sezione I civile; sentenza 23 febbraio 1985, n. 1616; Pres. Scanzano, Est. Pannella, P.M. Nicita(concl. diff.); Fall. soc. di fatto Bisi e Rebecchi. Regolamento di competenza di ufficioSource: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 5 (MAGGIO 1985), pp. 1313/1314-1315/1316Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23177875 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
successivi al 1° febbraio 1977 — Incomputabilità (D.l. 1°
febbraio 1977 n. 12, norme per l'applicazione dell'indennità di
contingenza, art. 1, 1 bis; 1. 31 marzo 1977 n. 91, conversione
in legge, con modificazioni, del d.l. 1° febbraio 1977 n. 12, art.
unico; 1. 29 maggio 1982 n. 297, disciplina del trattamento di
fine rapporto e norme in materia pensionistica, art. 4, 5).
Gli aumenti di contingenza, successivi al 1° febbraio 1977, non si
computano nella base di calcolo dell'indennità di anzianità, che sia maturata, per cessazione del rapporto di lavoro, ante
riormente alla entrata in vigore della legge istitutiva del tratta
mento di fine rapporto. (1)
Motivi della decisione. — Con il primo motivo la ricorrente
denuncia errata interpretazione, omessa applicazione e violazione, di legge, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, art.
11 e 12 preleggi, art. 1362 ss. c.c., art. lei bis d.l. 1° febbraio
1977 n. 12 e 1. 31 marzo 1977 n. 91, art. 1 ss. 1. 29 maggio 1982
n. 297, art. 2120 e 2121 c.c., art. 26 ali. A r.d. 8 gennaio 1931 n.
148 (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.). Lamenta la ricorrente l'omesso
esame delle disposizioni contrattuali, reso necessario dall'abroga zione -della legge che vieta il calcolo dell'indennità di contingenza
(di. n. 12/77 conv. in 1. n. 91/77) e sostiene l'applicabilità dell'art. 5 1. n. 297/82 in forza del quale l'indennità di anzianità
deve essere calcolata secondo la disciplina vigente all'atto del
l'entrata in vigore della legge e che essa si cumula con il
trattamento di cui all'art. 2120 c.c.
Con il secondo motivo denunzia errata interpretazione, omessa
applicazione e violazione di legge, omessa, insufficiente e contrad
dittoria motivazione, art. 5 1. 29 maggio 1982 n. 297 (art. 360, nn.
3 e 5, c.p.c.) e deduce che, solo disapplicando la suddetta
disposizione, il tribunale ha escluso la computabilità degli scatti
dell'indennità di contingenza maturati dal 1° febbraio 1977 fino al
31 maggio 1981 in aggiunta al trattamento di fine rapporto. Entrambi i motivi, che conviene esaminare insieme perché tra
loro logicamente connessi, sono infondati.
Premesso che la ricorrente fonda il ragionamento logico-giuridi co del suo ricorso sulla ritenuta retroattività della 1. n. 297/82 desumibile dall'abrogazione di precedenti norme sulla cristalliz
zazione della contingenza, non è vano ricordare il principio secondo il quale l'abrogazione agisce ex nunc, valendo anche per la legge che la regola il principio (art. 11 preleggi) secondo cui
« la legge non dispone che per l'avvenire » tenuto conto, ovvia
mente, della sua efficacia nel tempo secondo quanto stabilito
dall'art. 73, 3° comma, Cost.
Non può revocarsi in dubbio, intanto, che la legge in discus
sione ha acquistato efficacia dal 1° giugno 1982 (art. 5) per cui, escluso che la stessa contenga un'esplicita disposizione che regoli i rapporti pregressi, è necessario esaminare se ciò non debba
ricavarsi per implicito dal contenuto della stessa.
Risulta chiara peraltro, in applicazione del surrichiamato prin
cipio di cui all'art. 11 preleggi, l'erroneità dell'affermazione con
tenuta nel ricorso secondo la quale l'avvenuta abrogazione degli art. 1 e 1 bis d.l. 1° febbraio 1977 n. 12 convertita nella 1. 31
marzo 1977 n. 91 (ex art. 4 1. n. 297/82) faccia rivivere il
contratto di categoria relativo al già riconosciuto diritto degli scatti della contingenza.
