sezione I civile; sentenza 22 gennaio 1996, n. 464; Pres. Sensale, Est. Salmé, P.M. Nardi (concl.diff.); Comune di Termini Imerese (Avv. Cerquetti) c. Soc Edilscavi (Avv. Mazzei). Cassa App.Roma 15 gennaio 1991Source: Il Foro Italiano, Vol. 119, No. 3 (MARZO 1996), pp. 865/866-869/870Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23190847 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
ai giudizi di separazione personale dei coniugi delle «regole di
cui all'art. 4 1. 1° dicembre 1970 n. 898, come sostituito dal
l'art. 8 della presente legge», recepisca non solo quest'ultimo,
disciplinante ex novo il processo divorzile, ma anche tutte le
altre norme processuali eventualmente contenute nella 1. n. 74:
nel qual senso, anche se solo implicitamente, Cass. 3168/94 (Foro it., 1995, I, 238) oppure: ti) in via analogica: nel qual senso,
seppure in via generale, Cass. 2051/94 (id., 1994, I, 3470) — esaminata nel suo contesto evidenzi che la sua portata è nel
senso di prevedere limitazioni all'onere probatorio, stabilendo
cioè il mezzo di prova unico o comunque necessario all'accerta
mento del reddito, bensì' di individuare quale mezzo di prova quello sul quale le parti concordino.
L'espletamento di (ulteriori) indagini, difatti, è previsto, qua le che sia la documentazione dalla quale emerga il reddito, solo
in caso di contestazione: e non v'è dubbio che per tale debba
intendersi non la mera negazione, ma questa stessa allorché ri
vesta sufficiente ragionevolezza. Pertanto, una volta che il giudice ritenga accertato, tramite
documentazione o con qualsiasi altro mezzo probatorio, com
presa la presunzione, l'ammontare del reddito, il giudice stesso
non è obbligato ad acquisire, sulla base della mera richiesta, non supportata da elementi di ragionevolezza, la documentazio
ne fiscale di detto reddito. E poiché nel ricorso non si è dedotto che siano stati addotti
i menzionati elementi, non ricorre il vizio di violazione o falsa
applicazione della norma.
Da quanto rilevato può enuclearsi il seguente principio: ai
fini dell'art. 5, 9° comma, 1. 1° dicembre 1970 n. 898, come
integrata dalla 1. 6 marzo 1987 n. 74, la prova del reddito può essere data, oltre che con la documentazione prevista dalla nor
ma stessa, con qualsiasi mezzo, compresa la presunzione. Per
«contestazione» — prevista dalla norma quale condizione per
l'esperimento di (ulteriori) indagini — si intende la negazione (non in sé, ma) supportata da sufficienti elementi di ragione volezza.
La censura sub ti) è infondata. I coniugi sono obbligati a
mantenere, istruire ed educare la prole (art. 147 c.c.) in propor zione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavo
ro professionale o casalingo (art. 148 c.c.).
L'obbligo, che sussiste sia in costanza di matrimonio che, ai sensi dell'art. 155 c.c., in caso di separazione — nella quale esso costituisce il fondamento per la individuazione della misu
ra della contribuzione di ciascuno dei coniugi — secondo l'o
rientamento di questa corte permane anche dopo il raggiungi mento della maggiore età da parte dei figli e cessa allorché co
storo divengono autosufficienti economicamente.
Ora, premesso che il figlio, con il raggiungimento della mag
giore età, diviene libero di condurre una vita autonoma, il fon
damento della persistenza dell'obbligo, allorché il figlio, non
operando tale scelta, conviva con i genitori o con quello (già)
affidatario, non può che rinvenirsi nel protrarsi del periodo di
formazione professionale o nel mancato (non colpevole) svolgi mento di un'attività redditizia.
Una volta, però, che il figlio maggiorenne abbia esaurito la
formazione professionale — consista questa in quella sperata o in quella comunque definitivamente e concretamente raggiun ta — l'autosufficienza economica del figlio, determinante la ces
sazione dell'obbligo, non può che consistere nella percezione del reddito che detta formazione consente nella generalità dei
casi secondo le condizioni generali di mercato.
L'obbligo, difatti, quale che sia l'ampiezza del suo contenu
to, è inteso a consentire al figlio di raggiungere la migliore for
mazione professionale possibile perché ciò gli permette (tra l'al
tro) di percepire un reddito ad essa adeguato: allorché tale sco
po è raggiunto quindi l'obbligo non può che cessare, perché è venuto meno il suo fondamento.
