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sezione I civile; sentenza 22 novembre 1984, n. 6019; Pres. Bologna, Est. Di Salvo, P. M. Cecere...

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sezione I civile; sentenza 22 novembre 1984, n. 6019; Pres. Bologna, Est. Di Salvo, P. M. Cecere (concl. conf.); Calvi (Avv. Tatone, Milia) c. Banco di Napoli (Avv. Foglia, Giordano). Cassa App. L'Aquila 21 dicembre 1981 Source: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 3 (MARZO 1985), pp. 747/748-753/754 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23177440 . Accessed: 28/06/2014 07:30 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.220.202.121 on Sat, 28 Jun 2014 07:30:43 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione I civile; sentenza 22 novembre 1984, n. 6019; Pres. Bologna, Est. Di Salvo, P. M. Cecere(concl. conf.); Calvi (Avv. Tatone, Milia) c. Banco di Napoli (Avv. Foglia, Giordano). Cassa App.L'Aquila 21 dicembre 1981Source: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 3 (MARZO 1985), pp. 747/748-753/754Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23177440 .

Accessed: 28/06/2014 07:30

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PARTE PRIMA

propria pretesa sostanziale (e non unicamente agli atti del giudi zio, a norma dell'art. 306 c.p.c., il che avrebbe una limitata

efficacia endoprocessuale), ma altresì quando il soggetto contro il

quale la pretesa stessa sia stata fatta valere ne abbia riconosciuto

il fondamento ponendo in essere atti giuridici di natura tale da

garantirne completamente e con pieno effetto la soddisfazione. E

ciò va in particolare affermato ove tale soggetto sia una p.a. che

abbia adottato al riguardo un formale provvedimento. A tale

criterio s'ispira del resto, per quanto concerne i procedimenti avanti ai tribunali amministrativi regionali, l'art. 23, 6° comma, 1.

6 dicembre 1971 n. 1034 che espressamente prevede che sia dato

atto della cessazione della materia del contendere, ove entro il

termine di fissazione dell'udienza l'amministrazione annulli o

riformi l'atto impugnato in modo conforme all'istanza del ricor

rente.

I suesposti principi non possono pertanto non trovare completa

applicazione allorquando l'ente pubblico previdenziale abbia adot

tato un provvedimento del tutto conforme alla richiesta dell'inte

ressato, provvedimento che costituisce, da un lato, l'univoca mani

festazione della volontà della p.a. al riguardo e, dall'altro, l'idoneo

e sufficiente strumento giuridico perché l'interessato stesso possa

pretendere le relative prestazioni. Né può essere seguita l'opinione sostenuta dall'I.n.p.s. nel controricorso (la quale pur trovava conforto nella sentenza di questa Suprema corte 19 novembre

1980, n. 6162, id., Rep. 1981, voce Previdenza sociale, n. 714), secondo cui l'eventuale riconoscimento del diritto a pensione da

parte dell'istituto previdenziale in sede amministrativa non pre clude il potere del giudice di accertare l'esistenza o meno del

diritto medesimo nel caso in cui il detto istituto lo contesti e ciò sia perché il procedimento amministrativo per la concessione della

pensione è autonomo rispetto a quello giudiziario, sia perché l'istituto ha sempre il potere di annullare i propri atti per vizi di

legittimità. Siffatto indirizzo (del resto, neppure all'epoca di

carattere uniforme: v., in senso contrario, la sentenza 20 maggio 1980, n. 3321, id., Rep. 1980, voce cit., n. 811, e ancor prima

quella 14 luglio 1978, n. 3553, id., Rep. 1978, voce Cassazione

civile, n. 348) è tuttavia superato da più recenti pronunce di

questa stessa Suprema corte le quali hanno invece all'opposto affermato che il provvedimento dell'I.n.p.s. che, in pendenza del

giudizio instaurato per l'accertamento del diritto alla pensione d'invalidità, abbia riconosciuto fondata la pretesa dell'assicurato è

rilevante nel procedimento giudiziario — malgrado l'autonomia di

questo rispetto al procedimento amministrativo — in quanto idoneo a determinare la cessazione della materia del contendere

nei limiti in cui detto riconoscimento è avvenuto (cfr. le sentenze 5 gennaio 1983, n. 59, id., Rep. 1983, voce Procedimento civile, n.

263, e 25 gennaio 1984, n. 607, id., Mass., 128). Tale giurispru denza dev'essere, per quanto si è già esposto, mantenuta, osser

vandosi ulteriormente al riguardo che — posta la non decisività della considerazione circa l'autonomia del procedimento ammini

strativo e di quello giudiziario avendo invero ciascuno di essi una

propria sfera di operatività e una propria ragion d'essere essendo

inoltre il primo preliminare al secondo e questo essendo di

carattere solo eventuale — ciò che va piuttosto sottolineato è la non rilevanza, ai fini di che trattasi, della sussistenza nell'ente

previdenziale del potere di annullamento (ex tunc) dei propri atti.