Né può desumersi dal contenuto della legge alcuna regolamen tazione degli effetti già esauriti vigente la precedente norma. Non
(1) La questione — sulla quale non constano precedenti specifici editi — viene risolta dalla sentenza in epigrafe, muovendo dalla ritenuta irretroattività della legge istitutiva del trattamento di fine
rapporto (1. n. 297/82) sia laddove (art. 4) abroga gli art. 1 e 1 bis d.l. n. 12 conv. in 1. n. 91/77 (in tema di « congelamento » della scala mobile ai fini del calcolo dell'indennità di anzianità), sia laddove (art. 4) detta il regime « transitorio » in tema di reinserimento degli aumenti di contingenza « congelati ».
In tema di « congelamento » della scala mobile, vedi Cass. 19
maggio 1984, n. 3102 ed altre, Foro it., 1984, I, 2490 con nota di richiami.
Sul regime transitorio, in tema di reinserimento dei punti di
contingenza « congelati », vedi, da ultimo, Trib. Bologna 1° febbraio 1984 e altre, ibid., 2307 con nota di richiami.
Sulla costituzionalità del « congelamento » della scala mobile, oltre a
Corte cost. n. 142/80 (id., 1980, I, 2641, con nota di O. Mazzotta, Le norme sulla riduzione del costo del lavoro davanti alla Corte costitu
zionale) invocata dalla sentenza in epigrafe, possono essere ora utilmente richiamate anche le argomentazioni svolte da Corte cost. n.
34/85 (id., 1985, I, 975, con nota di O. Mazzotta, Il neocontrattua lismo alla prova) a sostegno della ritenuta legittimità costituzionale, addirittura, del « taglio » della scala mobile ai fini del calcolo della retribuzione diretta (art. 3 d.l. n. 70 conv. in 1. n. 219/84).
Il Foro Italiano — 1985 — Parte I- 85.
soccorre infatti la tesi del ricorrente la secca espressione resa
dall'art. 4 il quale, essendo limitato all'abrogazione della prece dente disposizione, non lascia spazio ad ipotesi di retroattività; né questa può essere ricavata — al contrario di ciò che è stato
sostenuto nella discussione orale — nel punto in cui vengono fatte salve particolari forme di trattamento in quanto queste sono
espressamente limitate alle indennità « aventi natura e funzioni
diverse » dall'indennità di fine riapporto. D'altro canto emerge dalla lettura della norma suddetta soltan
to la chiara volontà di regolare nella maniera più organica
possibile la indennità suddetta mia nulla più o di diverso. Di ciò
costituisce dimostrazione chiara l'ampliamento dei limiti soggettivi ed oggettivi della indennità di fine rapporto (v. es. 1° comma); la
sostituzione del trattamento di fine rapporto alle indennità per il
personale navigante (1° comma); l'uniformità del trattamento di
fine rapporto attuabile tramite la sostituzione delle norme della
legge in esame a tutte le clausole dei contratti collettivi regolanti la materia del trattamento di fine rapporto; sicché nulla può rinvenirsi dal contenuto dell'intero articolo che lasci trapelare la
volontà di inserirsi nei rapporti pregressi. In sostanza, com'è stato
giustamente osservato dal p.g. in udienza, l'articolo in esame si è
limitato ad indicare le principali fonti normative che hanno
regolato precedentemente l'istituto dell'indennità di anzianità.
La ricorrente richiama per il fine in discussione altresì' l'art. 5
(1. n. 297/82) non a proposito, a parere di questa corte, ben
potendo escludersi l'applicabilità di esso ai rapporti di lavoro già esauriti per la considerazione che, trattandosi di norma dichiara
tamente transitoria, essa può interessare soltanto i rapporti a
cavallo delle due discipline. Dal ooncesso diritto al recupero della indennità di contingenza
già cristallizzata non può ricavarsi alcun elemento utile alla tesi
della ricorrente, posto che il recupero scatta a partire dal 1°
gennaio 1983 e si sviluppa nel tempo sicché non è possibile
pensare ad un'applicazione anticipata mentre l'« aggiunta » di cui
al 3° comma, per la chiara formula della legge (« non ancora
computati »), è riferibile alle situazioni disciplinate « dal comma
precedente » le cui disposizioni, come è stato detto, non riguar dano i rapporti pregressi.