Da quanto esposto può enuclearsi il seguente principio: deter
mina autosufficienza economica del figlio maggiorenne la quale
comporta la cessazione dell'obbigo di mantenimento dello stes
so da parte del coniuge — in regime di separazione — non
affidatario, la percezione, da parte di detto figlio, di un reddito corrispondente, secondo le condizioni normali e concrete di mer
cato, alla professionalità — quale che sia — definitivamente
da esso acquisita: senza che rivesta, al fine, alcuna rilevanza
il tenore di vita del quale il figlio stesso aveva goduto in costan
za di matrimonio o durante la separazione dei genitori. Il ricorso dev'essere pertanto respinto.
Il Foro Italiano — 1996.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 22 gen naio 1996, n. 464; Pres. Sensale, Est. Salme, P.M. Nardi
(conci, diff.); Comune di Termini Imerese (Avv. Cerquetti) c. Soc Edilscavi (Avv. Mazzei). Cassa App. Roma 15 gen naio 1991.
Arbitrato e compromesso — Lodo arbitrale rituale — Termine
per deposito di memorie e documenti — Diversa utilizzabilità
dalle parti — Nullità — Fattispecie (Cod. proc. civ., art. 816).
La mancata utilizzazione di circa due terzi del termine, assegna to dagli arbitri rituali, per il deposito di memorie e documen
ti, imposta ad una sola delle parti dalla tardiva ricezione della
comunicazione postale del provvedimento arbitrale, determi nando violazione del principio impositivo del paritetico eser
cizio delle facoltà processuali concesse ai contendenti dai me
desimi arbitri, ne comporta la nullità della pronunzia. (1)
(1) La corte richiama, fra le altre, Cass. 18 marzo 1981, n. 1595, Foro it., Rep. 1983, voce Arbitrato, n. 94, e 13 luglio 1994, n. 6579, id., Rep. 1994, voce cit., n. 119. E, in effetti, le due pronunzie, muo vendo dalle previsioni dell'originario art. 816 c.p.c. (sul testo della nor ma modificata dall'art. 8 1. 5 gennaio 1994 n. 25, cons., fra gli altri, Fazzalari, in Briguglio-Fazzalari-Marengo, La nuova disciplina del
l'arbitrato, Giuffré, Milano, 1994, 101 ss.; Ricci, in Tarzla-Luzzatto
Ricci, Legge 5 gennaio 1994 n. 25, Cedam, Padova, 1995, 84 ss.; La
China, L'arbitrato, il sistema e l'esperienza, Giuffré, Milano, 1995, 69-75), hanno formulato enunciazioni in linea con l'orientamento segui to dalla sentenza in rassegna nella soluzione della peculiare fattispecie esaminata. In particolare, la sent. n. 1595 del 1981, ricordato che lo
scopo del 3° comma del ripetuto art. 816 è quello di dare ai contendenti la possibilità di svolgere completamente le proprie difese, ha ritenuto violata la norma anzidetta qualora gli arbitri decidano immediatamente
dopo la chiusura dell'istruttoria oppure dopo un tempo cosi breve da
precludere alle parti l'illustrazione delle rispettive ragioni e la confuta zione di quelle avversarie, ma non anche, soprattutto ove gli arbitri siano stati svincolati dalla osservanza di formalità procedurali, in una situazione in cui, nonostante la mancata fissazione di un apposito ter
mine, le parti abbiano comunque avuto la possibilità di tutelare i propri interessi mediante l'esplicazione della suddetta attività difensiva. La più recente Cass. n. 6579 del 1994 ha, dal canto suo, ribadito che nel proce dimento arbitrale deve in ogni caso essere consentito alle parti il dialet
tico svolgimento delle rispettive deduzioni e controdeduzioni e la colla borazione nell'accertamento dei fatti o, in altri termini, di esporre i relativi assunti, di conoscere le prove e le risultanze del processo, di
presentare entro i termini prefissati, a norma dell'art. 816, 3° comma,
c.p.c., memorie, repliche e documenti, di conoscere in tempo utile le
richieste delle controparti. Tale principio è, pertanto, secondo la ripetu ta sent. n. 6579 del 1994, violato con conseguente nullità del lodo (art. 829 c.p.c.) nel caso in cui, concessa ad una parte la facoltà di deposita re memorie e documenti anche dopo la chiusura dell'istruttoria, non
sia data comunicazione all'altra parte del deposito né assegnato termine
per eventuali osservazioni. Resta solo da aggiungere, con riferimento ad ulteriori possibili impli
cazioni del principio enunciato dal ridetto art. 816, 3° comma, c.p.c., che: a) per Cass. 22 ottobre 1970, n. 2095, Foro it., 1970, I, 2683, con nota di richiami (seguita dalla successiva Cass. 23 novembre 1973, n. 3171, id., Rep. 1973, voce cit., n. 38) il principio del contraddittorio non può dirsi violato allorché le parti, cui gli arbitri, dispensati dall'ob
bligo di rispettare le formalità procedurali, abbiano omesso di assegna re termine per l'espletamento dell'attività defensionale, siano state pre senti all'ispezione dei luoghi disposta dal collegio arbitrale, il quale, dopo lo scambio di memorie e la discussione della causa, si sia riservato di decidere; b) secondo Cass. 10 aprile 1973, n. 1024, ibid., n. 37, non
si delinea violazione dei canoni fondamentali preordinati a garantire la funzionalità del processo e il rispetto del diritto di difesa delle parti, ove se ne respingano motivatamente le istanze istruttorie; c) per Cass.
