sezione I civile; sentenza 22 aprile 2000, n. 5286; Pres. R. Sgroi, Est. Verucci, P.M. Ceniccola(concl. parz. diff.); Meraglia (Avv. Costantini) c. Banca Tamborino Sangiovanni (Avv. Franzì).Cassa App. Lecce 5 marzo 1998Source: Il Foro Italiano, Vol. 123, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 2000), pp. 2179/2180-2183/2184Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23194598 .
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2179 PARTE PRIMA 2180
Svolgimento del processo. — Luisa Di Meglio Sirabella ha
impugnato dinanzi alla Corte d'appello di Napoli, con atto no
tificato il 29 giugno 1996, la decisione della Commissione tribu
taria di II grado di Napoli depositata il 6 ottobre 1995 che, in accoglimento dell'appello dell'ufficio, aveva confermato l'ac
certamento di maggior valore di un immobile venduto dalla im
pugnante alla società cooperativa La Spiaggia. Con sentenza 23 maggio-10 giugno 1997, la corte ha dichiara
to l'inammissibilità dell'appello perché tardivo, essendo stata
la decisione della commissione di II grado notificata alla Di Meglio il 16 ottobre 1995, data dalla quale, ai sensi del combi
nato disposto degli art. 25 e 40 d.p.r. 636/72, aveva cominciato
per la impugnante a decorrere, previa scadenza, per tutte le parti, del termine di sessanta giorni per adire la commissione centrale, il termine di novanta giorni per proporre impugnazione avanti
alla corte d'appello, termine scaduto dunque il 14 marzo 1996.
Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso Luisa
Di Meglio Sirabella sulla base di un unico articolato motivo.
II ministero delle finanze resiste con controricorso.
Motivi della decisione. — Adducendo la violazione dell'art.
III Cost, in relazione agli art. 32, 32 bis, 39 e 40 d.p.r. n.
636 del 1972, dell'art. 74 d.p.r. n. 546 del 1992, nonché degli art. 112, 113, 115, 132, n. 4, 160, 285, 170, 325, 327 e 141 c.p.c., la ricorrente sostiene la tempestività del ricorso, nell'am bito del termine «lungo» di cui all'art. 327 c.p.c., per non avere
il termine di cui agli art. 25 e 40 d.p.r. 636/72 mai iniziato a decorrere a causa della inesistenza della notifica della decisio
ne della commissione tributaria di II grado, effettuata a mezzo
posta presso lo studio del procuratore domiciliatario, che si era
però nel frattempo trasferito, comunicando all'ordine profes sionale, come era suo onere, il mutamento di indirizzo.
Poiché in tal caso il dato di riferimento personale prevale su quello topografico, e poiché il procuratore costituito non
era tenuto a comunicare alla controparte il trasferimento del
proprio studio, spettava alla parte notificante individuare il nuovo
luogo di notificazione, ciò che, nella specie, non è avvenuto. La corte napoletana avrebbe dovuto dichiarare l'inesistenza di
tale notifica, non effettuata al domicilio reale del procuratore costituito nella precedente fase di giudizio, e di conseguenza ritenere inapplicabile il termine breve d'impugnazione.
Il ricorso è complessivamente fondato.
L'art. 32, 2° comma, d.p.r. 636/72 recita infatti: «Le notifi
cazioni sono fatte secondo le norme degli art. 137 ss. c.p.c., salva l'applicazione delle disposizioni di cui all'art. 32 bis del presente decreto». L'art. 32 bis stesso d.p.r., introdotto dal d.p.r. 3 novembre 1981 n. 739 e abrogato dal d.leg. 546/92 (art. 71) con decorrenza dal 1° aprile 1996, prevede a sua volta che il
domicilio eletto dalla parte, ove non sia stata effettuata la noti fica a mani proprie, resti invariato, rispetto alla indicazione ef
fettuata in primo grado, per tutta la durata del processo. Tali disposizioni, che neppure la sentenza impugnata richia
ma, si riferiscono tuttavia palesemente all'elezione di domicilio
effettuata dalla parte, indipendentemente dal mandato al difen
sore; nei confronti di quest'ultimo, la cui presenza non era ne cessariamente prevista dal vecchio contenzioso tributario, la no
tificazione non può tuttavia che avvenire secondo le norme del
codice di rito in materia d'appello (art. 170 e 285 c.p.c.), come
può peraltro desumersi dal richiamo contenuto nell'ultimo comma dell'art. 40 d.p.r. 636/72 alle «disposizioni del codice di proce dura civile» nel giudizio avanti alla corte d'appello, che riguar da il caso in esame, giudizio che non poteva prescindere, anche nel vecchio contenzioso tributario, dalla presenza di un difensore.
