sezione I civile; sentenza 22 luglio 2004, n. 13665; Pres. Grieco, Est. Di Palma, P.M. Palmieri(concl. conf.); A.R. (Avv. Irti, Bin) c. F.A. (Avv. Marini). Cassa App. Torino 29 marzo 2001Source: Il Foro Italiano, Vol. 128, No. 2 (FEBBRAIO 2005), pp. 431/432-441/442Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23200536 .
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PARTE PRIMA 432
prezzamenti strettamente inerenti — segnatamente quando si
tratti di mansioni fiduciarie — ai poteri di autorganizzazione dell'ente straniero (cfr. Cass., sez. un., 16 gennaio 1990, n. 145,
id., 1990,1, 457, relativa alle prestazioni di un addetto ad ufficio
stampa di ambasciata, cui adde Cass., sez. un., 9 settembre
1997, n. 8768, id., Rep. 1999, voce cit., n. 72, riguardante la
domanda di migliore inquadramento avanzata da collaboratrice, con notevole margine di autonomia, dell'ufficio pubblicazione dell'«Ecole francai se de Rome»).
A diversa conclusione deve, invece, pervenirsi, come si è
detto, in tutti quei casi in cui le domande avanzate rimangono — come nella fattispecie oggetto dell'esame di questa corte —
limitate al trattamento economico e non coinvolgono in alcun
modo questioni relative all'organizzazione dell'ente.
È stata a tale riguardo dalla dottrina internazionalistica rimar
cata una prassi giudiziaria recente, volta a valorizzare la specifi cità di una materia in cui sono in gioco valori di fondamentale
importanza, ed è stato sottolineato come già in alcuni paesi lo
Stato straniero non sia immune se il lavoro è prestato nel territo
rio dello Stato del foro, considerandosi questa regola dalla giu
risprudenza come corrispondente al diritto consuetudinario o
quanto meno ad una consuetudine in formazione. Ed a conforto
di tale indirizzo favorevole a delimitare la sfera d'immunità
dello Stato straniero in materia di rapporti di lavoro si sono in
dicate numerose norme di diritto internazionale, facendosi spe cificamente riferimento alla convenzione europea sull'immunità
degli Stati del 16 maggio 1972, entrata in vigore I'll giugno 1976 e già ratificata da vari paesi (cfr. art. 5), nonché al progetto di convenzione predisposto dall'organizzazione degli Stati ame
ricani (cfr. art. 6, lett. a, che esclude comunque l'immunità
quando il lavoro è prestato nel territorio dello Stato del foro), cui può aggiungersi la convenzione di Roma del 19 giugno 1980 — esecutiva in Italia con la 1. 18 dicembre 1984 n. 975 ed en
trata in vigore il 1° aprile 1991 secondo il disposto dell'art. 57 1.
n. 218 del 1995 — che alle regole generali fissate in materia
contrattuale pongono due temperamenti al fine di offrire una
maggiore tutela al contraente istituzionalmente più debole, qual è, appunto, il lavoratore (cfr. art. 6).
Alla stregua dei principi sopra enunciati va accolto il ricorso
e va dichiarata la giurisdizione del giudice italiano non potendo si prendere in esame la censura con la quale si solleva questione di costituzionalità degli art. 43, 58 e 71 della convenzione di
Vienna del 24 aprile 1963, recepita con la 1. 9 agosto 1967 n.
804, in relazione dell'art. 24 Cost, se interpretati nei sensi indi
cati dal giudice d'appello. La sentenza impugnata va cassata e dichiarata la giurisdizione
del giudice italiano. Alla stregua degli art. 383 e 353 c.p.c. la
causa va rimessa al giudice di primo grado, e cioè al Tribunale
di Monza, in funzione di giudice del lavoro, che procederà ad un
nuovo esame della presente controversia in attuazione del prin
cipio di diritto secondo cui «la controversia instaurata da un di
pendente italiano di un console onorario di uno Stato estero per ottenere il pagamento di spettanze retributive ed il versamento
dei contributi omessi appartiene alla giurisdizione del giudice italiano, non ostando a detto riconoscimento la convenzione
sulle relazioni consolari di Vienna del 24 aprile 1963, ratificata e resa esecutiva con 1. 9 agosto 1967 n. 804, essendosi in pre senza di una domanda giudiziaria che non coinvolge aspetti re
lativi all'organizzazione dello Stato straniero e che non incide in alcun modo sull'esercizio dei suoi poteri sovrani».
Il Foro Italiano — 2005.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 22 lu
glio 2004, n. 13665; Pres. Grieco, Est. Di Palma, P.M. Pal
mieri (conci, conf.); A.R. (Avv. Irti, Bin) c. F.A. (Avv. Ma
rini). Cassa App. Torino 29 marzo 2001.
Filiazione — Dichiarazione giudiziale di paternità e mater nità — Ordine nell'ammissione dei mezzi di prova
—
Esclusione — Consulenza tecnica d'ufficio — Ammissibi
lità (Cod. civ., art. 269). Filiazione — Dichiarazione giudiziale di paternità e mater
nità — Indagini ematologiche e immunogenetiche — Rile vanza probatoria (Cost., art. 30; cod. civ., art. 269).
I principi di libero convincimento del giudice e di libertà delle
prove, in forza dei quali tutti i mezzi di prova hanno pari
valore, operano anche quanto all'azione di accertamento
giudiziale della paternità e maternità naturale, senza limita
zioni, sicché per tale azione il giudice non è tenuto a seguire alcun ordine gerarchico o cronologico nell'ammissione ed
assunzione dei mezzi di prova ben potendo egli disporre, senza ulteriori passaggi, una consulenza tecnica d'ufficio di
natura ematologico-immunogenetica, sulle cui conclusioni,
unitamente agli altri elementi probatori acquisiti, può fonda re la propria decisione. (1)
In materia di accertamento giudiziale della paternità e della
maternità, le indagini ematologiche e immunogenetiche, in
quanto ormai affidabili, possono fornire elementi di valuta
zione sia per escludere che per affermare il rapporto biologi co di paternità, non rilevando il carattere probabilistico delle
risultanze di tali indagini, comune a tutte le asserzioni delle
scienze fìsiche e naturalistiche, cui è sempre immanente la
possibilità di errore. (2)
(1-2) I. - La sentenza in rassegna approfondisce il tema della c.t.u.
ematologico-immunogenetica in materia di accertamento giudiziale della paternità e della maternità naturale, incisivamente valorizzandola.
Ciò sotto due profili: da un lato (massima 1) riconoscendo la facoltà
per il giudice di ammettere tale mezzo istruttorio — sostanzialmente —
«in prima battuta», vale a dire senza la previa assunzione di altre prove (la sentenza, peraltro, non è priva di ambiguità, in quanto sottolinea, almeno a livello di obiter, che il giudice di merito — nel disporre la c.t.u. — si era preoccupato di precisare che non si trattava di un mezzo istruttorio meramente esplorativo, in quanto costituiva integrazione di elementi probatori già acquisiti al processo).
Dall'altro lato la Suprema corte ribadisce la sicura rilevanza probato ria della c.t.u. in questione, anche ai fini dell'accertamento positivo della paternità o della maternità (massima 2), tenuto conto che la tecni ca relativa consente di conseguire risultati di altissima attendibilità. Vi è certo sempre un margine di errore, per quanto minimo, ma — osserva la Cassazione, rifacendosi evidentemente alle più recenti ricerche epi stemologiche — ciò è comune ad ogni scienza, anche a quelle c.d. esatte (vi è espresso richiamo alle misurazioni).