Alla salvaguardia dei diritti quesiti provvede, poi, il 1° comma
dell'articolo in esame stabilendo che per il servizio prestato fino
al 31 maggio 1982 il calcolo dell'ammontare della indennità è
regolato dalle precedenti disposizioni (e quindi anche dalla 1. n.
91/77). La soluzione assunta, è opportuno evidenziarlo, non suggerisce
questioni di aderenza o meno alla Costituzione posto che, com'è
stato già avvertito dalla Corte costituzionale in applicazione evidente del principio della costituzionalità temporanea (sent. 50
luglio 1980, n. 142, id., 1980, I, 2641); « la progressiva esclu
sione dal computo dell'indennità del punto di contingenza, ad un
triennio dall'entrata in vigore della normativa del 1977 che l'ha san
cita, non arreca offesa in misura censurabile da questa corte al
criterio della quantità del lavoro, assunta come durata del rappor to a componente di calcolo del quantum dell'indennità, in tali
sensi garantito dall'art. 36 ».
Il ricorso deve essere perciò respinto. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 23 feb
braio 1985, n. 1616; Pres. Scanzano, Est. Pannella, P.M. Ni
cita (conci, difl.); Fall. soc. di fatto Bisi e Rebecchi. Rego lamento di competenza di ufficio.
Fallimento — Competenza — Fallimento di società con soci
illimitatamente responsabili — Precedente fallimento del socio
esercente autonoma impresa individuale — Disciplina (R.d. 16
marzo 1942 n. 267, disciplina del fallimento, art. 9, 147, 148).
In caso di fallimento del titolare di impresa individuale, che
sia contemporaneamente socio illimitatamente responsabile di
una società di persone, il successivo fallimento della società, dichiarato da altro tribunale, attrae nella competenza di que st'ultimo il fallimento preventivamente aperto, sicché, in forza del principio di unicità delle procedure concorsuali, i proce dimenti fallimentari devono essere concentrati dinanzi al tribu
nale che ha dichiarato il fallimento della società. (1)
(1) La Cassazione si discosta dalla soluzione seguita, appena un anno fa, con la sent. 7 gennaio 1984, n. 102, Foro it., 1984, I, 2458,
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1315 PARTE PRIMA 1316
Svolgimento del processo. — Con sentenza del 9 dicembre 1982
il Tribunale di Ravenna dichiarò il fallimento dà Rebecchi Gino
esercente l'attività commerciale individuale di produzione di ce
ramica artìstica -in Russi alla via Faentina Nord n. 69. Con
successiva sentenza del 21 dicembre 1982 il Tribunale di Mantova
dichiarò il fallimento della società di fatto denominata Bisi
Vincenzo, costituita fra Rebeochi Livio, Gino e Daniele per l'esercizio dell'attività di riparazioni e installazioni di impianti idro-termo-samitarii con sede in Mantova alla via P.F. Calvi n. Ili, nonché d fallimenti di ciascuno dei soci in proprio.
Con ordinanza del 10 febbraio 1983 il Tribunale di Mantova, avendo rilevato interferenze ed inconvenienti fra le due procedu re relative ai due distinti fallimenti riguardanti la persona di
Rebecchi Gino, ha chiesto d'ufficio il regolamento della compe tenza fra i due tribunali quanto alla procedura concorsuale nei
confronti di Rebecchi Gino.
Il p.m. in data 19 ottobre 1983 ha presentato le proprie conclusioni scritte. Non si è costituito nessuno dei due curatori.
