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Sezione I civile; sentenza 23 novembre 1959, n. 3440; Pres. Torrente P., Est. Novelli, P. M. Toro...

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Page 1: Sezione I civile; sentenza 23 novembre 1959, n. 3440; Pres. Torrente P., Est. Novelli, P. M. Toro (concl. conf.); Negro (Avv. Biondi, Profili, Camporese) c. Nonvel (Avv. Bertinelli)

Sezione I civile; sentenza 23 novembre 1959, n. 3440; Pres. Torrente P., Est. Novelli, P. M. Toro(concl. conf.); Negro (Avv. Biondi, Profili, Camporese) c. Nonvel (Avv. Bertinelli)Source: Il Foro Italiano, Vol. 83, No. 9 (1960), pp. 1535/1536-1539/1540Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23151176 .

Accessed: 28/06/2014 17:18

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1535 PARTE PRIMA 1536

I

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.

Sezione I civile ; sentenza 23 novembre 1959, n. 3440 ; Pres. Torrente P., Est. Novelli, P. M. Toro (conci,

conf.) ; Negro (Avv. Biondi, Profili, Camporese) c.

Nonvel (Avv. Bertinelli).

(Conferma App. Firenze 10 settembre 1958)

Concordat*» preventivo — Cessione (lei beni ai eredi

tori -—• Giudizi di accertamento dei crediti —

Legittimazione passiva (E. d. 16 marzo 1942 n. 267,

disciplina del fallimento, art. 160, 182).

Omologato il concordato preventivo mediante cessione dei

beni ai creditori, il debitore concordatario e non il liqui datore, nominato dal tribunale, è legittimato passivamente nei giudizi di accertamento dei crediti (nella specie trat

tavasi di società). (1)

II

CORTE D'APPELLO DE L'AQUILA.

Decreto 3 marzo 1960 ; Pres. Cakuso P. P., Est. Bonelli ; ric. Soc. laterizi Serafini.

Società -— Concordato preventivo con cessione dei

beni — Delibera di scioglimento e messa in liqui dazione — Ammissibilità (Cod. civ., art. 2448, 2497).

Pur dopo l'omologazione del concordato preventivo mediante

cessione dei beni e durante la liquidazione di questi, la

società debitrice può (ma non deve) deliberare il proprio scioglimento e la conseguente messa in liquidazione. (2)

I

La Corte, ecc. — Col primo motivo la ricorrente con testa l'esattezza del principio, affermato dalla sentenza

impugnata, secondo cui nella ipotesi di concordato preven tivo con cessione di beni da liquidarsi per il soddisfaci mento dei creditori (art. 160; capov., n. 2, e 182 legge fall.), la legittimazione passiva nei giudizi promossi dai creditori

per ottenere l'accertamento dei propri crediti spetta al debitore concordatario, e non già al liquidatore nominato dal tribunale ai sensi dell'art. 182 legge fallimentare.

Ritiene questa Corte suprema che la decisione impu gnata sia esatta e meriti conferma. In realtà il problema è delicato per essere la disciplina legislativa dell'istituto del concordato preventivo con cessione dei beni assoluta mente incompleta ; ciò però non esonera l'interprete, come

pretenderebbe la ricorrente, dal porre a base dell'indagine

(1) In senso conforme, oltre la sentenza confermata App. Firenze 10 settembre 1958 (Foro it., Rep. 1958, voce Concordato preventivo, n. 17), v. Cass. 22 maggio 1958, n. 1727, id., 1959, I, 632 e Pret. Vizzini 24 marzo 1958, ibid., 901, con ampie note di richiami, cui adde De Martini, in Riv. dir. comm., 1959, II, 85.

(2) Nel senso che il concordato preventivo non determina lo scioglimento della società, v., sotto il governo delle norme abrogate, Bonelli, Fallimento, III, n. 858 ; Candian, Pro cesso di concordato preventivo, n. 46.

Circa gli effetti della dichiarazione di fallimento, come causa di scioglimento della società, Oraziani, Diritto delle società, pag. 525 ; Trib. Roma 18 settembre 1958 ; Trib. Firenze 16 di cembre 1957 e Trib. Napoli 6 maggio 1957, Foro it., Rep. 1958, voce Società, nn. 501-506 ; Cass. 24 giugno 1954, n. 2181, id., 1955, I, 2181, con ampia nota di richiami (caso in cui, dopo la chiusura del fallimento per insufficienza di attivo, la società era ancora iscritta sul registro delle imprese).

