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sezione I civile; sentenza 23 marzo 1985, n. 2085; Pres. Scanzano, Est. Cantillo, P. M. Jannelli...

Date post: 31-Jan-2017
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sezione I civile; sentenza 23 marzo 1985, n. 2085; Pres. Scanzano, Est. Cantillo, P. M. Jannelli (concl. conf.); Min. finanze c. Spessa. Cassa Comm. trib. centrale 29 dicembre 1982, n. 6342 Source: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 9 (SETTEMBRE 1985), pp. 2271/2272-2275/2276 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23177993 . Accessed: 28/06/2014 12:45 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.223.28.163 on Sat, 28 Jun 2014 12:45:35 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: sezione I civile; sentenza 23 marzo 1985, n. 2085; Pres. Scanzano, Est. Cantillo, P. M. Jannelli (concl. conf.); Min. finanze c. Spessa. Cassa Comm. trib. centrale 29 dicembre 1982,

sezione I civile; sentenza 23 marzo 1985, n. 2085; Pres. Scanzano, Est. Cantillo, P. M. Jannelli(concl. conf.); Min. finanze c. Spessa. Cassa Comm. trib. centrale 29 dicembre 1982, n. 6342Source: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 9 (SETTEMBRE 1985), pp. 2271/2272-2275/2276Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23177993 .

Accessed: 28/06/2014 12:45

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2271 PARTE PRIMA 2272

questo criterio anche per quanto riguarda la decorrenza iniziale

dell'assicurazione dopo la stipula del contratto e il contestuale

pagamento del premio o della rata di premio. Il 2° comma dell'art. 1901 cit. prevede poi che alle scadenze

successive l'assicurazione continua a spiegare i suoi effetti in caso

di mancato pagamento per altri quindici giorni e quindi « resta

sospesa dalle ore ventiquattro del quindicesimo giorno dopo quello della scadenza ».

Stabilisce infine la prima parte dell'ultimo comma del citato

articolo che « nelle ipotesi previste dai due comma precedenti il

contratto è risoluto di diritto se l'assicuratore nel termine di sei

mesi dal giorno in cui il premio o la rata sono scaduti, non

agisce per la riscossione ».

Da tale disciplina legislativa si deduce innanzitutto che il

pagamento tardivo effettuato nei sei mesi dalla scadenza del

premio tanto ad iniziativa spontanea del contraente che a seguito dell'azione dell'assicuratore evita la risoluzione di diritto del

contratto sia nell'ipotesi del 1° comma che in quella del 2°

comma.

Tale pagamento tardivo nell'ipotesi prevista dal 1° comma e

per quanto riguarda l'ipotesi prevista dal 2° comma se è effettua

to oltre i quindicesimo giorno ha anche l'effetto tipico di

riattivare l'assicurazione facendone cessare lo stato di sospensione verificatosi mentre, sempre nell'ipotesi del 2° comma, il pagamen

to, se effettuato entro i quindici giorni dalla scadenza, ha l'efficacia

legale di un pagamento tempestivo in conseguenza della precisa

disposizione legislativa che, derogando specificamente al principio

particolare di essenziale connessione tra puntuale pagamento del

premio e copertura del rischio prescrive l'ultrattiv'ità dell'assicura

zione 'nell'anzidetto limitato periodo di rispetto. Sicché in questa

ipotesi non vi è soluzione di continuità nel rapporto assicurativo

derivante dal contratto. E questa è la sola eccezione che la legge stabilisce rispetto al principio dinanzi indicato curandosi di fissare

nelle ore ventiquattro deli quindicesimo giorno dalla scadenza del

premio l'inizio del periodo di sospensione dell'assicurazione. Da

tale articolazione della disciplina legislativa discende che lo stato

di sospensione dell'assicurazione nell'ipotesi prevista dal 2° com

ma non può cessare che alle ore ventiquattro del giorno del

pagamento come prescritto dalla disposizione contenuta nel 1°

comma la quale integra un precetto normativo di carattere

generale nella specifica materia essendo stato dettato per discipli nare l'applicazione iln concreto del principio fondamentale del

rapporto tra premio e assicurazione di cui, ripetesi, l'unica

eccezione è costituita proprio dal termine di rispetto previsto nel

2" comma.

