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sezione I civile; sentenza 23 marzo 1985, n. 2085; Pres. Scanzano, Est. Cantillo, P. M. Jannelli(concl. conf.); Min. finanze c. Spessa. Cassa Comm. trib. centrale 29 dicembre 1982, n. 6342Source: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 9 (SETTEMBRE 1985), pp. 2271/2272-2275/2276Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23177993 .
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2271 PARTE PRIMA 2272
questo criterio anche per quanto riguarda la decorrenza iniziale
dell'assicurazione dopo la stipula del contratto e il contestuale
pagamento del premio o della rata di premio. Il 2° comma dell'art. 1901 cit. prevede poi che alle scadenze
successive l'assicurazione continua a spiegare i suoi effetti in caso
di mancato pagamento per altri quindici giorni e quindi « resta
sospesa dalle ore ventiquattro del quindicesimo giorno dopo quello della scadenza ».
Stabilisce infine la prima parte dell'ultimo comma del citato
articolo che « nelle ipotesi previste dai due comma precedenti il
contratto è risoluto di diritto se l'assicuratore nel termine di sei
mesi dal giorno in cui il premio o la rata sono scaduti, non
agisce per la riscossione ».
Da tale disciplina legislativa si deduce innanzitutto che il
pagamento tardivo effettuato nei sei mesi dalla scadenza del
premio tanto ad iniziativa spontanea del contraente che a seguito dell'azione dell'assicuratore evita la risoluzione di diritto del
contratto sia nell'ipotesi del 1° comma che in quella del 2°
comma.
Tale pagamento tardivo nell'ipotesi prevista dal 1° comma e
per quanto riguarda l'ipotesi prevista dal 2° comma se è effettua
to oltre i quindicesimo giorno ha anche l'effetto tipico di
riattivare l'assicurazione facendone cessare lo stato di sospensione verificatosi mentre, sempre nell'ipotesi del 2° comma, il pagamen
to, se effettuato entro i quindici giorni dalla scadenza, ha l'efficacia
legale di un pagamento tempestivo in conseguenza della precisa
disposizione legislativa che, derogando specificamente al principio
particolare di essenziale connessione tra puntuale pagamento del
premio e copertura del rischio prescrive l'ultrattiv'ità dell'assicura
zione 'nell'anzidetto limitato periodo di rispetto. Sicché in questa
ipotesi non vi è soluzione di continuità nel rapporto assicurativo
derivante dal contratto. E questa è la sola eccezione che la legge stabilisce rispetto al principio dinanzi indicato curandosi di fissare
nelle ore ventiquattro deli quindicesimo giorno dalla scadenza del
premio l'inizio del periodo di sospensione dell'assicurazione. Da
tale articolazione della disciplina legislativa discende che lo stato
di sospensione dell'assicurazione nell'ipotesi prevista dal 2° com
ma non può cessare che alle ore ventiquattro del giorno del
pagamento come prescritto dalla disposizione contenuta nel 1°
comma la quale integra un precetto normativo di carattere
generale nella specifica materia essendo stato dettato per discipli nare l'applicazione iln concreto del principio fondamentale del
rapporto tra premio e assicurazione di cui, ripetesi, l'unica
eccezione è costituita proprio dal termine di rispetto previsto nel
2" comma.
E peraltro anche a voler ritenere che il momento della
cessazione della sospensione dell'assicurazione nell'ipotesi del 2°
comma non ricada direttamente sulla disciplina dettata nel 1°
comma e che quindi ci si trovi in presenza di una lacuna della
legge, il caso controverso dovrebbe egualmente essere risolto a
termini depart. 12, cpv., disp. sulla legge in generale alla stregua
dell'anzidetta disposizione contenuta nel 1° comma dell'art. 1901
c.c. che regola una fattispecie ontologicamente eguale a quella in
questione secondo quanto più innanizà esposto. Si impone pertanto la cassazione della sentenza impugnata che
non si è adeguata ai principi di diritto suaccennati e ha risolto la
controversia sulla base dell'erronea affermazione che a norma
dell'art. 1901, 2° comma, c.c. lo sitato di sospensione dell'assicura
zione nell'ipotesi di pagamento effettuato oltre il quindicesimo
giorno cessa nel momento in cui è avvenuto il pagamento
■anziché, come avrebbe dovuto ritenersi, alla stregua delle argo
mentazioni che precedono, a partire dalle ore ventiquattro del
giorno del pagamento stesso.