In dottrina, nel senso che lo scioglimento della società non determina l'estinzione della persona giuridica, Ferri, Manuale a, pag. 340.

i pur scarsi elementi di diritto positivo. Senza dubbio,

poiché nemmeno quando il concordato preventivo avvenga mediante cessio bmiorum, è previsto dalla legge speciale un

processo di verifica dello stato passivo, il creditore conte

stato o non indicato nell'elenco nominativo dei creditori

presentato dal debitore (art. 161, 3° comma, legge fall.) deve munirsi di un titolo nei modi normali.

Trattasi di stabilire nei confronti di chi debba avvenire

l'accertamento dei crediti.

In materia non esiste alcuna norma da cui possa evin

cersi che il liquidatore abbia veste per agire o resistere in

giudizio, per integrare la capacità processuale del com

merciante, o in rappresentanza del medesimo, oppure nell'interesse dei creditori.

La funzione del liquidatore (art. 182 legge fall.) è quella di assistere, insieme al comitato dei creditori, alla liquida zione dei beni in favore dei creditori, se non sia intervenuto

un diverso accordo fra i creditori stessi per la continua

zione dell'azienda nell'interesse comune. D'altra parte, mancando una disposizione che sancisca la perdita, per il

debitore, della legittimazione processuale attiva e passiva, com'è per il fallimento (art. 43), la capacità processuale del debitore medesimo va posta in relazione agli effetti

della cessio honorum, che si concretano nella privazione del potere di disposizione sui beni ceduti e pertanto deve

ritenersi che la capacità viene meno soltanto per le contro

versie relative alla gestione e alla liquidazione dei beni

stessi, e permane quindi, dopo l'omologazione del concor

dato, rispetto ad ogni rapporto giuridico ed in particolare

rispetto all'accertamento dei diritti di credito, assunti da

terzi.

Secondo la ricorrente, l'estensione delle funzioni del

liquidatore oltre l'ambito legislativamente stabilito tro

verebbe riscontro in alcune pronunce di questa Corte

suprema. Senonchè queste (e particolarmente le sentenze

15 gennaio 1954, n. 66, Foro it., Rep. 1954, voce Falli

mento, n. 453, e 15 novembre 1958, n. 3722, id., Rep. 1958, voce Concordato preventivo, nn. 20, 21) si sono limitate a

stabilire che la cessione in sede di concordato ha l'effetto di attribuire ai creditori il diritto di liquidare e nel frat

tempo amministrare i beni ceduti, di ripartire fra loro il relativo ricavato e di stare in giudizio, ma a mezzo del

liquidatore nominato dal tribunale nelle azioni relative ai beni medesimi, sempre cioè che i rapporti contestati

riguardino i beni ceduti.

Oppone inoltre la ricorrente che il debitore, ormai sicuro del beneficio conseguito, dell'effetto cioè liberatorio della cessione (art. 186, 2° comma), potrebbe essere tratto con estrema facilità ad illeciti accordi con terzi, assoluta mente incontrollabili dalla massa dei creditori, e che è indiscutibile l'interesse di quest'ultimi a non inserire altri creditori. Tali rilievi, però, non autorizzano l'illazione secondo cui il debitore, omologato il concordato, non sarebbe passivamente legittimato nelle azioni volte a conse

guire una declaratoria di sussistenza di un credito. Ed invero l'interesse dei partecipanti alla ripartizione

dei beni ceduti, pur se giustificato dal pericolo di inseri mento di terzi, le cui pretese non abbiano fondamento, non può confondersi con la titolarità dei rapporti debitori : il primo può dare luogo alla legittimazione processuale per surrogazione, o per intervento o in opposizione di terzo, ma non può incidere sulla capacità del debitore. È infatti ammesso senza contrasto che questi, sebbene, per effetto dell'accordo intervenuto con i creditori, non provveda personalmente all'adempimento delle obbligazioni, rimane

titolare, dal lato passivo, dei crediti oggetto del procedi mento, col quale ha offerto il soddisfacimento concordatizio dei creditori, in quanto il concordato non è un mezzo di estinzione dei crediti, mentre, almeno secondo la corrente

dominante, l'effetto liberatorio dipende da un pactum de non petendo.

