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sezione I civile; sentenza 24 dicembre 2004, n. 23976; Pres. Prestipino, Est. Ceccherini, P.M.Ciccolo (concl. conf.); Soc. Eredi Gnutti metalli (Avv. Antonelli, Scirè) c. Gnutti e altro; Soc.Eredi Gnutti (Avv. Messina, Castelli) c. Gnutti e altro. Conferma App. Brescia 22 marzo 2001Source: Il Foro Italiano, Vol. 128, No. 12 (DICEMBRE 2005), pp. 3383/3384-3393/3394Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23201478 .
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3383 PARTE PRIMA 3384
poter rilevare sul piano disciplinare ed essere passibili della
massima sanzione conservativa.
Ciò, soprattutto, con riferimento al primo licenziamento, ri
spetto al quale il giudice del lavoro, pur nel ritenere eccessiva
l'intimazione del licenziamento, ha reputato sussistente l'ille
cito contrattuale — di natura disciplinare — del ricorrente, con
sistente nella diffusione di un volantino infamante nei confronti
del sindaco e nella mancata consegna dei tesserini a due utenti.
Invero, ciò dimostra come la reazione del datore di lavoro sia
stata certamente eccessiva rispetto al fatto, ma essa non può re
putarsi talmente sproporzionata da dimostrare una pretestuosità nell'adozione della sanzione disciplinare, né, tanto meno, colo
rare in termini di specifica intenzione vessatoria la precedente condotta dell'ente comunale nei suoi confronti.
A ciò va aggiunto che l'esame effettuato — con efficacia di
giudicato — nella sentenza 228/02, ha accertato che, da un lato,
come corollario della privatizzazione del rapporto di impiego, che ha comportato la trasformazione dell'intimazione del licen
ziamento da provvedimento amministrativo dotato di autorita
rietà in atto privatistico soggetto alle forme previste dalle norme
che disciplinano l'impiego privato, il ricorrente, alla pari degli altri pubblici dipendenti, non aveva diritto di accesso agli atti
del procedimento disciplinare; dall'altro, che la mancata ade
sione del comune alla procedura arbitrale era del tutto legittima. Sotto entrambi questi profili, pertanto, non può ravvisarsi
un'attitudine vessatoria nel comportamento tenuto, del tutto le
gittimamente, dall'ente comunale.
Conclusivamente, dalla disamina complessiva dei fatti dedotti
dal ricorrente, si ricava che, lungi dall'essere dimostrata la
strategia persecutoria e demolitoria dell'ente comunale nei suoi
confronti, al fine di emarginarlo e di escluderlo dal mondo del
lavoro, i contrasti e le tensioni nell'esecuzione del rapporto, an
che per la sostanziale sporadicità degli episodi denunciati, sono
restati pienamente nell'area della normalità e della continenza, e
possono essere qualificati come vessatori soltanto movendo dal
l'ottica preconcetta dell'essere vittima di abusi, per la quale si
finisce per inquadrare in questa chiave di lettura ogni compor tamento altrui reputato pervasivo, invadente o prevaricatorio.
L'insussistenza dell'illecito sotto il profilo oggettivo, infine,
rende superflua la necessità di accertare la sussistenza effettiva
dei danni lamentati dal ricorrente, nonché il nesso causale ri
spetto all'illecito medesimo.
Questo giudice, pertanto, ha reputato irrilevanti i mezzi
istruttori articolati dal ricorrente in ordine alla prova del danno e
non ha ritenuto di disporre consulenza tecnica.
Né, poi, è stata ammessa la produzione documentale chiesta
dal ricorrente alla prima udienza.
Ed infatti, posto che le circostanze di fatto descritte in ricorso
e rilevanti per la decisione erano già sufficientemente istruite, la
successiva produzione, oltre che tardiva e lesiva del diritto di di
fesa della convenuta, sarebbe parimenti risultata irrilevante, sal
vo che non si reputasse ammissibile l'assunzione di mezzi di
prova in ordine ad ulteriori circostanze di fatto non allegate in
ricorso.
Questo giudice non ritiene di aderire ad un siffatto orienta
mento e, a prescindere dall'ammissibilità in giudizio di prove, ancorché documentali, non dedotte tempestivamente, nel caso di
specie i suddetti documenti sono, in definitiva, inammissibili, in
quanto la loro produzione violerebbe il principio della domanda
e della correlativa allegazione dei fatti su cui essa si fonda.
Il Foro Italiano — 2005.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione i civile; sentenza 24 di cembre 2004, n. 23976; Pres. Prestipino, Est. Ceccherini,
P.M. Ciccolo (conci, conf.); Soc. Eredi Gnutti metalli (Avv.
Antonelli, Scirè) c. Gnutti e altro; Soc. Eredi Gnutti (Avv.
Messina, Castelli) c. Gnutti e altro. Conferma App. Brescia
22 marzo 2001.
Società — Società di capitali — Bilancio — Delibera di ap provazione — Impugnazione per nullità — Interesse ad
agire — Interesse alle informazioni necessarie alla deter
minazione del valore della partecipazione sociale — Suffi cienza (Cod. civ., art. 2379, 2434 bis).