La causa deve conseguentemente essere rinviata per nuovo
esame della controversia ad altro giudice di pari grado che si
designa nel Tribunale di Matera; esso nel decidere si uniformerà
al principio di diritto dianzi enunciato. (Omissis)
È
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 23 marzo
1985, n. 2085; iPres. Scanzano, Est. Cantillo, P. M. Jannelli
(conci, conf.); Min. finanze c. Spessa. Cassa Comm. trib.
centrale 29 dicembre 1982, n. 6342.
Tributi in genere — Commissione tributaria centrale — Poteri
— Provvedimenti relativi alla spettanza di agevolazioni fiscali
— Carenza di motivazione — Dichiarazione di nullità (D.p.r.
26 ottobre 1972 n. 636, revisione della disciplina del conten
zioso tributario, art. 21).
Il Foro Italiano — 1985.
Fabbricati (imposta sul reddito dei) — Agevolazione — Provve
dimento di diniego per violazione delle norme urbanistiche —
Motivazione — Contenuto (L. 6 agosto 1967 n. 765, modifiche
ed integrazioni alla legge urbanistica 17 agosto 1942 n. 1150, art. 15).
La Commissione tributaria centrale che accerti la carenza di
motivazione dell'atto dell'amministrazione finanziaria (nella spe cie, rigetto della domanda di esenzione venticinquennale dal
l'imposta sul reddito dei fabbricati per violazione delle norme
urbanistiche) deve limitarsi ad annullarlo senza poter procedere ad una nuova valutazione del merito. (1)
Il provvedimento con cui si rigetta la domanda di esenzione
venticiquennale dall'imposta sul reddito dei fabbricati per viola
zione delle norme urbanistiche è sufficientemente motivato at
traverso l'indicazione dell'accertamento amministrativo che ha
dato luogo alla comunicazione del comune e delle norme di
legge che prevedono la perdita automatica del beneficio fisca le. (2)
Svolgimento del processo. — La domanda di Irene Spessa, diretta ad ottenere l'esenzione venticinquennale dall'imposta sul reddito di un suo fabbricato in Loano, con provvedimento del 5 novembre 1976 veniva respinta dall'ufficio distrettuale di Albenga per il motivo che l'immobile era stato costruito in violazione delle norme edilizie di cui all'art. 15 1. 6 agosto 1967 n. 765.
La commissione tributaria di I grado di Savona annullava il
provvedimento, ritenendolo viziato per difetto di motivazione; e la pronunzia veniva confermata dalla commissione di II grado e, con la decisione ora denunziata del 29 dicembre 1982, dalla Commissione tributaria centrale.
Premesso che l'art. 15 1. n. 765/67, richiamato nell'atto del
l'ufficio, elenca specificamente le violazioni che, per i fabbricati realizzati in contrasto con la concessione edilizia, comportano la
perdita delle agevolazioni fiscali1, la Commissione centrate ha osservato che la semplice citazione della norma non è sufficiente a rendere noto al contribuente il motivo che, fra quelli astrattamente
previsti, è stato ritenuto in concreto determinante per la decaden za dalle agevolazioni).
