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sezione I civile; sentenza 22 aprile 1999, n. 3999; Pres. Senofonte, Est. Proto, P.M. Raimondi...

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sezione I civile; sentenza 22 aprile 1999, n. 3999; Pres. Senofonte, Est. Proto, P.M. Raimondi (concl. conf.); Vitiello (Avv. Di Macco, Piacentini) e Balzamo (Avv. Siragusa, Di Macco) c. Min. trasporti e Capitaneria di porto di Gaeta. Conferma Pret. Latina-Gaeta 3 aprile 1996 Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 6 (GIUGNO 1999), pp. 1787/1788-1789/1790 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23193707 . Accessed: 28/06/2014 14:13 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 46.243.173.175 on Sat, 28 Jun 2014 14:13:59 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione I civile; sentenza 22 aprile 1999, n. 3999; Pres. Senofonte, Est. Proto, P.M. Raimondi(concl. conf.); Vitiello (Avv. Di Macco, Piacentini) e Balzamo (Avv. Siragusa, Di Macco) c. Min.trasporti e Capitaneria di porto di Gaeta. Conferma Pret. Latina-Gaeta 3 aprile 1996Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 6 (GIUGNO 1999), pp. 1787/1788-1789/1790Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23193707 .

Accessed: 28/06/2014 14:13

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1787 PARTE PRIMA 1788

di un quadriennio, costringendo il locatore a reagire attraverso

il processo per ottenere l'adempimento, non vale ad eliminare il contenzioso, ma a favorirlo e può determinare conseguenze economiche di non indifferente rilievo, potendo il canone assu mere notevole consistenza.

3.10.5. - Resta da considerare ancora un argomento. Nella sentenza 29 maggio 1995, n. 6023, cit., è stato posto

l'accento sul fatto che nell'art. 42, 2° comma, della legge si

dicono applicabili ai contratti lì considerati, che costituiscono uno dei sottotipi delle locazioni non abitative, le disposizioni

processuali di cui al titolo I, capo III.

Sicché, è stato osservato, come, sulla base dell'art. 74, nel

regime transitorio, il legislatore ha esteso la sanatoria alle loca zioni non abitative, lo stesso deve ritenersi avvenuto, per i con

tratti successivi, sulla base dell'art. 42.

Ora, non è qui il caso di riaprire il dibattito sulla portata del richiamo contenuto nell'art. 74 della legge.

Si deve comunque osservare che il richiamo compiuto con

l'art. 74 era stato fatto alle «disposizioni degli art. da 43 a

57 . . .», sicché non poteva escludersi vi fosse ricompresa la

norma dettata dall'art. 55, salvo a stabilire se fosse stata richia

mata per estenderne l'ambito di applicazione. Al contrario, il richiamo contenuto nell'art. 42 è alle «. . .

disposizioni processuali di cui al tit. I, capo III . . .», sicché

dovrebbe in primo luogo discutersi se il richiamo si estenda al

l'art. 55, di cui è stata posta in rilievo la natura sostanziale.

Ma, al di là di questo, è più congruo, sul piano sistematico, attribuire al richiamo il valore per cui, a superare incertezze, si dichiara di assoggettare il sottotipo contrattuale alle stesse norme del terzo capo applicabili al tipo locazioni non abitative.

Sicché vanno escluse le altre possibili valenze: sia quella di

assoggettare il sottotipo ad una disciplina diversa e più favore vole al conduttore (in contrasto con la complessiva logica della

norma) sia quella per cui il legislatore avrebbe individuato nel

l'art. 42 e nella disciplina di un sottotipo contrattuale la sede idonea per affermare la comune applicabilità di tutte le disposi zioni del capo III a tutte le categorie di locazioni.

4. - Il terzo motivo è anch'esso infondato.

La decisione del giudice di merito sul diritto al rimborso alle

spese del processo non può essere sindacata dalla corte per non

avere lo stesso giudice preso in considerazione motivi che avreb bero potuto consentire di compensare le spese in tutto o in parte.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 22 aprile 1999, n. 3999; Pres. Senofonte, Est. Proto, P.M. Raimondi

(conci, conf.); Vitiello (Aw. Di Macco, Piacentini) e Balza mo (Aw. Siragusa, Di Macco) c. Min. trasporti e Capitane ria di porto di Gaeta. Conferma Pret. Latina-Gaeta 3 aprile 1996.