L'interesse del socio ad impugnare per nullità la deliberazione
di approvazione di un bilancio redatto in violazione delle
prescrizioni legali non dipende solo dalla frustrazione della
sua aspettativa alla percezione di un dividendo o, comunque, di un immediato vantaggio patrimoniale che una diversa e più corretta formulazione del bilancio possa eventualmente evi
denziare, potendo invece nascere dal fatto che la poca chia
rezza o la scorrettezza del bilancio non permetta al socio di
avere tutte le informazioni — destinate a riflettersi anche sul
valore della singola quota di partecipazione — che il bilancio
dovrebbe offrirgli, ed alle quali, attraverso la declaratoria di
nullità e la conseguente necessaria elaborazione di un nuovo
bilancio emendato dai vizi del precedente, egli legittimamente
aspira. (1)
(1) I. - La fattispecie trae origine dall'esercizio di azioni di nullità ed
annullabilità proposte dai sòci di minoranza rispetto ad alcune delibera
zioni di approvazione dei bilanci di una società per azioni per vizi di
veridicità e per mancanza di chiarezza di alcune poste. Mentre il tribu
nale non accoglieva le domande, il giudice di secondo grado dichiarava
la nullità di alcuni dei bilanci impugnati; la Cassazione conferma ora la
sentenza della corte d'appello, rigettando il ricorso esperito dalla so
cietà. Numerosi i precedenti. Sul diritto del socio all'informazione e sulla
conseguente rilevanza, ai fini del suo interesse ad impugnare il bilan
cio, della violazione del principio di chiarezza, cfr. Cass. 11 dicembre
2000. n. 15592, Foro it., 2001, I, 3274, con nota di richiami (tra i quali va rimarcato quello a Cass. 21 febbraio 2000, n. 27/SU, id., 2000, I,
1521), nonché Cass. 27 aprile 2Ó04, n. 8001, id., Rep. 2004, voce So
cietà, n. 1130, e Dir. e pratica società, 2004, fase. 14, 69, con nota di
Leoni; 22 gennaio 2003, n. 928, Foro it., Rep. 2003, voce cit., n. 1061, e Dir. e pratica società, 2003, fase. 8, 56, con nota di Ferrari; tra le
pronunce di merito, cfr., da ultimo, Trib. Milano 7 novembre 2003, Fo
ro it., Rep. 2004, voce ci't., n. 1107, e 17 novembre 2003, ibid., n. 1112, entrambi riportati in Giur. it., 2004. 340. con nota di Bonfante e Ca
gnasso, Note in teina di risultanze, ed omissioni, di bilancio tra vecchio
e nuovo diritto societario; 12 aprile 2003, Foro it., Rep. 2004, voce cit., n. 1106, e Foro pad., 2003. I. 696. In senso contrario, per la necessità
della natura patrimoniale dell'aspettativa del socio frustrata dal bilancio
poco chiaro, cfr. Trib. Biella 5 maggio 1997, Foro it.. Rep. 1998, voce
cit., n. 752, e Giur. it., 1998. 969, e Trib. Piacenza 19 ottobre 1995, Fo
ro it., Rep. 1996, voce cit., n. 747, e Società, 1996, 451, con nota di
Zucconi, Iscrizione in bilancio di credito da risarcimento danni extra
contrattuale. Circa il tema dell'interesse e della legittimazione ad agire, v. anche
Cass. 21 febbraio 2003, n. 2637, Foro it., 2003, I, 2768, e 25 marzo
2003, n. 4372, ibid., 2741, con rispettive note di richiami alle quali si rimanda per riferimenti di dottrina e giurisprudenza. Secondo tale ulti
ma pronuncia, per esperire l'azione di nullità di deliberazioni assem
bleari occorre allegare un interesse ad agire concreto ed attuale che de
ve riferirsi specificamente all'azione esercitata e non ad una diversa
azione il cui esercizio soltanto potrebbe soddisfare l'interesse dell'atto
re. Cfr. Trib. Napoli 5 aprile 2004, id., Rep. 2004, voce cit., n. 1129, e
Società, 2004, 1418, con nota di Silvetti, Invalidità del bilancio e
principio di continuità prima e dopo la riforma, per la questione del
l'impugnabilità del bilancio per vizi derivati da un precedente bilancio e per la rilevanza del c.d. principio di continuità.
Sull'utilizzabilità delle risultanze del procedimento ex art. 2409 c.c.
ai fini della decisione sull'impugnativa della deliberazione di approva zione del bilancio (problematica affrontata, nella fattispecie, dal giudi ce di prime cure), v. Cass. 29 settembre 1999, n. 10804, Foro it., Rep. 1999, voce cit., n. 969, secondo cui per la formazione del proprio con
vincimento il giudice dell'impugnazione può utilizzare le risultanze del
procedimento camerale, ma non riportarsi pedissequamente agli accer
tamenti ed alla valutazione in quella sede effettuati per ritenere non ve
ritiero o falso il bilancio, dovendo egli procedere ad un accertamento autonomo o comunque ad una valutazione critica degli accertamenti
compiuti e dei provvedimenti assunti in sede camerale. II. - La riforma del diritto societario ha variamente inciso sul tema
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Svolgimento del processo. — Con citazioni notificate tra il 25
febbraio 1980 e il 4 aprile 1985, Franco e Giacomo Gnutti, soci
di minoranza della Eredi Gnutti metalli s.p.a., chiamarono in
giudizio davanti al Tribunale di Brescia la società partecipata, chiedendo dichiararsi nulle o annullarsi le deliberazioni d'ap
provazione del bilancio di chiusura degli esercizi sociali, alla
data del 31 luglio, degli anni 1979, 1980, 1981, ed inoltre 1983 e 1984, per vizi attinenti alla non veridicità d'alcune poste, e
alla mancanza di chiarezza in ordine ad altre.
Le cause furono riunite e decise con sentenza 17 gennaio 1996. Il tribunale ricordò che una denuncia ex art. 2409 c.c.,
proposta dai medesimi soci nel 1984, ed accolta dal tribunale
all'esito di un'ispezione, si era poi conclusa in sede di reclamo
con la revoca del decreto del tribunale, per l'accertata insussi
stenza dell'attualità delle irregolarità di gestione, denunciate
con riferimento all'esercizio 1984/1985 con il ricorso introdut
tivo. L'illegittima estensione, disposta in quel procedimento,
dell'ispezione ad annualità precedenti -—
per le quali erano state
ravvisate delle irregolarità — non poteva essere utilizzata nean
che nel presente giudizio, e ciò valeva anche per le osservazioni
svolte nel decreto del tribunale che aveva recepito quelle con
clusioni, peraltro senza prendere in esame le serie contestazioni
del consulente degli amministratori. Tanto premesso, il tribu
nale esaminò i motivi d'impugnazione dei diversi bilanci, rite nendone talora l'infondatezza, talora la genericità o la mancanza
di prove a sostegno, e concluse con il rigetto delle domande e la
compensazione delle spese. I soci proposero appello. La società appellata si costituì per
resistere al gravame, e ripropose le eccezioni preliminari d'i
nammissibilità delle impugnazioni dei vari bilanci, eccependo inoltre l'inammissibilità dell'appello per la sua genericità.