In definitiva — dalla sentenza in rassegna — la c.t.u. ematologico immunogenetica esce assolutamente «rafforzata», in virtù della già ri chiamata intrinseca attendibilità, quale strumento privilegiato di accer tamento della paternità e della maternità naturale (tendenzialmente esaustivo: ma la sentenza non giunge, almeno espressamente ed univo
camente, a tale conclusione). II. - La giurisprudenza, successivamente alla novellazione, ad opera
della riforma del 1975, dell'art. 269 c.c., ha costantemente posto l'ac cento sul principio di libera ricerca della paternità, quale espressione di
quelli — generali — di libero convincimento del giudice e di libertà delle prove.
Di particolare rilievo è Cass. 3 aprile 2003, n. 5116, Foro it., Rep. 2003, voce Filiazione, n. 51, che ha dichiarato manifestamente infon data la questione di legittimità costituzionale dell'art. 269 c.c., ove in
terpretato nel senso che la mancanza della prova di rapporti sessuali tra la madre ed il presunto padre nel periodo del concepimento non preclu da l'esecuzione di ulteriori indagini e la valutazione degli altri elementi di prova, per supposto contrasto con l'art. 30, 4° comma, Cost, (secon do cui la legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità). La Suprema corte ha infatti affermato, esprimendo un principio dal
quale non si discosta la sentenza in epigrafe, che «la norma costituzio nale in questione rimette al legislatore ordinario la fissazione delle norme e dei limiti per la ricerca della paternità naturale, senza stabilire vincoli di contenuto, e l'ultimo comma dell'art. 269 c.c. — secondo cui la sola dichiarazione della madre e la sola esistenza di rapporti tra la madre ed il presunto padre all'epoca del concepimento non costituisco no prova della paternità naturale — costituisce di per sé una limitazione di carattere probatorio, ma non prescrive che l'esistenza di tali rapporti debba risultare in ogni caso da una prova specifica sul punto, dovendo
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Svolgimento del processo. — 1.1. - Con citazione del 9 feb
braio 1993, F.A. — nata il 1° luglio 1961 — convenne dinanzi
al Tribunale di Torino A.R., esponendo che, con decreto della
Corte d'appello di Torino del 14 ottobre 1988, divenuto defini
tivo, era stata dichiarata ammissibile l'azione di dichiarazione
giudiziale di paternità naturale che essa intendeva proporre nei
confronti del R., perché questi fosse dichiarato suo padre natu
rale; e che si riservava di provare, in corso di causa, la circo
stanza, secondo la quale, all'epoca del presumibile concepi
anche tenersi conto del 2° comma della medesima disposizione, secon do cui la prova della paternità e della maternità può essere data con
ogni mezzo, e, inoltre, che ogni valutazione sull'adeguatezza e suffi cienza dei limiti probatori appartiene alla considerazione discrezionale del legislatore, non fissando la citata norma costituzionale alcun canone in proposito».
11 principio prima richiamato, espresso dallo stesso art. 269 c.c., se condo cui la dimostrazione della paternità naturale può essere fornita con ogni mezzo, è costantemente ribadito dalla giurisprudenza, sicché il
giudice di merito può legittimamente trarre il proprio convincimento in
ordine all'esistenza di un rapporto di filiazione da risultanze probatorie indirette e indiziarie, come anche da sentenze emesse in altri giudizi ci
vili o penali, da cui il rapporto di filiazione indirettamente risulti, e
dalle risultanze già acquisite nel procedimento per l'ammissibilità del
l'azione ex art. 274 c.c., purché proceda ad una nuova ed autonoma valutazione globale delle medesime: v. Cass. 17 novembre 2000, n.
14910, id., Rep. 2000, voce cit., n. 98 (nella specie, sulla base delle ri
sultanze istruttorie della fase sommaria — esistenza di una relazione e
per certi periodi di una convivenza all'epoca del concepimento e della
gravidanza, fallimento dell'exceptio plurium concubentium, rifiuto del
preteso padre di sottoporsi a prelievo — il giudice aveva formulato un
giudizio di irrilevanza delle prove richieste nella successiva fase di me
rito e la Suprema corte ha confermato la sentenza); in termini, Cass. 20
marzo 1998, n. 2944, id., Rep. 1999, voce cit., n. 98 (per esteso, Fami
glia e dir., 1999, 40; nella specie la Suprema corte ha ritenuto corret
tamente motivata la pronuncia del giudice di merito che aveva fondato la propria pronuncia affermativa della paternità naturale su una motiva
zione con cui era posta in evidenza, da un canto, l'univocità e conver
genza degli elementi indiziari acquisiti al processo, come la lunga rela
zione intercorsa tra la madre ed il padre naturale, i comportamenti te
nuti da quest'ultimo alla notizia della gravidanza della donna, la con
dotta processuale del medesimo — e, in particolare, il pretestuoso ed
immotivato rifiuto di sottoporsi ad indagini ematologiche — dall'altro, l'attendibilità dei testi indicati dalla madre del riconoscendo); 29 mag
gio 1998, n. 5333, Foro it., Rep. 1998, voce cit., n. 81 (secondo cui non
è richiesta la prova di una convivenza more uxorio, nel senso di una
coabitazione stabile della madre e del presunto padre, qualora vi sia la
prova dell'esistenza di rapporti intimi tra i medesimi); 5 agosto 1997, n. 7193, ibid., n. 82 (secondo cui, tra gli elementi presuntivi rilevanti ai
fini dell'accertamento in oggetto, assumono in particolare efficacia
probatoria determinante la fama e il tractatus)-, con specifico riferi
mento al tractatus, Cass. 13 agosto 1993, n. 8679, id., Rep. 1993, voce
cit., n. 68, rileva che una volta eliminata dall'ordinamento la categoria
giuridica del tractatus (così come quella della fama) quale elemento
integrativo del possesso di stato, costituente secondo il vecchio testo
dell'art. 269 c.c. una delle condizioni per l'ammissibilità dell'azione
predetta, il giudice del merito è libero di utilizzare elementi di fatto non
conformi alla tipologia di quelli idonei a costituire il possesso di stato
di figlio naturale secondo l'abrogata normativa, ma tuttavia dotati di rilievo indiziario nell'attuale sistema di libera ricerca della paternità
(principio formulato in relazione a fattispecie nella quale i giudici del
merito avevano ravvisato l'esistenza del tractatus con riferimento al
comportamento di soggetti diversi dal presunto padre). III. - È anche consolidata l'affermazione secondo cui l'inidoneità
della sola dichiarazione della madre a costituire prova della paternità naturale, sancita dall'ultimo comma dell'art. 269 c.c., non è parificabile al divieto assoluto di utilizzazione delle eventuali, predette dichiarazio
ni, non potendosi escludere, coerentemente con il disposto dell'art. 116
c.p.c. (che alle dichiarazioni delle parti ed al loro contegno processuale riconosce valore di argomento di prova, pur se non piena) che il giudice
possa utilizzarle coniugandone il contenuto con altri argomenti di pro va, onde fondare, sul risultato ermeneutico così complessivamente ot
tenuto, il proprio legittimo convincimento. In altri termini anche la sola dichiarazione della madre e la sola esi
stenza di rapporti tra questa ed il preteso padre all'epoca del concepi mento possono «nel concorso di altri elementi, anche presuntivi, essere
utilizzate a sostegno del proprio convincimento dal giudice del merito;
questi infatti è dotato di ampio potere discrezionale e può legittima mente basare il proprio apprezzamento in ordine all'esistenza del rap
porto di filiazione anche su risultanze probatorie indirette ed indiziarie,
sempre indicando gli elementi su cui intende fondare la pronuncia ed in
tal modo ritualmente disattendendo le argomentazioni (non menzionate
specificamente) logicamente incompatibili con la decisione adottata»:
Il Foro Italiano — 2005.
mento (8-9 ottobre 1960), tra sua madre — I.A. — ed il R. esi
steva da tempo (6 febbraio 1960) una relazione intima, protrat tasi fin verso la fine del 1960.