Pesca — Reti da posta derivante — Lunghezza superiore a due

milacinquecento metri — Divieto — Disposizione nazionale — Successivo regolamento comunitario — Applicazione —

Conseguenze (L. 14 luglio 1965 n. 963, disciplina della pesca marittima, art. 15; regolamento 27 gennaio 1992 n. 345 Cee del consiglio, recante undicesima modifica del regolamento Cee n. 3094/86 che istituisce misure tecniche per la conserva zione delle risorse della pesca, art. 9 bis).

Pesca — Norma sanzionatoria — Successivo regolamento co munitario — Identità delle condotte vietate — Applicabilità della sanzione (L. 14 luglio 1965 n. 963, art. 26; regolamento 27 gennaio 1992 n. 345 Cee del consiglio, art. 9 bis).

Deve ritenersi tuttora vigente, pur dopo l'emanazione del rego lamento Cee 27 gennaio 1992 n. 345 del consiglio, il divieto,

posto dal combinato disposto dell'art. 15 I. 14 luglio 1965 n. 963, nel testo modificato dalla I. 25 agosto 1988 n. 381,

Il Foro Italiano — 1999.

e dell'art. 2 d.m. 6 agosto 1991, di esercitare attività di pesca marittima con reti da posta derivante di lunghezza superiore a duemilacinquecento metri. (1)

La sanzione prevista dall'art. 26 l. n. 963 del 1965 per la viola

zione dei divieti posti dall'art. 15, lett. a) e b), stessa legge, è applicabile pur dopo l'emanazione del regolamento Cee 345/92 del consiglio ed indipendentemente dalla vigenza del d.m. 22 maggio 1991. (2)

Svolgimento del processo. — 1. - Con ordinanza n. 916/95 la capitaneria di porto di Gaeta ingiunse ai sig. Giuseppe Vitiel lo e Domenico Balzamo di pagare in via solidale a titolo di

sanzione amministrativa lire due milioni per violazione dell'art.

15, lett. b), 1. 963/65, in quanto, nella notte dell'I 1 luglio 1995, il motopeschereccio Tania 2ga 967, condotto dal Vitiello e di

proprietà del Balzamo era stato sorpreso dalla guardia di finan za nell'esercizio della pesca non a strascico, effettuato con rete da posta derivante della lunghezza di seimilacinquecento metri,

praticato in difformità dall'art. 2 del decreto del ministero della

marina mercantile 22 maggio 1991, modificato dal d.m. 6 ago sto 1991, punibile ai sensi della 1. 14 maggio 1965 n. 963.

2. - Il Vitiello e il Balzamo proposero opposizione, deducen

do, fra l'altro, che, a seguito dell'entrata in vigore del regola mento Cee 345/92 del consiglio del 27 gennaio 1992, era stata caducata la normativa nazionale, e che l'ordinanza opposta san zionava perciò la violazione di una norma nazionale inesistente. La capitaneria di porto si costituì e sostenne che la normativa interna corrispondeva esattamente a quella comunitaria.

3. - Con sentenza depositata il 3 aprile 1996 il pretore respin se l'opposizione, rilevando la fondatezza della prospettata ca

ducazione del diritto nazionale per effetto del regolamento co

munitario, stante l'identità delle due normative e, quindi, la

(1-2) La prima massima si fonda sul rilievo che, avendo le considera te previsioni, ovvero l'art. 15 1. 963/65 e l'art. 9 bis del regolamento Cee 345/92 (sulle cui previsioni v. Corte giust. 24 novembre 1993, cau sa C-405/92, richiamata in motivazione, Foro it., Rep. 1996, voce Unione

europea, n. 1434), analoga portata precettiva, vietando entrambe l'im

piego, nell'esercizio della pesca marittima, di reti da posta derivante di lunghezza superiore a duemilacinquecento metri, deve escludersi, per effetto della entrata in vigore del regolamento comunitario, la caduca zione della previgente disposizione nazionale (caducazione che, secondo consolidati principi, non si delinea neppure nel caso in cui la disposizio ne nazionale confligga con quella comunitaria direttamente applicabile: sul tema, da ultimo, v. i richiami a Cons. Stato, sez. I, 9 aprile 1997, n. 372/97, in questo fascicolo, III, 334) sì da rendere illegittima l'ordinanza-ingiunzione con cui era stata sanzionata proprio la violazio ne di detta disposizione.