Oppone la ricorrente che la sentenza impugnata, nella discussione del quesito, non avrebbe tenuto conto che nel concordato preventivo mediante cessio honorum la cessione

può assumere forme diverse : essa può limitarsi ad attri buire ai creditori il potere di disposizione dei beni ceduti,

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

ovvero può avere effetto traslativo e conferire ai creditori la proprietà dei beni stessi. Nella seconda ipotesi, precisa la ricorrente, riportandosi ad un indirizzo dottrinale, la cessione serve a costituire un patrimonio separato con attribuzione ai creditori della legittimazione a disporre della solutio e di conseguenza i creditori, e per essi il liqui datore, sono investiti della legittimazione per tutti i rap porti, i quali incidano sulla estensione dei diritti relativi alla comunione venutasi a formare per effetto del trasferi mento della proprietà dei beni.

Senoncbè, ammessa in via di ipotesi la rilevanza della

destinazione in ordine al quesito in oggetto, questa Corte osserva che nella specie il concordato non produsse il

passaggio immediato e diretto della proprietà dei beni

ceduti, ma solo la perdita dell'esercizio del diritto di dispo sizione. Detta circostanza era assolutamente pacifica, e

pertanto i Giudici di merito si limitarono a fare notare

come tale situazione fosse del tutto conforme a.1 sistema

legislativo. Del resto, è noto che sebbene, come si illustra nella

Relazione alla legge fallimentare, la cessione possa assumere forme diverse, nel senso che essa può importare soltanto la

perdita del potere di disposizione sui beni ceduti, ovvero

anche la perdita della titolarità del diritto, in pratica,

quando, come nel caso, la cessione tende ad una liquida zione dei beni, anziché ad una costituzione di comunione

per un riparto in natura o per subentrare nell'impresa, la

traslazione, mentre non risponde ad esigenze concrete (in

quanto i creditori, avvalendosi del potere di disposizione,

possono trasferire i beni direttamente dal cedente ai terzi

acquirenti) produrrebbe ingenti oneri fiscali per l'inutile

passaggio di proprietà, e pertanto non rientra nella nor

malità.

La tesi quindi che nella cessione traslativa, venendo a

determinarsi nei singoli creditori, non un semplice diritto

al riparto, ma un diritto reale di comproprietà, i diritti dei

creditori contestati o assenti dovrebbero essere accertati

nei confronti degli altri partecipanti alla comunione, non

interessa la specie, nè può validamente imputarsi alla

sentenza un'omessa indagine al riguardo. Col secondo motivo la ricorrente, premesso che l'impos

sibilità di conseguire l'oggetto sociale determinerebbe

ipso iure lo scioglimento della società, osserva che, al fine

di poter decidere in merito all'eccepito difetto di legitti

mazione, la sentenza impugnata avrebbe dovuto debita

mente considerare che la Società concordataria, sebbene

non ancora estinta, tuttavia « non compiva più operazioni, non svolgeva più un'attività specifica e gli amministratori

non avevano più la veste peculiare che ad essi è attribuita ».

La doglianza è infondata. È noto che il sopraggiungere di una causa di scioglimento non importa senz'altro la

scomparsa della società, la quale continua a vivere anche

dopo tale evento, pur venendo meno lo scopo di produzione e di scambio.

Infatti la società disciolta conserva la personalità

giuridica e la propria organizzazione per l'esaurimento dei

rapporti in corso, e quindi anche per la definizione delle

controversie sull'esistenza o meno di determinati debiti.

Non merita censura, quindi, la sentenza per avere, nel

caso, presupposto la sopravvivenza della Società e degli

organi sociali dopo la pronuncia di omologazione del

concordato. Per questi motivi, rigetta, ecc.

II

La Corte, ecc. —- Come può ritenersi pacifico in dottrina

e in giurisprudenza, la società non si estingue nell'istante

in cui interviene la causa estintiva, perchè per la salva

guardia degli interessi degli stessi soci, essa con lo sciogli mento e la conseguente messa in liquidazione, se abbandona

la sua normale attività relativa al perseguimento dell'oggetto

sociale, provvede peraltro a regolare i propri affari ed a

preparare la sua definitiva ed effettiva cessazione.

