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Sezione I civile; sentenza 22 giugno 1966, n. 1593, Pres. Pece P., Est. Perrone Capano, P. M. Pedote...

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Sezione I civile; sentenza 22 giugno 1966, n. 1593, Pres. Pece P., Est. Perrone Capano, P. M. Pedote (concl. conf.); Finanze (Avv. dello Stato Soprano) c. Comune di Torino (Avv. Cipolla, Giusiana) Source: Il Foro Italiano, Vol. 90, No. 4 (APRILE 1967), pp. 781/782-785/786 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23155370 . Accessed: 28/06/2014 18:54 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.220.202.141 on Sat, 28 Jun 2014 18:54:32 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sezione I civile; sentenza 22 giugno 1966, n. 1593, Pres. Pece P., Est. Perrone Capano, P. M.Pedote (concl. conf.); Finanze (Avv. dello Stato Soprano) c. Comune di Torino (Avv. Cipolla,Giusiana)Source: Il Foro Italiano, Vol. 90, No. 4 (APRILE 1967), pp. 781/782-785/786Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23155370 .

Accessed: 28/06/2014 18:54

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE,

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Sezione I civile; sentenza 25 giugno 1966, n. 1617; Pres.

Pece P., Est. Scanzano, P.M. Tuttolomondo (conci,

conf.); Finanze (Avv. dello Stato Salto) c. Soc. molino

della Gaiazza (Avv. Santelli, G. Rossi).

(Cassa App. Brescia 24 maggio 1963)

Registro — Decisione di commissione tributaria avente con

tenuto meramente processuale — Azione giudiziaria —

Termine semestrale di decadenza — Decorrenza (R. d.

30 dicembre 1923 n. 3269, legge del registro, art. 146).

Il termine di sei mesi, previsto dall'art. 146 della legge del

registro, per ricorrere all'autorità giudiziaria ordinaria

avverso decisioni delle commissioni tributarie, decorre

dalla notificazione dell'ultima decisione resa in tale pro

cedimento, a nulla rilevando che questa abbia conte

nuto meramente processuale (nella specie, la Commis

sione centrale aveva dichiarato la nullità, per vizio di

notifica, del gravame proposto dall'ufficio avverso la

decisione della commissione provinciale). (1)

La Corte, ecc. — Con il primo motivo l'amministrazione

ricorrente, denunziando violazione e falsa applicazione degli art. 146 legge di registro, 94 legge tributaria sulle successioni

e 29 r. decreto legge 7 agosto 1936 n. 1639, in relazione al

l'art. 360, nn. 3, 4, 5, cod. proc. civ., lamenta che la corte

del merito per effetto della dichiarazione di inammissibilità

pronunziata dalla Commissione centrale per le imposte sul

ricorso ad essa proposto, abbia fatto decorrere il termine di

sei mesi, prescritto per l'esercizio della azione giudiziaria, dalla

notificazione della decisione della commissione provinciale anziché da quella della decisione della Commissione centrale.

In proposito sostiene che la predetta dichiarazione di inam

missibilità avrebbe potuto produrre quell'effetto (cioè lo spo stamento della decorrenza del termine) solo nella ipotesi in

cui essa fosse stata determinata da tardività della impugna zione, ma non anche nel caso di specie, in cui la ragione della inammissibilità è stata dalla Commissione centrale, rav

visata in un preteso vizio di notificazione della impugnazione stessa.

La censura è fondata. L'art. 146 della legge di registro, nel fissare in sei mesi il termine per ricorrere alla autorità

giudiziaria in tutte le controversie che abbiano formato oggetto di decisione amministrativa, stabilisce che i sei mesi de

corrono « in ogni caso » dalla data della notificazione della

decisione predetta. È chiaro, dal sistema della legge, che la decisione contem

plata dalla norma è quella che chiude la fase del procedi mento innanzi alle commissioni tributarie e che pertanto, nel

caso in cui, come nella specie, vengano percorsi tutti i gradi del procedimento stesso, è quella della Commissione centrale,

