sezione I civile; sentenza 22 novembre 1984, n. 6019; Pres. Bologna, Est. Di Salvo, P. M. Cecere(concl. conf.); Calvi (Avv. Tatone, Milia) c. Banco di Napoli (Avv. Foglia, Giordano). Cassa App.L'Aquila 21 dicembre 1981Source: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 3 (MARZO 1985), pp. 747/748-753/754Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23177440 .
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PARTE PRIMA
propria pretesa sostanziale (e non unicamente agli atti del giudi zio, a norma dell'art. 306 c.p.c., il che avrebbe una limitata
efficacia endoprocessuale), ma altresì quando il soggetto contro il
quale la pretesa stessa sia stata fatta valere ne abbia riconosciuto
il fondamento ponendo in essere atti giuridici di natura tale da
garantirne completamente e con pieno effetto la soddisfazione. E
ciò va in particolare affermato ove tale soggetto sia una p.a. che
abbia adottato al riguardo un formale provvedimento. A tale
criterio s'ispira del resto, per quanto concerne i procedimenti avanti ai tribunali amministrativi regionali, l'art. 23, 6° comma, 1.
6 dicembre 1971 n. 1034 che espressamente prevede che sia dato
atto della cessazione della materia del contendere, ove entro il
termine di fissazione dell'udienza l'amministrazione annulli o
riformi l'atto impugnato in modo conforme all'istanza del ricor
rente.
I suesposti principi non possono pertanto non trovare completa
applicazione allorquando l'ente pubblico previdenziale abbia adot
tato un provvedimento del tutto conforme alla richiesta dell'inte
ressato, provvedimento che costituisce, da un lato, l'univoca mani
festazione della volontà della p.a. al riguardo e, dall'altro, l'idoneo
e sufficiente strumento giuridico perché l'interessato stesso possa
pretendere le relative prestazioni. Né può essere seguita l'opinione sostenuta dall'I.n.p.s. nel controricorso (la quale pur trovava conforto nella sentenza di questa Suprema corte 19 novembre
1980, n. 6162, id., Rep. 1981, voce Previdenza sociale, n. 714), secondo cui l'eventuale riconoscimento del diritto a pensione da
parte dell'istituto previdenziale in sede amministrativa non pre clude il potere del giudice di accertare l'esistenza o meno del
diritto medesimo nel caso in cui il detto istituto lo contesti e ciò sia perché il procedimento amministrativo per la concessione della
pensione è autonomo rispetto a quello giudiziario, sia perché l'istituto ha sempre il potere di annullare i propri atti per vizi di
legittimità. Siffatto indirizzo (del resto, neppure all'epoca di
carattere uniforme: v., in senso contrario, la sentenza 20 maggio 1980, n. 3321, id., Rep. 1980, voce cit., n. 811, e ancor prima
quella 14 luglio 1978, n. 3553, id., Rep. 1978, voce Cassazione
civile, n. 348) è tuttavia superato da più recenti pronunce di
questa stessa Suprema corte le quali hanno invece all'opposto affermato che il provvedimento dell'I.n.p.s. che, in pendenza del
giudizio instaurato per l'accertamento del diritto alla pensione d'invalidità, abbia riconosciuto fondata la pretesa dell'assicurato è
rilevante nel procedimento giudiziario — malgrado l'autonomia di
questo rispetto al procedimento amministrativo — in quanto idoneo a determinare la cessazione della materia del contendere
nei limiti in cui detto riconoscimento è avvenuto (cfr. le sentenze 5 gennaio 1983, n. 59, id., Rep. 1983, voce Procedimento civile, n.
263, e 25 gennaio 1984, n. 607, id., Mass., 128). Tale giurispru denza dev'essere, per quanto si è già esposto, mantenuta, osser
vandosi ulteriormente al riguardo che — posta la non decisività della considerazione circa l'autonomia del procedimento ammini
strativo e di quello giudiziario avendo invero ciascuno di essi una
propria sfera di operatività e una propria ragion d'essere essendo
inoltre il primo preliminare al secondo e questo essendo di
carattere solo eventuale — ciò che va piuttosto sottolineato è la non rilevanza, ai fini di che trattasi, della sussistenza nell'ente
previdenziale del potere di annullamento (ex tunc) dei propri atti.
Invero solo ove tale potere venisse concretamente esercitato
sorgerebbe nell'assicurato, in conseguenza di ciò, un autonomo
interesse a pretendere il mantenimento del provvedimento che lo
riguarda, la cui eliminazione non potrebbe essere invero fatta ad libitum dell'amministrazione, ma solo per specifici e comprovati motivi. In secondo luogo si osserva ancora come in subiecta materia anche le decisioni giudiziarie di dichiarazione del diritto
alla pensione d'invalidità abbiano un'efficacia c.d. rebus sic stan
tibus, nel senso cioè che il potere di soppressione ex nunc della
pensione riconosciuto in particolare all'I.n.p.s. dalla disposizione dell'art. 10, 2° comma, r.d.l. 14 aprile 1939 n. 636 (a parte la sua
esclusione nei confronti dei ciechi che esercitino un'attività lavo
rativa: art. 68 1. 30 aprile 1969 n. 153) sussiste ogni qual volta la
capacità di guadagno del pensionato (secondo la disciplina giuri dica che ancora concerne la fattispecie), cessi di essere inferiore
al limite di legge, per cui — venuta meno la stessa causa giuridica
dell'erogazione — neppure l'avvenuto riconoscimento del diritto
alla pensione in forza di sentenza passata in giudicato potrebbe essere di ostacolo all'esercizio del suddetto potere di revoca (cfr., ad es., Cass. 30 maggio 1983, n. 3726, id., Rep. 1983, voce
Previdenza sociale, n. 527).