Tanto esposto, la A. — previa richiesta di interrogatorio libe
ro del convenuto sulle predette circostanze; riservatasi la dedu
zione di prova per testimoni; e chiesta in via preliminare con
sulenza tecnica ematologica — concluse, chiedendo che il tri
bunale adito dichiarasse che A.R. è padre naturale di F.A.
Il convenuto, costituitosi, nel resistere alla domanda, deduce
cosi Cass. 21 febbraio 2003, n. 2640, id., Rep. 2003, voce cit., n. 53
(nella specie, la Cassazione ha ritenuto correttamente motivata la pro nuncia del giudice di merito che aveva fondato la propria pronuncia af
fermativa della paternità naturale su una motivazione con cui era stata
posta in evidenza l'univocità e convergenza degli elementi indiziari ac
quisiti al processo, come la lunga relazione sessuale intercorsa tra la madre ed il padre naturale, protrattasi ben oltre il tempo del concepi mento, l'interesse manifestato da quest'ultimo per la bambina, anche
con la richiesta di essere informato mensilmente sulla salute della pic cola e la promessa di inviare denaro alla madre per contribuire al man
tenimento della figlia); 19 settembre 1997, n. 9307, id., Rep. 1998, vo
ce cit., n. 84 (per esteso, Famiglia e dir., 1997, 505). IV. - La prova della fondatezza della domanda può legittimamente
trarsi anche dal solo comportamento processuale delle parti; la giuris
prudenza ha così affermato — come già accennato — che il rifiuto del
preteso genitore naturale di sottoporsi al prelievo ematico per eseguire
gli accertamenti biologici sulla paternità può rivestire i caratteri di gra vità, precisione e concordanza delle presunzioni legalmente ricavabili
dal comportamento della parte, rilevante ai fini della pronuncia di ac certamento richiesta; tale valutazione è rimessa alla prudenza del giudi ce, insindacabile in sede di legittimità, se esente da vizi logici: v. Cass.
20 febbraio 2003, n. 2584, Foro it., Rep. 2003, voce Presunzione, n. 7; 10 ottobre 2000, n. 13465, id., Rep. 2001, voce Filiazione, n. 67, la
quale precisa anche che il rifiuto in parola «in una valutazione globale e
complessiva delle risultanze già evidenziate, conferma e rafforza le al
tre risultanze già acquisite in ordine alla dimostrazione della paternità in un contesto che faccia ritenere il rifiuto un espediente per ostacolare
la dimostrazione della stessa»; 18 dicembre 1998, n. 12679, id., Rep. 1999, voce cit., n. 99 (che pone l'accento anche sulle ragioni del rifiuto
e dell'eventuale elusione in via di mero fatto degli accertamenti pur non espressamente rifiutati, non tralasciando di considerare anche il
contesto sociale della vicenda agli effetti di un'eventuale maggiore dif
ficoltà di reperire riscontri probatori oggettivi alle affermazioni poste a
fondamento della domanda); 15 gennaio 1999, n. 386, ibid., n. 100, la
quale reputa che anche in mancanza di prova dell'esistenza di rapporti sessuali fra le parti, il rifiuto ingiustificato di sottoporsi agli esami
ematologici costituisce un comportamento valutabile ai sensi dell'art.
116, 2° comma, c.p.c.; in termini, Cass. 9307/97, cit. Al riguardo, Cass. 27 febbraio 2002, n. 2907, id.. Rep. 2002, voce
cit., n. 46, rileva che nel giudizio diretto ad ottenere una sentenza di
chiarativa della paternità naturale, tra gli argomenti di prova idonei a
fondare il convincimento del giudicante rientra anche l'ingiustificato ri
fiuto della parte di sottoporsi ad esami ematologici, trattandosi, nella
specie, di valutare non della legittimità o meno di un prelievo funzio
nale alle prove genetiche del DNA ma soltanto se, ferma l'inviolabilità
della persona e l'incoercibilità del prelievo medesimo, dalla scelta ne
gativa di rifiutarne il consenso sia lecito trarre argomenti di prova al
pari di tutti gli altri comportamenti tenuti dalle parti nel corso del giu dizio.
V. - Con particolare riferimento alle prove ematologiche, v. Cass. 25
febbraio 2002, n. 2749, ibid., n. 44, secondo cui il ricorso a tali prove, anche se richiesto dal preteso padre, è rimesso alla valutazione del giu dice di merito, il quale può ritenerle superflue ove abbia già acquisito elementi sufficienti, a fondare il suo convincimento; la relativa decisio
ne è, peraltro, incensurabile in sede di legittimità nei limiti in cui sia
adeguatamente motivata (nella specie, la Suprema corte ha confermato
la decisione della corte territoriale che aveva dichiarato la paternità naturale senza ricorrere alla perizia ematologica, richiesta dal ricorrente
solo con l'atto di appello, ritenendo detta richiesta dilatoria e pretestuo sa in presenza degli elementi probatori acquisiti al processo, consistenti
in prove testimoniali, nelle ammissioni del ricorrente in sede di deliba
zione di ammissibilità, e nel reiterato ed ingiustificato rifiuto della stes
sa prova ematologica da lui opposto nell'arco di dieci anni, in sede di
giudizio di primo grado). Cass. 3 settembre 1997, n. 8451, id., Rep. 1998, voce cit., n. 83, ha
affermato che la paternità naturale va dichiarata, sulla scorta delle in
dagini genetiche esperite, pure quando risulti la sottoposizione del pre sunto padre ad intervento di vasectomia, prima del concepimento, che, secondo la letteratura medica più accreditata, non produce effetto im
mediatamente, ma solo qualche tempo dopo la sua effettuazione.
Cfr. anche, per gli evidenti profili di affinità con quanto deciso dalla
sentenza in epigrafe, Cass., ord. 5 giugno 2004, n. 10742, id., 2004, I,
2726, che ha dichiarato rilevante e non manifestamente infondata — in
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435 PARTE PRIMA 436
va che la relazione con la madre dell'attrice era definitivamente
cessata prima del ferragosto 1960 e, quindi, prima della data del
presumibile concepimento indicata nell'atto di citazione; e che
I.A., sia durante la relazione che dopo, aveva avuto rapporti ses
suali con altri uomini. Il R. contestava, inoltre, l'ammissibilità e
la concludenza probatoria della consulenza tecnica richiesta.
Nel corso della prima fase istruttoria il R. rispose all'interro
gatorio libero.
Con due successive ordinanze collegiali del 21 ottobre - 29
relazione agli art. 3 e 24 Cost., sotto il profilo della limitazione del di ritto di difesa e della ragionevolezza di tale limitazione — la questione di legittimità costituzionale dell'art. 235, 1° comma, c.c., nella parte in cui ammette il marito a provare che il figlio presenta caratteristiche ge netiche o del gruppo sanguigno incompatibili con le proprie, soltanto
nell'ipotesi in cui dimostri che nel periodo del concepimento la moglie ha commesso adulterio.
Nella giurisprudenza di merito, v. App. L'Aquila 14 marzo 2002, id.,
Rep. 2003, voce cit., n. 54: «se l'esame del DNA del defunto padre at tribuisce il novantanove virgola novantasei per cento di probabilità di esito positivo e si aggiunge ad esso una serie di elementi univoci posi tivi (nella specie, relazione tra il presunto padre e la madre; conoscenza da parte di amici e parenti del defunto del fatto che questi era riuscito ad avere con inseminazione artificiale una figlia dall'attrice, ecc.), si
può dichiarare giudizialmente la paternità naturale del defunto padre»; per un'ipotesi del tutto peculiare, v. Trib. Genova 27 marzo 1998, id.,
Rep. 1999, voce cit., n. 102. Cass. 22 ottobre 1997, n. 10377, id., 1999, I, 2045, afferma che
l'adozione del rito ordinario, in luogo di quello camerale, per il giudi zio di dichiarazione di paternità naturale di un minore non è causa di
nullità; per ulteriori profili procedurali, v. Cass. 1° agosto 2003, n.