Invero solo ove tale potere venisse concretamente esercitato

sorgerebbe nell'assicurato, in conseguenza di ciò, un autonomo

interesse a pretendere il mantenimento del provvedimento che lo

riguarda, la cui eliminazione non potrebbe essere invero fatta ad libitum dell'amministrazione, ma solo per specifici e comprovati motivi. In secondo luogo si osserva ancora come in subiecta materia anche le decisioni giudiziarie di dichiarazione del diritto

alla pensione d'invalidità abbiano un'efficacia c.d. rebus sic stan

tibus, nel senso cioè che il potere di soppressione ex nunc della

pensione riconosciuto in particolare all'I.n.p.s. dalla disposizione dell'art. 10, 2° comma, r.d.l. 14 aprile 1939 n. 636 (a parte la sua

esclusione nei confronti dei ciechi che esercitino un'attività lavo

rativa: art. 68 1. 30 aprile 1969 n. 153) sussiste ogni qual volta la

capacità di guadagno del pensionato (secondo la disciplina giuri dica che ancora concerne la fattispecie), cessi di essere inferiore

al limite di legge, per cui — venuta meno la stessa causa giuridica

dell'erogazione — neppure l'avvenuto riconoscimento del diritto

alla pensione in forza di sentenza passata in giudicato potrebbe essere di ostacolo all'esercizio del suddetto potere di revoca (cfr., ad es., Cass. 30 maggio 1983, n. 3726, id., Rep. 1983, voce

Previdenza sociale, n. 527).

Pertanto solo ove sopravvengano situazioni del genere si giu stificherebbe di nuovo lo svolgimento di un procedimento giudi ziario nel corso del quale dovrebbe essere dal giudice autonoma

II Foro Italiano — 1985.

mente valutata e con particolare rigore la sussistenza oppure no

dei presupposti per la soppressione della pensione (cfr. ancora

sulla revoca la cit. sentenza n. 3726 del 1983). Ma allorquando sia mantenuta la situazione di già avvenuto riconoscimento del

diritto da parte dell'istituto previdenziale, non può quest'ultimo far valere in un procedimento giudiziario (peraltro in contrappo sizione alle richieste dell'assicurato) una sorta di interesse a un

accertamento negativo che, al postutto, dovrebbe consistere nella

verifica della « legittimità » di quel provvedimento dall'istituto

stesso liberamente adottato e che è già di per sé munito, in base

ai principi generali, di una propria presunzione, per l'appunto di « legittimità ».

Alla stregua delle suesposte considerazioni il ricorso dev'essere

pertanto accolto, con conseguente cassazione della sentenza im

pugnata e rinvio della causa ad altro giudice d'appello, che si

designa nel Tribunale di Sciacca (sezione lavoro), il quale dovrà

procedere a nuovo esame della situazione di causa uniformandosi

ai principi enunciati nella presente decisione. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 22 novem

bre 1984, n. 6019; Pres. Bologna, Est. Di Salvo, P. M. Cecere

'(conci, conf.); Calvi (Avv. Tatone, Milia) c. Banco di Napoli

(Aw. Foglia, Giordano). Cassa App. L'Aquila 21 dicembre

1981.

Competenza civile — Opposizione a decreto ingiuntivo — Conti

nenza fra procedimento monitorio e procedimento ordinario di

cognizione — Conseguenze (Cod. proc. civ., art. 39, 645).

Competenza civile — Declaratoria di inammissibilità dell'appello contro pronuncia sulla competenza — Ricorso ordinario per cassazione — Ammissibilità (Cod. proc. civ., art. 43, 360).

Sentenza civile — Ordinanza a contenuto decisorio — Inesistenza — Rimedi — Fattispecie (Cod. proc. civ., art. 132, 161).

Qualora la causa relativamente alla quale sia stato emesso il

decreto ingiuntivo sia contenuta in altra causa pendente davan

ti ad altro giudice in sede di cognizione ordinaria e quest'ulti mo giudice sia stato preventivamente adito, il giudice dell'op

posizione, attesa la natura funzionale e inderogabile della sua

competenza, non può spogliarsi in favore del predetto giudice del giudizio d'opposizione, ma deve limitarsi a dichiarare

l'incompetenza del suo ufficio ad emanare il decreto e la

conseguente nullità dello stesso. (1) La sentenza di secondo grado che abbia dichiarato inammissibile

l'appello, nel presupposto che la pronuncia di primo grado abbia statuito soltanto sulla competenza, è impugnabile con

ricorso ordinario per cassazione, in quanto sentenza su que stione pregiudiziale di rito che presuppone la risoluzione di

questioni diverse dalla sola competenza, quali quelle relative

alla litispendenza, alla continenza e alla pregiudizialità. (2)

(1) In senso conforme: Cass. 11 gennaio 1978, n. 94, Foro it., 1979, I, 792, con nota di richiami di A. Barbàra, ed anche Cass. 5 agosto 1982, n. 4400, id., Rep. 1983, voce Competenza civile, n. 165; 23 marzo 1982, n. 1837, id., Rep. 1982, voce cit., n. 148; 10 marzo 1981, n. 1338, id., Rep. 1981, voce cit., n. 201; 8 gennaio 1980, n. 121, id., Rep. 1980, voce cit., n. 180; 4 dicembre 1980, n.

6324, ibid., n. 181; 25 agosto 1978, n. 3986, id., Rep. 1978, voce cit., n. 165.

Cfr., inoltre, Cass. 3 agosto 1976, n. 3008, id., 1976, I, 2832, con nota di richiami di C. M. Barone (che esclude la sussistenza di continenza nel caso di pluralità di giudizi di opposizione ad una serie di decreti ingiuntivi, emessi da giudici diversi a carico del medesimo debitore per il pagamento di crediti diversi e causalmente

autonomi) e, per quanto concerne la continenza in genere, le recenti Cass. 22 ottobre 1984, n. 5341 e App. Catania 10 dicembre 1983, in questo -fascicolo, I, 796, con nota di richiami.

