Sezione I civile; sentenza 22 giugno 1968, n. 2077; Pres. Favara P., Est. Falcone, P. M. Gentile(concl. parz. diff.); Pellecchia (Avv. A. Dematteis, Salerno) c. Finanze (Avv. dello StatoCastiglione Morelli)Source: Il Foro Italiano, Vol. 92, No. 1 (GENNAIO 1969), pp. 135/136-137/138Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23158942 .
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PARTE PRIMA
sono sempre racchiuse in colli. Il termine che venne aggiunto (unit) servi dunque esclusivamente per estendere il limite di
responsabilità all'ipotesi nella quale le merci non fossero
contenute in colli ed in tali sensi, senza alcuna modificazione, il nuovo testo proposto fu definitivamente approvato alla con
ferenza di Bruxelles.
Da ciò discende evidente come sia esatta l'interpretazione accolta dall'impugnata sentenza, la quale correttamente si è
inspirata non solo alla formula letterale, ma anche alla ratio
della norma, mentre non può essere condivisa la tesi sostenuta
dalla ricorrente in base ad un inesatto procedimento erme
neutico.
Né in contrario rileva l'argomento della ricorrente fondato
sull'art. 423 cod. nav. che, in tema di limitazione di responsa bilità del vettore, ha fatto riferimento unicamente all'unità di
carico, senza prendere in considerazione anche il « collo », come invece avviene nella norma dell'art. 4, n. 5, della ricordata
convenzione. Non è invero consentito, sulla base di una norma
interna avente diversa area di applicazione, dare a una norma
di derivazione internazionale diretta a regolare il traffico in
ternazionale un significato diverso di quello risultante dalla
formula per essa adoperata e dalla comune intenzione degli Stati contraenti. La norma di derivazione internazionale fa
parte, per effetto del provvedimento legislativo di ratifica del
trattato o della convenzione, dell'ordinamento giuridico ita
liano, ma non può essere interpretata per mezzo di una norma
interna che regola i trasporti marittimi, anche a carattere obiet
tivamente internazionale, ma con una sfera di applicazione diversa dalla convenzione. In tal caso la norma che ha rece
pito la convenzione nell'ordinamento interno conserva una
propria autonomia che esige di stabilirne la portata in rela
zione a quanto essa esprime secondo la sua originaria formu
lazione. j Sotto l'aspetto considerato dunque l'impugnata sentenza non
merita censura, mentre non si sottrae alla critica mossa sotto
un diverso profilo. La ricorrente aveva dedotto nel giudizio di merito l'in
compatibilità con la volontà delle parti contraenti di una limi
tazione di responsabilità del vettore circoscritta ad un'unità
perché trattasi di un unico « collo », mentre per lo stesso
sono corrisposte più unità di nolo (nella specie 28, 875). La corti; di merito ha considerato in proposito che la de
duzione non era fondata, in quanto il caricatore poteva otte
nere una somma corrispondente all'intero valore delle merci
provvedendo a fare la dichiarazione della natura e del valore
di esse prima dell'imbarco preveduta dall'art. 4, n. 5, della
convenzione già citata.
La considerazione non è però né puntuale né esatta.
Il problema, infatti, non era quello di stabilire come il
caricatore possa ottenere l'integrale equivalente pecuniario del
danno subito (indennizzo ad valorem), bensì di accertare la
possibilità da parte dello stesso caricatore di ottenere un in
dennizzo proporzionato alle unità di nolo pagato. Inoltre la
decisione, pur partendo, come sopra è stato dimostrato, da
un'esatta interpretazione della norma, risulta viziata in quanto ha omesso di compiere quell'indagine, che pur era necessaria, al fine di accertare se le parti non avessero inteso derogare alla disciplina normativa e stabilire cosi che al caricatore spet tasse un indennizzo proporzionato alle unità di nolo corrispo ste. La norma in esame ha per vero natura dispositiva e perciò le parti sono libere di derogarvi, stabilendo contrattualmente
un diverso regolamento dei propri interessi, cosi che è neces
sario accertare se mai siffatta deroga sia o no intervenuta.