29 gennaio 1992, n. 923, id., 1992, I, 1385, con osservazioni di C.M.
Barone, nell'arbitrato rituale, secondo equità e senza obbligo di osser vanza delle formalità procedurali, non sussiste violazione del principio del contraddittorio con riferimento alla nomina di c.t.u., allorché gli
arbitri, dopo il deposito della relazione peritale, concedano alle parti termine per predisporre, in relazione alle risultanze della stessa, note
e deduzioni.
Qualche considerazione s'impone, da ultimo, a proposito dell'affer
mazione della corte secondo cui «si è verificata, in danno di una sola
parte, la violazione del principio per il quale quando è previsto un ter
mine a pena di decadenza la parte ha il diritto di poterlo utilizzare
nella sua interezza».
L'enunciazione, che resta, peraltro, al di fuori della ratio decidendi
della pronuncia risultante dalla massima, mal si concilia, invero, tanto
con la prospettazione difensiva del comune, secondo cui gli arbitri non
avrebbero dichiarato espressamente perentorio il termine in discussione, quanto con il rilievo, svolto dalla medesima corte in altra parte della
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PARTE PRIMA
Svolgimento del processo. — All'esito di licitazione privata
del 14 maggio 1981 la Edil Scavi s.p.a., si è aggiudicata l'appal
to per la costruzione della rete idrica e fognante del centro abi
tato del comune di Termini Imerese per un importo di lire
1.699.000.000. Essendo stata rigettata una riserva, tempestiva
mente iscritta negli atti della contabilità e confermata nel conto
finale, relativa al trasporto di materiale di risulta alla pubblica
discarica per un importo di lire 180.046.773, l'impresa appalta
trice ha proposto davanti al collegio arbitrale previsto dal con
tratto domanda diretta ad ottenere: 1) la condanna al pagamen
to della somma spettante per i lavori oggetto della riserva; 2)
la determinazione della variazione media revisionale maturata
durante il corso dei lavori; 3) la determinazione della rivaluta
zione monetaria; 4) la determinazione della somma spettante
per interessi; 5) la condanna alle spese del giudizio arbitrale.
All'udienza di discussione del 1° dicembre 1987, in assenza
del difensore del comune che aveva comunicato telegraficamen
te di non poter essere presente a causa di uno sciopero degli addetti ai servizi aereoportuali, l'impresa ha depositato una me
moria e documenti, ma la discussione è stata rinviata al 16 di
cembre successivo, con termine fino al 11 dicembre 1987 per
depositare memorie e integrare la documentazione. Essendo la
memoria e i documenti del comune pervenuti dopo la scadenza
del detto termine, sono stati stralciati.
Con lodo del 15 gennaio 1986, in parziale accoglimento delle
domande dell'impresa, il comune è stato condannato al paga
mento di lire 286.613.000 a titolo di compenso per i lavori og
getto della riserva e per importo revisionale, oltre agli interessi
e le spese di giudizio. Avverso la decisione arbitrale il comune ha proposto impu
gnazione davanti alla Corte d'appello di Roma, che, con sen
tenza del 15 gennaio 1991 l'ha dichiarata inammissibile.