(2-3) La Cassazione ricorre ai principi enunciati nelle massime in

epigrafe per evitare di dover dichiarare la necessità del regolamento di

competenza ex art. 42 c.p.c. Nel caso di specie il tribunale, accertata la continenza fra procedimento di cognizione ordinaria e procedimento monitorio, in sede di opposizione a decreto ingiuntivo, si era limitato a

disporre, con ordinanza, la sospensione del giudizio in attesa dell'esito del procedimento di cognizione ordinaria. Impugnata tale pronuncia in

appello, la corte aveva ritenuto inammissibile il gravame, affermando l'esclusiva esperibilità del regolamento di competenza, di fronte alla Cassazione. Ma quest'ultima, adita con ricorso ordinario ex art. 360

c.p.c. (considerato ammissibile in base al principio riportato nella seconda massima), ritiene inesistente il provvedimento del tribunale (in

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Le ordinanze di contenuto decisorio sono affette da inesistenza se

sottoscrìtte dal solo presidente del collegio, e non anche dal

relatore, in quanto atti aventi natura sostanziale di sentenza,

inesistenza che è denunciatile, oltre che per mezzo delle

impugnazioni ordinarie, anche dopo il decorso dei relativi

termini con autonoma azione di nullità (nella specie, è stato

dichiarato inesistente, e come tale impugnabile non solo con

regolamento di competenza ma anche a mezzo di appello, il

provvedimento in forma di ordinanza, sottoscritta dal solo

presidente del collegio, con il quale il tribunale, accertata la

continenza di cause, aveva omesso di dichiarare la nullità del

decreto ingiuntivo, del quale era chiamato a conoscere in sede

di opposizione, limitandosi a disporre la sospensione del giudi

zio). (3)

Svolgimento del processo. — Con decreto ingiuntivo emesso dal

presidente del Tribunale di Chieti su richiesta del Banco di

Napoli, filiale di Chieti, e notificato in data 27 ottobre 1979, si

ingiungeva al dottor Mario Calvi, quale fideiussore senza limiti

della ditta Calvi Ignazio & F. di Nicola Calvi, il pagamento della

somma di lire 76.982.398, oltre gli interessi di mora e le spese della procedura monitoria.

Con atto di citazione, notificato il 7 novembre 1979, il Calvi

proponeva innanzi al Tribunale di Chieti opposizione, assumen

applicazione del principio enunciato nella terza massima) e ne afferma

pertanto l'impugnabilità con qualunque mezzo, compreso l'appello, che è ritenuto pienamente ammissibile.

Per quanto concerne il problema, posto dalla seconda massima, della scelta del mezzo d'impugnazione avverso le pronunce d'appello che dichiarano l'inammissibilità dello stesso, in quanto proposto contro

pronunce di primo grado vertenti solo sulla competenza o che, viceversa, dichiarata l'ammissibilità dello stesso, adottano i conse

guenti provvedimenti sulla competenza, cfr. Cass. 23 dicembre 1981, n. 6764 (la quale, considerando che in entrambe le ipotesi sopra delineate il giudice d'appello statuisce su una questione pregiudiziale di rito, attinente all'individuazione del mezzo d'impugnazione consentito, am mette contro tale statuizione, considerata di merito ai sensi dell'art. 42

c.p.c., il ricorso ordinario per cassazione), Foro it., 1982, I, 1622, con nota di M. Di Virgilio.

Allo stesso proposito cfr. Cass. 1° aprile 1968, n. 1019, id., Rep. 1968, voce Competenza civile, n. 386; 4 dicembre 1971, n. 3504, id., Rep. 1971, voce cit., n. 308; 9 novembre 1978, n. 5117, id., Rep. 1978, voce cit., n. 186; 4 febbraio 1980, n. 776, id., Rep. 1980, voce cit., n.

187, citate in motivazione, alle quali adde Cass. 16 aprile 1982, n.

2327, id., Rep. 1982, voce cit., n. 176, la quale, pur adottando un concetto assai esteso di « questione di merito » suscettibile di far scattare il meccanismo della facoltatività del regolamento di competen za, ex art. 43 c.p.c., richiede che l'esame delle stesse non sia stato

compiuto in via meramente incidentale al fine di decidere sulla

competenza (nello stesso senso: Cass. 9 aprile 1981, n. 2047, id., Rep. 1981, voce cit., n. 230).

Con riferimento al più generale problema della scelta del mezzo

d'impugnazione esperibile contro pronunce sulla sola competenza, e, in

particolare, contro quelle concernenti le ipotesi disciplinate dall'art. 39

c.p.c., la giurisprudenza più recente ha affermato che la sentenza che

statuisca esclusivamente sulla litispendenza o continenza di cause è

impugnabile, in conformità alla stessa dizione letterale dell'art. 42

c.p.c., con il solo regolamento di competenza. Con la conseguenza che, nel caso che le pronunce in oggetto siano state rese in primo grado, è inammissibile l'appello proposto contro di esse. In questo senso v., da

ultimo, Cass. 14 dicembre 1983, n. 7368, id., Rep. 1983, voce cit., n.