E peraltro anche a voler ritenere che il momento della

cessazione della sospensione dell'assicurazione nell'ipotesi del 2°

comma non ricada direttamente sulla disciplina dettata nel 1°

comma e che quindi ci si trovi in presenza di una lacuna della

legge, il caso controverso dovrebbe egualmente essere risolto a

termini depart. 12, cpv., disp. sulla legge in generale alla stregua

dell'anzidetta disposizione contenuta nel 1° comma dell'art. 1901

c.c. che regola una fattispecie ontologicamente eguale a quella in

questione secondo quanto più innanizà esposto. Si impone pertanto la cassazione della sentenza impugnata che

non si è adeguata ai principi di diritto suaccennati e ha risolto la

controversia sulla base dell'erronea affermazione che a norma

dell'art. 1901, 2° comma, c.c. lo sitato di sospensione dell'assicura

zione nell'ipotesi di pagamento effettuato oltre il quindicesimo

giorno cessa nel momento in cui è avvenuto il pagamento

■anziché, come avrebbe dovuto ritenersi, alla stregua delle argo

mentazioni che precedono, a partire dalle ore ventiquattro del

giorno del pagamento stesso.

La causa deve conseguentemente essere rinviata per nuovo

esame della controversia ad altro giudice di pari grado che si

designa nel Tribunale di Matera; esso nel decidere si uniformerà

al principio di diritto dianzi enunciato. (Omissis)

È

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 23 marzo

1985, n. 2085; iPres. Scanzano, Est. Cantillo, P. M. Jannelli

(conci, conf.); Min. finanze c. Spessa. Cassa Comm. trib.

centrale 29 dicembre 1982, n. 6342.

Tributi in genere — Commissione tributaria centrale — Poteri

— Provvedimenti relativi alla spettanza di agevolazioni fiscali

— Carenza di motivazione — Dichiarazione di nullità (D.p.r.

26 ottobre 1972 n. 636, revisione della disciplina del conten

zioso tributario, art. 21).

Il Foro Italiano — 1985.

Fabbricati (imposta sul reddito dei) — Agevolazione — Provve

dimento di diniego per violazione delle norme urbanistiche —

Motivazione — Contenuto (L. 6 agosto 1967 n. 765, modifiche

ed integrazioni alla legge urbanistica 17 agosto 1942 n. 1150, art. 15).

La Commissione tributaria centrale che accerti la carenza di

motivazione dell'atto dell'amministrazione finanziaria (nella spe cie, rigetto della domanda di esenzione venticinquennale dal

l'imposta sul reddito dei fabbricati per violazione delle norme

urbanistiche) deve limitarsi ad annullarlo senza poter procedere ad una nuova valutazione del merito. (1)

Il provvedimento con cui si rigetta la domanda di esenzione

venticiquennale dall'imposta sul reddito dei fabbricati per viola

zione delle norme urbanistiche è sufficientemente motivato at

traverso l'indicazione dell'accertamento amministrativo che ha

dato luogo alla comunicazione del comune e delle norme di

legge che prevedono la perdita automatica del beneficio fisca le. (2)

Svolgimento del processo. — La domanda di Irene Spessa, diretta ad ottenere l'esenzione venticinquennale dall'imposta sul reddito di un suo fabbricato in Loano, con provvedimento del 5 novembre 1976 veniva respinta dall'ufficio distrettuale di Albenga per il motivo che l'immobile era stato costruito in violazione delle norme edilizie di cui all'art. 15 1. 6 agosto 1967 n. 765.

La commissione tributaria di I grado di Savona annullava il

provvedimento, ritenendolo viziato per difetto di motivazione; e la pronunzia veniva confermata dalla commissione di II grado e, con la decisione ora denunziata del 29 dicembre 1982, dalla Commissione tributaria centrale.