La personalità perdura, dunque, con scopo mutato :

a quello originario subentra quello di liquidazione, che

per il suo concreto svolgimento si avvale dello stesso mecca nismo amministrativo : la società si trasforma in un ente di liquidazione, ne assume il nome e si dedica al solo oggetto dell'esaurimento dei rapporti pendenti e della conversione dei suoi beni in denaro per pagare i creditori e ripartire fra i soci il residuo fondo sociale. Si prescinde qui dalle due

ipotesi anomale, in cui è contemporanea l'estinzione del

rapporto associativo e della personalità : quelle dello sciogli mento per fallimento e per liquidazione coatta ammi nistrativa (fra questi casi non è compreso il concordato

preventivo, sia pure con la forma della cessione dei beni ai

creditori). In particolare, trattandosi di società a r. 1., si applicano

le norme previste per le società per azioni in materia di

scioglimento e liquidazione (art. 2497 cod. civ.). Per tali società di capitali la liquidazione consiste nella disinte

grazione degli elementi del patrimonio, che sfocia nell'estin zione della persona giuridica.

Se la personalità rimane, è tuttavia modificata la capa cità dell'ente per la limitazione sopravvenuta nel potere di disponibilità patrimoniale.

L'esistenza della società durante la liquidazione non è tuttavia una finzione della legge, come da taluno è stato

sostenuto, ma una realtà sostanziale e giuridica : invero

perdura il rapporto sociale ; l'amministrazione è condotta dal liquidatore in nome della società ; lo stato di liquida zione non libera i soci dagli obblighi assunti ; la società conserva la sua denominazione, il suo domicilio, la sua

contabilità, e mantiene la sua legittimazione attiva e

passiva. In particolare le assemblee ed il collegio sindacale

rimangono al loro posto. Tenuto conto di tali rilievi ne deriva che, rimanendo in vita la società, malgrado la sua messa in liquidazione, è certamente compatibile con tale situazione la procedura concordataria della cessione dei beni ai creditori, la quale presuppone la permanenza del

debitore, nei cui confronti la procedura stessa opera. La cessio honorum, regolata per la prima volta dall'at

tuale codice civile, nella sua tipica configurazione si fonda su un mandato del debitore ai creditori di liquidare l'at tivo del patrimonio e di dividere tra loro il ricavo. I cre ditori hanno cioè l'amministrazione e la disponibilità dei

beni, mentre la proprietà degli stessi resta al debitore fino alla vendita ; tanto è vero che egli ha diritto all'eventuale residuo attivo. Per tale principio e per l'altro conseguente che il debitore controlla la gestione della cessio honorum, e ha diritto al rendiconto, è evidente che la Società laterizi

Serafini, ammessa al concordato con la cessione dei beni, deve restare in vita in rapporto alla stessa finalità del con cordato.

Ma si è già visto che la normale messa in liquidazione della società non produce l'automatica cessazione della stessa e degli organi sociali, onde la società, sia pure in

liquidazione, seguita a mantenere i contatti con il com

missario, e mantiene integre le sue funzioni, in relazione alla procedura concordataria, che, non essendo rivolta a nuove operazioni sociali, non contrasta con le nuove fi nalità della società in liquidazione.

La Corte rileva poi che si palesa pure infondato il se condo argomento contenuto nel decreto impugnato, rela tivo alla dedotta identicità di finalità delle due liquidazioni, con prevalenza di quella concordataria. Infatti se la li

quidazione ordinaria è un procedimento che prende vita

dallo scioglimento e si esaurisce con l'estinzione della per sona giuridica, non per questo essa va accomunata ad altri

procedimenti, anche se aventi scopi di liquidazione, come è stato posto in evidenza dalla prevalente dottrina, con

particolare riferimento al fallimento ed alla liquidazione coatta amministrativa, ma con argomenti che ben valgono anche per la liquidazione concordataria.