177; 15 aprile 1982, n. 2298, id., Rep. 1982, voce cit., n. 169; 7

ottobre 1982, n. 5159, ibid., n. 174. Enunciano lo stesso principio con riferimento a sentenze che pronun

ciano sulla competenza in genere; Cass. 15 luglio 1983, n. 4870, id.,

Rep. 1983, voce cit., n. 178; 25 gennaio 1980, n. 622, id., Rep. 1980, voce cit., n. 196; 9 aprile 1982, n. 2201, id., Rep. 1982, voce cit., n.

171 (la quale afferma, inoltre, che non modifica il carattere di

pronuncia sulla sola competenza il fatto che a tale statuizione si

accompagni quella meramente accessoria sulle spese processuali). Peraltro il ricorso per Cassazione, inammissibile in quanto proposto

contro sentenza sulla competenza, è ritenuto convertibile nella richiesta

istanza di regolamento di competenza quando, avendone i requisiti, sia

stato notificato nel termine perentorio fissato dall'art. 47, 2° comma,

c.p.c. (Cass. 29 aprile 1982, n. 2695, ibid., n. 205). Sulla terza massima cfr. Cass. 8 novembre 1972, n. 3342, id., Rep.

1972, voce Sentenza civile, n. 209; 15 marzo 1976, n. 952, id., Rep.

1976, voce Esibizione delle prove, n. 3; 3 settembre 1980, n. 5081, id.,

Rep. 1980, voce Cassazione civile, n. 28; e, in particolare, Cass. 14

gennaio 1980, n. 920, ibid., voce Sentenza civile, n. 25, e in Giur. it.,

1980, I, 1, 277, con nota di Cerino Canova, Ordinanza con contenuto

di sentenza e sottoscrizione del provvedimento, tutte citate nella

motivazione della sentenza in epigrafe. Si veda inoltre: Cass. 8 giugno

1981, n. 3678, Foro it., 1981, I, 2738.

Il Foro Italiano — 1985.

do: che già esisteva un giudizio innanzi al Tribunale di Pescara

nel quale egli aveva impugnato l'intero rapporto di fideiussione e

che, di conseguenza, il Tribunale di Chieti doveva dichiarare la

continenza del giudizio di opposizione rispetto all'altro preceden temente indicato e dichiarare la nullità del decreto ingiuntivo

opposto, non potendosi spogliare della competenza a favore di

altro giudice, atteso il carattere funzionale della propria compe tenza ed il criterio della prevenzione. Il Banco di Napoli eccepiva che doveva considerarsi giudice preventivamente adito il Tribuna

le di Chieti, perché era rilevante il deposito del ricorso (4 ottobre 1979), e non la notifica del decreto ingiuntivo (27 ottobre

1979). Il tribunale, con provvedimento collegiale qualificato ordinanza

(in data 24 gennaio 1981), affermava la sussistenza della conti

nenza delle cause, riteneva che il processo innanzi al Tribunale di

Pescara era stato introdotto in data anteriore, riteneva di non

potersi spogliare del processo avendo competenza funzionale e

quindi inderogabile, e decideva di disporre la sospensione del

processo in attesa della decisione che sarebbe stata adottata dal

Tribunale di Pescara.

La Corte d'appello de L'Aquila dichiarava inammissibile l'im

pugnazione del Calvi, con sentenza 24 novembre-21 dicembre 1981.

Affermava in primo luogo: a) che il tribunale avrebbe dovuto

dichiarare la nullità del decreto ingiuntivo per incompetenza del

giudice che lo aveva emesso; b) che avverso il provvedimento del

tribunale, il quale, ritenendo erroneamente che la competenza funzionale del giudice dell'opposizione all'ingiunzione attraesse la

competenza a decidere anche il giudizio continente, aveva emanato un provvedimento in forma di ordinanza, ma nella

sentenza (contenente una pronuncia sulla competenza), avverso la

quale era proponibile soltanto il regolamento di competenza e

non l'appello (inammissibile, anche in ordine all'autonoma im

pugnazione della disposta sospensione del processo). La medesima

corte rilevava, tuttavia: a) che l'ammissibilità della impugnazione non poteva essere pronunciata in quanto il provvedimento del

tribunale, pur avendo natura di sentenza, non poteva esser

considerato tale per difetto di forma, in quanto era stato firmato

soltanto dal presidente del collegio e non anche dal relatore; b) che tale vizio avrebbe potuto essere valutato solo in sede di

regolamento di competenza; c) che ricorreva comunque una

ipotesi di inesistenza dell'atto. La corte di merito concludeva,

quindi, dichiarando inammissibile l'appello. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione il Calvi

deducendo tre motivi. Resiste con controricorso il Banco di

Napoli. Il ricorrente ha presentato memoria.

Motivi della decisione. — Con il primo mezzo il ricorrente —

premesso che la sentenza della Corte de L'Aquila è impugnabile con il ricorso ordinario per cassazione e che il provvedimento del Tribunale di Chieti ha affermato la continenza delle cause, risolvendo in tal modo una questione preliminare di rito e di

merito, diversa dalla competenza — ne deduce che la corte

d'appello ha errato (violando gli art. 39, 42, 637, 645 c.p.c.) nel dichiarare inammissibile l'appello.

Con il secondo motivo denuncia violazione degli art. 42, 43,

134, 161 c.p.c. ed il vizio di contraddittoria motivazione nella

parte in cui afferma che, soltanto in sede di regolamento di

competenza, sarebbe stato possibile rilevare la inesistenza del

provvedimento del tribunale.