La Corte d'appello di Brescia, dopo aver assunto una prova testimoniale, con sentenza 22 marzo 2001 accolse in parte l'ap
pello, e dichiarò la nullità — per i motivi accolti — delle appro
vazioni dei bilanci al 31 luglio 1979, al 31 luglio 1980 e al 31 luglio 1981, rigettando nel resto.
La corte territoriale osservò che, a fronte della chiara ratio
decidendi esposta nella sentenza di primo grado, era certamente
possibile individuare i passaggi investiti dal gravame e le do glianze espresse dagli appellanti, dovendosi quindi ammettere la
sussistenza del requisito d'ammissibilità costituito dalla specifi cità dei motivi.
La corte ritenne sussistente l'interesse del socio a che il bi
lancio sia redatto secondo i criteri di verità, chiarezza e preci sione e ad impugnare il bilancio, interesse concorrente con
quello della società e dei terzi che con essa vengano in rapporto,
precisando che tale interesse particolare giustifica l'impugna zione del bilancio nullo, anche per ragioni non coincidenti con
quelle generali di corretta e utile amministrazione; e ritenne
questo interesse non menomato dalla circostanza che siano im
pugnati solo alcuni bilanci intercalati ad altri non impugnati, o
che non siano stati impugnati i bilanci degli anni precedenti, pur nel caso in cui una ragione di nullità del bilancio impugnato si
ricolleghi alla nullità di un bilancio precedente non impugnato,
perché la mancata impugnazione di un bilancio non preclude alla parte di far accertare la nullità — per stare alla fattispecie di causa — della posta relativa alle giacenze iniziali senza che ciò
debba ripercuotersi su quello precedente. In tema d'interesse del
socio ad impugnare i bilanci, la corte richiamò la giurisprudenza di legittimità circa l'esistenza sia di profili patrimoniali e d'aspettative circa i risultati d'esercizio, e sia quelli dell'infor
mazione e della partecipazione alle scelte sociali, che possono essere compromessi da un bilancio inveritiero, falso o comun
que non chiaro.
Nella valutazione del materiale di prova, la corte ritenne di
potersi giovare anche della relazione dell'ispettore, assunta nel
secondo procedimento ex art. 2409 c.c. instaurato su denuncia
dei soci di minoranza, non trattandosi di prova illecitamente ac
affrontato dalla sentenza in epigrafe. In relazione all'interesse ad agire
per far valere l'invalidità della deliberazione del bilancio, rileva l'art. 2434 bis, secondo cui le azioni di annullabilità e nullità non possono essere proposte nei confronti delle deliberazioni di approvazione del bilancio una volta che sia avvenuta l'approvazione del bilancio del l'esercizio successivo (si rimanda alla nota a Cass. 21 febbraio 2003, n.
2637, cit., per ulteriori osservazioni e riferimenti).
Il Foro Italiano — 2005.
quisita, ed essendo essa rilevante in tema di ricostruzione delle
giacenze di magazzino e di valutazione di esse, giacché portava a far ritenere per gli anni 1979 e 1980 l'esistenza di un utile più consistente di quello dichiarato in bilancio, e per quelli rima
nenti un risultato effettivo d'esercizio assai peggiore. Questi dati avevano trovato riscontro nella prova testimoniale, la quale aveva dimostrato che ;la formazione del bilancio era dichiarata
mente funzionale al risultato della gestione che s'intendeva rag
giungere e che i dati contabili erano piegati a questa esigenza. Con riguardo ai singoli bilanci impugnati, la corte ritenne
nullo il primo di essi, al 31 luglio 1979, con esclusivo riguardo alla questione delle rimanenze, influenzate indebitamente da un
artificioso aumento del calo dei metalli; ritenne nullo il bilancio al 31 luglio 1980 sia per la falsità delle giacenze
— conseguen
za della nullità del bilancio per l'anno precedente — e sia per il
difetto di chiarezza in punto di spese di produzione e d'eserci zio, esposte per un importo considerevolmente superiore a
quello specificato nella relazione degli amministratori, essendo
stata la differenza imputata a seguito delle richieste di chiari menti a «lavorazioni eseguite da terzi» solo in data successiva
all'approvazione; ritenne nullo, .infine, il bilancio al 31 luglio 1981 per l'artificioso incremento del valore delle giacenze.
Per la cassazione della sentenza, notificata il 23 novembre
2001, la S.A. Eredi Gnutti s.p.a. ricorre con atto notificato il 21 gennaio 2002, affidato a due mezzi d'impugnazione interna mente articolati.
I soci Franco e Giacomo Gnutti hanno notificato, in data 27
febbraio 2002, controricorso con ricorso incidentale affidato a
tre motivi d'impugnazione. A sua volta, la società ha notificato il 5 aprile 2002 un contro
ricorso con ricorso incidentale subordinato.
Motivi della decisione. — In via pregiudiziale deve disporsi la riunione dei tre ricorsi, siccome proposti contro la stessa
sentenza, a norma dell'art. 335 c.p.c. Nel controricorso dei sig. Franco e Giacomo Gnutti si eccepi
sce l'inammissibilità del ricorso principale per carenza del re
quisito di cui all'art. 366, n. 3, c.p.c., nonché per difetto di spe cificità dei motivi (art. 366, n. 4, c.p.c.), in difetto di illustrazio ne delle ragioni per le quali la sentenza avrebbe violato il dispo sto delle norme richiamate.
L'eccezione, che investe il ricorso nella sua interezza, non è
fondata. Quantunque l'esposizione assai diffusa dei motivi
d'impugnazione possa rendere talvolta meno agevole l'indivi
duazione delle ragioni di doglianza della società.ricorrente, ciò
non esclude che queste ultime siano indicate con la precisione richiesta a garanzia della difesa delle parti intimate, e ciò sarà
verificato nell'esame dei singoli motivi di,ricorso, qui di seguito sintetizzati
1. - Con il primo motivo del ricorso principale si denunciano la violazione e falsa applicazione degli art. 2379 e 1421 c.c.
sotto il profilo dell'interesse ad agire in sede di impugnazione di
bilancio (art. 100 c.p.c.), nonché vizi di motivazione della sen
tenza impugnata sullo stesso punto. La ricorrente premette una
ricostruzione della giurisprudenza di legittimità in materia, fo
calizzata sul precedente di questa sezione 3 settembre 1996, n.