Né il difetto di motivazione si può superare iponendo in
relazione il provvedimento fiscale con gli atti di accertamento
della Violazione compiuti dall'autorità locale noti al contribuente e
comunicati — come prescrive lo stesso art. 15 cit. — all'intenden
te di finanza. Infatti, l'obbligo di precisare le violazioni accertate
e assurte a fondamento della sanzione non adempie soltanto alla
funzione di individuare la violazione considerata dall'ufficio, ma
anche di porre il contribuente nella condizione di1 stabilire se la
.violazione medesima sia o non sia oonfigurabile come causa di
decadenza dal beneficio. Nella specie, invece, .il provvedimento era
del tutto privo di motivazione, non richiamando neppure gli atti di
accertamento compiuti dal comune competente e perciò non
consentiva in alcun modo alla contribuente di individuare la
violazione accertata e canseguenziahnente di svolgere un'adeguata difesa.
(1) La Cassazione conferma il proprio orientamento circa i poteri dei giudici tributari in riferimento alle ipotesi di difetto di motivazione
degli atti dell'amministrazione finanziaria: v., da ultimo su questo particolare aspetto, Cass. 30 luglio 1984, n. 4541 e 9 agosto 1983, n.
5325, Foro it., 1985, I, 1774, con nota di richiami.
(2) Nello stesso senso v. Comm. trib. centrale 13 luglio 1983, n.
2051, Foro it., Rep. 1983, voce Registro, n. 291, che ha ritenuto
adeguatamente motivato il diniego delle agevolazioni ex art. 15 legge ponte attraverso il richiamo al verbale di contravvenzione dei vigili comunali da cui emergevano tanto le condotte tenute dal contribuente
quanto le violazioni della legge urbanistica; Comm. trib. centrale 3 marzo 1983, n. 279, ibid., voce Tributi in genere, n. 576, secondo la quale sono sufficienti, per motivare il provvedimento, di
diniego, « espliciti riferimenti agli accertamenti dell'ufficio tecnico
erariale, dai quali risultino le rilevate infrazioni rispetto alla licenza edilizia »; nella stessa logica si pone Cass. 3 novembre 1983, n. 6478, ibid., voce Registro, n. 290, a cui dire non sussistono i pre supposti per pronunciare la decadenza dai benefici fiscali ove la
segnalazione del comune risulti generica e carente di specifiche indica zioni circa gli elementi di fatto collegati alla commissione dell'illecito.
In generale, sulla specificità delle indicazioni che sorreggono il
provvedimento di diniego delle agevolazioni v. Comm. trib. centrale 8
luglio 1983, n. 1935, ibid., voce Tributi in genere, n. 571; 14 marzo
1983, n. 285, ibid., n. 575; 14 maggio 1982, nn. 4224 e 4216, ibid., voce Registro, nn. 301, 302; 14 maggio 1982, n. 4236, ibid., voce Fabbricati (imposta sul reddito dei), n. 13; 12 maggio 1982, nn. 4092 e 4080, ibid., nn. 10, 17; 23 maggio 1980, n. 6180, id., Rep. 1981, voce Cit., n. 17; Comm. trib. I grado Savona 25 ottobre 1977, id., Rep. 1978, voce cit., n. 8.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Avverso la decisione l'amministrazione ha proposto ricorso (in base a due motivi), il quale, essendo stato depositato due volte, ha dato luogo ad altrettanti procedimenti formalmente distinti (n.
139/84 e 1487/84). La controparte non ha presentato difese.
Motivi della decisione. — (Omissis). 3. - Con il primo motivo
di ricorso, denunziando la violazione dei principi relativi all'ogget to del processo tributario, l'amministrazione sostiene che la Com
missione centrale, una volta accertato — peraltro erroneamente
(per te ragioni di cui al secondo mezzo) — di difetto di
motivazione del provvedimento di diniego del beneficio fiscale, non poteva limitarsi a dichiararne la nullità, ma, non trattandosi
di una giurisdizione di mero annullamento, avrebbe dovuto pren dere in esame direttamente il rapporto e statuire sulla spettanza, o
meno, del beneficio medesimo.