Pertanto solo ove sopravvengano situazioni del genere si giu stificherebbe di nuovo lo svolgimento di un procedimento giudi ziario nel corso del quale dovrebbe essere dal giudice autonoma
II Foro Italiano — 1985.
mente valutata e con particolare rigore la sussistenza oppure no
dei presupposti per la soppressione della pensione (cfr. ancora
sulla revoca la cit. sentenza n. 3726 del 1983). Ma allorquando sia mantenuta la situazione di già avvenuto riconoscimento del
diritto da parte dell'istituto previdenziale, non può quest'ultimo far valere in un procedimento giudiziario (peraltro in contrappo sizione alle richieste dell'assicurato) una sorta di interesse a un
accertamento negativo che, al postutto, dovrebbe consistere nella
verifica della « legittimità » di quel provvedimento dall'istituto
stesso liberamente adottato e che è già di per sé munito, in base
ai principi generali, di una propria presunzione, per l'appunto di « legittimità ».
Alla stregua delle suesposte considerazioni il ricorso dev'essere
pertanto accolto, con conseguente cassazione della sentenza im
pugnata e rinvio della causa ad altro giudice d'appello, che si
designa nel Tribunale di Sciacca (sezione lavoro), il quale dovrà
procedere a nuovo esame della situazione di causa uniformandosi
ai principi enunciati nella presente decisione. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 22 novem
bre 1984, n. 6019; Pres. Bologna, Est. Di Salvo, P. M. Cecere
'(conci, conf.); Calvi (Avv. Tatone, Milia) c. Banco di Napoli
(Aw. Foglia, Giordano). Cassa App. L'Aquila 21 dicembre
1981.
Competenza civile — Opposizione a decreto ingiuntivo — Conti
nenza fra procedimento monitorio e procedimento ordinario di
cognizione — Conseguenze (Cod. proc. civ., art. 39, 645).
Competenza civile — Declaratoria di inammissibilità dell'appello contro pronuncia sulla competenza — Ricorso ordinario per cassazione — Ammissibilità (Cod. proc. civ., art. 43, 360).
Sentenza civile — Ordinanza a contenuto decisorio — Inesistenza — Rimedi — Fattispecie (Cod. proc. civ., art. 132, 161).
Qualora la causa relativamente alla quale sia stato emesso il
decreto ingiuntivo sia contenuta in altra causa pendente davan
ti ad altro giudice in sede di cognizione ordinaria e quest'ulti mo giudice sia stato preventivamente adito, il giudice dell'op
posizione, attesa la natura funzionale e inderogabile della sua
competenza, non può spogliarsi in favore del predetto giudice del giudizio d'opposizione, ma deve limitarsi a dichiarare
l'incompetenza del suo ufficio ad emanare il decreto e la
conseguente nullità dello stesso. (1) La sentenza di secondo grado che abbia dichiarato inammissibile
l'appello, nel presupposto che la pronuncia di primo grado abbia statuito soltanto sulla competenza, è impugnabile con
ricorso ordinario per cassazione, in quanto sentenza su que stione pregiudiziale di rito che presuppone la risoluzione di
questioni diverse dalla sola competenza, quali quelle relative
alla litispendenza, alla continenza e alla pregiudizialità. (2)
(1) In senso conforme: Cass. 11 gennaio 1978, n. 94, Foro it., 1979, I, 792, con nota di richiami di A. Barbàra, ed anche Cass. 5 agosto 1982, n. 4400, id., Rep. 1983, voce Competenza civile, n. 165; 23 marzo 1982, n. 1837, id., Rep. 1982, voce cit., n. 148; 10 marzo 1981, n. 1338, id., Rep. 1981, voce cit., n. 201; 8 gennaio 1980, n. 121, id., Rep. 1980, voce cit., n. 180; 4 dicembre 1980, n.
6324, ibid., n. 181; 25 agosto 1978, n. 3986, id., Rep. 1978, voce cit., n. 165.
Cfr., inoltre, Cass. 3 agosto 1976, n. 3008, id., 1976, I, 2832, con nota di richiami di C. M. Barone (che esclude la sussistenza di continenza nel caso di pluralità di giudizi di opposizione ad una serie di decreti ingiuntivi, emessi da giudici diversi a carico del medesimo debitore per il pagamento di crediti diversi e causalmente
autonomi) e, per quanto concerne la continenza in genere, le recenti Cass. 22 ottobre 1984, n. 5341 e App. Catania 10 dicembre 1983, in questo -fascicolo, I, 796, con nota di richiami.