8048 (Foro it., 1996, I, 2686), per argomentarne che — se la
giurisprudenza aveva subito degli slittamenti nel senso dell'at
tenuazione del criterio della concretezza dell'interesse ad agire,
peraltro non sempre percepiti, e di fatto dissimulati dal richiamo
di massime o lacerti motivazionali avulsi dal contesto della de
cisione — non erano mai venuti del tutto meno i principi del
collegamento dell'interesse ad impugnare il bilancio, nullo per difetto del requisito della chiarezza, con il profilo economico, né soprattutto della necessità dei requisiti dell'allegazione e di
mostrazione della sussistenza in concreto di un interesse speci fico. Questi ultimi principi, tuttavia, sarebbero stati trascurati
nell'impugnata sentenza, e meriterebbero di essere sottoposti all'esame delle sezioni unite. A questo riguardo, la ricorrente ri
corda anche quelle posizioni dottrinali che assumono la neces
sità, nell'applicazione dell'art. 2379 c.c., di tener conto della
diversità tra società per azioni di grandi dimensioni ed altre so
cietà di capitale, sotto il profilo dei diritti del socio (quello, in
particolare, all'informazione) a confronto con le esigenze della
gestione sociale.
Su queste premesse, la ricorrente censura la motivazione con
la quale la corte territoriale ha respinto il suo tentativo di far
emergere l'interesse societario in sé rispetto all'interesse del
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3387 PARTE PRIMA 3388
singolo socio; ha affermato l'autonomia di ogni bilancio (di conseguenza impugnabile indipendentemente dall'impugnazio ne di altri bilanci non consecutivi nel tempo, pur in presenza di
uguali ragioni di nullità); ha sostenuto ohe l'allegazione, a fon
damento della nullità del bilancio del 1979, del carattere non ve
ritiero delle rimanenze iniziali non trova ostacolo nella mancata
prosecuzione dell'impugnazione del bilancio dell'anno prece dente, in base all'argomento che tale situazione potrebbe incide
re sulla fondatezza della censura ma non sul requisito dell'inte
resse.
Al giudice di appello si addebita, dunque, da un lato, di non aver tenuto conto del dibattito sulla rilevanza del principio di chiarezza, omettendo ogni indagine suila rifrazione dell'interes se sostanziale nel presente processo; di aver equiparato il caso
in cui il socio denunci la lesione dei suoi diritti patrimoniali e quello in cui si controvata del diritto all'informazione-, di aver
risolto l'interesse ad agire nel diverso requisito della legittima zione, e di averlo dedotto dalla prova della falsità. D'altro lato, si addebita all'impugnata sentenza di non aver valutato il pro blema — che era stato posto — della permanenza dell'interesse
ad agire fino al momento della decisione, e si nega che l'inte
resse fosse ravvisabile: — in relazione al bilancio del 1979, perché la censura relativa
alle giacenze iniziali aveva perso, in conseguenza dell'abban
dono dell'impugnazione del bilancio dell'anno precedente, la
sua base di fatto; e perché a quella premessa di fatto, venuta
meno, non poteva supplire l'osservazione che le giacenze di
magazzino fossero rimaste inalterate nel corso dell'ultimo trien
nio, argomento non riferibile specìficamente all'anno 1979; — in relazione al bilancio del 1980, perché la denuncia di in
formazione insufficiente era in sostanza tesa a conoscere l'inte
ro andamento gestionale del magazzino in tutto il corso del
l'esercizio, e quindi ad un controllo minuzioso del potere gesto rio, coinvolgente elementi coperti dal segreto industriale, ciò
che non poteva ammettersi; comunque, poiché la risoluzione del
problema era nota ai soci, anche per gli esercizi sociali succes
sivamente non impugnati ed addirittura approvati, era venuta
meno la permanenza dell'interesse; — in relazione al bilancio del 1983, perché le censure di me
rito, non essendo stato impugnato il bilancio dell'anno prece dente, difettavano di concretezza.
Infine, la corte bresciana, in presenza di un comportamento omissivo dei soci impugnanti
— che, sollecitati sul punto già dal tribunale, non avevano offerto alcun chiarimento sull'inte
resse ad agire che li moveva — si era del tutto disinteressata del
profilo subordinato, con cui la difesa della società aveva solle
vato «dubbi in ordine alla possibilità di invocare, in tema di im pugnative di bilancio, il criterio del c.d. abuso di diritto»: nella fattispecie, i soci impugnanti sarebbero mossi da ragioni, non
riducibili al mero interesse a conoscere i dati reali di bilancio, che porrebbero il problema del rispetto degli obblighi di corret
tezza e buona fede anche nei rapporti tra minoranza e maggio ranza.
Il complesso motivo non è fondato. Il tema dell'interesse ad
impugnare le deliberazioni d'approvazione del bilancio, specifi camente sotto il profilo del vizio di mancanza di chiarezza e
precisione, deve muovere dall'identificazione del contenuto del
diritto all'informazione (con riferimento all'art. 2423 c.c. nel
testo vigente anteriormente alla novella del 1991), che ha for
mato ripetutamente oggetto di esame da parte di questa corte di
legittimità. A questo riguardo, nella sentenza 21 febbraio 2000, n. 27/SU
(id., 2000, I, 1521), le sezioni unite di questa corte premettono che la funzione del bilancio non è soltanto quella di misurare gli utili e le perdite dell'impresa al termine dell'esercizio, ma an
che quella di fornire ai soci ed al mercato tutte le informazioni
che il legislatore ha ritenuto al riguardo di prescrivere. L'art.
2423 c.c. (nel testo vigente all'epoca cui si riferiscono le delibe
re impugnate) enuncia il principio di chiarezza, cui è collegato il diritto all'informazione, finalizzato a consentire l'espressione in
assemblea di un voto cosciente e meditato appunto perché ba
sato su un'adeguata conoscenza dei dati. Ora, in relazione a
quel parametro normativo, il diritto all'informazione deve tro
vare una realizzazione effettiva, e non già ricevere una risposta di mera apparenza.