La corte romana ha innanzi tutto ritenuto legittima l'ordi
nanza arbitrale con la quale il comune era stato dichiarato de
caduto dal diritto di integrare la documentazione e depositare
memorie. Infatti, secondo la corte, la precedente ordinanza di
proroga dei termini aveva attribuito le stesse facoltà ad entram
be le parti e un'eventuale proroga del termine fissato all'11 di
cembre, a prescindere dalla negativa incidenza sull'ordinato svol
gimento del procedimento, avrebbe dovuto essere chiesta prima
della scadenza. Inoltre, l'art. 134, 5° comma, disp. att. c.p.c.,
che dispone che il deposito del ricorso e controricorso per cas
sazione si ha per avvenuto alla data di spedizione per posta
è norma speciale non applicabile a di fuori dell'ipotesi in essa
prevista. Comunque, il comune per predisporre la sua difesa
aveva avuto un congruo termine di quattro giorni dalla data
di ricezione dell'ordinanza che aveva disposto la suddetta
proroga. Ritenuta poi insindacabile la mancata ammissione di mezzi
istruttori (informazioni della pubblica amministrazione e testi
monianza) richiesti per provare circostanze ritenute irrilevanti,
la corte ha affermato che il collegio arbitrale aveva dato ade
guata motivazione del proprio convincimento sia in ordine al
l'esistenza, al momento della formulazione dell'offerta, di una
discarica comunale nei pressi dei luoghi di esecuzione delle ope re appaltate sia della non prevedibilità della chiusura della di
scarica stessa, che aveva comportato i maggiori oneri sopportati
per trasportare i materiali di risulta in località più lontana. Con
motivazione, per cui «resta superata la questione se il termine concesso
dagli arbitri fosse perentorio o ordinatorio». La stessa enunciazione, inoltre, in mancanza di qualsiasi accertamento della sussistenza di una
dichiarazione arbitrale di perentorietà del ridetto termine, finisce per
rivelarsi, anche, scarsamente attendibile. La possibilità per gli arbitri
rituali di assegnare alle parti termini perentori per il compimento di
determinati atti è stata recentemente riconosciuta in dottrina (La Chi
na, op. cit., 74), ma non in modo assoluto. Secondo l'a. citato, infatti,
«gli arbitri avranno il potere di fissare termini perentori, ovvero a pena di decadenza (che è poi la stessa cosa) se le parti nulla dicono, ai sensi
dell'art. 816 c.p.c., su o contro» l'anzidetto potere. Gli arbitri, però, ad avviso del medesimo a., «dovranno, ogni volta che intendano eserci
tarlo, espressamente enunziare che il termine che essi vanno a fissare
deve essere rispettato a pena di decadenza, e ciò sia per esigenza di
lealtà verso le parti, sia per il principio generale del diritto sanzionato
rio che la sanzionabilità di un qualunque comportamento deve essere resa nota prima che esso venga posto in essere». [C.M. Barone]
Il Foro Italiano — 1996.
trariamente a quanto sostenuto dal comune, l'art. 33 del capi
tolato speciale d'appalto non prevedeva l'obbligo dell'impresa
di trasportare i materiali inutili in qualunque località ritenuta
adatta dalla direzione dei lavori, ma quello di trasportarli in
località oggettivamente adatta, in modo da evitare danni alle
trincee o ai terreni circostanti e impedire che si creassero rista
gni di acque (7° comma dell'art. 33). Né il trasporto dei mate
riali in località diversa e più lontana da quella prevista costitui
rebbe un semplice maggior onere o una difficoltà di esecuzione,
secondo la previsione dell'art. 1664 c.c., rappresentando invece
un lavoro nuovo per il quale il contratto non prevedeva il prezzo.
Nell'accogliere la domanda dell'impresa per il pagamento di
lire 286.613.000, conclude la corte d'appello, gli arbitri non avreb
bero pronunciato ultra petita, rispetto alla richiesta di maggiori
compensi per lire 159.230.052, in quanto nella maggior somma
erano compresi sia il compenso base che l'attualizzazione alla
data della pronuncia. Corretta, infine, era la determinazione
della distanza percorsa per il trasporto dei materiali alla discari
ca, in quanto il comune non aveva mai contestato le afferma
zioni in proposito formulate dall'impresa né v'era contraddizio
ne con i dati desumibili da una cartina geografica che indicava
distanze tra centri abitati e non tra il luogo di esecuzione dei
lavori e quello della discarica.