In relazione alla seconda massima, la I sezione osserva che, avendo l'art. 9 bis del regolamento Cee 345/92 confermato il divieto di impiego di reti da posta derivante lunghe più di duemilacinquecento metri già imposto dall'art. 15 1. 963/65 così come integrato dal d.m. 22 maggio 1991, la persistente vigenza di quest'ultimo decreto si rivela, ai fini del la sanzionabilità del divieto de quo, ininfluente, non venendo comun que meno la corrispondenza fra il precetto e la sanzione ad esso corre lata. In senso conforme, v., oltre a Cass. 1° settembre 1998, n. 8669, id., Mass. 1998, 967, citata in motivazione, Cass. 4 febbraio 1998, n. 1106, id., 1998, I, 1492, secondo cui «qualora la legge statale, per la configurazione di illeciti amministrativi, faccia ricorso ad elementi nor mativi desumibili da fonti diverse, anche di natura comunitaria, la mo difica, anche solo parziale, delle disposizioni richiamate, quando esse siano menzionate in modo specifico, rende la sanzione inapplicabile, purché la modifica delle disposizioni richiamate per la determinazione del precetto non abbia solo carattere formale, ma incida in modo so stanziale sulla sua configurazione; pertanto, se la disposizione richia mata viene sostituita da una nuova disposizione, che lasci invariata quella precedentemente in vigore, la modifica non fa venire meno l'identità delle condotte vietate e, conseguentemente, la trasposizione della san zione dalle norme anteriori a quelle successivamente emanate non si pone in contrasto con alcuna delle esigenze che il principio di legalità — sancito in via generale, in tema di sanzioni amministrative, dall'art. 1 1. 689/81 — è diretto a salvaguardare».

Sulla disciplina delle reti derivanti, Maffei, Reti derivanti e protezio ne della specie, in Riv. dir. internaz., 1992, 706; Scovazzi, La pesca con reti derivanti nel Mediterraneo, in Riv. giur. ambiente, 1992, 523.

Per riferimenti circa altri profili della normativa sugli illeciti ammini strativi in tema di pesca, Cass. 16 giugno 1995, n. 6848, id., 1995, I, 3179, con nota di richiami di C. Scarano, cui adde, Giunti, Pesca (disposizioni penali sulla pesca), voce dell' Enciclopedia giuridica Trec cani, Roma, 1990, XXIII, spec. 4 s.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

perdurante vigenza di quella nazionale, che ne riusciva, anzi,

rafforzata. Aggiunse che non si poneva un problema di pregiu

dizialità e, quindi, di rinvio alla Corte di giustizia, in quanto

la norma di diritto nazionale non era in contrasto con una di

sposizione di diritto comunitario.

4. - Avverso questa decisione il Vitiello e il Balzamo hanno

proposto ricorso per cassazione, in base a due motivi, con atto

notificato il 28 marzo 1997. Hanno resistito con controricorso

il ministero dei trasporti e della navigazione e la capitaneria

di porto di Gaeta, con atto notificato il 10 ottobre 1997. I ri

correnti hanno depositato memoria, e, dopo la discussione, hanno

presentato osservazioni scritte sulle conclusioni del pubblico mi

nistero.

Motivi della decisione. — 1. - Col primo motivo del ricorso

si denunciano violazione e falsa applicazione degli art. 5, 177

e 189 del trattato Cee ratificato con 1. 14 ottobre 1957 n. 1203,

nonché vizi di motivazione. I ricorrenti censurano la sentenza

pretorile che ha ritenuto operante la disposizione di diritto in

terno, e deducono che il regolamento Cee 345/92 — fissando

all'art. 1, punto 8, n. 1, il medesimo contenuto della normativa

nazionale — avrebbe caducato quest'ultima, per gli effetti da

riconoscersi ai regolamenti comunitari. E rilevano che, se fosse

corretta l'affermazione relativa alla permanenza in vigore della

legge italiana, si costituirebbe un limite all'efficacia dei regola

menti stessi.