Infatti, sul piano teorico, non può essere pretermesso che
la limitazione legale dell'indennizzo, se tende, in mancanza di
una diversa volontà delle parti, a cautelare il vettore dal pe ricolo di risarcimenti esorbitanti, non può, d'altra parte, essere
interpretata in modo da attuare un esonero assoluto, o quasi, dalla responsabilità del vettore medesimo. Il che, invece, po trebbe verificarsi qualora, operando una totale frattura tra l'en
tità del nolo percepito dal vettore e la misura della responsa bilità di costui ai fini dell'indennizzo, si ancorasse esclusiva
mente quest'ultimo all'unicità esteriore di imballo delle cose
trasportate negando qualsiasi efficacia, ai fini dell'accertamento
dell'eventuale volontà di deroga delle parti, alla molteplicità delle unità di nolo contrattate per il trasporto.
Sul punto l'impugnata sentenza va dunque cassata con rin
vio per nuovo esame ad altro giudice, il quale avrà il compito di compiere l'indagine trascurata nel precedente giudizio di
merito e diretta precisamente a stabilire se le parti contraenti con il pattuire 28,875 unità di nolo per l'unico collo imbar
cato abbiano inteso derogare alla disciplina normativa del
l'art. 4, n. 5, della ricordata convenzione nella parte che questa limita la responsabilità del vettore per perdite o danni alle merci caricate a cento sterline oro per ogni collo e abbiano
invece voluto ragguagliare tale somma alle unità di nolo cor
risposte. (Omissis) Per questi motivi, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sezione I civile; sentenza 22 giugno 1968, n. 2077; Pres. Favara P., Est. Falcone, P. M. Gentile (conci, parz. diff.); Pellecchia (Avv. A. Dematteis, Salerno) c. Finanze (Avv. dello Stato Castiglione Morelli).
(Conferma C. centrale 3 febbraio 1965, n. 73292)
Guerra (provvedimenti per la) — Profitti di guerra — Li
quidazione delle quote avocabili — Notifica — Termine di prescrizione (R. d. 1. 27 maggio 1946 n. 436, avocazione allo Stato dei profìtti di guerra, art. 3; legge 8 giugno 1936 n. 1231, conversione in legge, con modificazioni, del r. d. 1. 24 ottobre 1935 n. 1887 e del r. d. 1. 13 gennaio 1936 n. 120, art. 9).
La notifica della liquidazione definitiva della quota avocabile dei profitti di guerra è soggetta al termine di prescrizione e non già a quello di decadenza di sessanta giorni (decorrente dal concordato o dalla decisione di primo grado sull'accerta
mento), previsto per le liquidazioni provvisorie. (1) Il termine di prescrizione applicabile alla notifica della liquida
zione definitiva delle quote avocabili dei profitti di guerra è quello decennale e non già biennale o quinquennale ai sensi dell'art. 9 legge 8 giugno 1936 n. 1231.(2)
La Corte, ecc. — Con il primo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione dell'art. 27 r. decreto 3 giugno 1943 n. 598, richiamato dall'art. 3 r. decreto legisl. 27 maggio 1946 n. 436, la ricorrente censura la decisione impugnata per avere affermato che il termine di sessanta giorni di cui al citato art. 27 vale solo per la notificazione della liquida zione provvisoria della quota avocabile dei profitti di guerra, e sostiene che, poiché la liquidazione provvisoria delle quote avocabili era prevista dal legislatore per consentire una più rapida riscossione del tributo, costituendo, cosi, un maggior aggravio per il contribuente, il termine in questione non
poteva non ritenersi applicabile, ricorrendo la stessa ratio, anche alla liquidazione definitiva. Argomenta ancora la ri corrente che l'art. 3 decreto n. 436 del 1946 non distingue, in realtà, una prima liquidazione provvisoria, a cui sarebbe
applicabile l'anzidetto termine di sessanta giorni, da una successiva liquidazione definitiva, da compiere, come ha ri tenuto la decisione impugnata, nel termine prescrizionale ordinario, ma disciplina una procedura unica che si conclude
(1) Non risultano precedenti in termini. (2) La questione non sembra avere precedenti nella giuri
sprudenza della Cassazione. Conforme alla presente sentenza cfr. C. centrale 28 gennaio 1960, n. 24108, Foro it., Rep. 1960, voce Guerra, nn. 17, 18; in senso contrario C. centrale 26 aprile 1956, n. 81331, id., Rep. 1957, voce cit., n. 37; muove da una premessa in senso contrario alla presente decisione anche Comm. imp. Genova 22 maggio 1961, id., Rep. 1962, voce cit., n. 36.