La censura è infondata. Si deve convenire sulla premessa da
cu! essa muove, cioè che il giudizio innanzi alte commissioni
tributarie, sebbene -costruito come processo di impugnazione di
atti dell'amministrazione finanziaria, non è circoscritto ala verifica
(formale) della legittimità degli stessi e si estende, invece, al riesame del merito del rapporto d'imposta, in quanto il giudice deve direttamente accertare, nei limiti della contestazione, i
presupposti materiali e giuridici della pretesa dell'amministrazione, assunti a fondamento del provvedimento impugnato. Ed è altresì vero che, in considerazione di siffatta estensione dell'attività
conoscitiva di merito, questa corte ha più volte affermato, sul
(diverso) piano dell'oggetto del processo e della potestà decisoria, che non si tratta di un giudizio di impugnazione-annullamento, bensì di accertamento dell'obbligazione tributaria, ancorché svolto
per il tramite dell'impugnazione di specifici atti dell'amministra
zione (cfr. sez. un. n. 1471 del 1980, Foro it., Rep. 1980, voce Riscossione delle imposte, n. 113; n. 4507 del 1978, id., Rep.
1978, voce Tributi in genere, n. 439, e n. 942 del 1977, id., 1977,
I, 811, nonché, fra te più significative di questa stessa sezione, le
sent. n. 1471 del 1980 e n. 2407 del 1982, id., 1982, I, 2241). Senonché — a parte il rilievo che l'attuate validità dell'indi
rizzo deve essere controllata alla stregua delle incisive modifica
zioni introdotte nella disciplina del contenzioso con il d.p.r. 21
novembre 1981 n. 739, che sembra non consentire dubbio in
ordine all'attribuzione al giudice tributario del potere di annullare
il provvedimento impugnato per vizi inerenti alla sua legittimità formale — anche rimanendo nell'ottica del giudizio di impugna
zione-merito, per cui gli stiessi sono normalmente irrilevanti al
fine dell'accertamento dell'obbligazione d'imposta, occorre ammet
tere che la pronunzia deve necessariamente arrestarsi all'annulla
mento dell'atto impugnato se i vizi formali che lo inficiano
inoidono sulla sostanza del rapporto precludendo l'indagine sul
merito dello stesso, come nei casi di incompetenza assoluta
dell'organo o di mancanza di motivazione.
In particolare, con riferimento a quest'ultima ipotesi, che ora
interessa, la tutela giurisdizionale non può che consistere nell'inva
lidazione del provvedimento quando la carenza di motivazione sia
tate da non consentire l'identificazione degli elementi materiali e
giuridici cui è correlata la pretesa tributaria e, di conseguenza, il
controllo degli stessi da parte del contribuente e il loro accerta
mento ad opera del giudice tributario; il quale ai fini del riesame
di merito dispone di un ampio potere di indagine istruttoria (che non ha riscontro nel giudizio di accertamento di rapporti innanzi
al giudice ordinario), ma non può, ovviamente, sostituirsi ail'am
rrtónistrazione nella ricerca dei presupposti del rapporto d'imposta. In questi sensi la fattispecie s'i trova ora espressamente discipli
nata dall'art. 21 d.p.r. n. 636/72, nel testo dettato con la riforma
suddetta, il quale, mentre dispone in via generate che il giudice, nel caso rilevi « un vizio di incompetenza o che comunque non
attiene all'esistenza o all'ammontare del credito tributario », deve
sospendere il giudizio ed assegnare un termine all'amministrazione
per rinnovare l'atto viziato, esclude che possa « provvedersi a
rinnovazione... quando il vizio consista nel difetto di motiva
zione »; la quale disposizione comporta che l'esistenza del vizio
dà luogo necessariamente all'annullamento dell'atto, senza alcuna
possibilità di un accertamento giurisdizionale di merito (ciò che
conferma la natura non sostitutiva del giudizio speciale tributa
rio). Pertanto, sul piano della tipologia delle decisioni, va detto che
anche in base alla disciplina anteriore alla legge del 1981 il
giudice tributario aveva il potare di emettere pronunzie limitate
all'invalidazione dell'atto impositivo carente di motivazione; e ciò
è sufficiente a respingere la censura in esame, risultando la
questione circoscritta all'oggetto del secondo mezzo, che impone di controllare la decisione di annullamento sotto il profilo della
logicità e correttezza delle ragioni in base alle quali il provvedi mento è stato ritenuto non congruamente motivato.