Con il terzo mezzo il ricorrente denuncia violazione e falsa

applicazione dell'art. 2909 c.c. e dell'art. 295 c.p.c., per quanto attiene alla ritenuta inammissibilità del gravame avverso la parte ordinatoria (sospensione facoltativa del processo) del provvedimen to del Tribunale di Chieti, in quanto anche la sospensione facoltativa presuppone un giudizio logico di priorità di una causa

rispetto all'altra; siffatto giudizio non poteva essere formulato nel

caso in esame perché nella causa pendente davanti al Tribunale di Pescara era presente come parte convenuta, accanto al Banco

di Napoli, anche un terzo; pur sussistendo, quindi, continenza

non poteva sussistere pregiudizialità. I tre motivi del ricorso debbono essere esaminati congiunta

mente perché le questioni proposte sono strettamente connesse ed

esigono una ricostruzione unitaria.

Occorre premettere che la sentenza de qua è impugnabile con

ricorso ordinario per cassazione perché la sentenza di secondo

grado che abbia dichiarato inammissibile l'appello, nel presuppo sto che la pronuncia di primo grado abbia statuito soltanto sulla

competenza, è una sentenza su una questione pregiudiziale di rito che presuppone la risoluzione di questioni diverse dalla sola

competenza, quali sono quelle relative alla litispendenza, alla

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PARTE PRIMA

continenza ed alla pregiudizialità; questioni tutte che sono ogget to della controversia in esame (Cass. 1019/68, Foro it., Rep. 1968,

voce Competenza civile, n. 386; 3504/71, id., Rep. 1971, voce cit.,

n. 308; 5117/78, id., Rep. 1978, voce cit., n. 186; 776/80, id.,

Rep. 1980, voce cit., n. 187).

La prima censura, con la quale si sostiene che la sentenza

impugnata ha errato nel dichiarare inammissibile l'appello avver

so il provvedimento del tribunale che, riconosciuta la continenza

delle cause, non aveva dichiarato la nullità del decreto ingiuntivo, è fondata.

Al riguardo occorre precisare i concetti di litispendenza e di

continenza la cui disciplina, sebbene formalmente contenuta in

uno stesso articolo (art. 39) del codice di rito, è profondamente diversa sul piano concettuale ed in ordine ai meccanismi proces suali con i quali ciascuno di tali istituti opera.

La litispendenza presuppone la contemporanea pendenza, avanti

a giudici diversi di due cause vertenti tra le stesse parti e

riguardanti un medesimo oggetto; vi è, quindi, piena identifica

zione degli elementi di identificazione delle azioni (personae,

petitum e causa petendi).

La continenza, la quale può essere considerata « litispendenza

parziale », postula, come la prima, la pendenza di due cause e se

ne differenzia in quanto esse sono caratterizzate dalla identità dei

soggetti e del titolo ma da una differenza quantitativa dell'ogget

to; sussiste cioè un rapporto tra le due cause in virtù del quale l'una contiene in sé, come parte, l'altra, nel senso che l'ambito

del petitum di una di esse è più ampio, in modo da ricompren dere totalmente la pretesa che costituisce oggetto dell'altra.

La disciplina normativa dei due istituti è ispirata alla comune

esigenza di impedire un duplex iudicium al fine di conseguire un'economia di giudizi e di evitare l'emanazione di pronunce contraddittorie, ma processualmente operano secondo criteri di

versi.

In ordine alla litispendenza, vige il criterio della prevenzione

per cui il giudice successivamente adito è tenuto a dichiarare con

sentenza la litispendenza e a disporre con ordinanza la cancella

zione della causa dal suolo.

Invece, in ordine alla continenza la disciplina processuale è più

complessa e deve essere coordinata con le norme in tema di

riassunzione di causa e di competenza; il giudice investito della

causa contenuta deve dichiarare la continenza indipendentemente dalla circostanza che lo stesso sia stato preventivamente o succes

sivamente adito e deve disporre la riassunzione del giudizio innanzi al giudice della causa contenente ai fini dello svolgimento del simultaneus processus.

Operano, quindi, in via alternativa, il criterio della prevenzio ne — che opera nel caso che il primo giudice sia competente anche per la seconda causa e in tal caso la concentrazione delle

cause si verifica presso il giudice preveniente — ovvero il criterio

dell'assorbimento della prima causa nella seconda; ciò avviene

nell'ipotesi che al giudice adito successivamente appartenga la

competenza a giudicare entrambe le liti (Cass. 3250/69, id., Rep. 1969, voce cit., n. 349).

Richiamati tali principi generali occorre, altresì, premettere che il problema della sussistenza o meno del rapporto di continenza fra due cause è assolutamente preliminare e deve essere esamina

to e deciso prima delle questioni riguardanti i titoli di attribuzio

ne e di privazione della compentenza diversi dalla continenza

medesima.

La sentenza del Tribunale di Chieti aveva quindi esattamente

esaminato prima di ogni altra questione quelle attinenti alla compe

tenza, aveva correttamente applicato i principi sopra enunciati in

materia di competenza, ma aveva errato nell'adottare le successi

ve enunciazioni rigettando la richiesta dell'opponente di dichiara

re la nullità del decreto ingiuntivo opposto.

