e senza, in particolare, che ne sia determi
nante la strutturazione come diritti soggettivi perfetti. La risar
cibilità degli interessi legittimi — la cui lesione è qualificabile in astratto come danno ingiusto
— dipende in concreto dall'ac
certamento dell'effettività del danno e della sua ingiustizia, dal
l'esistenza di un nesso causale tra l'evento e il comportamento
illegittimo della pubblica amministrazione e di una componente di dolo o colpa (non del funzionario ma) dell'amministrazione
apparato, che non può considerarsi in re ipsa nella sola illegit timità dell'esercizio della funzione amministrativa (né, pertanto,
conseguire ipso facto all'accertata illegittimità dell'atto ammi
nistrativo), ma va verificata caso per caso dal giudice in ragione di un esercizio dell'azione amministrativa che risulti in viola
zione di regole di imparzialità, correttezza e buona amministra
zione, quali limiti estemi alla discrezionalità. In altri termini, ove sia stata dedotta davanti al giudice ordinario una domanda
risarcitoria ex art. 2043 c.c. nei confronti della pubblica ammi
nistrazione per illegittimo esercizio della funzione pubblica, detto giudice, onde stabilire se la fattispecie concreta sia o meno
riconducibile nello schema normativo delineato dall'art. 2043
c.c., dovrà, in ordine successivo: a) accertare la sussistenza di
un evento dannoso; b) stabilire se l'accertato danno sia qualifi cabile come danno ingiusto, in relazione alla sua incidenza su
un interesse rilevante per l'ordinamento, che può essere indiffe
rentemente un interesse tutelato nelle forme del diritto soggetti vo (assoluto o relativo), ovvero nelle forme dell'interesse legit timo (quando, cioè, questo risulti funzionale alla protezione di
un determinato bene della vita, poiché è la lesione dell'interesse
al bene che rileva ai fini in esame), o altro interesse (non elevato
ad oggetto di immediata tutela ma) giuridicamente rilevante (in
quanto preso in considerazione dall'ordinamento a fini diversi
da quelli risarcitori, e quindi non riconducibile a mero interesse
di fatto); c) accertare, sotto il profilo causale, facendo applica zione dei noti criteri generali, se l'evento dannoso sia riferibile
a una condotta (positiva o omissiva) della pubblica amministra
zione; d) stabilire se il predetto evento dannoso sia imputabile a
dolo o colpa della pubblica amministrazione; la colpa, unita
mente al dolo, costituisce infatti componente essenziale della
fattispecie della responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c. e non
sarà invocabile, ai fini del relativo accertamento, il principio se
condo il quale essa sarebbe in re ipsa nel caso di esecuzione
volontaria di atto amministrativo illegittimo. Non ignora il collegio che l'estensione dell'indagine a tale
profilo, ritenuto di regola ininfluente sull'attività della pubblica amministrazione, appare estremamente difficoltosa, nonché fo
riera di risultati tutt'altro che certi. E tuttavia non può non te
nersi per fermo che, ai fini risarcitori, la colpa dell'amministra
zione non vada automaticamente correlata all'illegittimità del
l'atto quando si riscontri, nella fattispecie concreta, l'esistenza
di particolari circostanze (equivocità o contraddittorietà della
normativa di riferimento, contrastanti orientamenti giurispru denziali, novità delle questioni) che abbiano contribuito in mi
sura determinante a condizionare negativamente l'operato del
l'amministrazione.
Applicando i principi sopra riportati, i giudici d'appello han no negato, sulla base della pacifica ricostruzione dei fatti, la
configurabilità di una responsabilità dell'amministrazione co
munale per violazione dei doveri di buona fede e correttezza nel
procedimento amministrativo di gara pubblica, nel cui ambito la
F.lli Costanzo aspirante all'aggiudicazione, sarebbe titolare di
un interesse legittimo al corretto esercizio del potere di scelta.