(2-3) La Cassazione ricorre ai principi enunciati nelle massime in
epigrafe per evitare di dover dichiarare la necessità del regolamento di
competenza ex art. 42 c.p.c. Nel caso di specie il tribunale, accertata la continenza fra procedimento di cognizione ordinaria e procedimento monitorio, in sede di opposizione a decreto ingiuntivo, si era limitato a
disporre, con ordinanza, la sospensione del giudizio in attesa dell'esito del procedimento di cognizione ordinaria. Impugnata tale pronuncia in
appello, la corte aveva ritenuto inammissibile il gravame, affermando l'esclusiva esperibilità del regolamento di competenza, di fronte alla Cassazione. Ma quest'ultima, adita con ricorso ordinario ex art. 360
c.p.c. (considerato ammissibile in base al principio riportato nella seconda massima), ritiene inesistente il provvedimento del tribunale (in
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Le ordinanze di contenuto decisorio sono affette da inesistenza se
sottoscrìtte dal solo presidente del collegio, e non anche dal
relatore, in quanto atti aventi natura sostanziale di sentenza,
inesistenza che è denunciatile, oltre che per mezzo delle
impugnazioni ordinarie, anche dopo il decorso dei relativi
termini con autonoma azione di nullità (nella specie, è stato
dichiarato inesistente, e come tale impugnabile non solo con
regolamento di competenza ma anche a mezzo di appello, il
provvedimento in forma di ordinanza, sottoscritta dal solo
presidente del collegio, con il quale il tribunale, accertata la
continenza di cause, aveva omesso di dichiarare la nullità del
decreto ingiuntivo, del quale era chiamato a conoscere in sede
di opposizione, limitandosi a disporre la sospensione del giudi
zio). (3)
Svolgimento del processo. — Con decreto ingiuntivo emesso dal
presidente del Tribunale di Chieti su richiesta del Banco di
Napoli, filiale di Chieti, e notificato in data 27 ottobre 1979, si
ingiungeva al dottor Mario Calvi, quale fideiussore senza limiti
della ditta Calvi Ignazio & F. di Nicola Calvi, il pagamento della
somma di lire 76.982.398, oltre gli interessi di mora e le spese della procedura monitoria.
Con atto di citazione, notificato il 7 novembre 1979, il Calvi
proponeva innanzi al Tribunale di Chieti opposizione, assumen
applicazione del principio enunciato nella terza massima) e ne afferma
pertanto l'impugnabilità con qualunque mezzo, compreso l'appello, che è ritenuto pienamente ammissibile.
Per quanto concerne il problema, posto dalla seconda massima, della scelta del mezzo d'impugnazione avverso le pronunce d'appello che dichiarano l'inammissibilità dello stesso, in quanto proposto contro
pronunce di primo grado vertenti solo sulla competenza o che, viceversa, dichiarata l'ammissibilità dello stesso, adottano i conse
guenti provvedimenti sulla competenza, cfr. Cass. 23 dicembre 1981, n. 6764 (la quale, considerando che in entrambe le ipotesi sopra delineate il giudice d'appello statuisce su una questione pregiudiziale di rito, attinente all'individuazione del mezzo d'impugnazione consentito, am mette contro tale statuizione, considerata di merito ai sensi dell'art. 42
c.p.c., il ricorso ordinario per cassazione), Foro it., 1982, I, 1622, con nota di M. Di Virgilio.
Allo stesso proposito cfr. Cass. 1° aprile 1968, n. 1019, id., Rep. 1968, voce Competenza civile, n. 386; 4 dicembre 1971, n. 3504, id., Rep. 1971, voce cit., n. 308; 9 novembre 1978, n. 5117, id., Rep. 1978, voce cit., n. 186; 4 febbraio 1980, n. 776, id., Rep. 1980, voce cit., n.
187, citate in motivazione, alle quali adde Cass. 16 aprile 1982, n.
2327, id., Rep. 1982, voce cit., n. 176, la quale, pur adottando un concetto assai esteso di « questione di merito » suscettibile di far scattare il meccanismo della facoltatività del regolamento di competen za, ex art. 43 c.p.c., richiede che l'esame delle stesse non sia stato
compiuto in via meramente incidentale al fine di decidere sulla
competenza (nello stesso senso: Cass. 9 aprile 1981, n. 2047, id., Rep. 1981, voce cit., n. 230).
Con riferimento al più generale problema della scelta del mezzo
d'impugnazione esperibile contro pronunce sulla sola competenza, e, in
particolare, contro quelle concernenti le ipotesi disciplinate dall'art. 39
c.p.c., la giurisprudenza più recente ha affermato che la sentenza che
statuisca esclusivamente sulla litispendenza o continenza di cause è
impugnabile, in conformità alla stessa dizione letterale dell'art. 42
c.p.c., con il solo regolamento di competenza. Con la conseguenza che, nel caso che le pronunce in oggetto siano state rese in primo grado, è inammissibile l'appello proposto contro di esse. In questo senso v., da
ultimo, Cass. 14 dicembre 1983, n. 7368, id., Rep. 1983, voce cit., n.
177; 15 aprile 1982, n. 2298, id., Rep. 1982, voce cit., n. 169; 7
ottobre 1982, n. 5159, ibid., n. 174. Enunciano lo stesso principio con riferimento a sentenze che pronun
ciano sulla competenza in genere; Cass. 15 luglio 1983, n. 4870, id.,
Rep. 1983, voce cit., n. 178; 25 gennaio 1980, n. 622, id., Rep. 1980, voce cit., n. 196; 9 aprile 1982, n. 2201, id., Rep. 1982, voce cit., n.