Premesso che l'art. 15 1. n. 765/67, richiamato nell'atto del

l'ufficio, elenca specificamente le violazioni che, per i fabbricati realizzati in contrasto con la concessione edilizia, comportano la

perdita delle agevolazioni fiscali1, la Commissione centrate ha osservato che la semplice citazione della norma non è sufficiente a rendere noto al contribuente il motivo che, fra quelli astrattamente

previsti, è stato ritenuto in concreto determinante per la decaden za dalle agevolazioni).

Né il difetto di motivazione si può superare iponendo in

relazione il provvedimento fiscale con gli atti di accertamento

della Violazione compiuti dall'autorità locale noti al contribuente e

comunicati — come prescrive lo stesso art. 15 cit. — all'intenden

te di finanza. Infatti, l'obbligo di precisare le violazioni accertate

e assurte a fondamento della sanzione non adempie soltanto alla

funzione di individuare la violazione considerata dall'ufficio, ma

anche di porre il contribuente nella condizione di1 stabilire se la

.violazione medesima sia o non sia oonfigurabile come causa di

decadenza dal beneficio. Nella specie, invece, .il provvedimento era

del tutto privo di motivazione, non richiamando neppure gli atti di

accertamento compiuti dal comune competente e perciò non

consentiva in alcun modo alla contribuente di individuare la

violazione accertata e canseguenziahnente di svolgere un'adeguata difesa.

(1) La Cassazione conferma il proprio orientamento circa i poteri dei giudici tributari in riferimento alle ipotesi di difetto di motivazione

degli atti dell'amministrazione finanziaria: v., da ultimo su questo particolare aspetto, Cass. 30 luglio 1984, n. 4541 e 9 agosto 1983, n.

5325, Foro it., 1985, I, 1774, con nota di richiami.

(2) Nello stesso senso v. Comm. trib. centrale 13 luglio 1983, n.

2051, Foro it., Rep. 1983, voce Registro, n. 291, che ha ritenuto

adeguatamente motivato il diniego delle agevolazioni ex art. 15 legge ponte attraverso il richiamo al verbale di contravvenzione dei vigili comunali da cui emergevano tanto le condotte tenute dal contribuente

quanto le violazioni della legge urbanistica; Comm. trib. centrale 3 marzo 1983, n. 279, ibid., voce Tributi in genere, n. 576, secondo la quale sono sufficienti, per motivare il provvedimento, di

diniego, « espliciti riferimenti agli accertamenti dell'ufficio tecnico

erariale, dai quali risultino le rilevate infrazioni rispetto alla licenza edilizia »; nella stessa logica si pone Cass. 3 novembre 1983, n. 6478, ibid., voce Registro, n. 290, a cui dire non sussistono i pre supposti per pronunciare la decadenza dai benefici fiscali ove la

segnalazione del comune risulti generica e carente di specifiche indica zioni circa gli elementi di fatto collegati alla commissione dell'illecito.

In generale, sulla specificità delle indicazioni che sorreggono il

provvedimento di diniego delle agevolazioni v. Comm. trib. centrale 8

luglio 1983, n. 1935, ibid., voce Tributi in genere, n. 571; 14 marzo

1983, n. 285, ibid., n. 575; 14 maggio 1982, nn. 4224 e 4216, ibid., voce Registro, nn. 301, 302; 14 maggio 1982, n. 4236, ibid., voce Fabbricati (imposta sul reddito dei), n. 13; 12 maggio 1982, nn. 4092 e 4080, ibid., nn. 10, 17; 23 maggio 1980, n. 6180, id., Rep. 1981, voce Cit., n. 17; Comm. trib. I grado Savona 25 ottobre 1977, id., Rep. 1978, voce cit., n. 8.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Avverso la decisione l'amministrazione ha proposto ricorso (in base a due motivi), il quale, essendo stato depositato due volte, ha dato luogo ad altrettanti procedimenti formalmente distinti (n.

139/84 e 1487/84). La controparte non ha presentato difese.