Invero, questa Corte suprema ha già affermato che se la

continenza non è idonea a spostare la competenza funzionale ed

inderogabile del giudice dell'opposizione a decreto ingiuntivo e

conoscere dell'opposizione stessa essa è, tuttavia, rilevante ai fini

della competenza del giudice che ha emesso il decreto. Di

conseguenza, ove la causa relativamente alla quale sia stato

emesso il decreto ingiuntivo sia contenuta in un'altra causa

pendente davanti ad altro giudice, in sede di cognizione ordinaria

e quest'ultimo giudice sia stato preventivamente adito, il giudice

dell'opposizione a decreto ingiuntivo non può spogliarsi (a favore

del predetto giudice) del giudizio di opposizione, che è funzio

nalmente devoluto alla sua cognizione, ma deve limitarsi a

dichiarare l'incompetenza del suo ufficio ad emanare il decreto, e,

conseguentemente deve dichiarare la nullità del decreto medesi

II Foro Italiano — 1985.

mo, esaurendo in tal modo la sua competenza funzionale (Cass.

1338/81, id., Rep. 1981, voce cit., n. 201; 6324/80, id., Rep. 1980,

voce cit., n. 181). Fondate sono, quindi, le censure con le quali si critica la

sentenza impugnata per aver ritenuto che soltanto in sede di

regolamento di competenza sarebbe stato possibile rilevare l'ine

sistenza del provvedimento del tribunale.

Per chiarire la rilevanza ed i rimedi esperibili avverso gli atti

afletti da tale vizio è necessario richiamare il concetto generale di

inesistenza giuridica degli atti processuali. Il riferimento normativo per lo sviluppo di questa indagine è

costituito dall'art. 161 c.p.c. il cui 1° comma dispone che la

nullità della sentenza soggetta ad appello o a ricorso per cassa

zione può essere fatta valere soltanto nei limiti e secondo le regole

proprie di questi mezzi di impugnazione; questa norma sancisce,

quindi, la regola, che è stata definita della conversione delle

nullità in motivi di gravame, per cui le nullità, sia della sentenza

in sé considerata sia degli atti processuali che ne costituiscono

antecedenti logici e cronologici, devono essere fatte valere con le

impugnazioni previste nell'ambito dello stesso processo; ove esse

non siano state esposte subentrano gli effetti della cosa giudicata formale (art. 324 c.p.c.; disp. att. c.p.c. 124) che non consentono

la loro rimozione in altra forma.

Il capoverso della norma in esame apporta, però, una eccezione

a tale principio generale stabilendo che esso non si applica

quando la sentenza manca della sottoscrizione del giudice. Risulta

cosi configurato un ulteriore vizio degli atti processuali che

dottrina e giurisprudenza hanno qualificato inesistenza e che

comprende una categoria molto vasta, comprensiva di tutte quelle

ipotesi in cui la sentenza o l'atto processuale, per la mancanza di

uno o più dei suoi elementi costitutivi, indispensabili per la sua identificazione come atto di un determinato tipo, sia assolutamen te inidonea a produrre alcun effetto sostanziale o processuale e non

possa, quindi, esser presa in alcuna considerazione sotto il profilo

giuridico. Nullità ed inesistenza sono, quindi, due categorie processuali

produttive di effetti sostanzialmente diversi.

La nullità, come si è visto, può esser fatta valere soltanto

nell'ambito del processo, come motivo di appello o di ricorso per

cassazione.

L'inesistenza, invece, non solo può esser fatta valere in sede di

gravame (la tesi contraria non è convincente perché perviene alla

conclusione di negare l'esperibilità dei mezzi ordinari di gravame

per i vizi più gravi e radicali) ed è rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio (Cass. 3880/69, id., Rep. 1970, voce

Sentenza civile, n. 19), ma, effetto ancora più rilevante, soprav

vive alla formazione del giudicato formale per cui essa può essere dedotta fuori del processo con un'autonoma azione di

accertamento non soggetta a termine di prescrizione o di deca

denza, ovvero con un'eccezione (1623/55, id., Rep. 1955, voce

Impugnazioni civ., n. 8) anche in sede d'opposizione all'esecuzio

ne (Cass. 1567/67, id., 1967, I, 2499).

Sussiste, quindi, una illimitata possibilità di colpire anche fuori

del processo l'atto inesistente con un'actio o con uriexceptio nullitatis questo maggiore margine di tutela apprestato dall'ordi

namento per l'ipotesi di inesistenza delle sentenze o degli altri atti

processuali rispetto a quello previsto per le nullità, non esclude

(come si è già scritto) la possibilità di farla valere con l'appello

(ove la sentenza che ne sia affetta sia di primo grado, come nella

fattispecie) e consente di rimuovere l'atto cosi viziato con ogni

mezzo ed in qualunque tempo. Questa corte ha, quindi, più volte statuito, proprio con riferi

mento alle ordinanze di contenuto decisorio sottoscritte dal solo

presidente del collegio, le quali, in quanto atti aventi natura

sostanziale di sentenza, sono viziate da inesistenza o comunque da nullità assoluta che sopravvive all'inutile decorso dei termini

fissati dalla legge per l'impugnativa delle sentenze — che contro

tali provvedimenti sono esponibili, oltre la querela nullitatis —

proponibile in ogni tempo mediante l'azione di accertamento, ed

oltre l'eccezione in sede esecutiva, anche le impugnazioni in via

ordinaria (Cass. 3342/72, id., Rep. 1972, voce Sentenza civile, n.