Applicando dunque al giudizio avanti alla corte d'appello le
regole elaborate dalla giurisprudenza di questa corte (Cass.
7990/92, Foro it., Rep. 1992, voce Procedimento civile, n. 84;
9473/93, id., 1994, I, 2838; 2740/98, id., Rep. 1998, voce Im pugnazioni civili, n. 96) il collegio ritiene di dover ribadire che la notifica presso il domicilio dichiarato che abbia avuto esito negativo per intervenuto trasferimento del difensore, non ha al
stato trasferito altrove è onere della controparte l'individuazione del nuovo indirizzo.
Attualmente, la disciplina del luogo delle notifiche e delle comunica zioni nel processo tributario è contenuta nell'art. 17 d.leg. 31 dicembre 1992 n. 546, il cui contenuto è di tenore analogo all'art. 32 bis d.p.r. 636/72.
Il Foro Italiano — 2000.
cun effetto giuridico, dovendo tale notifica essere effettuata al
domicilio reale del procuratore (quale risultante dall'albo: Cass.
4746/97, id., Rep. 1997, voce cit., n. 77; ovvero dagli atti pro cessuali: Cass. 5417/89, id., Rep. 1989, voce cit., n. 16), anche
se non vi sia stata comunicazione di trasferimento alla contro
parte, posto che il dato di trasferimento personale prevale su
quello topografico e che non sussiste un onere del procuratore di provvedere alla comunicazione del cambio di indirizzo (Cass.
2740/98, cit.), tale onere essendo previsto per il domicilio eletto
autonomamente (in analogia con l'art. 32 d.p.r. 636/72), men
tre l'elezione operata dalla parte del difensore ha soltanto la
funzione di riferire l'indicazione alla sede dello studio del pro curatore, che resta onere della controparte identificare, anche
mediante ricerche (Cass. 7990/92, cit.). Nella specie, la notifica del dispositivo della sentenza della
commissione di secondo grado, la cui impugnazione ha dato
luogo al giudizio avanti alla corte d'appello, è avvenuto a mez
zo posta, e senza che la ricezione sia documentata da avviso
di ricevimento (come previsto peraltro dall'art. 32 d.p.r. 636/72) in data 16 ottobre 1995 presso lo studio del difensore domicilia
tario avv. Leone in Napoli, via Bovio 33, allorché il predetto difensore aveva già trasferito il suo domicilio sempre in Napoli, via Monte di Dio 66, come accertato dal collegio in base al
certificato in atti di cui ha preso visione, come era sua facoltà, essendo stato dedotto un error in procedendo.
Dunque, una volta accertato che il procuratore, presso il quale
l'appellante era effettivamente domiciliata, non aveva il proprio studio nel luogo indicato dal notificante, la corte d'appello non
poteva non ritenere nulla la notificazione, con conseguente man
cata decorrenza del termine breve.
In accoglimento, pertanto, del ricorso proposto, la sentenza
impugnata deve essere cassata, con rinvio degli atti ad altra se
zione della Corte d'appello di Napoli.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 22 aprile 2000, n. 5286; Pres. R. Sgroi, Est. Verucci, P.M. Cenicco
la (conci, parz. diff.); Meraglia (Avv. Costantini) c. Banca
Tamborino Sangiovanni (Avv. Franz!). Cassa App. Lecce 5
marzo 1998.
Usura — Nuova disciplina — Interessi moratori — Applicabili tà (L. 7 marzo 1996 n. 108, disposizioni in materia di usura, art. 1, 2, 4).
Contratti bancari — Conto corrente bancario — Contratto sti
pulato anteriormente alla nuova disciplina sull'usura — Inte
ressi — Superamento della soglia usuraria — Conseguenze (L. 7 marzo 1996 n. 108, art. 1, 2, 4).