Motivi della decisione. — (Omissis). 3. - Con il primo motivo

di ricorso, denunziando la violazione dei principi relativi all'ogget to del processo tributario, l'amministrazione sostiene che la Com

missione centrale, una volta accertato — peraltro erroneamente

(per te ragioni di cui al secondo mezzo) — di difetto di

motivazione del provvedimento di diniego del beneficio fiscale, non poteva limitarsi a dichiararne la nullità, ma, non trattandosi

di una giurisdizione di mero annullamento, avrebbe dovuto pren dere in esame direttamente il rapporto e statuire sulla spettanza, o

meno, del beneficio medesimo.

La censura è infondata. Si deve convenire sulla premessa da

cu! essa muove, cioè che il giudizio innanzi alte commissioni

tributarie, sebbene -costruito come processo di impugnazione di

atti dell'amministrazione finanziaria, non è circoscritto ala verifica

(formale) della legittimità degli stessi e si estende, invece, al riesame del merito del rapporto d'imposta, in quanto il giudice deve direttamente accertare, nei limiti della contestazione, i

presupposti materiali e giuridici della pretesa dell'amministrazione, assunti a fondamento del provvedimento impugnato. Ed è altresì vero che, in considerazione di siffatta estensione dell'attività

conoscitiva di merito, questa corte ha più volte affermato, sul

(diverso) piano dell'oggetto del processo e della potestà decisoria, che non si tratta di un giudizio di impugnazione-annullamento, bensì di accertamento dell'obbligazione tributaria, ancorché svolto

per il tramite dell'impugnazione di specifici atti dell'amministra

zione (cfr. sez. un. n. 1471 del 1980, Foro it., Rep. 1980, voce Riscossione delle imposte, n. 113; n. 4507 del 1978, id., Rep.

1978, voce Tributi in genere, n. 439, e n. 942 del 1977, id., 1977,

I, 811, nonché, fra te più significative di questa stessa sezione, le

sent. n. 1471 del 1980 e n. 2407 del 1982, id., 1982, I, 2241). Senonché — a parte il rilievo che l'attuate validità dell'indi

rizzo deve essere controllata alla stregua delle incisive modifica

zioni introdotte nella disciplina del contenzioso con il d.p.r. 21

novembre 1981 n. 739, che sembra non consentire dubbio in

ordine all'attribuzione al giudice tributario del potere di annullare

il provvedimento impugnato per vizi inerenti alla sua legittimità formale — anche rimanendo nell'ottica del giudizio di impugna

zione-merito, per cui gli stiessi sono normalmente irrilevanti al

fine dell'accertamento dell'obbligazione d'imposta, occorre ammet

tere che la pronunzia deve necessariamente arrestarsi all'annulla

mento dell'atto impugnato se i vizi formali che lo inficiano

inoidono sulla sostanza del rapporto precludendo l'indagine sul

merito dello stesso, come nei casi di incompetenza assoluta

dell'organo o di mancanza di motivazione.

In particolare, con riferimento a quest'ultima ipotesi, che ora

interessa, la tutela giurisdizionale non può che consistere nell'inva

lidazione del provvedimento quando la carenza di motivazione sia

tate da non consentire l'identificazione degli elementi materiali e

giuridici cui è correlata la pretesa tributaria e, di conseguenza, il

controllo degli stessi da parte del contribuente e il loro accerta

mento ad opera del giudice tributario; il quale ai fini del riesame

di merito dispone di un ampio potere di indagine istruttoria (che non ha riscontro nel giudizio di accertamento di rapporti innanzi

al giudice ordinario), ma non può, ovviamente, sostituirsi ail'am

rrtónistrazione nella ricerca dei presupposti del rapporto d'imposta. In questi sensi la fattispecie s'i trova ora espressamente discipli

nata dall'art. 21 d.p.r. n. 636/72, nel testo dettato con la riforma

suddetta, il quale, mentre dispone in via generate che il giudice, nel caso rilevi « un vizio di incompetenza o che comunque non