In particolare, detti giudici hanno messo in evidenza che, all'e
poca della delibera impugnata e dichiarata illegittima, era in vi
gore il d.l. 25 settembre 1987 n. 393, anch'esso non convertito, il cui art. 4, identico al corrispondente articolo dei due prece denti decreti legge decaduti, dispose che «al fine dell'accelera
zione delle procedure relative all'affidamento degli appalti di
Il Foro Italiano — 2006.
opere pubbliche e per un periodo di due anni dalla data di en
trata in vigore del presente decreto, sono considerate anomale,
ai sensi dell'art. 24, 3° comma, 1. 8 agosto 1977 n. 584, e sono
escluse dalla gara le offerte che presentano una percentuale di
ribasso superiore alla media delle percentuali delle offerte am
messe, incrementata da un valore percentuale che dovrà essere
indicato nel bando o nell'avviso di gara». Successivamente,
l'art. 1, n. 2, 1. 478/87 dispose che rimanevano validi gli atti
emanati in base ai non convertiti decreti sopra citati. Nella pro cedura di gara de qua, il comune di Milano aveva scrupolosa mente applicato la normativa vigente rappresentata dall'art. 4
dei più volte citati decreti legge. Solo in seguito la Corte di giu stizia Cee, con la sentenza resa il 22 giugno 1989, stabilì che le
modifiche provvisorie apportate, col prevedere un criterio di
esclusione matematico, dai d.l. 206/87, 302/87 e 393/87 all'art.
24, 3° comma, 1. 8 agosto 1977 n. 584 — norma interna di rece
pimento dell'art. 29, n. 5, della direttiva 71/305/Cee — contrad
dicevano lo scopo della direttiva, consistente nel favorire lo
sviluppo di una concorrenza effettiva nel settore degli appalti di
lavori pubblici. Un criterio di esclusione matematica priva i
partecipanti alla gara che abbiano presentato offerte particolar mente basse della possibilità di provare che si tratta di offerte
serie. Infatti, il giudice amministrativo aveva accolto il ricorso
della Costanzo per la violazione del principio, dotato di diretta
applicabilità, di cui all'art. 29, n. 5, su citato, postulante l'ob
bligo per la pubblica amministrazione di verificare in contrad
dittorio con l'offerente la composizione dell'offerta anormal
mente bassa rispetto al valore orientativo della prestazione. Alle stesse conclusioni, per la corte del merito, si deve perve
nire esaminando il materiale probatorio acquisito agli atti.
L'attore non ha provato la sussistenza della colpa, non potendo
questa identificarsi automaticamente con la violazione della
norma applicabile, dalla quale è scaturito l'accertamento del
l'illegittimità del provvedimento; gli elementi addotti al riguar do erano inidonei a dimostrare la violazione dei canoni di im
parzialità, correttezza e buona amministrazione. In particolare, le evidenti particolarità e anomalie connesse soprattutto alla
singolare carenza nella gara di offerte al ribasso, oltre quella
dell'impresa appellante, e alla massiccia presenza, per contro, di
numerose offerte al rialzo, che avrebbero connotato il contesto
nel quale è maturata l'esclusione, erano solo affermate o addi
rittura frutto di illazioni, attenevano a un profilo diverso da
quello per cui il provvedimento è stato annullato e non sarebbe
ro state riscontrabili dall'amministrazione comunale.
L'affermazione della corte d'appello sul difetto di risultanze
idonee a far ritenere che il comune di Milano avesse agito in
mala fede s'impernia, dunque, su un duplice ordine di conside
razioni in primo luogo ed essenzialmente, la trama normativa
vigente al momento di adottare la delibera in discussione; se
condariamente, il mancato o lacunoso assolvimento dell'onere
probatorio gravante sulla società attrice, stante l'inidoneità o
comunque la scarsa significatività degli elementi da questa ad
dotti al fine di dimostrare la colpa dell'amministrazione comu
nale.
Sotto il primo profilo, è senz'altro da escludere la lamentata
violazione di legge, non potendosi ritenere che il giudice d'ap
pello avrebbe dovuto rilevare la violazione delle regole d'im
parzialità, correttezza e buon andamento dell'amministrazione
di cui all'art. 97 Cost, e, per tale via, la sussistenza del danno
ingiusto ex art. 2043 c.c. nel fatto che il comune si sia adeguato alla normativa vigente alla data del bando, in luogo di prospet tarne un contrasto con direttive Cee, che solo in seguito la giuris
prudenza della corte europea avrebbe considerato immediata
mente applicabili dagli Stati membri. Infatti, poiché il nostro ordinamento obbliga tutti al rispetto della legge, non può soste
nersi che la pubblica amministrazione la quale si adegui alla
normativa vigente, in quel momento non interpretata in un certo
modo dalla Corte di giustizia Cee, violi uno dei principi di cui all'art. 97 Cost.