In dottrina cfr. Scaramelli, in Riv. fise., 1961, 1089.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
con la liquidazione della quota, con riserva di eventuali
conguagli, a favore del contribuente, e sostiene che a questa procedura unitaria deve essere riferito il termine di deca denza di cui si discute.
La censura è priva di fondamento. L'art. 3 decreto legisl. n. 436 del 1946 sull'avocazione allo Stato dei profìtti di
guerra regola, infatti, esclusivamente la liquidazione provvi soria della quota avocabile di questi profìtti, richiamando, nel 2° comma, per la notificazione di tale liquidazione, il termine di sessanta giorni fissato dall'art. 27 t. u. n. 598 del 1943 per l'analoga fase del procedimento in tema di imposta straordinaria sui maggiori utili relativi allo stato di guerra.
Di fronte alla portata cosi chiaramente limitata di questo rinvio si dimostra, pertanto, inammissibile l'estensione del termine anzidetto anche alla successiva fase di liquidazione definitiva della quota avocabile, che non risulta disciplinata dall'art. 3 e per la quale, proprio in considerazione della sua natura definitiva, la ratio legis di assicurare la rapida riscossione del tributo, del resto già soddisfatta attraverso la fase di liquidazione provvisoria, non può essere utilmente invocata all'effetto di estendere l'applicazione di quel ter mine.
La tesi, poi, che il decreto n. 436 del 1946 disciplini, in
realtà, un'unica liquidazione (con riserva di eventuali con
guagli per il contribuente) alla quale sarebbe applicabile il termine più volte richiamato di sessanta giorni, non può es sere condivisa perché contrasta con la disciplina data dal
legislatore alla materia. La liquidazione di conguaglio, e cioè definitiva, viene,
infatti, configurata (art. 1, 2, 3, 4 decreto n. 436 del 1946) come fase distinta e successiva alle singole liquidazioni prov visorie operate per ciascun anno, ed è compiuta per tutto il periodo 1939-1945 dopo che siano divenuti definitivi nel merito tutti gli accertamenti relativi al periodo anzidetto. Essa non consiste, poi, in una mera operazione contabile sulla base dei risultati di accertamenti già compiuti, come è dimostrato, a tacer d'altro, dalla considerazione che solo in tale fase si procede, effettuando la detrazione dall'intero ammontare della quota avocabile, all'accertamento delle per dite dichiarate ai sensi dell'art. 2, le quali, nel computo della liquidazione provvisoria, sono state calcolate dall'ufficio nella misura ritenuta provvisoriamente ammissibile.
Ne consegue che, risultando distintamente previste e di
sciplinate le due fasi di liquidazione, provvisoria e defini
tiva, la tesi della ricorrente, che sulla premessa dell'unicità della procedura tende ad applicare alla notificazione della
liquidazione definitiva il termine espressamente stabilito, come si è visto, solo per la liquidazione provvisoria, si dimostra
palesemente inaccoglibile. Sulla individuazione del termine proprio della notificazione
della liquidazione definitiva verte il secondo motivo del
ricorso, dolendosi la ricorrente che la Commissione centrale abbia ritenuto applicabile il termine decennale di prescrizione sulla considerazione che l'autonomia strutturale dell'avocazione dei profitti di guerra, regolata dal decreto 27 maggio 1946 n. 436, rispetto all'imposta sui profitti di guerra, esclude, nel silenzio della legge, il riferimento all'art. 9 della legge 8 giugno 1936 n. 1231.
Deduce la Pellecchia, a sostegno della censura, che l'avo cazione delle quote dei profitti di guerra, già dichiarate indi
sponibili dall'art. 25 decreto n. 598 del 1943, avrebbe dato
luogo ad un semplice aggravio della esistente imposta straordi naria su tali profìtti sicché sarebbe ad essa applicabile l'art. 9 decreto 8 giugno 1936 n.1231 (richiamato dall'art. 19 decreto n. 598 del 1943), che fìssa i termini per l'accertamento e la riscossione in materia di imposte di ricchezza mobile. Ne
conseguirebbe, ad avviso della ricorrente, che il termine per la notificazione della liquidazione della quota avocabile in
via definitiva dovrebbe ritenersi fissato in cinque o in due anni successivi a quello in cui sia stato definito l'ultimo ac certamento per profitti di guerra, a norma, rispettivamente, del 2° e del 4° comma del citato art. 9, a seconda che si consideri la liquidazione di cui si discute come un nuovo accertamento
o, invece, come una iscrizione a ruolo.