mentre la locuzione « in ogni caso » usata dal legislatore de

nota che, in linea di massima, il contenuto della decisione è

irrilevante agli effetti che qui interessano: il che, quindi, non

esclude che anche una controversia che si risolva poi in una

decisione di contenuto esclusivamente processuale possa, nor

malmente, essere idonea condizione dilatoria della decorrenza

del termine prescritto per l'azione giudiziaria. La diversa opinione espressa dalla corte bresciana, che

nella specie ha anticipato tale decorrenza spostandola dalla

notificazione della ultima decisione amministrativa (che è stata

quella della Commissione centrale) al momento anteriore della

notificazione della decisione della commissione provinciale, si

(1) Nei termini della massima non si rinvengono precedenti; invero Cass. 1° febbraio 1947, n. 123, riportata in Foro it., 1947,

I, 893, con nota di richiami, citata dal resistente, si riferisce ad

una fattispecie completamente diversa, in cui si disputava se il

termine di sei mesi, nel caso di decisione che ha dichiarato il

ricorso proposto fuori termine, decorra dalla notificazione di questa ultima decisione o dalla notificazione della decisione tardivamente

impugnata. Caso che non aveva alternativa di soluzione, pena una

illimitata possibilità nel tempo di adire il giudice ordinario.

fonda sulla sentenza n. 123 del 1° febbraio 1947 (Foro it.,

1947, I, 893), espressamente richiamata, di questo Supremo

collegio, secondo cui, qualora il contribuente, in materia di

imposta di successione, ricorra tardivamente contro una de

cisione amministrativa, determinando una dichiarazione di

inammissibilità del ricorso, il termine per la proposizione della azione giudiziaria decorre dalla notificazione della de

cisione tardivamente impugnata. Ma il richiamo non è pertinente perché quella pronunzia

concerne una fattispecie che è, sotto un duplice profilo, carat

teristica rispetto a quella odierna. Ivi la fase anteriore alla

azione giudiziaria si era svolta con l'esperimento dei ricorsi

gerarchici; e ciò non è privo di rilevanza, essendo estraneo, in quella ipotesi, il concetto di rapporto processuale, che

invece è presente nel procedimento avanti alle commissioni

tributarie (pur nella forma più elementare che è sufficiente alle

minori esigenze di esso) e che, riducendo ad unità le varie

fasi del procedimento stesso, pur attraverso i vari gradi, non

si dissolve che con l'ultima pronunzia emessa.

Sotto altro profilo osservasi che in quella ipotesi la inam

missibilità era la conseguenza di un fatto obiettivo quale la

accertata inerzia del soggetto interessato durante tutto il ter

mine assegnato dalla legge per l'esperimento del rimedio ulte

riore e derivava dalla constatazione che, per il vano decorso

del termine, la decisione dell'organo inferiore realizzava la

condizione perché cominciasse a decorrere il termine per la

proposizione della azione giudiziaria. La fattispecie odierna è, invece, del tutto diversa: anche

se, infatti, nella notificazione richiesta dalla amministrazione

finanziaria è stata omessa una formalità richiesta dalla legge, ciò non toglie che essa amministrazione abbia posto in essere

un atto di impugnazione tempestivo e in sé valido, compiendo cosi l'attività necessaria per impedire la consunzione del rap

porto processuale in sede di commissioni tributarie. Ciò

determinava la legittima pendenza del procedimento avanti

alla Commissione centrale, impediva che diventasse definitiva

la decisione dell'organo inferiore e manteneva in vita la con

dizione ostativa della decorrenza del termine di cui allo

art. 148 sopra citato. Termine che, pertanto, cominciò a

decorrere con la data di notificazione della decisione della

Commissione centrale e cioè l'8 maggio 1961.

La sentenza denunziata, che ha omesso di pronunziare nel

merito sull'erroneo presupposto di una inesistente decadenza

dall'azione, va pertanto cassata con rinvio ad altro giudice

(che si designa nella Corte d'appello di Milano), che pro cederà all'esame del merito e provvederà anche sulle spese di questo giudizio di cassazione.