Alla luce di tali principi, risulta confermata la soluzione alla
quale la giurisprudenza di questa corte era già pervenuta, che,
Il Foro Italiano — 2005.
cioè, per la già rilevata funzione informativa del bilancio, l'inte resse del socio, che lo legittima (ex art. 1421 c.c.) ad impugnare
per nullità la deliberazione d'approvazione d'un bilancio redatto
in violazione delle prescrizioni legali, non dipende solo dalla frustrazione dell'aspettativa che il medesimo socio possa avere
alla percezione di un dividendo o, comunque, da un immediato
vantaggio patrimoniale che una diversa e più corretta formula
zione del bilancio possa eventualmente far balenare. Quell'inte
resse, invece, ben può nascere dal fatto stesso che la poca chia
rezza o la scorrettezza del bilancio non permette al socio di ave
re tutte le informazioni — destinate ovviamente a riflettersi an
che sul valore della sìngola quota di partecipazione — che il
bilancio dovrebbe invece offrirgli, ed alle quali, attraverso la
declaratoria di nullità e la conseguente necessaria elaborazione
di un nuovo bilancio emendato dai vizi del precedente, il socio
impugnante legittimamente aspira (Cass. 3 settembre 1996, n.
8048, cìt.). Venendo, ora, più da presso al tema sollevato dalla società ri
corrente, che verte non solo sulla natura patrimoniale dell'inte
resse postulato dall'impugnazione del bilancio (interesse impli cito nel fatto che la corretta informazione sul valore della parte
cipazione non è praticamente dissociabile dalla possibilità per il socio di monetizzare la sua partecipazione), ma sulla sua con
cretezza, per la quale non è sufficiente la prospettazione di an
interesse meritevole di tutela ex art. 1421 c.c., va ricordato l'al
tro principio, pure affermato da questa corte: se è esatto che
l'interesse ad agire ex art. 100 c.p.c. deve essere verificato dal
giudice in base alla deduzione che la parte faccia di un suo so
stanziale interesse all'accoglimento della domanda, indipen dentemente dall'esito dell'accertamento della sua concreta esi
stenza, cioè della fondatezza nel merito di quella domanda, deve
però riconoscersi sussistere un concreto pregiudìzio per il socio — e, quindi, il suo interesse ad agire con l'impugnativa della
delibera — quando possa essere indotto in errore dall'inesatta
informazione fornita sulla consistenza patrimoniale e sull'effi
cienza economica della società, ovvero quando, per l'alterazio
ne od incompletezza dell'esposizione dei dati derivi o possa de
rivare un pregiudizio economico circa il valore della partecipa zione (Cass. 11 dicembre 2000, n, 15592, it/., 2001, I, 3274). Con specifico riferimento all'azione di nullità ex art. 1421 c.c., se è vero che l'interesse ad agire non può identificarsi con
quello generico ed astratto alla mera attuazione della legge o
alla semplice legalità dell'atto, è anche vero che, in relazione
alle impugnative di delibere di approvazione del bilancio, detto
interesse non è comunque quello all'astratto rispetto dei principi di chiarezza, veridicità e precisione, ma ad avere quelle infor
mazioni necessarie per destinare il valore della propria parteci
pazione: sussiste, quindi, un interesse sostanziale che sì traduce
in quello processuale (Cass. 15592/00, cit.). Ma il timore della parte ricorrente non ha fondamento, neppu
re se formulato nei termini più rigorosi, che si colgono dai com
plesso apparato argomentativo del motivo in esame, di un'effet
tiva e completa sovrapposizione dell'interesse sostanziale pro tetto all'interesse concreto ad agire. Se è veroniche le osserva
zioni in precedenza ricordate devono condurre alla constatazio
ne che la presenza di un interesse concreto ad agire per il socio
è normale (e per ciò stesso non richiede necessariamente
un'esplicita enunciazione in una parte formalmente distinta
della domanda), ciò non significa che in questo tipo di azioni l'interesse ad agire si risolva in un'inutile duplicazione del re
quisito della legittimazione. Al fine di verificare l'interesse, ad impugnare il bilancio per difetto di chiarezza, infatti, si richiede l'esame della fattispecie dedotta in causa nella sua interezza e
deve certamente ammettersi che quell'interesse, normalmente
ricollegabile alla partecipazione sociale, debba poi concreta
mente escludersi, per essere il socio — di fatto — nelle condi
zioni di conoscere con chiarezza e precisione il valore di essa, al
di là dei vizi di redazione del bilancio, o per avere quella parte
cipazione pacificamente perduto qualsiasi valore economico
come nel caso di perdita del capitale sociale, o per qualsiasi al
tra causa.
Sotto questo profilo, dunque, assume rilevanza decisiva —
anche per la verifica dell'interesse a ricorrere per cassazione sul
punto asseritamente mal giudicato dalla corte d'appello — lo
svolgimento delle censure che vertono sull'interesse a ricorrere
per l'annullamento, da parte del giudice di merito, dei singoli bilanci relativi agli anni 1979, 1980 e 1981 (i soli che siano stati
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
dichiarati nulli). Nel merito, però, queste censure, non ricolle
gandosi al contenuto dell'impugnata sentenza, sono inammissi
bili. Per il bilancio al 31 luglio 1979, infatti, si deduce che gli in
timati non avrebbero avuto interesse alla questione dell'accer
tamento delle giacenze iniziali di magazzino, perché tale que stione aveva perso, in conseguenza dell'abbandono dell'impu
gnazione del bilancio dell'anno precedente, la sua base di fatto.