Il Foro Italiano — 1985 — Parte I-146.
Giova avvertire, pot, che nella presente controversia, insorta
prima dell'entrata in vigore del cit. d.p.r. n. 739/81, non viene
in rilievo il delicato problema — che avrebbe carattere pregiudi ziale — circa l'ammissibilità dell'impugnazione dèi provvedimenti
(come quello in esame) relativi alla spettanza di agevolazioni
fisoali, in quanto non compresi nell'elenco degli atti contro i
quali, ai sensi dell'art. 16 d.p.r. n. 636/72, è possibile proporre -ricorso. Invero, l'elenco medesimo, modificato con l'aggiunta di
altri provvedimenti tipici, è stato reso tassativo soltanto con la
novella, in quanto 51 nuovo testo dell'art. 16 espressamente stabilisce che non possono essere autonomamente impugnati gli atti diversi da quelli ivi indicati, mentre in passato, in assenza di
un analogo disposto, l'indicazione degli atti doveva ritenersi
esemplificativa; la passibilità di ricorrere direttamente contro i
provvedimenti to materia di agevolazioni veniva, quindi, general mente riconosciuta (e nella specie non è stata contestata dall'am
ministrazione).
2. - Con il secondo motivo, denunziando la violazione dell'art. 15 1. m. 765/67 e vizi della motivazione, la ricorrente sostiene che
erroneamente la decisione impugnata ha ritenuto sussistere il vfeio
suddetto, laddove il provvedimento di diniego delle agevolazioni in questione, .meramente conseguenziale alla segnalazione del
comune riguardante una delle violazioni edilizie cui la norma
ricollega la sanzione fiscale, deve ritenersi sufficientemente motiva
to attraverso il riferimento alila segnalazione medesima ed alla
disposizione di legge. La censura è fondata.
Altre volte questa corte ha avvertito che l'obbligo di motivare
gli atti tributari si atteggia diversamente a seconda della natura e
funzione tìhe essi hanno in base alle norme loro proprie, giacché, accanto ad atti che costituiscono espressione di una funzione di
prelievo articolata e complessa, e assumono, quindi, una veste formale e un contenuto precisamente regolato dalla legge (ad es., l'avviso di accertameinto, nelle imposte dirette come quelite indiret
te), ve ne sono altri in cui la funzione viene esercitata in forme estremamente semplici e contratte, risolvendosi talvolta nella mera
imposizione di una determinata disciplina. È in relazione al
contenuto tipico e all'oggetto del singolo atto, quindi, che deve essere verificata in concreto l'osservanza dell'obbligo, nel senso
che questo deve ritenersi adempiuto allorché la motivazione, ancorché sommaria e semplificata, sia tate da esternare le ragioni del provvedimento, evidenziandone i momenti ricognitivi e logi co-deduttivi, e consentendo di conseguenza al destinatario di svol
gere efficacemente la propria difesa attraverso la tempestiva e
motivata impugnazione giurisdizionale dell'atto medesimo.
Ora, per le opere realizzate in contrasto con la concessione
edilizia, l'art. 15 1. 6 agosto 1967 n. 765 prevede — quale ulteriore sanzione dell'illecito edilizio — l'esclusione de iure delle
vigenti agevolazioni fiscali nel caso che te difformità riguardino violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta, te
quali eccedano, per ogni singola unità immobiliare, il due per cento delie misure prescritte; e all'uopo il comune è obbligato a
segnalare entro un certo termine siffatte violazioni all'amministra zione finanziaria, la quale, non essendo normativamente previsti specifici atti al riguardo, applica la sanzione attraverso un prov vedimento o di diniego del beneficio non ancora concesso o di revoca (o decadenza) di quello già concesso.