11727, id., Rep. 2003, voce cit., n. 55. VI. - Il procedimento di ammissibilità dell'azione di dichiarazione
giudiziale di paternità e maternità naturale, previsto dall'art. 274 c.c., ha la funzione di accertare l'esistenza di un fumus boni iuris in ordine al preteso rapporto di filiazione, nonché la ricorrenza, in caso di minore
infrasedicenne, di un suo interesse alla dichiarazione giudiziale di pa ternità o maternità: v. Cass. 26 luglio 2002, n. 11041, ibid., n. 45.
Sulla rilevanza delle sole affermazioni della madre relative all'esi stenza di rapporti tra essa e il preteso padre all'epoca del concepimen to, ai fini dell'ammissibilità dell'azione in oggetto, v. Cass. 29 maggio 1999, n. 5259, id., Rep. 2000, voce cit., n. 91.
La valutazione dell'interesse del minore infrasedicenne va effettuata esclusivamente nella fase di ammissibilità dell'azione; tale valutazione non può aver luogo nella successiva fase di merito: v. Cass. 9 giugno 1995, n. 6550, id., Rep. 1995, voce cit., n. 62.
La contrarietà dell'accertamento del rapporto di filiazione all'inte resse del minore può sussistere solo in caso di concreta verifica di una condotta del preteso padre tale da giustificare una dichiarazione di de cadenza dalla potestà genitoriale, ovvero di prova dell'esistenza di gra vi rischi per l'equilibrio affettivo e psicologico del minore e per la sua collocazione sociale, mentre del tutto irrilevanti debbono ritenersi i suoi atteggiamenti psicologici di rifiuto di rapporti nei confronti della
madre, nonché di indifferenza nei confronti della pretesa paternità: v. Cass. 26 luglio 2002, n. 1 1041, id., Rep. 2003, voce cit., n. 47; ne segue che l'interesse del figlio nato fuori del matrimonio all'accertamento della paternità naturale non è escluso dall'assenza di affectio da parte del presunto padre né dalla dichiarazione di costui, convenuto con l'a zione di dichiarazione giudiziale ex art. 269 c.c., di non voler adempie re in ogni caso ai doveri morali inerenti alla potestà di genitore: v. Cass. 15 marzo 2002, n. 3793, id., Rep. 2002, voce cit., n. 50; v., per un
peculiare profilo di manifesta infondatezza di una questione di illegit timità costituzionale, Cass. 15 marzo 2002, n. 3793, ibid., n. 42.
Corte cost. 28 novembre 2002, n. 494, id., 2004, I, 1053, ha dichia rato l'illegittimità costituzionale dell'art. 278, 1° comma, c.c., nella
parte in cui esclude la dichiarazione giudiziale della paternità e della maternità naturali e le relative indagini, nei casi in cui, a norma dell'art.
251, 1° comma, c.c., è vietato il riconoscimento dei figli incestuosi. Una volta dichiarata, ai sensi dell'art. 274 c.c., l'ammissibilità del
l'azione diretta alla dichiarazione giudiziale della paternità o maternità
naturale, è irrilevante che l'azione di merito sia proposta trascorsi dieci anni dalla pronuncia di ammissibilità: v. Cass. 8 settembre 2004, n.
18053, id., Mass., 1396. Cass. 4 luglio 2003, n. 10625, id., Rep. 2003, voce cit., n. 44, aveva
ritenuto non manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell'art. 274 c.c., in quanto la fase di ammissibilità del giudizio di di chiarazione giudiziale di paternità e maternità, così come in concreto attualmente disciplinata, viola l'art. 3, 1° e 2° comma, Cost., per la contraddizione intrinseca della norma con gli obiettivi che essa si pone; ostacola la tutela dei figli naturali nella ricerca del loro status e della loro identità biologica, e pertanto viola l'art. 30, 1° comma, e l'art. 2
Cost., ed infine contrasta con il principio della ragionevole durata del
procedimento giudiziario ex art. 111 Cost.
Il Foro Italiano — 2005.
novembre 1996 e del 17 febbraio - 7 aprile 1997, il tribunale di
spose la richiesta c.t.u. ed ammise la prova per testimoni dedotta
dal convenuto, limitatamente al capitolo 1, ritenne irrilevanti gli altri capitoli e respinse la richiesta di ammissione delle altre
prove.
Espletata la consulenza tecnica ed assunta la prova per testi, nell'udienza del 28 aprile 1999, fissata per la precisazione delle
conclusioni definitive, il difensore del R. le precisò richiamando
quelle assunte nella precedente comparsa conclusionale del 10
ottobre 1996.
Il Tribunale di Torino, con sentenza 12 novembre 1999, n.
8264/99, dichiarò che A.R. è il padre biologico di F.A. 1.2. - A seguito di appello del R. — cui resistette la A. — la
Corte d'appello di Torino, con sentenza 29 marzo 2001, n.
444/01, respinse l'appello e condannò l'appellante al rimborso
delle spese del grado in favore della A.
In particolare, la corte torinese ha così motivato la decisione.
A) Prendendo in esame il primo motivo d'appello — secondo
il quale la c.t.u. era stata irritualmente disposta, in quanto la A.
non aveva previamente offerto prove testimoniali e documenta
li, idonee a giustificarne l'ammissibilità — i giudici d'appello hanno osservato: Al) l'ordinanza collegiale del 21 ottobre 1996, con cui era stata disposta la consulenza, aveva espressamente affermato che questa, «lungi dall'apparire esplorativa, si pale sava 'al contrario, quale mezzo di integrazione di elementi pro batori già acquisiti al processo'»; A2) in base a consolidati
orientamenti giurisprudenziali, non era necessario che l'A. des
se previa prova che tra sua madre ed il R. erano intercorsi rap
porti sessuali durante il periodo del presumibile concepimento;
A3) la circostanza — secondo cui I.A. ed A.R. avevano certa
mente ripreso i loro incontri dopo l'inizio del settembre 1960 —
era stata inferita dal tribunale: dalle risposte all'interrogatorio libero reso dal R.; dalle deposizioni dei testi indotti sia da que st'ultimo, sia dall'attrice dal fallimento della prova, dedotta dal
convenuto, circa l'interruzione dei rapporti I.A.-R. entro la pri ma metà di agosto 1960; ed infine, dalla «specifica deduzione, contenuta nel capo 7 della memoria 13 settembre 1972 deposi tata dal R. nel procedimento di ammissibilità dell'azione, pro mosso dalla madre dell'attrice/appellata, circa 'l'esistenza di
rapporti intimi fino all'ottobre-novembre I960'»; A4) «la rico
struzione del capo 7 dedotto nella memoria testé menzionata
(che, peraltro, dopo le parole riportate — 'vero che già nell'ot
tobre 1960 la relazione del sig. A.R. con l'attrice era ormai in
via di esaurimento ...' — proseguiva con la frase seguente: '...
anche se vi furono ancora in quel periodo sporadici e rapidi in
contri che cessarono completamente poco tempo dopo') — se
condo cui il passo in questione andava valutato, anzitutto, 'nel
contesto della linea difensiva allora sviluppata dal sig. R.' e, in
secondo luogo, 'nel contesto complessivo delle difese' del me
desimo 'nel precedente giudizio' — si appalesa, in questa sede,
ultronea, alla luce della decisione 9558/92 con la quale la Su
prema corte respinse il ricorso del R. (proposto ex art. 111
Cost.) avverso il decreto 14 ottobre 1988 di questa corte ammis
sivo dell'azione di riconoscimento [recte: di dichiarazione giu diziale di paternità naturale], così motivando: 'Il procedimento di cui all'art. 274 c.c. ha, infatti, carattere di mera delibazione,
Corte cost., ord. 11 giugno 2004, n. 169, Famiglia e dir., 2004, 451, ha però dichiarato la manifesta infondatezza della questione, per aver omesso il giudice di merito ogni motivazione sulla rilevanza della que stione nel giudizio a quo.