D'altra parte, attesa l'inequivocità della normativa in vigore e
considerata, di contro, l'allora tendenziale contrarietà, di dottri
na e giurisprudenza, all'immediata precettività negli ordina
menti interni delle direttive Cee, erano sicuramente ravvisabili
nella specie circostanze idonee a escludere l'ipotesi della colpa della pubblica amministrazione, essenziale per l'applicazione
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
dell'art. 2043 c.c., come correttamente rilevato dal giudice di
appello. In questa cornice, risulta poco perspicua la tesi della ricor
rente, secondo cui l'accertamento della colpa rileverebbe sem
mai per le chances acquisitive sfumate a causa della illegittima esclusione, ma non per le conseguenti perdite in termini di spese di partecipazione alla gara e di immagine aziendale. Di vero, una volta che il giudice ha ritenuto corretto il comportamento del comune, nessuna voce di danno risarcibile, neanche sub spe cie del danno emergente, può profilarsi, essendo rimasto escluso
che quello materialmente patito dall'impresa sia «ingiusto», ai
sensi dell'art. 2043 c.c., ovvero conseguente alla violazione del
l'obbligo di buona fede o del canone della correttezza procedi mentale o di quei «doveri di protezione» rappresentanti lo svi
luppo, nei rapporti con i privati, delle regole d'imparzialità e
buona amministrazione che devono ispirare l'azione ammini
strativa.
La motivazione del giudice del merito relativa alla carenza di
prova riguardo alla colpa della pubblica amministrazione appare
completa, priva di errori giuridici o vizi logici e, quindi, insin dacabile in questa sede di legittimità. Per vero, affermare che, nel caso concreto, l'azione dell'ente locale sia stata inficiata da
colpa spetta al giudice di merito e la valutazione delle prove da
esso compiuta non è sindacabile se, come nella fattispecie, essa
non presenta vizi di violazione di norme di diritto o di motiva
zione (v. Cass. 8723/04, id., Rep. 2004, voce Contratto in gene
re, n. 359; 2424/04, id., 2005,1, 1201; 17914/03, id., Rep. 2004, voce Responsabilità civile, n. 337). D'altra parte, per quanto i
motivi prospettino doglianze sulla motivazione, con essi, in ef
fetti, si chiede una rivalutazione dei fatti rispetto a quella effet
tuata dal giudice del merito.
Può ancora osservarsi che la censura addotta con il quarto motivo presenta un profilo d'inammissibilità consistente nel
fatto che, in violazione del ricordato principio di autosufficienza
del ricorso per cassazione, la ricorrente, denunziando il presunto vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il giudice a quo nel
disattendere la deduzione di sussistenza della colpa, rimanda a
atti del giudizio d'appello. Infatti, qualora, con il ricorso per cassazione, venga dedotta l'omessa, contraddittoria o insuffi
ciente motivazione della sentenza impugnata per l'asserita man
cata erronea o insufficiente valutazione di risultanze processuali
(un documento, deposizioni testimoniali, dichiarazioni di parti, accertamenti del consulente tecnico, ecc.), è necessario, al fine
di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività
della risultanza non valutata (o insufficientemente valutata), che
il ricorrente specifichi il contenuto di ciascuna delle predette ri
sultanze — mediante loro sintetica ma esauriente esposizione e,
all'occorrenza, integrale trascrizione nel ricorso — evidenzian
do, in relazione ad esso, il vizio omissivo o logico nel quale sia
incorso il giudice del merito e la diversa conclusione a cui sa
rebbe stato altrimenti possibile pervenire sulla questione decisa.
Ciò in quanto, il ricorso per cassazione, stante la previsione di
cui all'art. 366, n. 4, c.p.c., deve contenere in sé tutti gli ele
menti necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassa
zione della sentenza di merito ed altresì a permettere la valuta
zione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far
rinvio ed accedere ad elementi o atti concernenti il pregresso
giudizio di merito (cfr., ex plurimis, Cass. 12905/02, id., Rep. 2002, voce Cassazione civile, n. 193; 12596/02, ibid., n. 192;
88/01, id., Rep. 2001, voce cit., n. 235; 6863/95, id., Rep. 1995, voce cit., n. 101; 5742/95, ibid., voce Prova civile in genere, n.
22; 7392/94, ibid., voce Cassazione civile, n. 104). Infatti, viola
il principio dell'autosufficienza del ricorso ogni denuncia di
omessa motivazione (in ordine alle doglianze esposte innanzi al
giudice che ha emesso la sentenza impugnata) che non consenta
(come nella specie) di rilevare con assoluta chiarezza e preci
sione, sulla base delle sole deduzioni ritualmente esposte nel ri
corso stesso e con riferimento a tutti i punti rilevanti in fatto e in
diritto, la natura e il contenuto delle doglianze medesime.