Il motivo di ricorso non è fondato. È opportuno premet tere che la legge sull'avocazione dei profitti di guerra non
contiene una norma espressa che imponga all'amministra
zione finanziaria un termine per la notificazione della liqui dazione definitiva, e non detta nemmeno, in materia, una
norma di rinvio alle disposizioni della legge sui profitti di
guerra (n. 598 del 1943), norma che permetta di applicare, attraverso il rinvio contenuto nell'art. 13 (per l'accertamento)
e 19 (per la riscossione) di questa legge, i termini stabiliti
per il compimento di atti dalla legge sull'imposta di ric
chezza mobile.
Allo stato di questa normativa è chiaro che la tesi della
ricorrente potrebbe essere accolta soltanto sulla premessa, illustrata nel ricorso e ribadita nella discussione orale, che
la disciplina dell'avocazione integrerebbe e completerebbe
quella sull'imposta straordinaria sui profitti di guerra, rap
presentandone, in sostanza, una semplice modificazione di
retta a disporre l'avocazione di quelle quote dei profitti anzidetti che erano state già dichiarate indisponibili.
Ma così non è. L'avocazione dei profitti di guerra e l'im
posta straordinaria su questi profitti appaiono, infatti, strut
turalmente autonome, anche se, da un punto di vista di
politica tributaria, la prima si presenta come un completa mento della seconda, introdotto per raggiungere quegli scopi di perequazione tributaria che, di fronte agli imponenti fe
nomeni di rapido arricchimento verificatisi nel periodo bellico, non erano stati conseguiti né con il sistema di imposte ordi
narie né con l'imposta straordinaria anzidetta.
L'autonomia strutturale che, in linea di principio, non
viene esclusa per il solo fatto che un'imposta venga calcolata
con riferimento ad una base imponibile accertata ai fini di
altra imposta — basterà ricordare la disposizione dell'art. 141
t. u. 29 gennaio 1958 n. 645, sugli effetti automatici dell'ac
certamento dei redditi soggetti ad imposta di ricchezza mo
bile o sui fabbricati ai fini della imposta complementare,
imposte la cui autonomia è fuori di ogni discussione — risulta
evidente ove si consideri: che la quota avocabile può coinci
dere, ma non necessariamente, con la somma delle quote
già rese indisponibili per effetto della legge sull'imposta straor
dinaria sui profitti di guerra relativi agli anni 1939-1945; che,
per la determinazione della quota avocabile, viene ammessa
la detrazione, dalle quote già indisponibili, dei mancati utili
al di sotto del reddito normale (art. 1, 3° comma, decreto n. 436
del 1946), e delle perdite (art. 1, 4° comma) verificatisi in uno o
più esercizi compresi nel periodo considerato; che l'avocazione
può mancare, anche se siasi fatto luogo all'applicazione del
l'imposta straordinaria, quando l'ammontare dei profitti non
superi le lire 100.000; che, infine, l'accertamento e la liqui dazione della quota avocabile, la quale ha carattere unitario
per il sessennio considerato, avvengono attraverso due stadi
di liquidazione una provvisoria ed una definitiva e che è
prevista per quest'ultima una specifica fase contenziosa (art. 4). Da questa autonomia di struttura e di normazione di
scende che alla notificazione della liquidazione definitiva
della quota avocabile dei maggiori utili di guerra non possa essere applicato un termine previsto per altra diversa imposta e che debba, invece, applicarsi il termine di prescrizione ordinaria, di cui all'art. 2946 cod. civ., cosi come esattamente
ha ritenuto la Commissione centrale delle imposte dirette
nella decisione impugnata. (Omissis) Per questi motivi, rigetta, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sezione I civile; sentenza 22 giugno 1968, n. 2074; Pres.
Stella Richter P., Est. R. Sandulli, P. M. Pascalino
(conci, conf.); Ferrari (Avv. Raviolo) c. Molina e altri
(Avv. Maselli).
(Conferma App. Milano 30 aprile 1965)
Banca e contratti bancari — Deposito a risparmio — Li
bretto pagabile al portatore, intestato al nome di una
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