L'accoglimento del primo mezzo del ricorso determina

l'assorbimento del secondo, con cui si sostiene che, al fine

di stabilire la decorrenza del termine di cui all'art. 148 legge di registro, il giudice ordinario può esaminare autonoma

mente la questione relativa all'ammissibilità del ricorso alla

Commissione centrale, senza essere vincolato dalla decisione

che quest'ultima ha emesso in proposito. Per questi motivi, ecc.

COM SUPREMA DI CASSAZIONE

Sezione I civile; sentenza 22 giugno 1966, n. 1593, Pres.

Pece P., Est. Perrone Capano, P. M. Pedote (conci, conf.); Finanze (Avv. dello Stato Soprano) c. Comune di Torino

(Avv. Cipolla, Giusiana).

(Conferma App. Torino 11 novembre 1963)

Registro — Mutuo stipulato da amministrazione comunale —

Pagamento mediante delegazione al tesoriere comunale —

Imposta — Inapplicabilità (R. d. 30 dicembre 1923 n.

3269, legge del registro, art. 9; r. d. 14 settembre 1931

n. 1175, t. u. per la finanza locale, art. 94).

La pattuizione con la quale viene prevista, ai sensi del

l'art. 94 t. u. per la finanza locale, l'estinzione del

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PARTE PRIMA

mutuo contratto da un comune mediante delegazione di pagamento al tesoriere comunale, costituisce disposi zione contrattuale necessariamente connessa per volontà

di legge al negozio principale e pertanto non può for mare oggetto di autonoma tassazione. (1)

La Corte, ecc. — Col primo motivo si denuncia la viola

zione e falsa applicazione dell'art. 9 della legge di registro (r. decreto 30 dicembre 1923 n. 3269) e dell'art. 30 della

tariffa ali. A, nonché insufficiente e contraddittoria motiva

zione, ai sensi e per gli effetti dell'art. 360, nn. 3 e 5, cod.

proc. civ. In sostanza, si addebita ai giudici di merito di

avere erroneamente interpretato l'art. 9 della legge del re

gistro, il quale stabilisce che « se in un atto sono comprese più disposizioni indipendenti o non derivanti necessariamente

le une dalle altre, ciascuna di esse è sottoposta ad imposta come se formasse un atto distinto », mentre « un atto che

comprende più disposizioni necessariamente connesse e de

rivanti, per l'intrinseca loro natura, le une dalle altre è

considerato, quanto all'imposta di registro, come se compren desse la sola disposizione che dà luogo all'imposta più grave ». Sostiene la ricorrente amministrazione delle finanze che « la lettera della norma ed il criterio ispiratorio della stessa

precisano a chiare note che l'ambito di sua applicazione ab braccia unicamente e soltanto la concatenazione strutturale,

oggettiva, concettuale delle disposizioni, secondo lo schema

tipico del negozio e con una causa giuridica che assolva la stessa funzione economica e sociale », di modo che « ne restano escluse le concatenazioni occasionali, soggettive, non

concettuali, quale che sia la finalità che le concatenazioni stes se vogliono attuare ». In altri termini, la ricorrente sostiene che le disposizioni non soggette a separata tassazione sono soltanto

quelle che costituiscono « un elemento integratore del negozio giuridico posto in essere, secondo lo schema tipico del nego zio, quale è fissato dalla legge; e l'intervento della legge, do

vendo soddisfare alla esigenza di una connessione obiettiva ed inscindibile fra le varie disposizioni, che assolva alla me desima causa giuridica, deve determinare una situazione non di accessorietà della disposizione, ma di connaturale compe netrazione, con esclusione di quei casi in cui la stessa impone delle cautele richieste da esigenze di opportunità amministra

tiva, che non influiscono sulla possibilità di concepire il ne

gozio giuridico anche senza le cautele predette ». Siffatto assunto non può essere interamente condiviso, come

si dirà trattando il secondo mezzo. Esattamente la corte

d'appello ha ritenuto che l'art. 9 della legge di registro non si riferisce alla connessione necessaria derivante dal sinallagma tipico contrattuale, e cioè non considera come necessaria mente connesse (e perciò tassabili in via autonoma) solo le

obbligazioni che rappresentino il corrispettivo di altre obbli

gazioni, o che siano corollari giuridici delle contrapposte pre stazioni.