Va osservato in proposito che, se i mezzi, con i quali si

perviene alla disintegrazione degli elementi patrimoniali,

possono essere comuni, il fine è sempre essenzialmente

diverso, perchè da un lato la liquidazione concorsuale (nella

specie, concordataria) è diretta a realizzare la par condicio

creditorum, e si effettua nell'interesse esclusivo di costoro,

mentre, dall'altra, la liquidazione ordinaria risponde al

Il Foro Italiano — Volume LXXXIII — Parte I-99.

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1539 PARTE PRIMA 1540

l'interesse dei soci, clie, in tal modo, intendono porre fine

al rapporto sociale : in quest'ultimo caso il soddisfaci

mento dei creditori non è un fine, ma il mezzo con cui tale

interesse si persegue. Accertata dunque l'autonomia e la

compatibilità delle due liquidazioni, vengono meno le

ragioni che hanno indotto il Tribunale a ordinare la cancel

lazione della delibera di cui si discute.

Non è però esatto quanto assume la ricorrente Società, e cioè che, stante la procedura di liquidazione concorda

taria, la Società ha l'obbligo (ex art. 2448, n. 2, cod. civ.) di deliberare lo scioglimento e la messa in liquidazione

per l'impossibilità di conseguire l'oggetto sociale.

Invero la liquidazione concorsuale, essendo preordinata, come si è visto, a tacitare i creditori, non rende con ciò

stesso impossibile la prosecuzione degli scopi sociali, anche

se di fatto li rende più ardui. La società ha diritto all'even

tuale residuo, come è previsto in materia di cessio honorum, e anche dopo cessata la liquidazione concorsuale, può nuo

vamente reintegrare il suo patrimonio per apporti esterni, come è intuitivo : ciò che rende possibile la ripresa di propri affari secondo lo scopo sociale.

Tuttavia, escluso l'obbligo di messa in liquidazione, non può sotto altro profilo negarsi che sussistono gli estremi

per lo scioglimento della società : quanto innanzi per il

n. 5 dell'art. 2448 cod. civ., e cioè per la intervenuta deli

berazione dell'assemblea. La volontà della società si pone cioè sullo stesso piano di eventi non volontari ai fini delle

cause di scioglimento previste dalla legge. La ratio della

norma è quanto mai evidente, perchè sarebbe senz'altro

aberrante il concetto di una prosecuzione della normale

attività sociale in contrasto con la volontà della società.

Quest'ultima ha cioè un vero e proprio diritto soggettivo al suo scioglimento, sempre che siano tutelati, come nella

fattispecie, gli interessi dei terzi e dei singoli soci.

Per quanto sopra detto ne deriva che la Società istante,

malgrado la procedura concorsuale in atto, ben può deli

berare il proprio scioglimento e la messa in liquidazione. Il liquidatore, subentrato all'amministratore, e gli altri

organi sociali, manterranno i contatti con il commissario

delegato alla procedura concorsuale, a salvaguardia degli interessi insiti in ambedue le liquidazioni.

Deve piuttosto qui chiarirsi che, stante la indisponi bilità dei beni, da parte della Società, in costanza del regime

concorsuale, la Società dovrà attendere il compimento delle

relative operazioni, per attuare concretamente la liquida zione. Questa è un'esigenza di carattere logico e giuridico, e solo sotto tale profilo e in tale ristretto significato, va

affermata la prevalenza della procedura concorsuale su

quella ordinaria. Al riguardo è appena il caso di accennare

che l'interesse della Società all'attuazione della delibera in

esame, non può essere quello di ovviare alla lamentata

lentezza delle operazioni di liquidazione da parte del com

missario, come invece assume il ricorrente : proprio perchè l'effettiva liquidazione ordinaria è sospesa essendo l'am

ministrazione e la disponibilità dei beni passate ai credi

tori. Tuttavia, malgrado tale inesattezza, non può ritenersi

il ricorso carente di interesse essendo qui l'interesse insito

nella obiettiva affermazione del diritto della Società a

porsi in liquidazione, per tutti gli effetti che ne possono derivare, non incompatibili con la procedura concorsuale.

Per questi motivi, ecc.

I

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.

Sezione I civile ; sentenza 5 novembre 1959, n. 3279 ; Pres.

Lonardo P., Est. Spagnoletti, P. M. Caldarera (conci

conf.) ; Ditta Sanvito (Aw. Lanzavecchia) c. Falli

mento Perotti (Aw. Ferrari).