attiene all'esistenza o all'ammontare del credito tributario », deve

sospendere il giudizio ed assegnare un termine all'amministrazione

per rinnovare l'atto viziato, esclude che possa « provvedersi a

rinnovazione... quando il vizio consista nel difetto di motiva

zione »; la quale disposizione comporta che l'esistenza del vizio

dà luogo necessariamente all'annullamento dell'atto, senza alcuna

possibilità di un accertamento giurisdizionale di merito (ciò che

conferma la natura non sostitutiva del giudizio speciale tributa

rio). Pertanto, sul piano della tipologia delle decisioni, va detto che

anche in base alla disciplina anteriore alla legge del 1981 il

giudice tributario aveva il potare di emettere pronunzie limitate

all'invalidazione dell'atto impositivo carente di motivazione; e ciò

è sufficiente a respingere la censura in esame, risultando la

questione circoscritta all'oggetto del secondo mezzo, che impone di controllare la decisione di annullamento sotto il profilo della

logicità e correttezza delle ragioni in base alle quali il provvedi mento è stato ritenuto non congruamente motivato.

Il Foro Italiano — 1985 — Parte I-146.

Giova avvertire, pot, che nella presente controversia, insorta

prima dell'entrata in vigore del cit. d.p.r. n. 739/81, non viene

in rilievo il delicato problema — che avrebbe carattere pregiudi ziale — circa l'ammissibilità dell'impugnazione dèi provvedimenti

(come quello in esame) relativi alla spettanza di agevolazioni

fisoali, in quanto non compresi nell'elenco degli atti contro i

quali, ai sensi dell'art. 16 d.p.r. n. 636/72, è possibile proporre -ricorso. Invero, l'elenco medesimo, modificato con l'aggiunta di

altri provvedimenti tipici, è stato reso tassativo soltanto con la

novella, in quanto 51 nuovo testo dell'art. 16 espressamente stabilisce che non possono essere autonomamente impugnati gli atti diversi da quelli ivi indicati, mentre in passato, in assenza di

un analogo disposto, l'indicazione degli atti doveva ritenersi

esemplificativa; la passibilità di ricorrere direttamente contro i

provvedimenti to materia di agevolazioni veniva, quindi, general mente riconosciuta (e nella specie non è stata contestata dall'am

ministrazione).

2. - Con il secondo motivo, denunziando la violazione dell'art. 15 1. m. 765/67 e vizi della motivazione, la ricorrente sostiene che

erroneamente la decisione impugnata ha ritenuto sussistere il vfeio

suddetto, laddove il provvedimento di diniego delle agevolazioni in questione, .meramente conseguenziale alla segnalazione del

comune riguardante una delle violazioni edilizie cui la norma

ricollega la sanzione fiscale, deve ritenersi sufficientemente motiva

to attraverso il riferimento alila segnalazione medesima ed alla

disposizione di legge. La censura è fondata.

Altre volte questa corte ha avvertito che l'obbligo di motivare

gli atti tributari si atteggia diversamente a seconda della natura e

funzione tìhe essi hanno in base alle norme loro proprie, giacché, accanto ad atti che costituiscono espressione di una funzione di

prelievo articolata e complessa, e assumono, quindi, una veste formale e un contenuto precisamente regolato dalla legge (ad es., l'avviso di accertameinto, nelle imposte dirette come quelite indiret

te), ve ne sono altri in cui la funzione viene esercitata in forme estremamente semplici e contratte, risolvendosi talvolta nella mera

imposizione di una determinata disciplina. È in relazione al

contenuto tipico e all'oggetto del singolo atto, quindi, che deve essere verificata in concreto l'osservanza dell'obbligo, nel senso

che questo deve ritenersi adempiuto allorché la motivazione, ancorché sommaria e semplificata, sia tate da esternare le ragioni del provvedimento, evidenziandone i momenti ricognitivi e logi co-deduttivi, e consentendo di conseguenza al destinatario di svol

gere efficacemente la propria difesa attraverso la tempestiva e

motivata impugnazione giurisdizionale dell'atto medesimo.