Il motivo non ha fondamento.

L'art. 15 1. 14 luglio 1965 n. 963 (che considera pesca maritti

ma ogni attività diretta a catturare esemplari di specie il cui

ambiente siano le acque, indipendentemente dai mezzi adopera

ti e dal fine perseguito), nel testo modificato dalla 1. 25 agosto

1988 n. 381, ha fatto divieto, tra l'altro, alla lett. b), «di pesca

re con navi o galleggianti, attrezzi o strumenti vietati dai rego

lamenti o non espressamente permessi». L'art. 2 d.m. 22 maggio 1991, modificato dal decreto 6 ago

sto 1991, precisa che l'uso della rete deve corrispondere ad una

«lunghezza non superiore a duemilacinquecento metri».

Allo scopo di assicurare la conservazione e lo sfruttamento

razionale delle risorse alieutiche, nonché la limitazione dello sfor

zo da pesca (Corte giust. 24 novembre 1993, causa C-405/92,

Foro it., Rep. 1996, voce Unione europea, nn. 1432-1434), l'art.

9 bis del regolamento (Cee) 27 gennaio 1992 n. 345/92 del con

siglio (che ha modificato il regolamento 3094/86) ha, poi, pre

visto il divieto «a qualsiasi nave di tenere a bordo o di effettua

re attività di pesca con una o diverse reti da posta derivante,

la cui lunghezza, individuale o addizionata, sia superiore a 2,5

chilometri».

La legge nazionale ed il regolamento comunitario contengo

no, dunque, indubbiamente, il medesimo precetto. Ma ciò non

determina le coseguenze prospettate dai ricorrenti.

I regolamenti, come le altre norme comunitarie produttive

di effetti diretti, entrano e permangono nell'ordinamento inter

no, e la loro efficacia non può essere intaccata dalla legge na

zionale. Il primato del diritto comunitario si traduce, infatti,

nell'inapplicabilità della normativa nazionale, sia essa precedente

o successiva, contrastante con quella comunitaria; ma non com

porta la caducazione o l'abrogazione della norma statale, che

non ne resta inficiata nella sua validità, anche quando sia con

fliggente con quella comunitaria, o sia introdotta successiva

mente nell'ordinamento. In tal caso, infatti, il trattamento giu

ridico della fattispecie resta attratto (ratione materiae) nell'am

bito di applicazione della normativa comunitaria, realizzandosi,

così, l'adeguamento automatico dei due ordinamenti, demanda

to al controllo del giudice. A questi principi, espressi dalla Corte costituzionale nella sen

tenza n. 170 del 1984 (id., 1984, I, 2062), riaffermati anche successivamente (ex multis, sent. 384/94, id., 1994, I, 3289),

e ormai radicati nel sistema, si è sostanzialmente conformata

la decisione impugnata, che non è, quindi, meritevole di censura.

2. - Col secondo motivo i ricorrenti, denunciando violazione

e falsa applicazione dell'art. 1 del decreto del ministero della

marina mercantile 22 maggio 1991, nonché vizi di motivazione,

lamentano che il pretore non abbia considerato che tale decreto

stabiliva una disciplina di carattere provvisorio, fino all'entrata

in vigore della normativa comunitaria in materia di reti deri

vanti, per l'esercizio della pesca con l'impiego dell'attrezzo de

nominato rete da posta derivante.

Anche questo motivo non ha fondamento.

Il Foro Italiano — 1999.

È sufficiente, infatti, rilevare che la sanzione stabilita dal

l'art. 26 1. 963/65, nel testo modificato dalla 1. 381/88, per la

violazione «ai divieti posti dal precedente art. 15, lett. a), e

b)» della stessa legge, resta operante, anche indipendentemente dalla vigenza del d.m. 22 maggio 1991, stante l'identità del pre cetto stabilito nel regolamento comunitario 345/92 e nella legge nazionale. Ne consegue, invero, l'irrilevanza delle modalità ap

plicative richiamate nel decreto, ad integrazione della fattispecie

contemplata nella norma primaria, non essendo in ogni caso

venuta meno la corrispondenza tra il precetto e la sanzione ad

esso correlata (cfr. Cass. 1° settembre 1998, n. 8669, id., Mass.,

932). 3. - In conclusione, non sussistono i vizi denunciati ed il ri

corso, pertanto, deve essere rigettato.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 21 aprile

1999, n. 3936; Pres. Vessia, Est. Fioretti, P.M. Ceniccola

(conci, conf.); Soc. C.r.m. - Centro di riabilitazione medica

nastro azzurro. Regolamento di competenza di ufficio.