Per ulteriori profili procedurali del procedimento di ammissibilità, v. Cass. 28 marzo 2003, n. 4799, Foro it., Rep. 2003, voce cit., n. 48.
VII. - Quanto ai profili di diritto sostanziale, Cass. 14 febbraio 2003, n. 2196, ibid., n. 56, afferma che la sentenza di accertamento della fi liazione naturale, in quanto ha natura dichiarativa dello stato biologico di procreazione, fa sorgere a carico del genitore tutti i doveri di cui al l'art. 147 c.c. propri della procreazione legittima, compreso quello di mantenimento e quello di educare ed istruire i figli; l'obbligazione di mantenimento decorre dalla data della nascita, e non da quella della relativa domanda giudiziale: Cass. 14 maggio 2003, n. 7386, ibid., n. 57.
Cfr. però Cass. 22 maggio 2003, n. 8037, ibid., n. 58, secondo cui (in un'ipotesi di dichiarazione giudiziale di paternità, pronunciata dal giu dice su istanza del figlio divenuto maggiorenne), la decorrenza dell'as
segno di mantenimento posto a carico del genitore naturale va riferita alla data di proposizione del ricorso per l'ammissibilità dell'accerta mento di paternità. [G. Casaburi]
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
che come tale può giovarsi di elementi indiziari. In tale quadro ben si colloca l'accennata risultanza dello scritto difensivo, la
cui provenienza dal difensore, anziché dalla parte, non ne impe disce la valutabilità ai fini in esame, trattandosi non di acquisire una prova, ma di escludere la manifesta infondatezza dell'azio
ne. Né è di ostacolo il fatto che l'indicazione cronologica non
avesse altrettanto significato nella disciplina positiva dell'epo ca, in quanto il provvedimento impugnato la utilizza nella sua
consistenza di fatto storico, peraltro non limitandosi a registrarla
passivamente, ma sottolineando come essa ricorre per due volte
(e in modo non banalmente ripetitivo) nella memoria suddetta, il
che rende poco verosimile l'eventualità di una svista, e valoriz
zandola, inoltre, con il collegarla, da un lato, alle dichiarazioni
rese dalla madre della A. nel precedente giudizio e, dall'altro, alla non proposizione, da parte del R., della exceptio plurium concubentium,. Il che ovviamente assorbe l'ulteriore rilievo
dell'assenza di 'ogni valore probatorio' basato sul fatto che il
passo in questione, contenente l'asserita 'involontaria impreci sione cronologica', era 'pur sempre compreso in un atto prove niente dal difensore, non dalla parte personalmente: con la con
seguenza, sul piano processuale, di cui agli art. 84 e soprattutto 229 c.p.c.'»; A5) nessuno dei testi, indicati dal R. ed escussi
sull'unico capitolo ammesso — «vero che la stessa sig. I.A. di
chiarò a più persone lamentandosene, che la relazione ed ogni
rapporto anche occasionale con il sig. R. erano cessati prima del
ferragosto 1960» —, aveva risposto che, «nei mesi successivi, i
due non si erano più incontrati»; A6) i testi D. ed A. non pote vano considerarsi inattendibili alla luce della considerazione
complessiva delle loro deposizioni; Al) «l'eccezione del R. —
secondo cui i suoi rapporti con I.A. 'erano cessati prima del fer
ragosto 1960 ...' — aveva natura sostanziale (siccome consi
stente in un fatto impeditivo atto a contrastare l'avversa pretesa) e il tribunale, nel porre a carico del predetto le conseguenze del
mancato raggiungimento della prova, applicò correttamente il
principio di cui all'art. 2697 (2° comma) c.c., senza incorrere in
alcuno 'stravolgimento dell'onere della prova'»; A8) «la la
mentela relativa alla 'falcidia' subita dalle prove dedotte ai capi da 2) a 6) della memoria 23 gennaio 1997 è inammissibile, sia perché non censura il giudizio di irrilevanza espresso dalla già citata ordinanza collegiale 17 febbraio 1997 (che ammise solo il
primo capo), sia perché dette prove, respinte dal collegio, non
vennero chieste con le conclusioni definitive e, pertanto, sono
da considerare rinunciate, con conseguente preclusione della ri
proposizione in questo grado ...».
B) Prendendo, poi, in esame le critiche mosse dalla difesa del
R. al metodo seguito ed alle conclusioni raggiunte nella relazio
ne del c.t.u.: fil) i giudici a quibus hanno osservato che, «...
anzitutto, per quel che si è sinora detto, il tribunale ha dato am
pio spazio agli elementi di giudizio extrascientifici acquisti pri ma dell'ammissione della c.t.u., operando una valutazione degli stessi congiuntamente alle conclusioni peritali, alle quali, dun
que, non è stato affatto attribuito, di per sé, valore sufficiente a
fornire la certezza della dichiarata paternità naturale»; B2) dopo
ampi e testuali richiami alla relazione di consulenza, la corte ha
così concluso: «... di guisa che, tenuto [conto] dell'elevato nu
mero di marcatori genetici complessivamente esaminati, nonché
dell'omessa censura in ordine all'analisi citata sub 8) [metodo
Wong], la conclusione tratta dal tribunale, circa la convergenza di tutti gli indizi raccolti, ivi compresi i risultati delle indagini genetiche, per la paternità naturale del R., merita di essere con
divisa». C) «L'infondatezza del gravame comporta ... che il R., in
applicazione del principio della soccombenza statuito dall'art.
91 c.p.c., debba essere condannato alla rifusione a favore della
cantroparte delle spese del grado. Quanto alla liquidazione, la
corte è dell'avviso che la tariffa professionale di cui al d.m. 5
ottobre 1994 n. 585 — stabilita nell'interesse degli associati ed
inderogabile per gli iscritti — siccome limita la concorrenza tra
professionisti, contrasti con le qualifiche di attività di impresa e
di associazione di imprese rispettivamente attribuite, all'attività
professionale forense e all'ordine forense, dalla Corte di giusti zia Ue (v. sent. 18 giugno 1998, causa C-35/96, Foro it., Rep. 1998, voce Unione europea, nn. 779, 783, 792), e, pertanto, an
che in considerazione della sua natura regolamentare (v. art. 5 1.
20 marzo 1865 n. 2248, ali. E), debba essere disapplicata. Di
conseguenza, in applicazione dell'art. 2233 c.c., tenuto conto
Il Foro Italiano — 2005.
sia della natura della causa e dell'importanza dell'opera presta ta, sia della dignità professionale, la corte determina la remune
razione spettante al difensore di parte appellata nella congrua misura di lire quattro milioni, oltre gli esposti di cui al sottoin
dicato dispositivo e gli accessori di legge». 1.3. - Avverso tale sentenza A.R. ha proposto ricorso per cas
sazione, deducendo quattro motivi di censura, illustrati con
memoria.
Resiste, con controricorso, F.A., la quale ha anche proposto ricorso incidentale, fondato su un solo motivo ed illustrato con
memoria.