Motivi della decisione. — L'orientamento di questa corte di
fronte al problema de quo (sent. 7 gennaio 1984, n. 102, Foro
it., 1984, I, 2458) è stato nel senso che i criteri della « compe
tenza » del giudice del luogo della sede dell'impresa (giudice
naturale) e della « prevenzione » nella dichiarazione di fallimento
relativa all'attività imprenditoriale individuale diversa ed autono
ma rispetto a quella sociale, cui è partecipe il socio già dichiarato
fallito per tale sua distinta attività, vanno considerati prevalenti
su quello dell'« unicità della procedura concorsuale». Conseguen temente le due procedure fallimentari si svolgerebbero presso
oiascuno dei tribunali che hanno rispettivamente dichiarato il
fallimento delle due oggettivamente diverse attività imprenditoriali. Da un'indagine approfondita sul punto non pare possa seguirsi
un tale indirizzo, che trascura l'aspetto più importante del pro
blema che è quello della necessaria unicità (strettamente dipen
dente dal connotato della universalità) della procedura fallimenta
re a carico dello stesso soggetto, indipendentemente dalla eventua
le pluralità e diversa dislocazione delle imprese cui il dissesto sia
riferibile. A questo riguardo va anzitutto sottolineata la necessità
che i fallimenti della società e di ciascuno dei soci si svolgano
presso lo stesso tribunale stanti le evidenti interferenze fra loro:
interferenze le quali comportano che essi abbiano un unico
giudice delegato ed un unico curatore, anche se debbano essere
tenuti distinti i patrimoni di ciascuno di loro e possono essere
nominati più comitati dei creditori.
Tale necessità emerge chiaramente dalla disposizione dell'art.
148 1. fall, e risponde ad un criterio di sana amministrazione e di
con nota di Silvestri, con cui è stata esclusa l'unificazione delle
procedure dinanzi al tribunale che ha dichiarato il fallimento della
società ed è stato ritenuto che qualora il socio sia già stato dichiarato
fallito da un .diverso tribunale, in relazione all'esercizio in altro luogo
di attività imprenditoriale autonoma e distinta rispetto a quella sociale,
la procedura concorsuale a carico della persona fisica è devoluta
unitariamente a detto tribunale, preventivamente adito, senza possibilità di attrazione in quella poi instaurata a carico della società, mentre il
tribunale intervenuto successivamente resta competente solo con riguar do al fallimento della società medesima.
Il contrasto tra le due decisioni è riconducibile al differente modo
di intendere e di impostare i rapporti tra il principio di prevenzione e
il principio di unità delle procedure concorsuali nella definizione dei
conflitti di competenza derivanti dalle interferenze tra fallimenti di
chiarati da tribunali diversi a carico di soggetti che siano soci di
diverse società di persone o che alla qualità di socio cumulino quella di titolare di una impresa individuale, distinta e autonoma da quella sociale. La sentenza riportata ha privilegiato il principio di unitarietà
delle procedure, sacrificando il principio di prevenzione: quest'ultimo è
stato, invece, considerato come regola fondamentale del sistema proces
suale, operante anche in materia fallimentare, da Cass. 7 gennaio
1984, n. 102, cit., che ha altresì' affermato che le disposizioni degli alt.
147 e 148 1. fall, si riferiscono al caso ordinario del socio ancora in
bonis e non prevedono l'ipotesi eccezionale in cui il socio sia stato già dichiarato fallito per avere esercitato in altro luogo una attività
imprenditoriale, diversa da quella sociale, precisando che « in tal caso
si è già radicata legittimamente la competenza nel foro dove è stato dichiarato il primo fallimento e non vi è ragione di sottrarre tale
competenza al giudice naturale del luogo nel quale si è iniziata la
procedura concorsuale e dove esiste il centro dei rapporti attivi e
passivi afferenti all'impresa individuale ». Per ulteriori riferimenti sulla specifica situazione esaminata dalla
decisione in epigrafe cfr. la citata nota di Silvestri a Cass. 102/84 (e 4181/84, id., 1984, I, 2458), cui si rinvia anche per un'analitica disamina dei possibili conflitti di competenza ai quali dà origine la concorrenza di procedure concorsuali a carico di società di persone e dei soci.
Il Foro Italiano — 1985.
giustizia, realizzabile solo quando sia unico l'organo attivo che
abbia la visione completa di tutte le vicende della società e dei
singoli soci e debba tutelare anzitutto le ragioni dei creditori
sociali, il soddisfacimento delle quali incide parimenti tanto sul
patrimonio dell'ente sociale quanto su quello di ciascun socio.