La nuova disciplina sull'usura si applica anche agli interessi mo
ratori. (1) Ove il rapporto negoziale non sia ancora esaurito, non si può
continuare a dare effetto alla clausola, contenuta in un con
tratto di conto corrente bancario stipulato in epoca anteriore
all'entrata in vigore della nuova disciplina sull'usura, con la
quale sono stati pattuiti interessi ad un tasso divenuto supe riore a quello di soglia. (2)
(1-2) Grazie al nono e conclusivo dei motivi di cui si componeva il ricorso per cassazione, estrema risorsa alla quale si era affidato un cliente di istituto bancario per tentare in ogni modo di elidere, o per lo meno, attenuare gli effetti della condanna pronunciata nei suoi con fronti dai giudici d'appello (comportante il pagamento, in aggiunta alla
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Svolgimento del processo. — Pietro Giuseppe Meraglia pro
poneva opposizione, dinanzi al Tribunale di Lecce, avverso il
decreto in data 22 settembre 1983 del presidente dello stesso
tribunale, con il quale gli era stato ingiunto — in solido con
Antonio Meraglia — il pagamento della somma di lire
28.424.960, con interessi al tasso del ventotto per cento, in fa vore della Banca Vincenzo Tamborino, a titolo di scoperto di
conto corrente: a fondamento dell'opposizione, deduceva l'ini
quità del regolamento pattizio degli interessi, rescindibile per lesione ultra dimidium, attesa la sproporzione tra tassi attivi
somma di cui egli era stato riconosciuto debitore a titolo di scoperto di conto corrente, degli interessi maturati sul capitale per oltre tre lustri e computati al tasso, piuttosto elevato, concordato a suo tempo dalle
parti), è approdato dinanzi alla prima sezione civile della Suprema cor te il dibattito relativo a talune delle problematiche scaturenti dall'appli cazione della 1. 108/96. L'approccio della corte di legittimità non è sta
to certamente soft-, alla prima occasione in cui si cimenta con la que stione — che ha dato (e continua a dare) non poco filo da torcere ai giudici di merito: v., da ultimo, Trib. Palermo 7 marzo 2000, e Pret. Macerata-Civitanova Marche 1° giugno 1999, Foro it., 2000, I, 1709, con nota di richiami e nota di A. Palmieri, cui si rinvia per ulteriori riferimenti e indicazioni bibliografiche — concernente la valutazione
dell'influenza di una disciplina di nuovo conio sui rapporti instaurati in epoca precedente, il Supremo collegio non si rifugia in soluzioni di
comodo, ma decide di fare i conti con la mutata realtà normativa.
L'esigenza di fornire una risposta non elusiva a un primo gruppo di interrogativi suscitati dalla 1. 108/96 discende, in effetti, dal ripudio del paravento (del resto, assai logoro) costituito dall'invocazione del
l'assoluta impermeabilità del rapporto negoziale alle modifiche nel qua dro legislativo intervenute posteriormente al perfezionamento della sua
fattispecie generatrice. Questo passaggio, a ben vedere, costituisce il vero e proprio prius
logico della decisione, anche se nella trama argomentativa intessuta dal l'estensore esso viene posposto (probabilmente per comodità espositiva) alla dimostrazione dell'ulteriore assunto secondo cui gli interessi mora tori sono suscettibili di essere qualificati usurari (è pur vero che, anche
relativamente a tale questione, una risposta diversa avrebbe comunque bloccato l'indagine).
Nell'aprire le porte al nuovo regime, la Cassazione si richiama espli citamente al ragionamento sviluppato dalla Consulta in una decisione non lontana (cfr. Corte cost. 27 giugno 1997, n. 204, id., 1997, I, 2033), con cui è stato inferto un duro colpo alla concezione «monolitica» del
rapporto contrattuale. Peraltro, rispetto alla menzionata pronuncia, che
si occupava degli effetti sui rapporti in corso delle modificazioni appor tate alla disciplina delle fideiussioni prestate per obbligazioni future, c'è da registrare un ampliamento della sfera di operatività delle norme
imperative sopravvenute. Nel caso di specie, infatti, l'aspetto del rap porto che viene assoggettato ad una regolamentazione più stringente attiene alle prestazioni di somme di denaro, a titolo di interessi, ivi
inclusi quelli destinati a scattare in caso di inadempimento; ne consegue che i rapporti negoziali sono da considerare non esauriti, e quindi sensi
bili al cambiamento, fino a quando non si addivenga alla soddisfazione
completa del creditore, tempestiva o no che essa sia. In ogni caso, mentre sul cennato profilo riguardante l'assoggettabili
tà degli interessi moratori alla 1. 108/96 la sentenza in epigrafe prende nettamente posizione per la soluzione meno restrittiva, non altrettanta
risolutezza si rinviene allorquando sono toccati altri punti nevralgici della legge.