Motivi della decisione. — 2.1. - I ricorsi nn. 20310 (princi pale) e 23762 del 2001 (incidentale), in quanto proposti contro
la stessa sentenza, debbono essere riuniti ai sensi dell'art. 335
c.p.c. 2.2. - Con il primo motivo (con cui deduce: «violazione o fal
sa applicazione degli art. 2697 e 269 c.c. — art. 360, 1° comma, n. 3, c.p.c.; vizio di motivazione — art. 360, 1° comma, n. 5,
c.p.c.»), il ricorrente principale critica la sentenza impugnata
(cfr., supra, n. 1.2, lett. Al, A2, A4, Al), anche sotto il profilo della sua motivazione, e —
dopo aver criticato specificamente i
singoli argomenti svolti, in partibus quibus, dalla corte torinese — conclude testualmente: «Dunque la sig. F.A. non ha assolto — anzi neppure ha tentato di assolvere, nel corso dell'intero
giudizio — il proprio onere probatorio. Di conseguenza, la sua
domanda doveva per ciò essere semplicemente respinta, senza
dare adito ad alcuna c.t.u. (la quale si presenta, oggi, come irri
tuale ed inammissibile, quindi processualmente irrilevante). Mentre la sentenza della Corte d'appello di Torino in esame ap
pare, sotto il profilo considerato, viziata per aver consentito due
gravi inversioni metodologiche, a) Da un lato, ha aperto la via
alla prova ematologica senza una doverosa previa assunzione e
considerazione delle prove storiche (contro la sequenza probato ria prescritta in materia), b) Dall'altro lato, ha in sostanza co
stretto il sig. R. a subire di fatto — pur formalmente egli riba
dendo, come aveva dichiarato all'inizio, di non voler accettare
alcuna inversione dell'onere della prova — un ingiusto ribalta
mento dell'onere probatorio, con la deduzione (nella memoria
23 gennaio 1997) di capitoli di prova testimoniale su circostan
ze che gli apparivano idonee ad escludere a priori la paternità: circostanze che dall'inizio aveva dichiarato di voler provare
—
oltre ad indicare testi in prova contraria — quando controparte
avesse finalmente tentato di assolvere il proprio onere probato rio».
Con il secondo motivo (con cui deduce: «insufficienza e con
traddittorietà della motivazione su punti decisivi della contro
versia — art. 360, 1° comma, n. 5, c.p.c.»), il ricorrente, in via
subordinata, critica la sentenza impugnata (cfr., supra, n. 1.2, lett. A3, A5, A6), segnatamente sotto il profilo della sua motiva
zione, sostenendo — contrariamente a quanto ritenuto dai giudi ci d'appello
— che una corretta valutazione delle prove testi
moniali avrebbe agevolmente condotto a concludere che la rela
zione tra il R. ed I.A. doveva considerarsi cessata ben prima
(ferragosto 1960) del tempo del concepimento (8 o 9 ottobre
1960). Con il terzo motivo (con cui deduce: «violazione o falsa ap
plicazione dell'art. 345, 2° comma, c.p.c., anche in relazione al
l'art. 189 c.p.c. — art. 360, 1° comma, n. 3, c.p.c.; insufficienza
e contraddittorietà della motivazione su punti decisivi della
controversia — art. 360, 1° comma, n. 5, c.p.c.»), il ricorrente,
sempre in via subordinata, critica la sentenza impugnata (cfr.,
supra, n. 1.2, lett. A8), anche sotto il profilo della sua motiva
zione, sostenendo che la Corte d'appello di Torino avrebbe er
roneamente giudicato irrilevanti i capitoli 2 e 3 della prova te
stimoniale dedotta, in quanto essi miravano a supportare la
exceptio plurium concubentium e che, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici a quibus, la prova testimoniale dedotta non
poteva considerarsi rinunciata.
Con il quarto motivo (con cui deduce: «violazione o falsa ap
plicazione dell'art. 269 c.c., anche in relazione all'art. 2697 c.c. — art. 360, 1° comma, n. 3, c.p.c.; omessa o insufficiente moti
vazione su un punto decisivo della controversia — art. 360, 1°
comma, n. 5, c.p.c.»), il ricorrente, in via ulteriormente subordi
nata, critica la sentenza impugnata (cfr., supra, n. 1.2, lett. B), anche sotto il profilo della sua motivazione, sottolineando, per un verso, che la consulenza ematologica fornisce soltanto eie
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439 PARTE PRIMA 440
menti probabilistici sull'esistenza del rapporto di paternità bio
logica, e, per l'altro, che, nella specie, non si sarebbe tenuto suf
ficientemente conto dell'ulteriore incertezza dei risultati delle
indagini tecniche, derivante dalla circostanza che le stesse non
hanno avuto ad oggetto anche la madre dell'attrice, premorta. 2.3. - Con l'unico motivo, la ricorrente incidentale critica la
sentenza impugnata (cfr., supra, n. 1.2, lett. C), sostenendo che
la corte torinese avrebbe illegittimamente disapplicato il d.m. 5
ottobre 1994 n. 585, che ha approvato la tariffa professionale fo
rense.
2.4. - Il ricorso principale non merita accoglimento. Con il primo motivo di esso, il ricorrente principale sostiene,
tra l'altro ed in linea di principio, che, nel giudizio di dichiara zione giudiziale di paternità naturale, l'assunzione della prova della paternità biologica
— il cui onere incombe sull'attore —
sarebbe assoggettata ad una rigida sequenza processuale, che
vincolerebbe sia l'attore medesimo, sia il giudice: prima, do
vrebbe essere dedotta ed assunta la prova storica (ad es., docu
mentale e testimoniale) e, soltanto dopo — ove la prova storica
abbia evidenziato risultati favorevoli per l'attore —, il giudice avrebbe il potere di disporre c.t.u. di natura ematologico-immu
nogenetica. La tesi è priva di fondamento.
È noto che, in base all'art. 269, 2° comma, c.c. «la prova della paternità e della maternità [naturale] può essere data con
ogni mezzo». È, altresì, noto che il 4° comma del medesimo ar
ticolo — conformemente a quanto stabilito dall'art. 30, 4°
comma, Cost. («La legge detta le norme e i limiti per la ricerca
della paternità») —
prevede che «la sola dichiarazione della
madre e la sola esistenza di rapporti tra la madre e il preteso pa dre all'epoca del concepimento non costituiscono prova della
paternità naturale».
Quest'ultima disposizione pone una norma processuale spe ciale, che, nello spirito della su richiamata norma costituzionale
(v., in particolare, art. 30, 3° comma: «La legge assicura ai figli nati fuori dal matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compa tibile con i diritti dei membri della famiglia legittima»), per un verso, non contraddice il principio, espresso nel 1° comma, della libera ricerca della paternità e della maternità naturale
«con ogni mezzo di prova», e, per l'altro, stabilisce soltanto un
limite al principio, espresso dall'art. 116, 1° comma, c.p.c. («Il
giudice deve valutare le prove secondo il suo prudente apprez zamento, salvo che la legge disponga altrimenti»), del libero
convincimento del giudice, nel senso che quest'ultimo, pur
sempre libero nella scelta e nell'impegno degli strumenti per l'accertamento del rapporto di filiazione, è tuttavia vincolato, nella valutazione delle risultanze processuali, a quanto imposto dalla disposizione stessa (cfr. Cass. n. 8679 del 1993, id., Rep. 1993, voce Filiazione, nn. 65, 68). In tale prospettiva, del resto,
questa corte, con costante orientamento (cfr., e pluribus, sent. n.
4734 del 1983, id., Rep. 1983, voce cit., n. 64; n. 2640 del 2003,
id., Rep. 2003, voce cit., n. 53), integralmente condiviso dal
collegio, ha affermato che l'art. 269, 4° comma, c.c. non esclu
de affatto che (anche) la dichiarazione della madre e (anche) l'esistenza di rapporti tra la madre ed il preteso padre all'epoca del concepimento possano, nel concorso di altri elementi, anche
presuntivi, essere utilizzate dal giudice a sostegno del proprio convincimento.
Il principio della libertà di prova in materia, espresso dall'art.