Il testo della norma, ha spiegato la corte d'appello, ha

portata più ampia, nel senso che contempla tutte le ipotesi in cui la pluralità delle disposizioni e la loro concatenazione siano determinate da forza di legge, e non dalla discrezionalità dei contraenti. Onde la conseguenza che « la connessione

(1) Perché una disposizione contrattuale debba ritenersi neces sariamente connessa e quindi non autonomamente tassabile, è ne cessario che il rapporto di connessione scaturisca dalla legge e non dalla volontà delle parti; v., da ultimo, Cass. 16 marzo 1965, n. 416, Foro it., Rep. 1965, voce Registro, n. 73; C. centrale 11 luglio 1962, n. 90419, id., Rep. 1963, voce cit., n. 65; App. Ca gliari 12 agosto 1960, id., Rep. 1962, voce cit., n. 81; Cass. 3 ot tobre 1958, n. 3087 (citata nella sentenza che si annota), id., 1959, I, 1714, con nota di richiami di giurisprudenza e dottrina.

Circa la disposizione contrattuale che prevede l'estinzione di mutuo contratto da un comune mediante delegazione al tesoriere co munale, mezzo previsto dall'art. 94 del t. u. per la finanza locale, vi è da rilevare che la giurisprudenza dei giudici di merito si è senza incertezze indirizzata ne! ritenerla disposizione necessaria mente connessa e quindi non autonomamente tassabile. Si veda App. Perugia 21 gennaio 1965, id., Rep. 1965, voce cit., n. 75; Trib. Bologna 15 maggio 1965, ibid., n. 76; App. Torino 11 no vembre 1963, id., Rep. 1964, voce cit., n. 53; Trib. Roma 29 luglio 1963, ibid., n. 54.

deve ritenersi ricorrente anche quando dipenda da norme che,

pur non incidendo direttamente sulla disciplina del contratto

tipico, debbono, necessariamente, essere osservate nella sti

pulazione di un particolare contratto ».

Così giudicando, la corte di merito non è incorsa in

alcun errore di interpretazione, né in violazioni o false

applicazioni di norme di diritto. Essa si è uniformata, invece,

alla giurisprudenza di questa Suprema corte, ed in particolare alle sentenze 3 ottobre 1958, n. 3087 (Foro it., 1959, I, 1714) e

4 ottobre 1958, n. 3106 (id., Rep. 1958, voce Registro, nn. 91, 92) con le quali è stato puntualizzato (come la

stessa ricorrente finisce col riconoscere) che, ai sensi e per

gli effetti dell'art. 9 della legge di registro, la nozione di di

sposizione indipendente va intesa nel senso di negozio giuri dico autonomamente previsto dalle tariffe allegate alla legge di registro, mentre quella di disposizioni necessariamente

derivanti le une dalle altre si delimita nel senso che essa

si verifica solo allorquando esista tra esse, in forza della legge e non per mera volontà delle parti, una concatenazione logica

necessaria, cosi da potere essere tutte ricondotte, per la loro

intrinseca natura, o in virtù di un disposto di legge, quali elementi indispensabili, nell'unico rapporto giuridico tassabile

ai fini del registro, con conseguente esclusione di ogni ipotesi di frode fiscale.

A tali concetti si è ispirata l'impugnata sentenza, per cui

il primo motivo di ricorso è infondato e va rigettato. Col secondo motivo si censura l'impugnata sentenza nella

parte in cui ha ritenuto che nel caso in esame ricorresse, per forza di legge e non per volontà delle parti, una connessione

necessaria fra il mutuo e le delegazioni di pagamento. Anche questa censura appare infondata. Esattamente è

stato rilevato che i comuni non possono contrarre mutui se

non alle condizioni stabilite dall'art. 299 della legge comu

nale e provinciale, il quale dispone (al n. 3) che i mutui

non possono essere contratti se non ne sia garantito l'ammorta

mento mediante determinazione dei mezzi per provvedervi, nonché dei mezzi per il pagamento degli interessi. Nella spe