Quel bilancio, tuttavia, è stato dichiarato dalla corte di Brescia
nullo per una ragione diversa, e cioè perché le rimanenze finali
di quell'anno sarebbero state influenzate indebitamente (non già dalla consistenza iniziale del magazzino, questione lasciata ca
dere, bensì) da un artificioso aumento del calo dei metalli. Ne
deriva che la questione dell'interesse ad agire per l'accerta
mento delle giacenze iniziali non ha avuto alcuna incidenza
nella dichiarazione di nullità di quel bilancio. Per il bilancio al 31 luglio 1980, si deduce che la denuncia
d'informazione insufficiente era in sostanza tesa a conoscere
l'intero andamento gestionale del magazzino in tutto il corso
dell'esercizio, ed in questi termini era inammissibile, interfe
rendo con elementi coperti dal segreto industriale. Quel bilan
cio, però, è stato dichiarato dalla corte del merito nullo per vizi
del tutto diversi da quello in relazione al quale si contesta la
concretezza dell'interesse ad agire: e cioè, per la falsità delle
giacenze —
conseguenza della nullità del bilancio per l'anno
precedente — e per il difetto di chiarezza in punto di spese di
produzione e di esercizio. Essendo caduta nel corso del giudizio la denuncia del vizio al quale la società fa riferimento critico,
valgono anche qui le osservazioni fatte per il bilancio del 1979.
Infine, per il bilancio al 31 luglio 1981 si deduce che le cen sure di merito, non essendo stato impugnato il bilancio dell'an
no precedente, difettavano di concretezza. Tuttavia, la corte di
Brescia ha dichiarato la nullità di quel bilancio per l'artificioso incremento del valore delle giacenze di magazzino nel corso
dell'esercizio, questione che è manifestamente indipendente dalla veridicità del bilancio precedente, non impugnato, e quindi anche dalla consistenza iniziale , delle giacenze, che è stata te
nuta ferma. La situazione riproduce dunque esattamente quella accertata per il bilancio chiuso il 31 luglio 1979, ed impone la medesima conclusione.
2. - Con il secondo motivo di ricorso, a sua volta articolato in
relazione ai tre distinti capi di sentenza con i quali è stata di
chiarata la nullità dei bilanci del 1979, 1980 e 1981, si denunzia la violazione di norme processuali in tema di principio della
domanda, valutazione delle prove e onere della prova, e connes
si vizi di motivazione della sentenza impugnata. 2.1. - Per quanto concerne la dichiarata nullità del bilancio
del 1979, nella parte relativa alle giacenze di magazzino, una
censura preliminare si appunta sul carattere generico ed esplo rativo della domanda, che il giudice d'appello avrebbe miscono
sciuto. Si osserva che, nella domanda attrice, la pretesa falsità
della posta era desunta esclusivamente dalla circostanza che le
giacenze di magazzino sarebbero rimaste inalterate nell'ultimo
triennio che per i due bilanci precedenti l'impugnazione ini zialmente proposta dalle stesse parti era stata abbandonata; e
che la mancanza di profili critici specificamente dedotti riguar do al bilancio dell'anno in discorso rendeva la domanda generi ca, mentre l'alternativa suggerita (se il dato non è veritiero, co
pre riserve occulte; se è veritiero, gli utili dichiarati sono
espressione delle preesistenti riserve di magazzino) la rendeva
esplorativa. Analogamente, la specificità dei motivi di appello doveva essere valutata sulla base dei presupposti di fatto enun
ciati dalla parte impugnante, e non, invece, essere integrata dalla corte d'appello con l'individuazione di punti sospetti che
la parte avrebbe indicato solo con un generico richiamo alla re
lazione interna in atti, o alla relazione dell'ispettore giudiziario;
infatti, l'appellante non poteva limitarsi ad affermare che que st'ultima relazione corroborava il suo assunto, ma aveva l'onere
di allegare dove e come ciò si avverava.
Il motivo è per questa parte infondato. La ricorrente sovrap
pone indebitamente elementi costitutivi della domanda ed ele
menti di prova che dovrebbero renderla fondata o che dovrebbe
ro comunque dimostrare la sua fondatezza. Una domanda di im
pugnazione di un bilancio è formulata in modo sufficientemente
determinato con riguardo a tutti i suoi elementi, quando precisa il bilancio del quale si chiede l'accertamento della nullità e la
relativa posta che sarebbe viziata, e quando inoltre indica il tipo
Il Foro Italiano — 2005.
di vizio da accertare (falsità, imprecisione, insufficiente chia
rezza, per stare al quadro normativo dell'epoca in cui furono re
datti i bilanci per cui è causa). L'eventuale inconsistenza delle
ragioni addotte a dimostrazione della denunciata falsità — se ef
fettivamente ravvisabile — non costituisce un vizio formale
della domanda, ma piuttosto una ragione della sua infondatezza; e le ragioni alternative addotte a dimostrazione della falsità di
una posta non comportano il carattere esplorativo di una do
manda, con la quale si affermi positivamente che la posta in
questione è falsa.
Quanto, poi, all'appello, il requisito della specificità dei mo tivi è soddisfatto se si indicano — come è stato certamente nel
caso di specie — i capi o i punti nei quali si assume che la sen
tenza sarebbe ingiusta (nella specie, in puntuale relazione con la
motivazione della sentenza censurata, nella svalutazione del
materiale probatorio offerto in primo grado) e la ragione per la
quale si sostiene l'erroneità della decisione (nella specie, per l'utilizzabilità e la concreta rilevanza delle relazioni scritte, in
atti, invocate a prova). Con riguardo poi al punto specificamente concernente il ge
nerico richiamo delle relazioni in tema di andamento del ma
gazzino nel corso del 1979, si deve convenire, in astratto, che
non si può richiamare un documento genericamente, mandando
al giudice di ricercare in esso gli elementi utili alla tesi soste
nuta; ma ciò non avviene quando, discutendosi di una specifica
posta del bilancio di un anno, si richiamano delle relazioni, im plicitamente ma inequivocabilmente nel punto in cui esse tratta
no di quella posta.