Ora, per le opere realizzate in contrasto con la concessione

edilizia, l'art. 15 1. 6 agosto 1967 n. 765 prevede — quale ulteriore sanzione dell'illecito edilizio — l'esclusione de iure delle

vigenti agevolazioni fiscali nel caso che te difformità riguardino violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta, te

quali eccedano, per ogni singola unità immobiliare, il due per cento delie misure prescritte; e all'uopo il comune è obbligato a

segnalare entro un certo termine siffatte violazioni all'amministra zione finanziaria, la quale, non essendo normativamente previsti specifici atti al riguardo, applica la sanzione attraverso un prov vedimento o di diniego del beneficio non ancora concesso o di revoca (o decadenza) di quello già concesso.

Si tratta, quindi di un atto rigidamente vincolato, rispetto al

quale l'amministrazione non ha alcun margine di apprezzamento discrezionafe, in quanto è obbligata ad emetterlo in base ai risultati dell'accertamento compiuto dall'autorità locale cui spetta la vigilanza in materia edilizia; e di tale accertamento l'autore dell'illecito riceve formate notizia già attraverso -la notifica della diffida del sindaco, che costituisce il primo atto del procedimento repressivo dell'abuso edilizio.

Il provvedimento in oggetto deve ritenersi, quindi sufficiente mente motivato attraverso l'indicazione dell'accertamento ammi nistrativo che ha dato luogo alla comunicazione comunale e della norma di legge che prevede la perdita automatica del beneficio

fiscale, giacché in tal modo risultano enunciati in modo intellegi bile al destinatario i presupposti di fatto e di diritto dell'atto, cioè sia l'esistenza della violazione e sia l'appartenenza della stessa al novero di quelle che, ai sensi .dell'art. 15 cit., comportano la sanzione fiscale; né ha rilievo che si tratti di una motivazione

per relationem, la quate è sicuramente ammissibile sempre che l'atto al quale si fa rinvio sia idoneo a mettere il contribuente nella condizione di conoscere esattamente le ragioni che sorreggo no il provvedimento (in relazione ad una fattispecie uguale a

quella in esame è stato appunto affermato che sussiste difetto di motivazione quando neppure dalle ordinanze comunali risulti

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2275 PARTE PRIMA 2276

contestata specificamente una delle violazioni di cui all'art. 15 cit., V. sent, .ti. 6478 del 1983, id., Rep. 1983, voce Registro, n. 290).

Nel caso io esame, il provvedimento di diniego dell'esenzione

venticinquennale conteneva, come risulta dalla decisione impugnata, entrambe le indicazioni suddette; e risulta del tutto immotivata

l'affermazione che il riferimento alla violazione contestata dal

comune non fosse idonea ad individuare le ragioni della sanzione, laddove il contribuente si era difeso anche nel merito, contestando

l'entità della violazione e sostenendo, fra l'altro, che ffl riferimento

della norma alla « singola unità immobiliare » introduce un limite

alla fattispecie sanzionatola, che la rendeva in concreto inappli cabile.

Pertanto la decisione impugnata deve essere cassata con Avvio

alla stessa Commissione tributaria centrale, la quale procederà a

nuovo esame della controversia alla stregua ddi principi di diritto

e dei rilievi sopra svolti, tenendo altresì presente che l'accerta

mento della spettanza del diritto alle agevolazioni fiscali dà luogo ad una questione di fatto non inerente a valutazione estimativa e

perciò rientra nella cognizione della commissione medesima. (O

missis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 20 marzo

1985, n. 2037; Pres. Vela, Est. Beneforti, P. M. Morozzo

della Rocca (conci, diff.); Banca eli Andria (Aw. Hernandez,

Biagetti) c. Rotondo (Avv. Stefanelli). Conferma Trib. Brin

disi 28 giugno 1980.

Sentenza, ordinanza, decreto in materia civile — Sentenza di

condanna generica — Efficacia nel successivo giudizio di liqui dazione — Fattispecie (Cod. proc. civ., art. 278, 323, 357).