Si tratta, quindi di un atto rigidamente vincolato, rispetto al
quale l'amministrazione non ha alcun margine di apprezzamento discrezionafe, in quanto è obbligata ad emetterlo in base ai risultati dell'accertamento compiuto dall'autorità locale cui spetta la vigilanza in materia edilizia; e di tale accertamento l'autore dell'illecito riceve formate notizia già attraverso -la notifica della diffida del sindaco, che costituisce il primo atto del procedimento repressivo dell'abuso edilizio.
Il provvedimento in oggetto deve ritenersi, quindi sufficiente mente motivato attraverso l'indicazione dell'accertamento ammi nistrativo che ha dato luogo alla comunicazione comunale e della norma di legge che prevede la perdita automatica del beneficio
fiscale, giacché in tal modo risultano enunciati in modo intellegi bile al destinatario i presupposti di fatto e di diritto dell'atto, cioè sia l'esistenza della violazione e sia l'appartenenza della stessa al novero di quelle che, ai sensi .dell'art. 15 cit., comportano la sanzione fiscale; né ha rilievo che si tratti di una motivazione
per relationem, la quate è sicuramente ammissibile sempre che l'atto al quale si fa rinvio sia idoneo a mettere il contribuente nella condizione di conoscere esattamente le ragioni che sorreggo no il provvedimento (in relazione ad una fattispecie uguale a
quella in esame è stato appunto affermato che sussiste difetto di motivazione quando neppure dalle ordinanze comunali risulti
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2275 PARTE PRIMA 2276
contestata specificamente una delle violazioni di cui all'art. 15 cit., V. sent, .ti. 6478 del 1983, id., Rep. 1983, voce Registro, n. 290).
Nel caso io esame, il provvedimento di diniego dell'esenzione
venticinquennale conteneva, come risulta dalla decisione impugnata, entrambe le indicazioni suddette; e risulta del tutto immotivata
l'affermazione che il riferimento alla violazione contestata dal
comune non fosse idonea ad individuare le ragioni della sanzione, laddove il contribuente si era difeso anche nel merito, contestando
l'entità della violazione e sostenendo, fra l'altro, che ffl riferimento
della norma alla « singola unità immobiliare » introduce un limite
alla fattispecie sanzionatola, che la rendeva in concreto inappli cabile.
Pertanto la decisione impugnata deve essere cassata con Avvio
alla stessa Commissione tributaria centrale, la quale procederà a
nuovo esame della controversia alla stregua ddi principi di diritto
e dei rilievi sopra svolti, tenendo altresì presente che l'accerta
mento della spettanza del diritto alle agevolazioni fiscali dà luogo ad una questione di fatto non inerente a valutazione estimativa e
perciò rientra nella cognizione della commissione medesima. (O
missis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 20 marzo
1985, n. 2037; Pres. Vela, Est. Beneforti, P. M. Morozzo
della Rocca (conci, diff.); Banca eli Andria (Aw. Hernandez,
Biagetti) c. Rotondo (Avv. Stefanelli). Conferma Trib. Brin
disi 28 giugno 1980.
Sentenza, ordinanza, decreto in materia civile — Sentenza di
condanna generica — Efficacia nel successivo giudizio di liqui dazione — Fattispecie (Cod. proc. civ., art. 278, 323, 357).
La sentenza di condanna generica ha efficacia nel successivo e
autonomo giudizio di liquidazione del quantum anche se non è
passata in giudicato (nella specie, il giudice ha provveduto alla
liquidazione nonostante la pendenza del ricorso per cassazione
avverso la sentenza di condanna generica). (1)
Svolgimento del processo. — Con sentenza - non definitiva iti
data del 12 aprile 1977 il Pretore di Fasano in parziale accogli mento della domanda proposta da Antonio Natile, dipendente della Banca di Andria Sjp.a., dichiarava spettargli, con decorrenza
dal 1° marzo 1971, la qualifica di vice capo ufficio (e non quella di funzionario o capo ufficio da lui richiesta in via principale) e
condannava pertanto la datrice di lavoro alla esecuzione degli incombenti necessari par il di lui inquadramento in tale qualifica e grado.