269, 2° comma, c.c. — che non è derogato, si ribadisce, dal li
mite imposto al giudice dal successivo 4° comma — non tollera,
dunque, surrettizie limitazioni: né mediante la fissazione di una
sorta di «gerarchia assiologica» tra «i mezzi di prova», idonei a
dimostrare la paternità o la maternità naturale, né, conseguen temente, mediante l'imposizione al giudice del merito di un
«ordine cronologico» nella loro ammissione ed assunzione, a
seconda del «tipo» di prova dedotta. Tutti i mezzi di prova in
materia hanno, quindi, per espressa disposizione di legge, pari valore; del pari, per espressa disposizione di legge (l'art. 269, 4°
comma, c.c., appunto), «la dichiarazione della madre e l'esi
stenza di rapporti tra la madre e il preteso padre all'epoca del
concepimento» non sono «sufficienti», di per sé sole, a costitui
re «prova della paternità naturale» e, pertanto, non possono, da
sole appunto, essere poste a base del convincimento del giudice di merito, affermativo della paternità naturale.
Il Foro Italiano — 2005.
Se, poi, si tiene conto, da un lato, che il giudizio di dichiara
zione di paternità o maternità naturale presuppone necessaria
mente la definizione di quello di ammissibilità dell'azione, im
posto dall'art. 274 c.c.; dall'altro, che «l'azione per la dichiara
zione giudiziale di paternità o di maternità naturale è ammessa
solo quando concorrono specifiche circostanze tali da farla ap
parire giustificata» (art. 274, 1° comma); ed ancora, che la di
mostrazione della paternità naturale può essere data (con ogni mezzo e quindi) anche con riferimento alle risultanze già acqui site nel procedimento di ammissibilità dell'azione (cfr., ad es., tra le ultime, Cass. n. 14910 del 2000, id., Rep. 2000, voce cit., n. 98), è certamente conforme a legge che — secondo le circo
stanze della concreta fattispecie, a seconda dei mezzi di prova concretamente offerti (si pensi, ad es., ad una domanda fondata
prevalentemente od esclusivamente su prove documentali) ed a
seconda dello «stato» dell'istruzione probatoria della causa — il
giudice del merito possa disporre, senza ulteriori «passaggi», la
c.t.u. di natura ematologico-immunogenetica. Va sottolineato, peraltro, che, nella specie, la corte torinese,
per ben due volte (cfr., supra, n. 1.2, lett. Al e B\), ha dato atto
che la consulenza tecnica era stata disposta successivamente al
l'acquisizione di altri e diversi elementi probatori: laddove, ri
spettivamente, ha sottolineato che l'ordinanza collegiale del
Tribunale di Torino del 21 ottobre 1996, con cui era stata dispo sta la consulenza, aveva espressamente affermato che questa,
«lungi dall'apparire esplorativa, si palesava 'al contrario, quale mezzo di integrazione di elementi probatori già acquisiti al pro
cesso'»; e che «il tribunale ha dato ampio spazio agli elementi
di giudizio extrascientifici acquisiti prima dell'ammissione della
c.t.u., operando una valutazione degli stessi congiuntamente alle
conclusioni peritali, alle quali, dunque, non è stato affatto attri
buito, di per sé, valore sufficiente a fornire la certezza della di
chiarata paternità naturale».
Nell'ambito del primo motivo viene anche riproposta la que stione dell'inconsistenza probatoria da attribuire al capitolo 7
della prova per testimoni, dedotta dal R. — convenuto dalla
madre dell'A. nel precedente giudizio di ammissibilità dell'a
zione, promosso ex art. 274 c.c. — nella memoria del 13 set
tembre 1972 (cfr., supra, n. 1.2, lett. A3 e A4). Orbene — an
che a voler prescindere da profili di inammissibilità di una cen
sura siffatta — la decisione della corte torinese sul punto è
ineccepibile: i giudici d'appello, infatti, hanno valutato la de
duzione istruttoria, nella sua complessiva formulazione («vero che già nell'ottobre 1960 la relazione del sig. A.R. con l'attrice
era ormai in via di esaurimento anche se vi furono ancora in
quel periodo sporadici e rapidi incontri che cessarono comple tamente poco tempo dopo»), siccome vero e proprio «indizio»
del fatto che A.R. ed I.A. avevano continuato ad intrattenere
rapporti intimi anche dopo il settembre 1960 e, comunque, nel
periodo del presumibile concepimento di F.A., non già isolata
mente considerata, bensì unitamente ad altri specifici indizi e
prove, puntualmente individuati (cfr., supra, n. 1.2, lett. A3), e
ciò, anche in conformità al costante orientamento di questa corte (cfr., e pluribus, sent. n. 3007 del 1963, id., Rep. 1963, voce Confessione in materia civile, n. 20; n. 4444 del 1981, id.,
Rep. 1981, voce Prova civile in genere, n. 56; n. 12830 del
1992, id., Rep. 1992, voce cit., n. 36), integralmente condiviso
dal collegio, secondo cui le dichiarazioni del difensore sfavo
revoli al proprio assistito, se inserite in atti non qualificabili «di
parte» (quali le memorie illustrative, le comparse conclusiona
li, ecc.) possono essere utilizzate come elementi indiziari, va
lutabili ai sensi ed alle condizioni di cui all'art. 2729 c.c.; a maggior ragione deve affermarsi la valenza indiziaria di dichia
razioni siffatte, nel caso in cui, quale quello di specie, la circo
stanza, valutata come indizio, sia stata dedotta in una memoria
istruttoria e nella forma di specifico «articolo», destinato, come
tale, a formare oggetto di prova per testimoni (cfr. art. 244, 1°
comma, c.p.c.). Il secondo motivo deve essere parimenti respinto. Esso, a ben vedere — a fronte di una motivazione ampia,
analitica e priva di errori logico-giuridici, quale evidentemente
risulta dalla riproduzione, anche testuale, dianzi fattane -— si ri
solve in un inammissibile tentativo di provocare una «rilettura»
ed una «rivalutazione» delle prove, notoriamente precluse in se
de di giudizio di legittimità. Anche il terzo motivo è privo di fondamento.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
In proposito, è sufficiente ribadire il costante orientamento di
questa corte (cfr., e pluribus, sent. n. 1045 del 1980, id., Rep. 1980, voce Appello civile, n. 81; n. 6196 del 1986, id., Rep. 1986, voce Prova civile in genere, n. 21; n. 5682 del 1988, id.,
Rep. 1988, voce cit., n. 17; n. 3773 del 1995, id., Rep. 1995, vo ce Appello civile, n. 64), secondo cui le richieste istruttorie di
sattese nel giudizio di primo grado e non reiterate, in mancanza
di reclamo immediato ex art. 178 c.p.c., in sede di precisazione delle conclusioni definitive, al momento della rimessione della
causa al collegio, non possono essere riproposte in grado d'ap
pello, essendo precluse dall'inerzia del proponente nel grado
pregresso. Nella specie, come correttamente osservato dai giu dici d'appello, la preclusione è, se si vuole, ancora più strin
gente, ove si consideri che l'omessa riproposizione, da parte del
R., delle deduzioni istruttorie in sede di precisazione delle con
clusioni definitive di primo grado (udienza del 28 aprile 1999: «la domanda attrice va senz'altro e semplicemente respinta») fece seguito ad una specifica ordinanza collegiale (del 17 feb
braio - 7 aprile 1997), che aveva ritenuto irrilevanti i capitoli di
prova per testi diversi dal primo (riproposti, poi, in grado d'ap
pello). Per respingere, infine, il quarto motivo, vale ribadire, per un
verso, quanto affermato da questa corte nella sent. n. 8451 del
1997, id., Rep. 1998, voce Filiazione, n. 83 (v. anche, e pluri
bus, sent. n. 6550 del 1995, id., Rep. 1995, voce cit., n. 75, e n.