La sentenza di condanna generica ha efficacia nel successivo e

autonomo giudizio di liquidazione del quantum anche se non è

passata in giudicato (nella specie, il giudice ha provveduto alla

liquidazione nonostante la pendenza del ricorso per cassazione

avverso la sentenza di condanna generica). (1)

Svolgimento del processo. — Con sentenza - non definitiva iti

data del 12 aprile 1977 il Pretore di Fasano in parziale accogli mento della domanda proposta da Antonio Natile, dipendente della Banca di Andria Sjp.a., dichiarava spettargli, con decorrenza

dal 1° marzo 1971, la qualifica di vice capo ufficio (e non quella di funzionario o capo ufficio da lui richiesta in via principale) e

condannava pertanto la datrice di lavoro alla esecuzione degli incombenti necessari par il di lui inquadramento in tale qualifica e grado.

Istruita la causa sul quantum, con sentenza definitiva in data

20 gennaio 1978-17 febbraio 1978 lo stesso pretore condannava la

banca a pagare al Natile la somma di lire 2.195.394.

Il Tribunale di Brindisi, investito dell'appello principale propo sto dallo stesso Natile e dell'appello incidentale della Banca di

Andria con sentenza in data 2 giugno-24 agosto 1978, in parziale accoglimento del primo, dichiarava spettare al dipendente la

(1) Un'identica questione era stata affrontata da Pret. Milano 20 marzo 1981, Foro it., 1981, I, 2326, con nota di richiami, risolta nello stesso senso di cui alla sentenza in epigrafe; nel senso che per il giudizio di liquidazione non sia necessario attendere il passaggio in giudicato della sentenza di condanna generica v. Cass. 17 marzo 1981, n. 1537, id., Rep. 1981, voce Sentenza civile, n. 35.

La sentenza in epigrafe ha risolto il problema dell'efficacia della sentenza di condanna generica, soggetta al impugnazione ordinaria, nel giudizio di liquidazione, facendo leva sul disposto dell'art. 337, 2° comma, c.p.c.: v. Cass. 15 maggio 1971, n. 1437, id., Rep. 1971, voce Impugnazioni civili, n. 136, secondo cui gli effetti dichiarativi o costitutivi della sentenza soggetta ad impugnazione ed invocata in altro processo, devono essere pregiudiziali all'oggetto del processo nel quale si fanno valere; ed anche Cass. 17 maggio 1962, n. 1123, id., Rep. 1962, voce Giudizio (rapporto), n. 25.

In dottrina conf., da ultimo, Liebman, Sentenza e cosa giudicata: recenti polemiche, in Riv. dir. proc., 1980, 7 ss.; Andrioli, Diritto processuale civile, Napoli, 1979, 987 ss.; nonché Montesano, La

sospensione per dipendenza di cause civili e l'efficacia dell'accertamen to contenuto nella sentenza, in Riv. dir. proc., 1983, 385 ss., a cui avviso nell'ipotesi risolta dalla sentenza in epigrafe dovrebbe applicarsi l'art. 295 e non l'art. 337, 2° comma, c.p.c.; e Cipriani, Le sospensioni del processo civile per pregìudizialità, id., 1984, 240 ss., 292 ss., a cui avviso l'art. 337, 2° comma, c.p.c. — col riferirsi alla « autorità » e non alla « efficacia » della sentenza — si applicherebbe solo in ipotesi di sentenza passata in giudicato impugnata tramite impugnazione straordinaria.

Il Foro Italiano — 1985.

qualifica di capo ufficio con decorrenza dal 20 giugno 1971 e

condannava la banca all'esecuzione degli incombenti necessari per il di lui ini quadramente in detta qualifica e grado nonché al

pagamento di tutte le competenze relative, con la rivalutazione

monetaria e gli interessi legali, senza, peraltro, provvedere sul

quantum. Pendendo giudizio di cassazione contro tale sentenza (impugnata

da entrambe le parti) il Natile, dopo avere infruttuosamente

intimato alla Banca di Andria precetto per l'esecuzione delle

obbligazioni nascenti dalla stessa sentenza, adiva nuovamente il

Pretore di Fasano per la liquidazione delle maggiori sue spettanze e la conseguenziale condanna della debitrice al pagamento.