Dopo questo rilievo preliminare, il motivo prosegue con una
serrata discussione sull'esatta valutazione della prova costituita
dalla relazione interna Morandi, e della testimonianza Morandi,
nonché dal rapporto di questi elementi tra loro e con la relazione
De Vecchi, senza tradursi nell'individuazione di precisi passi
dell'impugnata sentenza nei quali si ravviserebbero delle con
traddizioni logiche, o delle insufficienze derivanti dall'omessa
considerazione di argomenti prospettati dalla parte, in relazione
ai quali mancherebbe comunque l'illustrazione del carattere de
cisivo prescritto dall'art. 360, n. 5, c.p.c. In particolare, si sostiene che la corte di Brescia non avrebbe
tenuto fede al programma inizialmente enunciato, di basare la
decisione sul duplice dato documentale (le due relazioni), vivi ficato e confermato dalla testimonianza. Ma ogni verifica sul
l'esattezza di quest'ultima censura (in senso contrario si nota
che, nell'esposizione della sentenza impugnata, la società aveva
«valorosamente contestato la ricostruzione delle quantità di ma
gazzino eseguita sulla scorta di fogli inventariali che erano stati
messi a disposizione dell'ispettore da parte dei denuncianti e
che costituivano una sorta di contabilità parallela rispetto agli inventari che accompagnavano i bilanci della società regolar mente depositati, rivelando notevoli discrepanze tra le quantità di metalli registrate», e che, tuttavia sul punto era «venuta defi
nitiva luce sia dai documenti prodotti nel presente giudizio dagli odierni appellanti, sia dalla testimonianza del direttore generale
rag. Morandi che quei documenti ha confermato e che è stato
assunto nel presente giudizio») è assorbita dalla considerazione
che non si chiarisce la ragione per cui la diversa piega assunta
dalla motivazione avrebbe carattere decisivo per la decisione
della lite. Il motivo è pertanto inammissibile per questa parte. 2.2. - Per quanto concerne la nullità del bilancio del 1980, di
chiarata sia per la ritenuta falsità della posta relativa alle gia cenze di magazzino, e sia per la mancanza di chiarezza in punto di spese di produzione e di esercizio, si premette che, rispetto
agli elementi dell'impugnazione enunciati nella citazione in
primo grado, la sentenza del tribunale aveva: esposto un'ade
guata motivazione di rigetto, e che il motivo di appello sul
punto sarebbe stato generico ed inammissibile. In particolare, la
doglianza di difetto di chiarezza, espressa nell'enunciato «le in
formazioni date successivamente ad un socio sono del tutto
ininfluenti com'è palese la violazione dell'art. 2425 c.c.», sa
rebbe stata arbitrariamente esplicitata dal giudice di appello. Torna poi, a proposito dell'utilizzazione della relazione Moran
di per l'accertamento della falsità delle poste concernenti le gia cenze di magazzino, la censura sulla genericità dell'allegazione di quella prova, non accompagnata dalla puntuale esposizione delle ragioni per le quali quel documento offrirebbe la prova sul
punto in discussione.
La censura non ha fondamento. La corte del merito ha osser
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PARTE PRIMA 3392
vato che l'atto di appello, con simmetria rispetto alla struttura
della decisione di prime cure, aveva esposto nella prima parte dei motivi appunto delle censure sulla radicale espunzione del
materiale probatorio operata dal giudice di primo grado con ri
ferimento sia alla relazione De Vecchi, sia alle motivazioni
contenute nel decreto emesso dal tribunale al termine della pro cedura ex art. 2409 c.c., che quella relazione avevano recepito; che, a questo riguardo, gli appellanti avevano esposto le ragioni in forza delle quali a quelle risultanze avrebbe dovuto quanto meno riservarsi una valutazione nella parte in cui davano conto
di elementi di fatto obiettivamente accertati; che, sempre in que st'ambito, essi avevano contestato l'affermazione, contenuta in
sentenza, che quegli elementi documentali (ritenuti inutilizzabili
dal tribunale) fossero l'unica prova addotta circa la denunciata
falsità dei bilanci, evidenziando al contrario come risultasse
prodotta in giudizio anche documentazione neppure considerata
dai primi giudici, e come fosse stata anche dedotta prova testi
moniale al riguardo; che, in secondo luogo, gli appellanti, pas sando in rassegna partitamente i diversi bilanci impugnati, ave
vano censurato di erroneità le valutazioni al riguardo compiute dal tribunale, insistendo, per alcuni rilievi, sulla prova circa la
fondatezza degli stessi che, disconosciuta dal giudice di prime cure, emergeva invece dalle risultanze probatorie offerte in cau
sa, e contestando direttamente, per altri, la pertinenza delle os
servazioni di carattere tecnico-giuridico contenute nella decisio
ne appellata. In presenza di questa motivazione sul punto della
specificità dell'appello, la censura esposta nel ricorso per cassa
zione si presenta generica ed inammissibile.
Con riguardo, poi, al difetto di chiarezza nel bilancio in que stione, denunciato (come risulta dallo svolgimento del fatto
nella sentenza impugnata) sin dall'atto di citazione in primo
grado, la formulazione — pur stringata
— del motivo di appello è stata dal giudice di secondo grado interpretata
— doverosa
mente, trattandosi di compito a lui demandato — con un'opera zione che è sottoposta al sindacato di legittimità della Corte di
cassazione nei limiti fissati dall'art. 360, n. 5, c.p.c. La corte
bresciana, dunque, ha riferito l'enunciato dell'atto di appello,
sopra ricordato, concernente la tardività delle informazioni for
nite ad un socio, all'unica ragione d'impugnazione per difetto di
chiarezza che fosse stata formulata nella citazione di primo gra do con riguardo al bilancio in questione, con un procedimento ermeneutico che si presenta piano ed esente da vizi logici, sic
come basato su elementi univoci che erano a disposizione anche
della società appellata, la quale d'altra parte non spiega in quale altro modo il motivo di appello potesse essere inteso. Sulla base
di queste premesse la corte del merito ha infine verificato la do
glianza così interpretata. La lettura della sentenza non offre ri
scontro alla censura di contraddittorietà o insufficienza, e la
censura stessa si traduce nel tentativo di indurre questa corte a
rileggere gli atti onde accertare autonomamente che dalla lettura
dell'appello non sarebbe stato possibile, per la società appellata,
comprendere il significato del motivo di gravame, compito che
eccede le competenze di questa corte.