Istruita la causa sul quantum, con sentenza definitiva in data
20 gennaio 1978-17 febbraio 1978 lo stesso pretore condannava la
banca a pagare al Natile la somma di lire 2.195.394.
Il Tribunale di Brindisi, investito dell'appello principale propo sto dallo stesso Natile e dell'appello incidentale della Banca di
Andria con sentenza in data 2 giugno-24 agosto 1978, in parziale accoglimento del primo, dichiarava spettare al dipendente la
(1) Un'identica questione era stata affrontata da Pret. Milano 20 marzo 1981, Foro it., 1981, I, 2326, con nota di richiami, risolta nello stesso senso di cui alla sentenza in epigrafe; nel senso che per il giudizio di liquidazione non sia necessario attendere il passaggio in giudicato della sentenza di condanna generica v. Cass. 17 marzo 1981, n. 1537, id., Rep. 1981, voce Sentenza civile, n. 35.
La sentenza in epigrafe ha risolto il problema dell'efficacia della sentenza di condanna generica, soggetta al impugnazione ordinaria, nel giudizio di liquidazione, facendo leva sul disposto dell'art. 337, 2° comma, c.p.c.: v. Cass. 15 maggio 1971, n. 1437, id., Rep. 1971, voce Impugnazioni civili, n. 136, secondo cui gli effetti dichiarativi o costitutivi della sentenza soggetta ad impugnazione ed invocata in altro processo, devono essere pregiudiziali all'oggetto del processo nel quale si fanno valere; ed anche Cass. 17 maggio 1962, n. 1123, id., Rep. 1962, voce Giudizio (rapporto), n. 25.
In dottrina conf., da ultimo, Liebman, Sentenza e cosa giudicata: recenti polemiche, in Riv. dir. proc., 1980, 7 ss.; Andrioli, Diritto processuale civile, Napoli, 1979, 987 ss.; nonché Montesano, La
sospensione per dipendenza di cause civili e l'efficacia dell'accertamen to contenuto nella sentenza, in Riv. dir. proc., 1983, 385 ss., a cui avviso nell'ipotesi risolta dalla sentenza in epigrafe dovrebbe applicarsi l'art. 295 e non l'art. 337, 2° comma, c.p.c.; e Cipriani, Le sospensioni del processo civile per pregìudizialità, id., 1984, 240 ss., 292 ss., a cui avviso l'art. 337, 2° comma, c.p.c. — col riferirsi alla « autorità » e non alla « efficacia » della sentenza — si applicherebbe solo in ipotesi di sentenza passata in giudicato impugnata tramite impugnazione straordinaria.
Il Foro Italiano — 1985.
qualifica di capo ufficio con decorrenza dal 20 giugno 1971 e
condannava la banca all'esecuzione degli incombenti necessari per il di lui ini quadramente in detta qualifica e grado nonché al
pagamento di tutte le competenze relative, con la rivalutazione
monetaria e gli interessi legali, senza, peraltro, provvedere sul
quantum. Pendendo giudizio di cassazione contro tale sentenza (impugnata
da entrambe le parti) il Natile, dopo avere infruttuosamente
intimato alla Banca di Andria precetto per l'esecuzione delle
obbligazioni nascenti dalla stessa sentenza, adiva nuovamente il
Pretore di Fasano per la liquidazione delle maggiori sue spettanze e la conseguenziale condanna della debitrice al pagamento.
Il pretore, espletata consulenza tecnica contabile, con sentenza in data 16 novembre-21 dicembre 1979, disattesa la pregiudiziale eccezione di imprevedibilità della domanda che era stata sollevata dalla convenuta sul rilievo che essa traeva titolo da una semplice declaratoria iuris ancora sub iudice, condannava la società conve nuta a pagare al dipendente la somma di lire 11.194.750 oltre alle
spese di causa.