Alla luce dei su richiamati principi, non è pertanto idoneo
allo scopo il semplice riferimento ai punti elencati dalla ricor
rente nella comparsa conclusionale d'appello, corredato dalla
sola affermazione del valore probatorio di essi quale inteso sog
gettivamente dalla parte, così come non lo sono le indicazioni e
le argomentazioni effettuate per relationem a atti della prece dente fase, in quanto non consentono a questa corte di procede
1l Foro Italiano — 2006.
re, sulla sola base del ricorso, alla valutazione della decisività, se pure in astratto, delle risultanze che il ricorrente assuma erro
neamente o insufficientemente valutate al fine di una possibile soluzione della controversia difforme da quella cui è pervenuto il giudice a quo.
Una volta rigettati i motivi di ricorso avverso la prima delle
rationes decidendi, il motivo di ricorso (il terzo) avverso la se
conda ragione (mancata prova della chance di aggiudicazione della gara) diventa inammissibile per sopravvenuta carenza di
interesse. Infatti va osservato che, in tema di ricorso per cassa
zione, qualora la decisione impugnata si fondi su una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome, e singolarmente idonee
a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infonda
tezza delle censure mosse a una delle rationes decidendi rende
inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure
relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di do
glianza, in quanto la loro eventuale fondatezza non potrebbe
comunque condurre, stante l'intervenuta definitività delle altre, all'annullamento della decisione stessa (cfr. Cass. 9449/00, id.,
Rep. 2000, voce cit., n. 58; 3951/98, id., Rep. 1998, voce cit., n. 58; 10555/94, id., Rep. 1995, voce cit., n. 40).
Il rigetto dell'ultimo motivo, con il quale la ricorrente si
duole del regolamento sulle spese, discende dall'affermata in
fondatezza e inammissibilità di quelli esaminati in precedenza. In definitiva entrambi i ricorsi vanno rigettati.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione II civile; sentenza 7 otto
bre 2005, n. 19527; Pres. Mensitieri, Est. Oddo, P.M. Pa
trone (conci, parz. diff.); L. Monacelli (Avv. La Spina) c. G. Monacelli e altri (Avv. Pescatori). Cassa App. Perugia 23
aprile 2002.
Successione ereditaria — Assenza di beni relitti — Donazio
ni del «de cuius» — Legittimario — Azione di riduzione — Accettazione con beneficio d'inventario — Esclusione
(Cod. civ., art. 564).
Qualora il de cuius si sia completamente spogliato in vita del
l'intero suo patrimonio con atti di donazione, va escluso l'o
nere di accettazione beneficiata per il legittimario che si trovi
nella necessità di esperire l'azione di riduzione. (1)
(1) La necessità dell'accettazione con beneficio d'inventario, previ sta dall'art. 564, 1° comma, c.c., quale condizione per l'esperimento dell'azione di riduzione, può riferirsi esclusivamente ai legittimari che abbiano contemporaneamente la qualità di erede; ciò, sia nell'ipotesi di
legittimario totalmente pretermesso dal testatore, sia nell'ipotesi di
successione ab intestato, qualora il de cuius, con atti di liberalità, si sia totalmente spogliato in vita del suo patrimonio. In tal senso, v. Cass. 9 dicembre 1995, n. 12632, Foro it., Rep. 1996, voce Successione eredi
taria, n. 63, e, per esteso, Giur. pugliese, 1995, fase. 2, 86, con nota di C. Fatiguso, Diseredazione di fatto del legittimario? - Note a margine dell'art. 564 c.c., e Corriere giur., 1996, 1138, con nota di M.R. Mo
relli, Problemi vecchi e nuovi in tema di pretermissione del legittima rio; 1° dicembre 1993, n. 11873, Foro it., Rep. 1994, voce cit., n. 96, e
Corriere giur., 1994, 324, con nota di M. Porcari, In tema di azione di
riduzione; 1° aprile 1992, n. 3950, Foro it., 1993, I, 194; nonché, nella
giurisprudenza di merito, Trib. Ravenna 24 luglio 2003, id., Rep. 2004, voce cit., n. 112; Trib. Roma 23 giugno 1999, id., Rep. 2000, voce cit., n. 129, e Arch, civ., 2000, 727, con nota di V. Santarsiere, Ascendente
legittimario pretermesso e azione di riduzione.
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