Avverso la sentenza della Corte d'appello di Roma il comune
di Termini Imerese ha proposto ricorso per cassazione sulla ba
se di cinque motivi. Resiste l'impresa con controricorso. Il ri
corrente ha anche presentato memoria.
Motivi della decisione. — 1. - Con il primo mezzo il comune
deduce violazione e falsa applicazione degli art. 816, 3° com
ma, 152, 153, 101 c.p.c., del principio del contraddittorio e del
la par condicio processuale, in relazione agli art. 829, 1 ° com
ma, n. 7, e ultimo comma, 360, nn. 3 e 5, stesso codice.
Il ricorrente sostiene che gli arbitri avrebbero violato i princi
pi della par condicio e della garanzia del diritto di difesa am
mettendo l'impresa appaltatrice a compiere attività istruttoria
all'udienza del 1° dicembre 1987, fissata per la discussione, e
assegnando invece al comune, per lo svolgimento di analoga
attività istruttoria, un termine incongruo, se non impossibile,
in conseguenza della scelta di un mezzo di comunicazione (nor
male servizio postale) del provvedimento di assegnazione che
aveva consumato gran parte del termine suddetto. Un ulteriore
profilo di contraddittorietà e ingiustificata disparità di tratta
mento consisterebbe nella circostanza che, mentre era stato au
torizzato lo svolgimento di attività istruttoria da parte dell'im
presa in un'udienza dedicata alla «discussione», il comune non
era stato ammesso a compiere analoga attività in un'udienza
fissata espressamente per la «trattazione».
D'altra parte, afferma il comune, il termine assegnato non
era perentorio, perché la legge non prevede che gli arbitri pos
sano assegnare termini di tale natura né gli arbitri stessi aveva
no espressamente dichiarato di voler assegnare un termine pe
rentorio, anzi nel lodo avevano dichiarato la decadenza sulla
base dell'argomento che non era stata richiesta la proroga del
termine prima della scadenza, il che contrasta con la perentorie tà del termine. Inoltre, poiché entro il termine assegnato il co
mune aveva inviato a mezzo del servizio postale i documenti
e una memoria, aveva cioè compiuto un'attività ulteriore rispet
to alla semplice richiesta di proroga, gli arbiri avrebbero dovu
to ritenere implicitamente richiesta anche la proroga stessa.
La pronuncia di decadenza, conclude il ricorrente, violerebbe
due principi generali: a) quello secondo cui nel caso in cui in
un procedimento sia ammessa la spedizione a mezzo del servi
zio postale di atti e documenti, per il rispetto dei termini pro cessuali, in mancanza di regole contrarie, vale la data della con
segna del plico alla posta e non quello della ricezione (cosi,
tra l'altro, l'art. 134 disp. att. c.p.c., avente ad oggetto la spe dizione del ricorso per cassazione); b) il principio per cui «ove
un termine sia prescritto per il compimento di un'attività, la
cui omissione si risolva in pregiudizio per la situazione tutelata,
deve essere assicurata all'interessato la conoscibilità del momento
di iniziale decorrenza del termine stesso, onde poter utilizzare
nella sua interezza il termine assegnatogli» (Cort cost. n. 14
del 1977, Foro it., 1977, I, 259). (Omissis) 2. - Il primo mezzo di ricorso è fondato. Quando le parti
compromittenti non hanno fissato anteriormente all'inizio del
giudizio arbitrale le regole procedimentali, il 2° comma dell'art.
816 c.p.c. (nella formulazione anteriore alla 1. n. 25 del 1994)
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
attribuisce agli arbitri il potere di regolare lo svolgimento del
giudizio nel modo ritenuto più opportuno, purché sia rispettato il principio del contraddittorio (a pena di nullità del lodo, come
ora espressamente conferma l'art. 829, n. 9, introdotto con la
citata 1. 25/94). Violazione di tale principio si ha non solo quando gli arbitri decidano immediatamnte dopo la chiusura dell'istru
zione, senza dare alle parti la possibilità di illustrare le proprie
ragioni (cfr. Cass. 1595/81, id., Rep. 1981, voce Arbitrato, n.