171 (la quale afferma, inoltre, che non modifica il carattere di
pronuncia sulla sola competenza il fatto che a tale statuizione si
accompagni quella meramente accessoria sulle spese processuali). Peraltro il ricorso per Cassazione, inammissibile in quanto proposto
contro sentenza sulla competenza, è ritenuto convertibile nella richiesta
istanza di regolamento di competenza quando, avendone i requisiti, sia
stato notificato nel termine perentorio fissato dall'art. 47, 2° comma,
c.p.c. (Cass. 29 aprile 1982, n. 2695, ibid., n. 205). Sulla terza massima cfr. Cass. 8 novembre 1972, n. 3342, id., Rep.
1972, voce Sentenza civile, n. 209; 15 marzo 1976, n. 952, id., Rep.
1976, voce Esibizione delle prove, n. 3; 3 settembre 1980, n. 5081, id.,
Rep. 1980, voce Cassazione civile, n. 28; e, in particolare, Cass. 14
gennaio 1980, n. 920, ibid., voce Sentenza civile, n. 25, e in Giur. it.,
1980, I, 1, 277, con nota di Cerino Canova, Ordinanza con contenuto
di sentenza e sottoscrizione del provvedimento, tutte citate nella
motivazione della sentenza in epigrafe. Si veda inoltre: Cass. 8 giugno
1981, n. 3678, Foro it., 1981, I, 2738.
Il Foro Italiano — 1985.
do: che già esisteva un giudizio innanzi al Tribunale di Pescara
nel quale egli aveva impugnato l'intero rapporto di fideiussione e
che, di conseguenza, il Tribunale di Chieti doveva dichiarare la
continenza del giudizio di opposizione rispetto all'altro preceden temente indicato e dichiarare la nullità del decreto ingiuntivo
opposto, non potendosi spogliare della competenza a favore di
altro giudice, atteso il carattere funzionale della propria compe tenza ed il criterio della prevenzione. Il Banco di Napoli eccepiva che doveva considerarsi giudice preventivamente adito il Tribuna
le di Chieti, perché era rilevante il deposito del ricorso (4 ottobre 1979), e non la notifica del decreto ingiuntivo (27 ottobre
1979). Il tribunale, con provvedimento collegiale qualificato ordinanza
(in data 24 gennaio 1981), affermava la sussistenza della conti
nenza delle cause, riteneva che il processo innanzi al Tribunale di
Pescara era stato introdotto in data anteriore, riteneva di non
potersi spogliare del processo avendo competenza funzionale e
quindi inderogabile, e decideva di disporre la sospensione del
processo in attesa della decisione che sarebbe stata adottata dal
Tribunale di Pescara.
La Corte d'appello de L'Aquila dichiarava inammissibile l'im
pugnazione del Calvi, con sentenza 24 novembre-21 dicembre 1981.
Affermava in primo luogo: a) che il tribunale avrebbe dovuto
dichiarare la nullità del decreto ingiuntivo per incompetenza del
giudice che lo aveva emesso; b) che avverso il provvedimento del
tribunale, il quale, ritenendo erroneamente che la competenza funzionale del giudice dell'opposizione all'ingiunzione attraesse la
competenza a decidere anche il giudizio continente, aveva emanato un provvedimento in forma di ordinanza, ma nella
sentenza (contenente una pronuncia sulla competenza), avverso la
quale era proponibile soltanto il regolamento di competenza e
non l'appello (inammissibile, anche in ordine all'autonoma im
pugnazione della disposta sospensione del processo). La medesima
corte rilevava, tuttavia: a) che l'ammissibilità della impugnazione non poteva essere pronunciata in quanto il provvedimento del
tribunale, pur avendo natura di sentenza, non poteva esser
considerato tale per difetto di forma, in quanto era stato firmato
soltanto dal presidente del collegio e non anche dal relatore; b) che tale vizio avrebbe potuto essere valutato solo in sede di
regolamento di competenza; c) che ricorreva comunque una
ipotesi di inesistenza dell'atto. La corte di merito concludeva,
quindi, dichiarando inammissibile l'appello. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione il Calvi
deducendo tre motivi. Resiste con controricorso il Banco di
Napoli. Il ricorrente ha presentato memoria.
Motivi della decisione. — Con il primo mezzo il ricorrente —
premesso che la sentenza della Corte de L'Aquila è impugnabile con il ricorso ordinario per cassazione e che il provvedimento del Tribunale di Chieti ha affermato la continenza delle cause, risolvendo in tal modo una questione preliminare di rito e di
merito, diversa dalla competenza — ne deduce che la corte
d'appello ha errato (violando gli art. 39, 42, 637, 645 c.p.c.) nel dichiarare inammissibile l'appello.
Con il secondo motivo denuncia violazione degli art. 42, 43,
134, 161 c.p.c. ed il vizio di contraddittoria motivazione nella
parte in cui afferma che, soltanto in sede di regolamento di
competenza, sarebbe stato possibile rilevare la inesistenza del
provvedimento del tribunale.