209; 952/76, id., Rep. 1976, voce Esibizione delle prove, n. 3;

5081/80, id., Rep. 1980, voce Cassazione civile, n. 28; 290/80, ibid.,

voce Sentenza civile, n. 25). Il provvedimento giudiziario anche se giuridicamente inesistente

è pur sempre materialmente esistente per cui non vi è alcuna

incompatibilità tra l'inesistenza e l'impugnazione proposta; è un

atto che deve essere formalmente ed espressamente rimosso pre vio il riconoscimento della carenza in esso degli elementi essen

ziali per la sua vita giudirica (Cass. 688/72, id., 1972, I, 1268).

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Page 5: sezione I civile; sentenza 22 novembre 1984, n. 6019; Pres. Bologna, Est. Di Salvo, P. M. Cecere (concl. conf.); Calvi (Avv. Tatone, Milia) c. Banco di Napoli (Avv. Foglia, Giordano).

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Pertanto, la corte di merito, dopo aver correttamente affermato,

in base al suo contenuto, la natura giuridica di sentenza nel

provvedimento del tribunale emesso in forma di ordinanza ed

aver rilevato la mancanza di uno dei requisiti essenziali della

sentenza, quale è la firma oltre che del presidente anche dell'e

stensore (art. 6 1. 8 agosto 1977 n. 532), ha errato nel trarre le

ulteriori conseguenze e nel ritenere inammissibile l'appello nel

presupposto che tali vizi fossero denunciabili solo con il ricorso

in Cassazione per regolamento di competenza. Le conclusioni cui questa corte è pervenuta assorbono ogni

ulteriore questione concernente quella parte della sentenza della

corte di merito relativa alla non impugnabilità del provvedimento di sospensione del processo emanato dal giudice di primo grado.

La sentenza impugnata deve quindi essere cassata, e la causa

deve essere rimessa, conformemente all'orientamento di questa corte

(Cass. 3678/81, id., 1981, I, 2738; 290/80, cit.), ai sensi

dell'art. 383, ult. comma, c.p.c. al giudice di primo grado (Tribu nale di Chieti) il quale si atterrà al seguente principio di diritto:

« La continenza se non è idonea a spostare la competenza funzionale e inderogabile del giudice dell'opposizione a decreto

ingiuntivo a conoscere dell'opposizione stessa è rilevante ai fini

della competenza del giudice che ha emesso il decreto. Pertanto,

qualora la causa relativamente alla quale sia stato emesso il

decreto ingiuntivo sia contenuta in un'altra causa pendente da

vanti ad altro giudice in sede di cognizione ordinaria e quest'ul timo giudice sia stato preventivamente adito, il giudice dell'oppo sizione a decreto ingiuntivo non può spogliarsi in favore del

predetto giudice del giudizio di opposizione, che è funzionalmen te devoluto alla sua cognizione, ma deve limitarsi a dichiarare

l'incompetenza del suo ufficio ad emanare il decreto e, conseguen temente, deve dichiarare la nullità del decreto medesimo, esau rendo in tal modo la sua competenza funzionale ». (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 22 no

vembre 1984, n. 5990; Pres. F. Greco, Est. Sammartino, P. M. Miccio (conci, conf.); Cherubini (Avv. Mele) c. Petrucci (Avv.

Maggi). Conferma App. Roma 10 marzo 1976.

Edilizia popolare ed economica — Cooperativa edilizia senza contributo statale — Controversie tra soci — Giurisdizione ordinaria (R.d. 28 aprile 1938 n. 1165, t.u. sull'edilizia popolare ed economica, art. 131).

Spetta al giudice ordinario la cognizione delle controversie tra soci di una cooperativa edilizia operante senza contributo

statale, anche se l'edificio sociale sia stato costruito su suolo ceduto dal comune a prezzo di costo. (1)

Svolgimento del processo. — Renato Petrucci, affermando di

essere condomino dell'edificio di via delle Tartane 45 in Ostia Lido e che Otello Cherubini, altro condomino, aveva, in vio lazione dell'art. 20 del regolamento condominiale di natura

contrattuale, mutato la destinazione di « civile abitazione » del

(1) Non risultano precedenti in termini. Sul principio generale della cognizione del giudice amministrativo ed

ordinario a seconda che la cooperativa sia, oppur no, a contributo statale v., tra le più recenti, in senso conforme, Gass 1° ottobre 1979, n. 5026, Foro it., Rep. 1979, voce Edilizia popolare ed economica, n.

218; 14 maggio 1977, n. 1922, id., Rep. 1978, voce cit., n. 76; 6

novembre 1975, n. 3721, id., Rep. 1975, voce cit., n. 113; 12 ottobre

1974, n. 2816, id., Rep. 1974, voce cit., n. 50. Nel senso della necessità dell'effettiva presenza del contributo statale

ai fini della cognizione del giudice amministrativo, e sui suoi limiti

temporali, connessi alla stipulazione del mutuo individuale da parte del

socio, v. Cass., sez. un., 21 novembre 1984, n. 5942, id., Mass.,

1171; 9 maggio 1984, n. 2827, ibid., 568; 9 maggio 1984, n. 2828,

ibid., 568; 25 novembre 1982, n. 6370, id., Rep. 1982, voce cit., n. 64;

25 novembre 1982, n. 6373, id., 1983, I, 1291, con nota di richiami.