La Suprema corte, nell'enunciare il principio di diritto di cui alla seconda massima, si limita alla pars destruens, lasciando al giudice del
rinvio il compito di ricostruire il meccanismo nel dettaglio, operazione imprescindibile una volta stabilito che alla pattuizione elaborata dalle
parti — ricorrendo alla terminologia impiegata dalla Cassazione, invero
un po' titubante sull'inquadramento formale della vicenda, pur dichia
rando di propendere per la tesi della «nullità parziale sopravvenuta» — «non si potrebbe comunque continuare a dare effetto» in epoca suc
cessiva al momento in cui il saggio degli interessi ha oltrepassato la
soglia usuraria. Viene escluso, dunque, che il creditore di una prestazione pecuniaria
possa vedersi accordare gli interessi nella misura ottenuta applicando un tasso, ex ante convenuto in maniera lecita, reputato ormai «esorbi
tante». Restando da precisare, tuttavia, i criteri in base ai quali si deve
procedere al computo della somma in concreto spettante al creditore.
Le variabili in gioco sono essenzialmente due: il tasso da applicare in luogo di quello non più utilizzabile; il momento al quale riferire
la valutazione circa il carattere usurario degli interessi.
Quanto al primo aspetto, la motivazione fa parola della sostituzione
di un tasso diverso a quello divenuto usurario, ma non chiarisce il livel
lo su cui è opportuno attestarsi in un intervallo che va da un minimo
pari a zero (come si verifica nell'ipotesi di non debenza degli interessi,
oggi codificata dall'art. 1815, 2° comma, c.c.) ad un valore massimo
coincidente con il tasso soglia.
Il Foro Italiano — 2000.
e passivi, nonché, quale erede del fideiussore Antonio Meraglia, la nullità della fideiussione sotto vari profili.
Costituitasi, la banca chiedeva il rigetto dell'opposizione. Con sentenza non definitiva del 26 giugno 1986, il tribunale adito revocava il decreto ingiuntivo, disponendo ulteriore istruttoria
per determinare il credito della banca. Con ordinanza collegiale del 28 maggio 1992 disponeva un supplemento di c.t.u. e, con
sentenza definitiva del 28 aprile 199S, condannava il Meraglia al pagamento della somma di lire 24.716.923, con interessi al
ventotto per cento dal 1° ottobre 1982 al soddisfo.