Con il terzo mezzo il ricorrente denuncia violazione e falsa
applicazione dell'art. 2909 c.c. e dell'art. 295 c.p.c., per quanto attiene alla ritenuta inammissibilità del gravame avverso la parte ordinatoria (sospensione facoltativa del processo) del provvedimen to del Tribunale di Chieti, in quanto anche la sospensione facoltativa presuppone un giudizio logico di priorità di una causa
rispetto all'altra; siffatto giudizio non poteva essere formulato nel
caso in esame perché nella causa pendente davanti al Tribunale di Pescara era presente come parte convenuta, accanto al Banco
di Napoli, anche un terzo; pur sussistendo, quindi, continenza
non poteva sussistere pregiudizialità. I tre motivi del ricorso debbono essere esaminati congiunta
mente perché le questioni proposte sono strettamente connesse ed
esigono una ricostruzione unitaria.
Occorre premettere che la sentenza de qua è impugnabile con
ricorso ordinario per cassazione perché la sentenza di secondo
grado che abbia dichiarato inammissibile l'appello, nel presuppo sto che la pronuncia di primo grado abbia statuito soltanto sulla
competenza, è una sentenza su una questione pregiudiziale di rito che presuppone la risoluzione di questioni diverse dalla sola
competenza, quali sono quelle relative alla litispendenza, alla
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PARTE PRIMA
continenza ed alla pregiudizialità; questioni tutte che sono ogget to della controversia in esame (Cass. 1019/68, Foro it., Rep. 1968,
voce Competenza civile, n. 386; 3504/71, id., Rep. 1971, voce cit.,
n. 308; 5117/78, id., Rep. 1978, voce cit., n. 186; 776/80, id.,
Rep. 1980, voce cit., n. 187).
La prima censura, con la quale si sostiene che la sentenza
impugnata ha errato nel dichiarare inammissibile l'appello avver
so il provvedimento del tribunale che, riconosciuta la continenza
delle cause, non aveva dichiarato la nullità del decreto ingiuntivo, è fondata.
Al riguardo occorre precisare i concetti di litispendenza e di
continenza la cui disciplina, sebbene formalmente contenuta in
uno stesso articolo (art. 39) del codice di rito, è profondamente diversa sul piano concettuale ed in ordine ai meccanismi proces suali con i quali ciascuno di tali istituti opera.
La litispendenza presuppone la contemporanea pendenza, avanti
a giudici diversi di due cause vertenti tra le stesse parti e
riguardanti un medesimo oggetto; vi è, quindi, piena identifica
zione degli elementi di identificazione delle azioni (personae,
petitum e causa petendi).
La continenza, la quale può essere considerata « litispendenza
parziale », postula, come la prima, la pendenza di due cause e se
ne differenzia in quanto esse sono caratterizzate dalla identità dei
soggetti e del titolo ma da una differenza quantitativa dell'ogget
to; sussiste cioè un rapporto tra le due cause in virtù del quale l'una contiene in sé, come parte, l'altra, nel senso che l'ambito
del petitum di una di esse è più ampio, in modo da ricompren dere totalmente la pretesa che costituisce oggetto dell'altra.
La disciplina normativa dei due istituti è ispirata alla comune
esigenza di impedire un duplex iudicium al fine di conseguire un'economia di giudizi e di evitare l'emanazione di pronunce contraddittorie, ma processualmente operano secondo criteri di
versi.
In ordine alla litispendenza, vige il criterio della prevenzione
per cui il giudice successivamente adito è tenuto a dichiarare con
sentenza la litispendenza e a disporre con ordinanza la cancella
zione della causa dal suolo.
Invece, in ordine alla continenza la disciplina processuale è più
complessa e deve essere coordinata con le norme in tema di
riassunzione di causa e di competenza; il giudice investito della
causa contenuta deve dichiarare la continenza indipendentemente dalla circostanza che lo stesso sia stato preventivamente o succes
sivamente adito e deve disporre la riassunzione del giudizio innanzi al giudice della causa contenente ai fini dello svolgimento del simultaneus processus.
Operano, quindi, in via alternativa, il criterio della prevenzio ne — che opera nel caso che il primo giudice sia competente anche per la seconda causa e in tal caso la concentrazione delle
cause si verifica presso il giudice preveniente — ovvero il criterio
dell'assorbimento della prima causa nella seconda; ciò avviene
nell'ipotesi che al giudice adito successivamente appartenga la
competenza a giudicare entrambe le liti (Cass. 3250/69, id., Rep. 1969, voce cit., n. 349).
Richiamati tali principi generali occorre, altresì, premettere che il problema della sussistenza o meno del rapporto di continenza fra due cause è assolutamente preliminare e deve essere esamina
to e deciso prima delle questioni riguardanti i titoli di attribuzio
ne e di privazione della compentenza diversi dalla continenza
medesima.
La sentenza del Tribunale di Chieti aveva quindi esattamente
esaminato prima di ogni altra questione quelle attinenti alla compe
tenza, aveva correttamente applicato i principi sopra enunciati in
materia di competenza, ma aveva errato nell'adottare le successi
ve enunciazioni rigettando la richiesta dell'opponente di dichiara
re la nullità del decreto ingiuntivo opposto.