cie, quindi, il comune di Torino non avrebbe potuto contrarre

il mutuo di cui trattasi (con l'Istituto bancario San Paolo) senza la previa determinazione dei mezzi necessari per l'am

mortamento e per il pagamento degli interessi. Ma giusta l'incensurabile accertamento compiuto al riguardo dai giudici di merito, il comune non avrebbe potuto estinguere il suo de

bito se non a mezzo di delegazioni di pagamento sui futuri

proventi delle imposte di consumo, non avendo esso la dispo nibilità di altri mezzi, né di altri cespiti delegabili per legge. Si rese necessario, perciò, il ricorso all'art. 94 t. u. per la finanza locale, approvato con r. decreto 14 settembre 1931 n. 1175, e cioè si rese necessario il rilascio di delegazioni sulle imposte di consumo. Ed in forza del citato art. 94, ossia in forza di legge e non per mera volontà delle parti, la riscossione delle delegazioni fu data in carico al tesoriere comunale (Cassa di risparmio di Torino), in quanto il servi zio delle imposte di consumo non era concesso in appalto, ma era gestito direttamente dal comune. Il tesoriere comu nale a sua volta, non solo era tenuto ad accettare le dele

gazioni ma era altresì tenuto a curarne il pagamento « con le condizioni stabilite dalla legge sulla riscossione delle im

poste dirette ».

Fra le condizioni stabilite dalla legge sulla riscossione delle imposte dirette, approvata con r. decreto 17 ottobre 1922 n. 1401 (che è quella da considerarsi nella specie non essendo qui applicabile il nuovo t.u. approvato con decreto

pres. 15 maggio 1963 n. 858), vi è l'obbligo del non riscosso

per riscosso, obbligo che incombe all'esattore e al ricevitore

provinciale, nonché, per effetto del rinvio contenuto nello art. 94 t.u. per la finanza locale, al tesoriere comunale al

quale sia stata data in carico la riscossione di delegazioni sulle

imposte di consumo. E che l'obbligo del non riscosso per riscosso possa riguardare anche le imposte di consumo, oltre che i tributi da riscuotersi a mezzo di ruoli risulta in modo certo dalle specifiche enunciazioni dell'art. 9 dei capitoli nor mali per l'esercizio delle ricevitorie e delle esattorie delle im

poste dirette di cui al decreto 18 settembre 1923 le cui disposi zioni emanate in virtù delist. 4 t. u. n. 1461 del 1922 hanno natura di norme esecutive ed integrative di quelle

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

della legge e del regolamento di riscossione. Anche l'obbligo del non riscosso per riscosso, quindi, fu assunto nel caso in esame, da parte del tesoriere comunale, in forza di una norma di legge, e non come volontaria prestazione di ga ranzia.

Esattamente, dunque, i giudici di merito hanno ritenuto che i due negozi contenuti nel rogito Burlando (mutuo e

delegazioni di pagamento) fossero connessi per forza di legge, non per mera volontà delle parti, e che, di conseguenza, il detto rogito fosse soggetto ad una unica tassazione ai sensi dell'art. 9, 2° comma, della legge sulla imposta di registro e non già a due distinte ed autonome tassazioni, una per il mutuo e l'altra per le delegazioni.

A tale conclusione, del resto, questa Suprema corte era

già pervenuta con sentenze 1° aprile 1936, n. 1132 (Foro it., Rep. 1936, voce Registro, nn. 268, 269) e 2 febbraio 1938, n. 334 (id., 1938, I, 544) sia pure con altra motivazione.

Per questi motivi, ecc.

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CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Sezione III civile; sentenza 10 giugno 1966, n. 1523; Pres. Vallillo P., Est. Lagrotta, P. M. Gentile (conci, conf.); Rizzo (Avv. Triolo) c. Peloso e altri (Avv. D'Atena, Calandra).