(Cassa A-pp. Milano 2 febbraio 1958)

Fallimento —. Vendita rateale con riserva della pro

prietà — Fallimento del compratore —■ Risolu

zionc del contratto —- Restituzione della cosa

al venditore — Revocatoria per le rate pagate — Inammissibilità (Cod. civ., art. 1524, 1526 ; r. d.

16 marzo 1942 n. 267, disciplina del fallimento, art. 67, 73).

Il curatore del fallimento del compratore a rate con riserva

della proprietà che, in luogo di esercitare la facoltà di su

bingresso nel contratto, restituisca la cosa al venditore, non

può agire in revocatoria per la restituzione delle rate pa

gate prima del fallimento, e trattenute dal venditore giusta l'art. 1526 cod. civile. (1)

II

CORTE D'APPELLO DI BRESCIA.

Sentenza 25 marzo 1960 ; Pres. Cornelio P., Est. Jeri

monte ; Torielli (Avv. Capretti, Celoria) c. Falli

mento Bianconi (Avv. Leonesio).

Fallimento — Vendita con riserva della proprietà -— Omesso versamento di parte del prezzo —- Ven

ditore — Mancata insinuazione al passivo per le

rate scadute —• Mancata domanda di rivendica

zione •— Effetti (Cod. civ., art. 1524 ; r. d. 16 marzo

1942 n. 267, art, 72, 73, 92, 103). Fallimento — Reni acquistati dal fallito — Patto di

riservato dominio •— Acquisizione in sede di in

ventario — Legittimità — Fattispecie (R. d. 16

marzo 1942 n. 267, art. 84, 92, 103). Fallimento ■— Reni acqu stati dal fallito — Patto di

riservato dominio — Avviso all'alienante — Ven

dita dei beni in sede di liquidazione dell'attivo — Legittimità — Fattispecie (R. d. 16 marzo 1942

n. 267, art. 97, 103, 104). Fallimento — Liquidazione dell'attivo — Venditore

di macchine con patto di riservato dominio — Av

viso della vendita senza incanto —- Necessità —

Insussistenza (Cod. civ., art. 1524, 2762 ; cod. proc.

civ., art. 498 ; r. d. 16 marzo 1942 n. 267, art. 105, 108). Fallimento — Vendita con patto di riservato dominio

— Curatore dell'acquirente fallito — Subingresso nel contratto — Modi e forme (R. d. 16 marzo 1942

n. 267, art. 72, 73).

Il venditore con patto di riservato dominio che, ricevuta dal

curatore del fallimento del compratore la comunicazione

prevista dall'art. 92 legge fallimentare, non fa valere nella

procedura concorsuale il credito per il residuo prezzo nè

rivendica il bene verso la curatela, che non era subentrata

nel contratto, può solo esercitare i suoi diritti sul prezzo ricavato dalla vendita del bene, eseguita in sede fallimen tare. (2)

Il curatore, provvedendo alla rimozione dei sigilli apposti sui beni rinvenuti presso il fallito e procedendo alle opera zioni di inventario, può comprendere in questo anche i beni

che risultino acquistati dal fallito a rate con patto di riser

vato dominio e non integralmente pagati. (3)

(1, 2, 6) Per riferimenti, v. Cass. 19 luglio 1957, n. 3027, Foro

it., Rep. 1957, voce Fallimento, nn. 336-338, che ha affermato che in caso di mancato subingresso del curatore (la cui dichiara zione può efficacemente essere fatta nel corso del giudizio d'ap pello sorto a seguito della domanda di risoluzione del venditore), potrà chiedersi lo scioglimento ex art. 1526 cod. civile.

Circa l'inapplicabilità, della norma contenuta nel 1° comma dell'art. 73, ove il venditore a rate abbia consegnato la cosa al

compratore, v. App. Firenze 7 agosto 1956, id., Rep. 1956, voce cit., n. 371 e Cass. 21 ottobre 1955, n. 3400, id., 1956, I, 908, con ampia nota di richiami.

Sulla sorte del giudizio di risoluzione della compravendita per inadempimento dell'acquirente fallito, v. App. L'Aquila 28 gennaio 1960, retro, 457, con ampia nota di richiami.

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