Invero, questa Corte suprema ha già affermato che se la
continenza non è idonea a spostare la competenza funzionale ed
inderogabile del giudice dell'opposizione a decreto ingiuntivo e
conoscere dell'opposizione stessa essa è, tuttavia, rilevante ai fini
della competenza del giudice che ha emesso il decreto. Di
conseguenza, ove la causa relativamente alla quale sia stato
emesso il decreto ingiuntivo sia contenuta in un'altra causa
pendente davanti ad altro giudice, in sede di cognizione ordinaria
e quest'ultimo giudice sia stato preventivamente adito, il giudice
dell'opposizione a decreto ingiuntivo non può spogliarsi (a favore
del predetto giudice) del giudizio di opposizione, che è funzio
nalmente devoluto alla sua cognizione, ma deve limitarsi a
dichiarare l'incompetenza del suo ufficio ad emanare il decreto, e,
conseguentemente deve dichiarare la nullità del decreto medesi
II Foro Italiano — 1985.
mo, esaurendo in tal modo la sua competenza funzionale (Cass.
1338/81, id., Rep. 1981, voce cit., n. 201; 6324/80, id., Rep. 1980,
voce cit., n. 181). Fondate sono, quindi, le censure con le quali si critica la
sentenza impugnata per aver ritenuto che soltanto in sede di
regolamento di competenza sarebbe stato possibile rilevare l'ine
sistenza del provvedimento del tribunale.
Per chiarire la rilevanza ed i rimedi esperibili avverso gli atti
afletti da tale vizio è necessario richiamare il concetto generale di
inesistenza giuridica degli atti processuali. Il riferimento normativo per lo sviluppo di questa indagine è
costituito dall'art. 161 c.p.c. il cui 1° comma dispone che la
nullità della sentenza soggetta ad appello o a ricorso per cassa
zione può essere fatta valere soltanto nei limiti e secondo le regole
proprie di questi mezzi di impugnazione; questa norma sancisce,
quindi, la regola, che è stata definita della conversione delle
nullità in motivi di gravame, per cui le nullità, sia della sentenza
in sé considerata sia degli atti processuali che ne costituiscono
antecedenti logici e cronologici, devono essere fatte valere con le
impugnazioni previste nell'ambito dello stesso processo; ove esse
non siano state esposte subentrano gli effetti della cosa giudicata formale (art. 324 c.p.c.; disp. att. c.p.c. 124) che non consentono
la loro rimozione in altra forma.
Il capoverso della norma in esame apporta, però, una eccezione
a tale principio generale stabilendo che esso non si applica
quando la sentenza manca della sottoscrizione del giudice. Risulta
cosi configurato un ulteriore vizio degli atti processuali che
dottrina e giurisprudenza hanno qualificato inesistenza e che
comprende una categoria molto vasta, comprensiva di tutte quelle
ipotesi in cui la sentenza o l'atto processuale, per la mancanza di
uno o più dei suoi elementi costitutivi, indispensabili per la sua identificazione come atto di un determinato tipo, sia assolutamen te inidonea a produrre alcun effetto sostanziale o processuale e non
possa, quindi, esser presa in alcuna considerazione sotto il profilo
giuridico. Nullità ed inesistenza sono, quindi, due categorie processuali
produttive di effetti sostanzialmente diversi.
La nullità, come si è visto, può esser fatta valere soltanto
nell'ambito del processo, come motivo di appello o di ricorso per
cassazione.
L'inesistenza, invece, non solo può esser fatta valere in sede di
gravame (la tesi contraria non è convincente perché perviene alla
conclusione di negare l'esperibilità dei mezzi ordinari di gravame
per i vizi più gravi e radicali) ed è rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio (Cass. 3880/69, id., Rep. 1970, voce
Sentenza civile, n. 19), ma, effetto ancora più rilevante, soprav
vive alla formazione del giudicato formale per cui essa può essere dedotta fuori del processo con un'autonoma azione di
accertamento non soggetta a termine di prescrizione o di deca
denza, ovvero con un'eccezione (1623/55, id., Rep. 1955, voce
Impugnazioni civ., n. 8) anche in sede d'opposizione all'esecuzio
ne (Cass. 1567/67, id., 1967, I, 2499).
Sussiste, quindi, una illimitata possibilità di colpire anche fuori
del processo l'atto inesistente con un'actio o con uriexceptio nullitatis questo maggiore margine di tutela apprestato dall'ordi
namento per l'ipotesi di inesistenza delle sentenze o degli altri atti
processuali rispetto a quello previsto per le nullità, non esclude
(come si è già scritto) la possibilità di farla valere con l'appello
(ove la sentenza che ne sia affetta sia di primo grado, come nella
fattispecie) e consente di rimuovere l'atto cosi viziato con ogni
mezzo ed in qualunque tempo. Questa corte ha, quindi, più volte statuito, proprio con riferi
mento alle ordinanze di contenuto decisorio sottoscritte dal solo
presidente del collegio, le quali, in quanto atti aventi natura
sostanziale di sentenza, sono viziate da inesistenza o comunque da nullità assoluta che sopravvive all'inutile decorso dei termini
fissati dalla legge per l'impugnativa delle sentenze — che contro
tali provvedimenti sono esponibili, oltre la querela nullitatis —
proponibile in ogni tempo mediante l'azione di accertamento, ed
oltre l'eccezione in sede esecutiva, anche le impugnazioni in via
ordinaria (Cass. 3342/72, id., Rep. 1972, voce Sentenza civile, n.