Il Tribunale di Brindisi con sentenza in data del 25 maggio-28
giugno 1980 respingeva l'appello della Banca di Andria che aveva
riproposto la tesi, già disattesa dal primo giudice, secondo cui la
sentenza del tribunale, risolvendosi in una semplice pronuncia di
condanna generica non ancora passata in giudicato, non poteva costituire fondamento alla chiesta pronuncia di liquidazione del
quantum, essendo irrilevante a questo fine che essa avesse il carattere deM'esecutrietà.
Richiamato il principio secondo cui ad integrare una pronuncia di condanna è sufficiente .il semplice accertamento di un fatto
potenzialmente lesivo e della probabile sussistenza di un danno, restando impregiudicata ogni questione relativa alla concreta ricor renza di un danno risarcibile, il giudice d'appello riteneva che una corretta interpretazione del dispositivo della precedente sen tenza resa nella specie dallo stesso tribunale portasse ad eviden ziare la coesistenza in essa sia della declaratoria iuris relativa all'accertata superiore qualifica di capo ufficio ed al conseguenzia le diritto del dipendente di percepire te eventuali differenze
retributive, sia della pronuncia di condanna specifica ad inquadra re lo stesso dipendente in tate qualifica con la decorrenza stabilita
ed a corrispondergli le competenze relative, con rivalutazione
monetaria ed interessi legali.
La condanna al pagamento delle differenze retributive postula va, secondo il tribunale, un concreto, anche se non necessario, accertamento del diritto mentre la quantificazione del credito, rimessa alla successiva fase della liquidazione, era resa agevole dalle esistenze delle tariffe salariali e degli indici ISTAT. Trattava
si, dunque, di pronuncia di condanna specifica ed esecutiva ex
lege, avente ad oggetto il pagamento di spettanze per differenze
retributive, svalutazione monetaria ed interessi legali, che erano
oramai certe, liquide ed esigibili, ragion per cui al giudice della
liquidazione era sottratto il patere di riesaminare il fatto costituti
vo del diritto già accertato.
L'esecutorietà della pronuncia, da non confondersi con la
possibilità di procedere immediatamente ad esecuzione forzata, in effetti esclusa nella specie dalla mancata quantificazione del
credito, spiegava efficacia nel senso di legittimare il lavoratore al
giudizio di liquidazione, pur in pendenza del ricorso per cassazio ne.
Contro tate decisione la s.p.a. Banca di Andria ha proposto ricorso, fondato su un unico complesso motivo, cui resistono con
controricorso, seguito da memoria illustrativa, gli eredi dell'intima
to Antonio Natile, deceduto dopo la notificazione dell'atto intro duttivo del presente giudizio.
Motivi della decisione. — La ricorrente denuncia violazione e
falsa applicazione dei principi ohe regolano la condanna generica, con riferimento anche agli art. 278 e 337 c.p.c., nonché contrad
dittorietà della motivazione (art. 360, 1° comma, nn. 3 e 5, dello stesso c.p.c.), lamentando, in primo luogo, che il giudice
d'appello abbia attribuito la portata di una condanna specifica alla sentenza dallo stesso giudice già resa in precedente giudizio inter partes e con cui si dichiarava il diritto di Antonio Natile
alla qualifica di capo ufficio, con decorrenza dal 20 giugno 1971, e
si condannava la datrice di lavoro Banca di Andria s.p.a. all'esecuzione degli incombenti necessari al nuovo inquadramento nonché al pagamento delle competenze relative, con rivalutazione monetaria ed interessi legali, erroneamente desumendo tale portata non già dalla intrinseca natura della pronuncia e dai suoi effetti
immediati, bensì dalle modalità processuali attraverso te quali ad
essa si era pervenuti e che, a suo dire, non potevano incidere
sulla qualificazione della sentenza, trattandosi di atti e fatti
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