10377 del 1997, id., 1999, I, 2045) — ove si è deciso che le in
dagini ematologiche ed immunogenetiche possono fornire ele
menti di valutazione non solo per escludere, ma anche per af
fermare il rapporto biologico di paternità; e che tale efficacia
delle indagini sul DNA non può essere esclusa per la ragione che esse sono suscettibili di utilizzazione solo per compiere va
lutazioni meramente probabilistiche, in quanto tutte le asserzio
ni delle scienze fisiche e naturalistiche hanno natura probabili stica (anche quelle solitamente espresse in termini di «leggi») e
tutte le misurazioni (anche quelle condotte con gli strumenti più
sofisticati) sono ineluttabilmente soggette ad errore, sia per ra
gioni intrinseche (c.d. errore statistico), che per ragioni legate al
soggetto che esegue o legge le misurazioni (c.d. errore sistema
tico) — e rilevare, per l'altro, che i giudici d'appello, per giun gere alla conclusione di piena condivisione del parere del c.t.u.,
hanno analiticamente ripercorso indagini e valutazioni effettuate
da quest'ultimo, dando anche specificamente atto che le indagi ni sui marcatori genetici erano state condotte con un metodo che
tiene conto della mancanza della madre (nella specie, premorta). Ciò posto, le critiche formulate nel motivo in esame si fondano,
da un lato, su un antico precedente di questa corte (sent. n. 3517
del 1982, id., Rep. 1983, voce cit., n. 88) — risalente, cioè, ad un tempo in cui i metodi di ricerca seguiti per indagini siffatte
non erano certamente così sofisticati ed affidabili come nel
tempo presente, attraverso il continuo sviluppo della ricerca
scientifica e tecnologica anche in questo specifico settore — e si
risolvono, dall'altro, nell'inammissibile giustapposizione di una
valutazione della prova ematologica ed immunogenetica diversa
da quella operata dalla corte torinese. (Omissis)
Il Foro Italiano — 2005.
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 21
luglio 2004, n. 13603; Pres. Carbone, Est. Luccioli, P.M.
Maccarone (conci, diff.); Q.S. (Avv. Modonesi) c. R.P. e al
tro. Conferma Trib. Pesaro 12 febbraio 1999.
Separazione di coniugi — Immobile in comodato adibito a
casa familiare — Assegnazione al coniuge affidatario dei
figli — Recesso del comodante — Ammissibilità — Limiti
(Cod. civ., art. 155, 1803, 1809, 1810).
Nell'ipotesi di concessione in comodato da parte di un terzo di
un bene immobile di sua proprietà perché sia destinato a casa
familiare, il successivo provvedimento di assegnazione in fa vore del coniuge affidatario di figli minorenni o convivente
con figli maggiorenni non autosufficienti senza loro colpa, emesso nel giudizio di separazione o di divorzio, non modifi ca la natura ed il contenuto del titolo di godimento sull'im
mobile, ma determina una concentrazione, nella persona del
l'assegnatario, di detto titolo di godimento, che resta rego lato dalla disciplina del comodato, con la conseguenza che il
comodante è tenuto a consentire la continuazione del godi mento per l'uso previsto nel contratto, salva l'ipotesi di so
pravvenienza di un urgente ed impreveduto bisogno. (1)
(1) Le sezioni unite (la sentenza è riportata anche in Corriere giur., 2004, 1440, con nota di Quadri, Comodato e «casa familiare»: l'inter
vento delle sezioni unite) intervengono per fare il punto sui rapporti tra
il preesistente titolo di godimento della casa familiare ed il successivo
provvedimento di assegnazione della stessa adottato dal giudice in sede
di separazione o di divorzio. Come non mancano di rilevare i giudici, il
caso è affatto diverso da quello deciso da Cass., sez. un., 26 luglio 2002, n. 11096, Foro it., 2003, I, 183, con nota di richiami, e Corriere
giur., 2003, 361, con nota di Lena, in motivazione, in quanto (mutuan do le parole dell'estensore della pronuncia in epigrafe) nella specie esaminata dalla sentenza in rassegna si verifica «un'inversione tempo rale dei dati di riferimento», giacché il titolo di godimento dell'abita
zione è precostituito rispetto al decisum giurisdizionale che assegna la
residenza familiare, non ponendosi dunque i problemi di opponibilità del provvedimento giudiziario a terzi acquirenti di diritti sulla casa fa
miliare. precedentemente attribuita ad uno dei coniugi in sede di sepa razione, come accade invece nella fattispecie vagliata dalle sezioni
unite nella decisione 11096/02. La decisione in epigrafe ha preso le mosse dal contrasto esistente sul
punto tra Cass. 10 dicembre 1996, n. 10977, Foro it., 1997, I, 3331, nonché Giur. it., 1997, I, 1, 1510, con nota di Quaranta, Osservazioni in tema di opponibilità ai terzi del provvedimento giudiziale di asse
gnazione della casa familiare, citata in motivazione, secondo la quale il
comodante non può esercitare il recesso ad nutum, in quanto il provve dimento di assegnazione ha ormai sostituito il precedente titolo di go dimento derivante dal comodato nella disciplina del rapporto, ed altro
più consistente orientamento dei giudici di legittimità (per il quale, v.
Cass. 4 marzo 1998, n. 2407, Foro it.. Rep. 1998, voce Comodato, n. 4; 20 ottobre 1997, n. 10258, id., 1998, 1, 849, nonché Nuova giur. civ.,
1998,1, 591, con nota di Di Nardo, Casa familiare, comodato ed oppo nibilità ai terzi del provvedimento di assegnazione: 17 luglio 1996, n.
6458, Foro it., 1997, I, 205; 26 gennaio 1995, n. 929, id., Rep. 1995, voce cit., n. 6; 27 maggio 1994, n. 5236, id., Rep. 1994, voce Separa zione di coniugi, n. 59; 2 febbraio 1993, n. 1258, id., Rep. 1993, voce
cit., n. 54; 3 giugno 1982, n. 3391, id.. Rep. 1982, voce cit., n. 84, tutte citate in motivazione. Nella giurisprudenza di merito, in senso confor
me, v. Trib. Cagliari 14 dicembre 1999, id., Rep. 2001, voce cit., n. 66, e Riv. giur. sarda, 2001, 55, con nota di Podda, Assegnazione della ca
sa familiare e diritti dei terzi', Trib. Napoli 17 dicembre 1997, Foro it.,
Rep. 1999, voce cit., n. 84, e, per esteso, Foro nap., 1998, 268, con
nota di Di Nardo, Tutela dell'assegnatario e diritti del terzo con parti colare riferimento all'ipotesi di immobile goduto dai coniugi in virtù di
comodato; Pret. Pescara 5 giugno 1997, Foro it., Rep. 1999, voce Co
modato, n. 9, e, per esteso, P.Q.M., 1998, fase. 2, 42, con nota di Di
Tillio, Comodato precario dell' immobile adibito a casa familiare e
separazione dei coniugi), secondo il quale un problema di opponibilità
dell'assegnazione della casa familiare può porsi soltanto ove il titolo
d'acquisto dell'immobile con tale destinazione funzionale sia posterio re al provvedimento giurisdizionale, mentre nell'ipotesi opposta (in cui
l'acquisizione di un diritto sulla casa è anteriore al provvedimento di
assegnazione) la decisione del giudice non può incidere su una situa
zione preesistente nella quale sonò coinvolti diritti di soggetti estranei
al giudizio di separazione. Cass. 13603/04 aderisce a quest'ultima ricostruzione, sottolineando
come il provvedimento giudiziale di assegnazione non va a modificare
la situazione giuridica preesistente, con la conseguenza che il diritto
nascente dall'assegnazione resta conformato sulla base del titolo di go dimento originario, al quale occorrerà far capo per stabilire la disciplina
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