L'impugnazione proposta dal Meraglia veniva accolta dalla
Corte d'appello di Lecce, con sentenza del 5 marzo 1998, limi
tatamente all'importo delle spese processuali di primo grado,
confermando nel resto la sentenza gravata. Con riferimento ai motivi d'appello, la corte territoriale
osserva:
che non sussisteva carenza assoluta od insufficienza della mo
tivazione, atteso che i primi giudici avevano individuato il the ma decidendum nella sentenza non definitiva, limitandosi a re
cepire le risultanze della consulenza tecnica con quella definiti
va, tanto più che, se le eccezioni formulate dall'opponente erano
state disattese solo implicitamente, comunque esse erano state
riproposte in sede di gravame, in cui andavano esaminate; che il tribunale aveva correttamente emesso una statuizione
di condanna, pur revocando il decreto ingiuntivo, perché nel
giudizio di opposizione attore in senso sostanziale è l'opposto, il quale aveva introdotto la domanda con ricorso, contenente
la richiesta di condanna;
che, quanto all'invocata rescindibilità del contratto, non era
stata neppure dedotta la configurabilità di contratto c.d. usura
rio, dovendosi comunque considerare che la pattuizione di inte
ressi ultralegali nulla ha a che vedere con gli interessi attivi,
giacché i primi ineriscono a disponibilità di somme per il cor rentista;
che neppure a livello di prospettazione v'era menzione degli altri elementi prescritti per la rescissione, ossia lo stato di biso
gno, il nesso causale con la sproporzione delle prestazioni, l'ap
profittamento dello stato medesimo; che dalla documentazione in atti risultava pattuito un interes
se del ventuno per cento con scrittura del 7 ottobre 1976, men
tre, con scrittura del 16 settembre 1982, il Meraglia si era obbli
gato a corrispondere il tasso del venticinque per cento e del
ventotto per cento nel caso — che si era verificato — di inosser
vanza delle scadenze concordate per l'estinzione del conto cor
Non meno intricato il problema di carattere, per così dire, cronologi co. Da alcuni passi della pronuncia — che risente, a sua volta, di sugge stioni legate a profili penalistici della disciplina sull'usura — parrebbe di capire che il momento decisivo sia quello in cui viene effettuato (o, al limite, offerto) il pagamento degli interessi. Tale soluzione presenta,
peraltro, non pochi inconvenienti, a maggior ragione quando si ha a
che fare con interessi moratori. Se si dovesse, infatti, fondare il giudizio di usurarietà esclusivamente
sui parametri vigenti al tempo della «dazione» degli interessi e, in ipote si, sostituire per tutta la durata del rapporto, il tasso concordato con
quello di soglia vigente in quel periodo, si rischierebbe di disincentivare
l'adempimento del debitore, facendogli intravedere la speranza di essere
premiato da flessioni nel costo del credito (effetto, quest'ultimo, che
sarebbe amplificato ove si optasse per l'azzeramento del debito di inte
ressi). Inoltre, non appare soddisfacente il riferimento al momento del
la richiesta esplicita del creditore, né a quello in cui viene pronunciata la condanna, a seguito del giudizio di cognizione, ovvero si procede alla distribuzione della somma ricavata dall'espropriazione forzata, nel
processo di esecuzione. Una soluzione da sperimentare, ai fini del con
temperamento delle opposte esigenze, potrebbe consistere nell'adozione
di un modello che preveda l'adattamento continuo del quantum degli
interessi, man mano che gli stessi maturano. In tal modo, il tasso con
cordato si applica nei trimestri in cui esso rimane al di sotto o eguaglia il tasso soglia allora vigente; altrimenti, sarà quest'ultimo a prevalere.
Da ultimo, i dubbi ermeneutici concernenti il funzionamento del mec
canismo sanzionatorio delle pattuizioni usurane sono stati portati al
l'attenzione della Corte costituzionale. Peraltro, la Consulta non è nem
meno entrata nel merito delle problematiche suscitate dall'intervento
riformatore del legislatore, dal momento che — con ordinanza 22 giu
gno 2000, n. 236, in questo fascicolo, I, 2105 — ha ritenuto lacunosa
l'ordinanza di rimessione, in punto di motivazione sulla rilevanza, e
ha conseguentemente dichiarato la manifesta inammissibilità delle que stioni di legittimità costituzionale concernenti l'art. 1815, 2° comma, c.c. [A. Palmieri]
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2183 PARTE PRIMA 2184
rente ordinario: v'era stata, quindi, espressa pattuizione di inte
ressi ultralegali per il credito sia sulle rimesse che sul saldo; che avendo i primi giudici parzialmente accolto l'opposizio
ne, v'erano le condizioni per una parziale compensazione delle
spese processuali, la cui liquidazione era stata in ogni caso ec
cessiva;
che, in definitiva, le spese del doppio grado del giudizio an
davano compensate per un terzo, ponendo i restanti due terzi
a carico del Meraglia. Per la cassazione di tale sentenza il Meraglia ha proposto
ricorso con nove motivi. Resiste il Credito emiliano s.p.a. (già Banca Tamborino Sangiovanni) con controricorso.
Motivi della decisione. — (Omissis). Con il nono motivo, in
fine, si deduce che la pretesa della banca di interessi nella misu
ra del ventotto per cento deve ritenersi comunque usuraria, per violazione della normativa antiusura che ha modificato l'art.