(Cassa Trib. Palermo 20 marzo 1965)

Contratti agrari — Sezioni specializzate agrarie — Illegitti mità costituzionale delle norme sulla loro composizione —

Effetti sui procedimenti in corso — Mancata riassunzione in grado di appello dinanzi alle nuove sezioni — Passag gio in giudicato della sentenza di primo grado — Esclu sione (Cod. proc. civ., art. 338; 1. 2 marzo 1963 n. 320, disciplina delle controversie innanzi alle sezioni specializ zate agrarie, art. 6).

L'estinzione del procedimento di appello per mancata rias sunzione dello stesso entro il termine previsto dall'art. 6 della legge 2 marzo 1963 n. 320 non produce il passaggio in giudicato della sentenza emessa dalla sezione specia lizzata agraria (irregolarmente costituita) prima della sen tenza n. 108 del 1962 della Corte costituzionale. (1)

(1) Nel senso che qualunque pronuncia, emessa dalle se zioni costituite in base alle norme dichiarate incostituzionali prima della sentenza Corte cost. 20 dicembre 1962, n. 108 (Foro it., 1963, I, 11, con nota di richiami) è afflitta da nul lità insanabile (salvi gli effetti derivanti dal passaggio in giudicato): Cass. 4 maggio 1965, n. 801, id., Rep. 1965, voce Contratti agrari, n. 115; 4 maggio 1965, n. 802, ibid., n. 15 bis; 7 ottobre 1964, n. 2546, ibid., n. 117; 7 marzo 1964, n. 493, ibid., n. 120; App. Roma 4 luglio 1964, ibid., n. 121; App. Napoli 18 maggio 1964, ibid., n. 122; App. Napoli 22 maggio 1964, ibid., n. 123; Cass. 21 gennaio 1964, n. 150, id., Rep. 1964, voce cit., n. 115; 21 gennaio 1964, n. 147, ibid., n. 115 bis; 7 marzo 1964, n. 493, ibid., nn. 116, 117; 30 luglio 1964, n. 2196, ibid., n. 121; 22 ot tobre 1963, n. 2820, ibid., n. 123; App. Napoli 11 marzo 1964, ibid., n. 124; Cass. 29 ottobre 1963, n. 2866, ibid., nn. 168, 169.

Sugli effetti sospensivi dell'art. 6 della legge n. 320 del 1963, al fine di conservare gli atti di citazione e di evitare preclusioni e decadenze: Cass. 23 giugno 1964, n. 1628, id., Rep. 1965, voce cit., nn. 156-158; non contrasta però con questa finalità la riunione degli atti al giudice di primo grado, regolarmente costituito; cosi: Cass. 18 aprile 1966, n. 968, id., Mass., 339; 4 luglio 1964, n. 1749, id., Rep. 1964, voce cit., nn. 113, 114; 10 gennaio 1964, n. 58, ibid., nn. 118-120.

Isolata appare Cass. 4 aprile 1964, n. 879, ibid., n. 122, che sembra ammettere l'effetto di "passaggio in giudicato in relazione alla acquiescenza delle parti; a questo tentativo si oppone decisa mente, invece, Cass. 23 giugno 1964, n. 1627, id., 1964, I, 1599, secondo cui deve essere cassata, con rinvio al giudice di primo grado regolarmente costituito, la sentenza di appello emessa prima della decisione di incostituzionalità ancorché abbia ad oggetto unicamente la dichiarazione di estinzione per inattività delle parti.

Sull'efficacia nel tempo della pronuncia d'incostituzionalità, v. Cass. 26 gennaio 1967, Zinelli, in questo volume, II, 257, con ampia nota di richiami.