Il pretore, espletata consulenza tecnica contabile, con sentenza in data 16 novembre-21 dicembre 1979, disattesa la pregiudiziale eccezione di imprevedibilità della domanda che era stata sollevata dalla convenuta sul rilievo che essa traeva titolo da una semplice declaratoria iuris ancora sub iudice, condannava la società conve nuta a pagare al dipendente la somma di lire 11.194.750 oltre alle

spese di causa.

Il Tribunale di Brindisi con sentenza in data del 25 maggio-28

giugno 1980 respingeva l'appello della Banca di Andria che aveva

riproposto la tesi, già disattesa dal primo giudice, secondo cui la

sentenza del tribunale, risolvendosi in una semplice pronuncia di

condanna generica non ancora passata in giudicato, non poteva costituire fondamento alla chiesta pronuncia di liquidazione del

quantum, essendo irrilevante a questo fine che essa avesse il carattere deM'esecutrietà.

Richiamato il principio secondo cui ad integrare una pronuncia di condanna è sufficiente .il semplice accertamento di un fatto

potenzialmente lesivo e della probabile sussistenza di un danno, restando impregiudicata ogni questione relativa alla concreta ricor renza di un danno risarcibile, il giudice d'appello riteneva che una corretta interpretazione del dispositivo della precedente sen tenza resa nella specie dallo stesso tribunale portasse ad eviden ziare la coesistenza in essa sia della declaratoria iuris relativa all'accertata superiore qualifica di capo ufficio ed al conseguenzia le diritto del dipendente di percepire te eventuali differenze

retributive, sia della pronuncia di condanna specifica ad inquadra re lo stesso dipendente in tate qualifica con la decorrenza stabilita

ed a corrispondergli le competenze relative, con rivalutazione

monetaria ed interessi legali.

La condanna al pagamento delle differenze retributive postula va, secondo il tribunale, un concreto, anche se non necessario, accertamento del diritto mentre la quantificazione del credito, rimessa alla successiva fase della liquidazione, era resa agevole dalle esistenze delle tariffe salariali e degli indici ISTAT. Trattava

si, dunque, di pronuncia di condanna specifica ed esecutiva ex

lege, avente ad oggetto il pagamento di spettanze per differenze

retributive, svalutazione monetaria ed interessi legali, che erano

oramai certe, liquide ed esigibili, ragion per cui al giudice della

liquidazione era sottratto il patere di riesaminare il fatto costituti

vo del diritto già accertato.

L'esecutorietà della pronuncia, da non confondersi con la

possibilità di procedere immediatamente ad esecuzione forzata, in effetti esclusa nella specie dalla mancata quantificazione del

credito, spiegava efficacia nel senso di legittimare il lavoratore al

giudizio di liquidazione, pur in pendenza del ricorso per cassazio ne.

Contro tate decisione la s.p.a. Banca di Andria ha proposto ricorso, fondato su un unico complesso motivo, cui resistono con

controricorso, seguito da memoria illustrativa, gli eredi dell'intima

to Antonio Natile, deceduto dopo la notificazione dell'atto intro duttivo del presente giudizio.

Motivi della decisione. — La ricorrente denuncia violazione e

falsa applicazione dei principi ohe regolano la condanna generica, con riferimento anche agli art. 278 e 337 c.p.c., nonché contrad

dittorietà della motivazione (art. 360, 1° comma, nn. 3 e 5, dello stesso c.p.c.), lamentando, in primo luogo, che il giudice

d'appello abbia attribuito la portata di una condanna specifica alla sentenza dallo stesso giudice già resa in precedente giudizio inter partes e con cui si dichiarava il diritto di Antonio Natile

alla qualifica di capo ufficio, con decorrenza dal 20 giugno 1971, e

si condannava la datrice di lavoro Banca di Andria s.p.a. all'esecuzione degli incombenti necessari al nuovo inquadramento nonché al pagamento delle competenze relative, con rivalutazione monetaria ed interessi legali, erroneamente desumendo tale portata non già dalla intrinseca natura della pronuncia e dai suoi effetti

immediati, bensì dalle modalità processuali attraverso te quali ad

essa si era pervenuti e che, a suo dire, non potevano incidere

sulla qualificazione della sentenza, trattandosi di atti e fatti

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