644 c.p., trattandosi di misura superiore al tetto massimo stabi
lito nei vari periodi di riferimento, con apposito decreto del
ministro del tesoro, sulla base della media dei tassi praticati sul mercato.
La censura è fondata, nei limiti di seguito precisati. L'art. 1 1. 7 marzo 1996 n. 108 («disposizioni in materia di
usura», pubblicata in G.U. 9 marzo 1996, n. 58, suppl. ord.), nel sostituire l'art. 644 c.p., ha previsto che «la legge stabilisce
il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari» (3° com
ma); l'art. 2, 4° comma, ha individuato la soglia usuraria nel
«tasso medio risultante dall'ultima rilevazione pubblicata nella
Gazzetta ufficiale ai sensi del 1 ° comma, relativamente alla ca
tegoria di operazioni in cui il credito è compreso, aumentato
della metà»; l'art. 4, infine, ha sostituito il 2° comma dell'art.
1815 c.c., nel senso che «se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi».
Va subito detto che, proprio con riferimento a tale ultima
disposizione, la non copiosa giurisprudenza di merito e la dot
trina si sono occupate essenzialmente del problema delle conse
guenze sui contratti di mutuo già stipulati alla data di entrata in vigore della nuova normativa: in altri termini, con esclusivo
riguardo alla natura compensativa degli interessi pattuiti. Tut
tavia, non v'è ragione per escluderne l'applicabilità anche nell'i
potesi di assunzione dell'obbligazione di corrispondere interessi
moratori, risultati di gran lunga eccedenti lo stesso tasso soglia: va rilevato, infatti, che la 1. n. 108 del 1996 ha individuato un unico criterio ai fini dell'accertamento del carattere usurario
degli interessi (la formulazione dell'art. 1,3° comma, ha valore
assoluto in tal senso) e che nel sistema era già presente un prin
cipio di omogeneità di trattamento degli interessi, pur nella di
versità di funzione, come emerge anche dall'art. 1224, 1° com
ma, c.c., nella parte in cui prevede che «se prima della mora erano dovuti interessi in misura superiore a quella legale, gli interessi moratori sono dovuti nella stessa misura». Il ritardo
colpevole, poi, non giustifica di per sé il permanere della validi
tà di un'obbligazione così onerosa e contraria al principio gene rale posto dalla legge.
Ciò premesso, va anche precisato che una pattuizione di inte ressi intervenuta prima della entrata in vigore della 1. 108/96 non può, stante il principio di cui all'art. 25, 2° comma, Cost., essere ritenuto penalmente rilevante solo perché detti interessi
risultino superiori alla soglia fissata: ove il ricorrente (pur nella
non chiara prospettazione del motivo sul punto) abbia inteso
lamentarsi per la mancata considerazione, da parte della corte
territoriale, della natura criminosa della pretesa della banca, per
questo aspetto la censura non potrebbe trovare accoglimento. La corte di merito, invece, avrebbe dovuto considerare che,
alla stregua della nuova normativa, gli interessi concordati (in
particolare, al tasso del ventotto per cento, applicato in sede
di condanna da parte del tribunale, con decorrenza dal 1 ° otto bre 1982 e sino al soddisfo) erano divenuti usurari: in altri ter
mini, che la nuova normativa aveva travolto la relativa clausola. A tale conclusione non è di ostacolo la circostanza che la
pattuizione degli interessi sia avvenuta in epoca antecedente al
l'entrata in vigore della 1. n. 108 del 1996. Sotto un primo pro filo, va osservato che nel caso di specie non si pone il problema se il combinato disposto degli art. 1339 e 1419, 2° comma, c.c., sia applicabile nell'ipotesi in cui la norma imperativa non pre vede una clausola sostitutiva, limitandosi ad eliminare la clau
sola illecita (problema che si potrebbe porre, con riferimento alla nuova formulazione dell'art. 1815, 2° comma, c.c., nel ca
li. Foro Italiano — 2000.
so di interessi pattuiti nell'ambito di un contratto di mutuo sti
pulato prima dell'entrata in vigore della nuova normativa), dal
momento che non si tratta di non attribuire alcun interesse, ma di sostituire un tasso diverso a quello divenuto usurario.