209; 952/76, id., Rep. 1976, voce Esibizione delle prove, n. 3;
5081/80, id., Rep. 1980, voce Cassazione civile, n. 28; 290/80, ibid.,
voce Sentenza civile, n. 25). Il provvedimento giudiziario anche se giuridicamente inesistente
è pur sempre materialmente esistente per cui non vi è alcuna
incompatibilità tra l'inesistenza e l'impugnazione proposta; è un
atto che deve essere formalmente ed espressamente rimosso pre vio il riconoscimento della carenza in esso degli elementi essen
ziali per la sua vita giudirica (Cass. 688/72, id., 1972, I, 1268).
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Pertanto, la corte di merito, dopo aver correttamente affermato,
in base al suo contenuto, la natura giuridica di sentenza nel
provvedimento del tribunale emesso in forma di ordinanza ed
aver rilevato la mancanza di uno dei requisiti essenziali della
sentenza, quale è la firma oltre che del presidente anche dell'e
stensore (art. 6 1. 8 agosto 1977 n. 532), ha errato nel trarre le
ulteriori conseguenze e nel ritenere inammissibile l'appello nel
presupposto che tali vizi fossero denunciabili solo con il ricorso
in Cassazione per regolamento di competenza. Le conclusioni cui questa corte è pervenuta assorbono ogni
ulteriore questione concernente quella parte della sentenza della
corte di merito relativa alla non impugnabilità del provvedimento di sospensione del processo emanato dal giudice di primo grado.
La sentenza impugnata deve quindi essere cassata, e la causa
deve essere rimessa, conformemente all'orientamento di questa corte
(Cass. 3678/81, id., 1981, I, 2738; 290/80, cit.), ai sensi
dell'art. 383, ult. comma, c.p.c. al giudice di primo grado (Tribu nale di Chieti) il quale si atterrà al seguente principio di diritto:
« La continenza se non è idonea a spostare la competenza funzionale e inderogabile del giudice dell'opposizione a decreto
ingiuntivo a conoscere dell'opposizione stessa è rilevante ai fini
della competenza del giudice che ha emesso il decreto. Pertanto,
qualora la causa relativamente alla quale sia stato emesso il
decreto ingiuntivo sia contenuta in un'altra causa pendente da
vanti ad altro giudice in sede di cognizione ordinaria e quest'ul timo giudice sia stato preventivamente adito, il giudice dell'oppo sizione a decreto ingiuntivo non può spogliarsi in favore del
predetto giudice del giudizio di opposizione, che è funzionalmen te devoluto alla sua cognizione, ma deve limitarsi a dichiarare
l'incompetenza del suo ufficio ad emanare il decreto e, conseguen temente, deve dichiarare la nullità del decreto medesimo, esau rendo in tal modo la sua competenza funzionale ». (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 22 no
vembre 1984, n. 5990; Pres. F. Greco, Est. Sammartino, P. M. Miccio (conci, conf.); Cherubini (Avv. Mele) c. Petrucci (Avv.
Maggi). Conferma App. Roma 10 marzo 1976.
Edilizia popolare ed economica — Cooperativa edilizia senza contributo statale — Controversie tra soci — Giurisdizione ordinaria (R.d. 28 aprile 1938 n. 1165, t.u. sull'edilizia popolare ed economica, art. 131).
Spetta al giudice ordinario la cognizione delle controversie tra soci di una cooperativa edilizia operante senza contributo
statale, anche se l'edificio sociale sia stato costruito su suolo ceduto dal comune a prezzo di costo. (1)
Svolgimento del processo. — Renato Petrucci, affermando di
essere condomino dell'edificio di via delle Tartane 45 in Ostia Lido e che Otello Cherubini, altro condomino, aveva, in vio lazione dell'art. 20 del regolamento condominiale di natura
contrattuale, mutato la destinazione di « civile abitazione » del
(1) Non risultano precedenti in termini. Sul principio generale della cognizione del giudice amministrativo ed
ordinario a seconda che la cooperativa sia, oppur no, a contributo statale v., tra le più recenti, in senso conforme, Gass 1° ottobre 1979, n. 5026, Foro it., Rep. 1979, voce Edilizia popolare ed economica, n.
218; 14 maggio 1977, n. 1922, id., Rep. 1978, voce cit., n. 76; 6
novembre 1975, n. 3721, id., Rep. 1975, voce cit., n. 113; 12 ottobre
1974, n. 2816, id., Rep. 1974, voce cit., n. 50. Nel senso della necessità dell'effettiva presenza del contributo statale
ai fini della cognizione del giudice amministrativo, e sui suoi limiti
temporali, connessi alla stipulazione del mutuo individuale da parte del
socio, v. Cass., sez. un., 21 novembre 1984, n. 5942, id., Mass.,
1171; 9 maggio 1984, n. 2827, ibid., 568; 9 maggio 1984, n. 2828,
ibid., 568; 25 novembre 1982, n. 6370, id., Rep. 1982, voce cit., n. 64;
25 novembre 1982, n. 6373, id., 1983, I, 1291, con nota di richiami.
In dottrina v. Grassani, Rapporti tra contenzioso amministrativo e
giurisdizione ordinaria interna di cooperativa edilizia, in Dir. fallim.,
1976, II, 183 ss., a cui dire criterio discriminatore, ai fini della
giurisdizione, è la presenza, o no, del contributo erariale nell'attuazione
dell'opera, ossia la natura del finanziamento fruito e non la finalità e
la natura dell'ente cooperativa. Sulle forme d'intervento dello Stato ed in particolare sulle agevola
zioni concernenti il finanziamento delle costruzioni v. Roehrssen,
Edilizia popolare ed economica, voce dell'Enciclopedia del diritto,
Milano, 1965, XIV, 333-337.