La Corte, ecc. — Con l'unico mezzo il ricorrente denun cia la violazione degli art. 474 cod. proc. civ., 6 della legge 2 marzo 1963 n. 320, 12 e 15 delle preleggi e falsa appli cazione dell'art. 338 cod. proc. civ., nonché difetto di motiva zione circa punti decisivi della controversia, in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, cod. proc. civ. Sostiene in sintesi che le sentenze delle sezioni specializzate agrarie incostituzional mente costituite, sulle quali non si era formato il giudicato all'atto dell'entrata in vigore della citata legge n. 320 del 1963, sarebbero insuscettibili di passaggio in giudicato per effetto della mancata riassunzione del giudizio nel termine stabilito dall'art. 6 della legge, in quanto questa disposizione da un lato si prefiggerebbe lo scopo di porre termine al l'attività di detti organi illegittimi, dall'altro, regolando « tut ta la materia dei procedimenti non ancora definiti », avrebbe efficacia abrogatrice delle norme processuali ordinarie, esclu dendo l'applicabilità dell'art. 338 cod. proc. civ.

Il motivo è sostanzialmente fondato. La motivazione della sentenza impugnata parte da premesse indubbiamente esatte. Secondo principi ormai consolidati nella giurisprudenza di

questa Suprema corte, il vizio di illegittimità costituzionale delle norme sulla composizione delle sezioni specializzate agrarie non determina la giuridica inesistenza delle sentenze da esse pronunciate, pur dando luogo ad una nullità che, in quanto attiene alla irregolare costituzione del giudice, è insanabile e rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del pro cedimento a norma dell'art. 158 cod. proc. civ. Ne consegue che la sua rilevabilità trova un limite, per effetto della riserva contenuta in detto articolo, che espressamente fa salva la

disposizione dell'art. 161, nella preclusione derivante dal giu dicato. Le sentenze pertanto pronunciate dalle sezioni spe cializzate illegittimamente costituite hanno, in astratto, atti tudine al passaggio in giudicato.

Nella specie si trattava peraltro di stabilire se in con creto il giudicato si fosse formato rispetto alla sentenza in forza della quale era stata promossa l'esecuzione per ri lascio. Il giudice del merito ha risolto affermativamente la questione, richiamando il disposto dell'art. 338 cod. proc. civ., ma si è limitato a confutare in proposito la tesi, soste nuta dall'appellante, dell'abrogazione implicita di tale nor ma, senza approfondire, sotto altri aspetti, il delicato pro blema che era chiamato a risolvere, se cioè nella particolare fattispecie in esame l'estinzione del processo, pronunciata dalla sezione specializzata di nuova istituzione presso la corte d'appello in seguito alla mancata riassunzione in ter mine del giudizio pendente presso la sezione illegittimamente costituita, producesse l'effetto di far passare in giudicato una sentenza, quale quella pronunciata in primo grado, affetta da nullità insanabile per vizio di costituzione del giudice.

Al riguardo non può certo condividersi l'assunto del ri corrente, il quale sostiene che l'art. 6 della legge 2 marzo 1963 n. 320 regolando tutta la materia relativa ai procedi menti pendenti presso le sezioni specializzate all'atto della sua entrata in vigore, importerebbe ai sensi dell'art. 15 delle preleggi l'abrogazione implicita di tutte le norme processuali ordinarie e, in conseguenza, anche dell'art. 338 del codice di rito. Lo stesso oggetto limitato della norma, circoscritto nell'ambito della sospensione e relativa riassunzione di detti procedimenti, esclude che le si possa attribuire una portata cosi ampia quale l'integrale regolamento, sotto ogni profilo, dei procedimenti medesimi, con la conseguente tacita abro gazione di tutte le norme dell'ordinamento processuale ordi nario.

Ma l'applicabilità della norma in discussione dev'essere ssclusa per un diverso ordine di considerazioni, in parte ac cennate dal ricorrente.

La citata legge 2 marzo 1963, che sopprime (art. 1) le sezioni

specializzate costituite in base a precedenti norme dichiarate

^legittime dalla sentenza 20 dicembre 1962, n. 108 della 2ortc costituzionale (Foro it., 1963, I, 11) e ne istituisce

(art. 2 e 4) altre di diversa composizione, al fine di dare pronta ed immediata attuazione al,nuovo ordinamento di

spone con la norma transitoria dell'art. 6 la sospensione di iiritto dei procedimenti pendenti alla data della menzionata sentenza e la loro riassunzione davanti alle sezioni di nuova

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