Sotto altro, pro filo, se è vero che nella giurisprudenza di que sta corte si è affermato, in via di principio, che il giudizio di validità deve essere condotto alla stregua della normativa in vi
gore al momento della conclusione del contratto, è anche vero
che in dottrina è stato posto in rilievo come, verificandosi un
concorso tra autoregolamentazione pattizia ed eteroregolamen tazione normativa, si renda insostenibile la tesi che subordina
l'applicabilità dell'art. 1419, 2° comma, c.c. all'anteriorità del
la legge rispetto al contratto, poiché l'inserimento ex art. 1339
c.c. del nuovo tasso incontra l'unico limite che si tratti di pre stazioni non ancora eseguite (in tutto od in parte).
D'altro canto, la tesi ha trovato l'autorevole avallo della Corte
costituzionale nella sentenza n. 204 del 1997 (Foro it., 1997,
I, 2033), che ha dichiarato non fondata la questione di legitti mità costituzionale dell'art. 1938 c.c. proprio sulla base della
considerazione che, pur avendo carattere innovativo la I. 154/92
e non applicandosi retroattivamente, tuttavia ciò non implica che la disciplina precedente «acquisti carattere ultrattivo, tale
da consentire che la garanzia personale prestata dal fideiussore
assista non solo le obbligazioni principali sorte prima dell'en
trata in vigore della 1. n. 154 del 1992, ma anche quelle succes
sive, in modo da attribuire efficacia permanente alla illimitatez
za del rapporto di garanzia. In altri termini, l'innovazione legis
lativa, che stabilisce la nullità delle fideiussioni per obbligazioni future senza limitazione di importo, non tocca la garanzia per le obbligazioni principali già sorte, ma esclude che si produco no ulteriori effetti e che la fideiussione possa assistere obbliga zioni principali successive al divieto di garanzia senza limiti».
Sia pur con riferimento alla problematica riguardante il con
tratto di mutuo, ma con argomenti del tutto sovrapponibili alla
fattispecie che qui interessa, la dottrina ha osservato, in via ge
nerale, che l'obbligazione degli interessi non si esaurisce in una
sola prestazione, concretandosi in una serie di prestazioni suc
cessive e, in particolare, che, ai fini della qualificazione usura
ria dell'interesse, il momento rilevante è la dazione e non la
stipula del contratto, come si evince anche dall'art. 644 ter c.p.
(introdotto dall'art. 11 1. 108/96), a mente del quale «la prescri zione del reato di usura decorre dal giorno dell'ultima riscossio
ne sia degli interessi che del capitale». La tesi, poi, trova riscon
tro nella giurisprudenza penale di questa corte, secondo cui in
tema di usura, qualora alla promessa segua — mediante la ra
teizzazione degli interessi convenuti — la dazione effettiva di
essi, questa non costituisce un post factum non punibile, ma
fa parte a pieno titolo del fatto lesivo penalmente rilevante e
segna, mediante la concreta e reiterata esecuzione dell'origina ria pattuizione usuraria, il momento consumativo sostanziale
del reato (così, Cass., sez. I, 19 ottobre 1998, D'Agata e altri,
id., 1999, II, 522). Non sembra superfluo aggiungere che, quando anche non si
volesse aderire alla configurabilità della nullità parziale soprav venuta (come sembra preferibile), tuttavia non si potrebbe co
munque continuare a dare effetto alla pattuizione di interessi
superiori alla soglia usuraria, a fronte di un principio introdot
to nell'ordinamento con valore generale e di un rapporto non
ancora esaurito, come nel caso di specie, in cui il Meraglia è
stato condannato a corrispondere interessi del ventotto per cen to dal 1° ottobre 1982 al soddisfo.
Il ricorrente ha espressamente prospettato l'usurarietà dell'in
teresse sotto il profilo dell'eccedenza rispetto al c.d. tasso so
glia: conseguentemente, il motivo va accolto in questi termini
e la sentenza impugnata cassata con rinvio ad altro giudice,
designato in diversa sezione della Corte d'appello di Lecce, che, attenendosi ai principi di diritto enunciati in tema di interessi a seguito dell'entrata in vigore della 1. 108/96, procederà a nuo
va determinazione sul punto.
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