94), ma anche quando, concessa a una parte la facoltà di depo sitare memorie e documenti, non sia data comunicazione all'al
tra parte dell'avvenuto deposito né sia assegnato alla stessa un
congruo termine per eventuali osservazioni (cfr. Cass. 6579/94, id., Rep. 1994, voce cit., n. 119). È necessario cioè che sia ga rantita non solo una adeguata attività difensiva, ma anche «pa rità delle armi» tra le parti. Nella specie, è quest'ultimo princi
pio che è stato violato, in quanto, contrariamente a quanto af
ferma la sentenza impugnata, le parti non hanno potuto esercitare
su un piano di uguaglianza le facoltà processuali concesse dagli arbitri. Inoltre, la sentenza impugnata non ha fornito adeguata motivazione del rigetto della censura del comune con la quale veniva contestata l'adeguatezza del termine concesso per il de
posito dei documenti e della memoria. Se questo, pertanto, è
il punto decisivo della controversia, resta superata la questione se il termine concesso dagli arbitri fosse perentorio o ordinato
rio, anche perché il decorso del termine ordinatorio, senza la
previa presentazione dell'istanza di proroga, ha gli stessi effetti
preclusivi della scadenza del termine perentorio (Cass. 8976/92,
id., 1993, I, 1176; 651/91, id., Rep. 1991, voce Prova civile, n. 10; 1633/85, id., 1986, I, 764). È illogico, d'altra parte, af fermare che la spedizione dei documenti e della memoria entro il termine assegnato, implicitamente conteneva (come il più con
tiene il meno) l'istanza di proroga, perché è evidente che un
atto compiuto in osservanza del termine non può avere il signi ficato di una richiesta di differimento della scadenza del termi
ne stesso.
Del pari, non sono logicamente compatibili le censure aventi ad oggetto la violazione dei due principi generali sopra indicati,
perché se nella specie dovesse applicarsi la regola dell'equipol lenza della spedizione postale alla presentazione dell'atto, il ter
mine sarebbe stato rispettato e quindi sarebbe irrilevante la que stione della decorrenza dal momento in cui si è verificata la
conoscibilità del provvedimento che lo fissava, della utilizzabili tà dell'intero periodo assegnato, e, in definitiva, il problema della congruità del termine stesso.
In realtà, poiché non può ammettersi l'esistenza di un princi
pio generale di equipollenza della spedizione postale alla pre sentazione dell'atto, applicabile al di là delle singole fattispecie in cui la regola è normativamente stabilita (Cass. 12161/93, id.,
Rep. 1993, voce Professioni intellettuali, n. 128; 5951/93, ibid., n. 123) l'esame deve restringersi all'altra censura, che, come
già affermato, è fondata.
Gli arbitri, infatti, all'udienza del 1° dicembre 1987, in assen za del comune, hanno autorizzato entrambe le parti a deposita re documenti e memorie entro I'll dicembre successivo, fissan
do per la discussione l'udienza del 16 dicembre; il provvedimen to è stato comunicato alla parte assente (per giustificato motivo) a mezzo del servizio postale (spedito il 3 dicembre e pervenuto a destinazione il 7 successivo) e il comune ha spedito documenti
e memoria il 10 dicembre, ma il plico è pervenuto nella segrete ria degli arbitri il 16 successivo. La fissazione di un unico termi
ne per entrambe le parti, come esattamente rileva la Corte d'ap
pello di Roma, risponde certamente a una esigenza di ordinato
svolgimento del procedimento, ma la decorrenza per la parte assente dalla data di effettiva conoscibilità del provvedimento ha comportato che la parte stessa non ha potuto utilizzare circa
due terzi di detto termine e, soprattutto, che il termine a dispo sizione per preparare i documenti e la memoria scritta e per
farli pervenire alla segreteria degli arbitri si è ridotto a quattro giorni.
Non solo, quindi, si è verificata, in danno di una sola parte,
la violazione del principio, costantemente affermato dalla giuris
prudenza della Corte costituzionale, secondo il quale, quando è previsto un termine a pena di decadenza, la parte ha il diritto
di poterlo utilizzare nella sua interezza (Cass. 9561/94, id., Rep. 1994, voce Termini procesuali civili, n. 6; Corte cost. 201/93,
id., 1994, I, 3578; 881/88, id., 1989, I, 31; 156/86, id., 1986, I, 2099; 120/86, ibid., 1753; 255/74, id., 1975, I, 12) ma da
Il Foro Italiano — 1996.