Né l'indicata necessità può dirsi fondatamente superata quando uno dei soci svolga un'attività commerciale in proprio, distinta e
diversa da quelita delia società cui è legato, dal momento che una
tale situazione non è presa in considerazione dalla legge, al fine
di escludere l'attrazione del fallimento del socio alla competenza del tribunale, nel cui circondario ha sede la società. Se, dunque, ài fallimento dichiarato a carico di un soggetto in quanto socio
illimitatamente responsabile non può essere distratto dal tribunale
che dichiara il fallimento della società, il rispetto della competen za dal giudice naturale del luogo, in cui ha sede l'impresa individuale del socio, viene meno di' fronte al principio dell'unici
tà della procedura concorsuale, il quale, peraltro, realizza quello dell'economicità dei processi ed è il solo che consente la necessa
ria unicità dell'attività liquidatoria del patrimonio del socio, destinata al soddisfacimento sia dei creditori individuali di lui
che di creditori-sociali. È evidente poi che il principio dell'unicità
della procedura giova al tribunale nel cui circondario ha sede la
sooietà, perché mentre esso è competente a dichiarare il fallimen
to di quest'ultima e dei suoi soci, nessun titolo dd competenza, riguardo al fallimento sociale, avrebbe il tribunale della sede
dell'impresa individuale di uno dei soci. Giova infine ricordare che già questa corte (sent. 13 gennaio 1978, n. 166, id., 1978, I, 2559) ha avuto occasione di decidere in ordine al regolamento di
competenza fra due tribunali, nei cui rispettivi circondari aveva
no sede principale due oggettivamente distinte imprese commer
ciali, facenti capo ad una stessa persona fisica, ed ha ritenuto che il principio dell'unicità della procedura concorsuale va anteposto ad ogni altro criterio: onde l'attuazione dei due fallimenti in
un'unica procedura presso il tribunale, individuato secondo il criterio della prevenzione nella dichiazione di fallimento.
Nella presente fattispecie il criterio della prevenzione non può essere applicato, non trattandosi di un medesimo imprenditore commerciale, che gestisca contemporaneamente due diverse attivi tà di commercio, ma, come innanzi detto, va seguito il criterio dell'attrazione del fallimento del socio alla competenza del tri bunale del fallimento della società, cui il socio è parteci pe, per la realizzazione dell'unicità della procedura fallimentare.
Va dichiarata, pertanto, la competenza del Tribunale di Manto va in ordine al fallimento di Rebecchi Gino. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 22 feb
braio 1985, n. 1600; Pres. Afeltra, Est. Alibrandi, P.M.
Zema (conci, conf.); Soc. Selenia (Avv. Gorla, Magrone) c.
Caputo (Avv. Russo). Cassa Trib. Roma 30 maggio 1981.
Lavoro (rapporto) — Retribuzione — Divergenza tra contratto
collettivo e contratto individuale — Individuazione del trat tamento più favorevole — Criterio dell'assorbimento (Cod. civ., art. 2077).
Nel caso di divergenza tra contratto collettivo e contratto
individuale la retribuzione spettante al lavoratore deve essere
stabilita, in difetto di pattuizione contraria, in base al criterio
dell'assorbimento, e cioè della individuazione del trattamento
globale più favorevole, e non già in base al cumulo dei minimi
tabellari e dei compensi pattuiti individualmente. (1)
Motivi della decisione. — Con l'unico complesso motivo la società ricorrente lamenta la violazione dell'art. 2077 c.c., in relazione all'art. 360, n. 3, cjp.c. e la insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360, n. 3, c.p.c.).
(1) La sentenza ripete l'orientamento consolidato della giurispruden za di legittimità (oltre i precedenti citati dalla stessa sentenza, vedi Cass. 22 luglio 1983, n. 5062, 25 novembre 1983, n. 7095, 13 marzo 1983, n. 1646, Foro it., Rep. 1983, voce Lavoro (rapporto), nn. 1521-1523).
Sui criteri di soluzione del conflitto tra fonti, in materia di lavoro, cfr., con riferimento al rapporto tra legge e contratto, iP. Cur zio, Autonomia collettiva e art. 19 dello statuto dei lavoratori (nota Cass. 8 settembre 1981, n. 5077), id., 1982, I, 737, spec. 742.
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