Società — Delibere assembleari — Omologazione — Tribunale

competente (Cod. civ., art. 2330, 2411, 2436; cod. proc. civ.,

art. 18, 19, 25, 45; 1. 29 dicembre 1993 n. 580, riordinamento

delle camere di commercio, industria, artigianato ed agricol

tura, art. 8; d.p.r. 7 dicembre 1995 n. 581, regolamento di

attuazione dell'art. 8 1. 29 dicembre 1993 n. 580, in materia

di istituzione del registro delle imprese di cui all'art. 2188 c.c.).

La competenza per l'omologazione delle deliberazioni assem

bleari societarie spetta al tribunale del luogo in cui ha sede

l'ufficio del registro delle imprese presso il quale l'atto deve

essere depositato ed iscritto e non a quello della sede sociale. (1)

(1) Non si compone il contrasto fra i giudici di legittimità e quelli di merito in ordine all'individuazione del tribunale competente all'omo

loga degli atti societari. La Suprema corte ribadisce (anche con la con

forme sent. 22 maggio 1999, n. 4985, inedita) il proprio orientamento

già espresso da Cass. 5 giugno 1998, n. 5536, Foro it., 1998, I, 3591,

con nota di P. Gallo, puntualizzando — in risposta alle obiezioni sol

levate — come la soluzione da essa accolta non si fondi «sull'applica zione di un contestato principio generale che sarebbe desumibile in via

analogica dagli art. 18, 19, 24 e 25 c.p.c.» e neppure «sulla diversa

natura del procedimento di omologazione rispetto a quella della fase

successiva dell'iscrizione della delibera omologata nel registro delle im

prese», ma sull'interpretazione sistematica della normativa che regola la materia.

La corte si fa altresì carico di rispondere a chi si interrogava sulla

sorte dei decreti di omologazione adottati da tribunali territorialmente

incompetenti — in quanto fondati sull'opposto criterio della sede socia

le — rilevando che la loro revocabilità «non costituisce affermazione

pacifica né in dottrina né fra i giudici di merito, e comunque viene

esclusa dalla dottrina prevalente con riferimento ai decreti di omologa dell'atto costitutivo» (sul punto, v., per ampi riferimenti, G. Manzo,

in Foro it., 1997, I, 2803, e Civtnini, Sulla revoca del provvedimento camerale che ordina l'iscrizione di atti societari nel registro delle impre

se, id., 1995, I, 958, cui adde, per altre indicazioni, G.B. Macrì, nota

ad App. Bologna 4 giugno 1996 (id., Rep. 1997, voce Società, n. 543),

in Società, 1997, 287). L'assunto della sentenza in epigrafe secondo cui dovrebbe attribuirsi

all'art. 8 1. 580/93 una «valenza meramente ricognitiva della situazione

preesistente» (nella quale la legge — sebbene indirettamente — indivi

duava il tribunale competente per l'omologazione a mezzo dell'indivi

duazione del registro competente a ricevere l'atto: Salafia, ibid., 1292,

in nota a Cass. 7445/97, Foro it., 1997,1, 2803), in quanto il legislatore «non avrebbe fatto venir meno la preesistente coincidenza tra tribunale

competente per l'omologazione e quello incaricato della vigilanza sul

registro delle società», sembra tuttavia destinato a non incontrare il

favore di quella parte della dottrina la quale aveva rilevato che non

era la subordinazione gerarchica dell'ufficio al tribunale a giustificare la competenza omologatoria di quest'ultimo, ma solo la coincidenza

delle circoscrizioni territoriali ed il compiménto dell'atto nel territorio

dell'uno e dell'altro, cosicché — essendo venuta meno detta coinciden

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