Il Foro Italiano — 1985.
proprio appartamento, adibendolo, dopo aver aperto un varco di
comunicazione nella « chióstrina condominiale », a cucine e locali
di servizio di un ristorante da lui gestito in un immobile
contiguo, convenne in giudizio Cherubini innanzi al Tribunale di
Roma e ne chiese la condanna al ripristino della predetta destinazione oltre che al risarcimento del danno, da liquidarsi in
separata sede.
Costituitosi, Cherubini rispose che il mutamento di destinazione
era legittimo e successivamente eccepì che l'attore non aveva dato
la prova del suo diritto. Il tribunale rigettò le domande per difetto di prova quanto alla titolarità del diritto di proprietà fatto
valere da Petrucci.
Su appello di quest'ultimo la Corte di Roma accolse, invece, entrambe le domande, cosi motivando: a) quella prova era stata
data dall'attore alla stregua dei documenti prodotti (rogito di
assegnazione dell'appartamento in proprietà a Gioacchino Petruc
ci, dante causa di Renato e socio della cooperativa Cje.c.i. che
aveva costruito l'edificio condominiale; denuncia della successione
di Gioacchino fatta da Renato; dichiarazione di Renato dell'ac
cettazione dell'eredità di Gioacchino, trascritta nei registri immo
biliari; atto di accertamento, redatto dall'ufficio delle imposte, del
trapasso dell'immobile); ti) l'art. 20 del regolamento era stato
effettivamente violato; c) la domanda di condanna al risarcimento
del danno era fondata, avendo i fatti lamentati « potenzialmente
capacità di cagionare pregiudizio patrimoniale all'attore ».
Avverso tale decisione Cherubini propose ricorso per cassazione
sulla base di sette motivi, e in pendenza del giudizio — poi
sospeso — propose anche domanda di revocazione ex art. 395, n. 3, c.p.c., affermando di avere trovato dopo la sentenza
documenti decisivi che non aveva potuto produrre nel giudizio di
appello a causa di forza maggiore. La corte di Roma rigettò la domanda di revocazione ritenendo
che Cherubini non avesse provato l'impedimento alla produzione in giudizio.
Ricorre Cherubini per cassazione anche avverso tale sentenza
sulla base di un unico motivo, sostendo inoltre che, vertendosi in
una fattispecie di controversia fra soci di cooperativa edilizia a
contributo statale, i giudici di merito avrebbero dovuto declinare la giurisdizione a favore della commissione di vigilanza apposi tamente istituita. Petrucci si è costituito e resiste. A causa della
questione di giurisdizione sollevata dal ricorrente i due ricorsi —
previa riunione — sono stati assegnati a queste sezioni unite ex art. 376 c.p.c.
Motivi della decisione. — Va pregiudizialmente esaminata la
questione di giurisdizione. Essa è infondata. A norma dell'art. 131/1, n. 1, r.d. 28 aprile 1938 n. 1165 (che
approva il t.u. delle disposizioni sull'edilizia popolare ed econo
mica) spetta alla commissione di vigilanza per l'edilizia popolare ed economica (istituita presso il ministero dei lavori pubblici col
precedente art. 129 e che ora — ex art. 19/3 d.p.r. 23 maggio 1964 n. 655: norme concernenti la disciplina delle assegnazioni degli alloggi economici e popolari — con la denominazione di commissione centrale di vigilanza è competente in secondo grado — ma solo per determinate materie, tra cui quelle elencate nel n. I dell'art. 131 cit. — avverso le deliberazioni della commissione
regionale di vigilanza istituita quale organo di primo grado) decidere su tutte le controversie attinenti alla prenotazione ed
all'assegnazione degli alloggi, alla posizione e alla qualità di socio od aspirante socio nonché sulle controversie tra socio e socio ovvero tra socio e cooperativa, in quanto riguardino rap porti sociali.
A norma, poi, del 2° comma dello stesso art. 131, contro le decisioni della commissione di vigilanza — ora contro le delibe razioni della commissione centrale di vigilanza, alle quali la
giurisprudenza riconosce natura di atti amministrativi (da ult. sez. un. 9 maggio 1984, n. 2828, Foro it., Mass., 568) — è ammesso soltanto ricorso al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale.
La soluzione della questione di giurisdizione ruota intorno alla circostanza dell'essere o no la cooperativa din oggetto fruente di contributo erariale, dal momento che l'art, cit. è posto nel capo II (vigilanza sulle cooperative a contributo erariale) del titolo VII del t.u. e che la « vigilanza sulle cooperative non fruenti di contributo erariale » è disciplinata diversamente, e ne costituisce
la rubrica, dal precedente capo I.
Poiché si tratterebbe di deroga alla giurisdizione ordinaria, la
circostanza da cui tale deroga discende deve essere approvata dalla parte che l'invoca, e la ricerca di questa prova va fatta di
ufficio dal giudice anche in sede di legittimità. Ora, una prova siffatta non è rinvenibile negli atti, né basterebbe accertare —
come pretende il ricorrente — che la cooperativa costruì l'edifìcio
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