tale violazione, che di per sé potrebbe anche non aver compor tato nullità del lodo ex art. 829 c.p.c. se, di fatto, fosse stato
ugualmente garantito alla parte un adeguato esercizio del diritto
di difesa, è derivata, in concreto, una restrizione del termine
assegnato tale da far fondatamente dubitare della sua congruità. Né può condividersi l'osservazione dell'impresa appaltatrice
secondo la quale la limitazione del termine a disposizione del
comune sarebbe allo stesso imputabile per aver scelto di utiliz
zare il mezzo postale per far pervenire agli arbitri i documenti
e la memoria, perché è evidente che non può al tempo stesso
ritenersi legittima l'utilizzazione dell'ordinario servizio postale da parte degli arbitri per la comunicazione del provvedimento di assegnazione del termine, anche se ciò ha comportato la con
sumazione di gran parte del termine stesso, e negare alla parte di giovarsi dello stesso mezzo per far pervenire agli arbitri gli atti e i documenti predisposti. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 19 gen naio 1996, n. 422; Pres. Sensale, Est. Grieco, P.M. Lo Ca
scio (conci, conf.); Min. finanze (Aw. dello Stato La Porta) c. Soc. Manifattura tessile novarese (Avv. Dante, Corren
ti). Cassa Comm. trib. centrale 17 maggio 1991, n. 3917.
Valore aggiunto (imposta sul) — Acquisto di beni e servizi rela tivi ad operazioni esenti — Detrazione dell'imposta — Con
dizioni (D.p.r. 26 ottobre 1972 n. 633, istituzione e disciplina dell'imposta sul valore aggiunto, art. 10, 19).
Non è legittima la detrazione dell'Iva pagata in rivalsa da una
società per l'acquisto di beni e servizi relativi ad immobili
dati in locazione a terzi al di fuori dell'attività propria della
impresa e, per ciò, non direttamente strumentali alla attività
propria di quel soggetto. (1)
(1) I. - Comm. trib. centrale 17 maggio 1991, n. 3917, ora cassata, è massimata in Foro it., Rep. 1991, voce Valore aggiunto (imposta sul), n. 187.
Ad avviso della Suprema corte del pro-rata (cioè del meccanismo pre visto dall'art. 19, 3° comma, d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 633 per la detra zione dell'imposta sul valore aggiunto assolta per l'acquisto di beni e
servizi in presenza di operazioni attive esenti) può farsi applicazione a condizione che l'acquisto la cui Iva si vuol portare in detrazione sia
pur sempre relativo ad operazioni che rientrino nell'attività propria del l'impresa (v. art. 19, 1° comma).
Esclude, al pari della sentenza in epigrafe, l'inerenza dell'acquisto non riconducibile all'attività propria dell'impresa, Cass. 27 febbraio 1996, n. 1521, inedita.
Sul requisito (minimo) dell'inerenza dell'acquisto all'attività di im
presa — come condizione per la detraibilità dell'Iva ai sensi dell'art.
19 d.p.r. 633/72 — v. Cass. 5 ottobre 1992, n. 10919, id., Rep. 1992, voce cit., n. 223 (che ha escluso la detrazione dell'Iva corrisposta per la costruzione e l'allestimento di un campo da tennis destinato allo sva
go dei dipendenti di un'azienda e, quindi, alla realizzazione di un bene
che non inerisce all'attività dell'azienda stessa); 19 maggio 1992, n. 5981,
ibid., n. 218 (ad avviso della quale la diretta connessione con l'attività
d'impresa dei beni o servizi acquistati deve essere verificata di volta
in volta); cfr. anche Cass. 19 marzo 1992, n. 3419, ibid., n. 219, per la quale ove il contribuente esponga in detrazione l'Iva corrisposta per
l'acquisto di un autoveicolo, incombe su di lui l'onere di dimostrare
che il mezzo è destinato ad essere utilizzato come strumentale nell'atti
vità propria dell'impresa; vastissima la giurisprudenza tributaria all'in
terno della quale non si registrò, però, in presenza di casi di specie, unicità di vedute sulla esatta individuazione della categoria dell'ineren
za (specie con riferimento ai beni di cui all'art. 19, 2° comma, d.p.r. n. 633); tra le più significative pronunce, v. Comm. trib. centrale 3
dicembre 1993, n. 3482, id., Rep. 1994, voce cit., n. 220; 24 maggio 1993, n. 1983, ibid., n. 218; 16 novembre 1991, n. 7799, id., Rep. 1992,
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