In dottrina v. Grassani, Rapporti tra contenzioso amministrativo e

giurisdizione ordinaria interna di cooperativa edilizia, in Dir. fallim.,

1976, II, 183 ss., a cui dire criterio discriminatore, ai fini della

giurisdizione, è la presenza, o no, del contributo erariale nell'attuazione

dell'opera, ossia la natura del finanziamento fruito e non la finalità e

la natura dell'ente cooperativa. Sulle forme d'intervento dello Stato ed in particolare sulle agevola

zioni concernenti il finanziamento delle costruzioni v. Roehrssen,

Edilizia popolare ed economica, voce dell'Enciclopedia del diritto,

Milano, 1965, XIV, 333-337.

Il Foro Italiano — 1985.

proprio appartamento, adibendolo, dopo aver aperto un varco di

comunicazione nella « chióstrina condominiale », a cucine e locali

di servizio di un ristorante da lui gestito in un immobile

contiguo, convenne in giudizio Cherubini innanzi al Tribunale di

Roma e ne chiese la condanna al ripristino della predetta destinazione oltre che al risarcimento del danno, da liquidarsi in

separata sede.

Costituitosi, Cherubini rispose che il mutamento di destinazione

era legittimo e successivamente eccepì che l'attore non aveva dato

la prova del suo diritto. Il tribunale rigettò le domande per difetto di prova quanto alla titolarità del diritto di proprietà fatto

valere da Petrucci.

Su appello di quest'ultimo la Corte di Roma accolse, invece, entrambe le domande, cosi motivando: a) quella prova era stata

data dall'attore alla stregua dei documenti prodotti (rogito di

assegnazione dell'appartamento in proprietà a Gioacchino Petruc

ci, dante causa di Renato e socio della cooperativa Cje.c.i. che

aveva costruito l'edificio condominiale; denuncia della successione

di Gioacchino fatta da Renato; dichiarazione di Renato dell'ac

cettazione dell'eredità di Gioacchino, trascritta nei registri immo

biliari; atto di accertamento, redatto dall'ufficio delle imposte, del

trapasso dell'immobile); ti) l'art. 20 del regolamento era stato

effettivamente violato; c) la domanda di condanna al risarcimento

del danno era fondata, avendo i fatti lamentati « potenzialmente

capacità di cagionare pregiudizio patrimoniale all'attore ».

Avverso tale decisione Cherubini propose ricorso per cassazione

sulla base di sette motivi, e in pendenza del giudizio — poi

sospeso — propose anche domanda di revocazione ex art. 395, n. 3, c.p.c., affermando di avere trovato dopo la sentenza

documenti decisivi che non aveva potuto produrre nel giudizio di

appello a causa di forza maggiore. La corte di Roma rigettò la domanda di revocazione ritenendo

che Cherubini non avesse provato l'impedimento alla produzione in giudizio.

Ricorre Cherubini per cassazione anche avverso tale sentenza

sulla base di un unico motivo, sostendo inoltre che, vertendosi in

una fattispecie di controversia fra soci di cooperativa edilizia a

contributo statale, i giudici di merito avrebbero dovuto declinare la giurisdizione a favore della commissione di vigilanza apposi tamente istituita. Petrucci si è costituito e resiste. A causa della

questione di giurisdizione sollevata dal ricorrente i due ricorsi —

previa riunione — sono stati assegnati a queste sezioni unite ex art. 376 c.p.c.

Motivi della decisione. — Va pregiudizialmente esaminata la

questione di giurisdizione. Essa è infondata. A norma dell'art. 131/1, n. 1, r.d. 28 aprile 1938 n. 1165 (che

approva il t.u. delle disposizioni sull'edilizia popolare ed econo

mica) spetta alla commissione di vigilanza per l'edilizia popolare ed economica (istituita presso il ministero dei lavori pubblici col

precedente art. 129 e che ora — ex art. 19/3 d.p.r. 23 maggio 1964 n. 655: norme concernenti la disciplina delle assegnazioni degli alloggi economici e popolari — con la denominazione di commissione centrale di vigilanza è competente in secondo grado — ma solo per determinate materie, tra cui quelle elencate nel n. I dell'art. 131 cit. — avverso le deliberazioni della commissione

regionale di vigilanza istituita quale organo di primo grado) decidere su tutte le controversie attinenti alla prenotazione ed

all'assegnazione degli alloggi, alla posizione e alla qualità di socio od aspirante socio nonché sulle controversie tra socio e socio ovvero tra socio e cooperativa, in quanto riguardino rap porti sociali.

A norma, poi, del 2° comma dello stesso art. 131, contro le decisioni della commissione di vigilanza — ora contro le delibe razioni della commissione centrale di vigilanza, alle quali la

giurisprudenza riconosce natura di atti amministrativi (da ult. sez. un. 9 maggio 1984, n. 2828, Foro it., Mass., 568) — è ammesso soltanto ricorso al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale.

La soluzione della questione di giurisdizione ruota intorno alla circostanza dell'essere o no la cooperativa din oggetto fruente di contributo erariale, dal momento che l'art, cit. è posto nel capo II (vigilanza sulle cooperative a contributo erariale) del titolo VII del t.u. e che la « vigilanza sulle cooperative non fruenti di contributo erariale » è disciplinata diversamente, e ne costituisce

la rubrica, dal precedente capo I.

Poiché si tratterebbe di deroga alla giurisdizione ordinaria, la

circostanza da cui tale deroga discende deve essere approvata dalla parte che l'invoca, e la ricerca di questa prova va fatta di

ufficio dal giudice anche in sede di legittimità. Ora, una prova siffatta non è rinvenibile negli atti, né basterebbe accertare —

come pretende il ricorrente — che la cooperativa costruì l'edifìcio

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