2.3. - Per quanto concerne la dichiarata nullità del bilancio
del 1981, si deduce che nella citazione in primo grado i soci im
pugnanti avevano sottolineato la «radicale alterazione dell'indi
rizzo dei bilanci precedenti» compiuta nell'esercizio in questio ne, conseguentemente rinunciando a far ricadere su questo bi
lancio gli effetti della falsità delle poste denunciate per i bilanci
precedenti; e che la corte bresciana, pur riassumendo i termini
dell'impugnazione in modo (forse troppo sintetico, ma) non
scorretto, non avrebbe colto il valore del mancato richiamo ai
vizi denunciati per gli anni precedenti, e avrebbe dato un troppo
largo significato al fatto che l'appello aveva richiamato anche
per l'esercizio in discussione l'argomento dell'omessa conside
razione della relazione De Vecchi e delle relazioni compilate dalla direzione centrale amministrativa della società. Secondo la
società ricorrente, la premessa generale degli appellanti, riguar dante la prova offerta dai documenti, poteva coprire anche l'im
pugnativa del bilancio 1981 solo se quest'ultima fosse stata ini
zialmente collocata all'interno di un discorso generale, non in
vece nel caso — verificatosi — che l'impugnativa in questione fosse basata su ragioni del tutto diverse da quelle riguardanti gli anni precedenti. La corte d'appello sarebbe incorsa, sul punto, in una mutatio libelli operata d'ufficio, ed avrebbe utilizzato la
relazione dell'ispettore giudiziario De Vecchi, che aveva invece
Il Foro Italiano — 2005.
ignorato nell'esame delle impugnazioni i bilanci degli anni pre cedenti.
Il motivo è infondato, incorrendo anche qui in una sovrappo sizione degli elementi di allegazione e di prova della domanda, che sono invece su piani distinti. La domanda di accertamento
della nullità del bilancio del 1981 era effettivamente basata su
fatti diversi da quelli allegati per i bilanci degli anni precedenti. Con ciò, tuttavia, non è in contraddizione l'affermazione che, anche per questi diversi fatti, la prova sarebbe offerta da quelle medesime relazioni, nelle quali era contenuta la prova dei fatti
allegati per gli anni precedenti, non essendo l'unicità del docu
mento incompatibile con la molteplicità dei suoi contenuti. Né
l'utilizzazione di prove regolarmente acquisite al processo ed
allegate dalla parte (in modo non generico, a causa dell'impli cito ma inequivocabile riferimento alle osservazioni della rela
zione concernenti la posta impugnata per quell'anno, come s'è
già detto), può dar luogo a modificazione della domanda.
Il ricorso principale, in conclusione, è da rigettare. 3.1. - Con il primo motivo del ricorso incidentale, diretto
contro quella parte della sentenza che si occupa dell'impugna zione del bilancio al 31 luglio 1983 e articolato in due censure, si denunciano la violazione o falsa applicazione di norme in te
ma di bilancio e di valutazione delle prove, nonché vizi di moti
vazione della sentenza. Con la prima censura si deduce che la
corte del merito, dopo aver riferito che gli appellanti si erano
limitati ad affermare l'esistenza della prova della falsità del bi
lancio «nella documentazione prodotta e nella relazione del
prof. De Vecchi», a torto aveva supposto che il richiamo dalla
documentazione prodotta fosse limitato alle relazioni della dire
zione centrale amministrativa e dell'ispettore giudiziale, senza
tener conto del decreto pronunciato dal tribunale a norma del
l'art. 2409 e quello emesso in sede di reclamo dalla corte d'ap
pello; provvedimenti i quali, richiamandosi alle relazioni già menzionate, affermavano concordemente la sussistenza, anche
nel bilancio 1983, di irregolarità «attuali secondo il principio di continuità dei bilanci, per effetto del quale le alterazioni delle
poste si ripercuotono sugli esercizi successivi, che muovono
contabilmente da quelle poste», non essendo l'attualità esclusa
dalla certificazione dei bilanci successivi. Immotivatamente,
pertanto la corte avrebbe limitato il significato del richiamo de
gli appellanti ai soli documenti costituiti dalle relazioni, laddove
il richiamo si riferiva a tutti i documenti al fine di estendere
l'esame del giudice d'appello al complesso delle risultanze
istruttorie acquisite in causa.
La censura, che si contrappone in modo speculare a quelle della società ricorrente principale, e delle quali si è diffusa
mente detto, è infondata e deve essere rigettata, ma offre l'op
portunità di approfondire un tema — quello della specificità
delle allegazioni delle parti — che è di sicura rilevanza per il
corretto svolgimento del processo. Il tema, peraltro non è nuovo. La corte ritiene, dunque, di do
ver ribadire qui il suo insegnamento, che il giudice ha il potere dovere di esaminare i documenti prodotti dalla parte solo nel ca
so in cui la parte interessata ne faccia specifica istanza, espo nendo nei propri scritti difensivi gli scopi della relativa esibi
zione con riguardo alle sue pretese, derivandone altrimenti per la controparte l'impossibilità di controdedurre e risultando per lo stesso giudice impedita la valutazione delle risultanze proba torie e dei documenti ai fini della decisione (Cass. 6 aprile 2001, n. 5149, id., Rep. 2001, voce Prova civile in genere, n. 15; 16
agosto 1990, n. 8304, id., Rep. 1990, voce Procedimento civile, n. 109). Si tratta di principi che, lungi dall'aver perso di validi
tà, hanno acquistato un ulteriore rilievo a seguito della sottoli
neatura che il valore del contraddittorio ha assunto nella riforma
dell'art. Ill Cost., operata con l'art. 1 1. cost. 23 novembre
1999 n. 2, essendo manifesto che il richiamo generico, e non
univocamente decifrabile, ad un materiale di prova documentale
prodotto in causa non consente alla controparte di controdedurre
adeguatamente, e di esercitare pienamente il suo diritto di dife
sa, ma si traduce in un inammissibile tentativo di demandare al
giudice la ricerca degli elementi più utili alla tesi sostenuta.
In base a quanto s'è detto, non soddisfa il predetto requisito di specificità dell'allegazione il generico richiamo alla docu
mentazione in atti, con il quale, lungi dall'esporsi gli scopi della
relativa produzione con riguardo ai motivi di gravame, non si
chiarisce neppure di quali documenti precisamente si tratti, e
quindi ancor meno quale parte del contenuto di essi venga in
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
considerazione ai fini della difesa, ponendo la controparte nella
impossibilità pratica di difendersi. Né conseguentemente è cen
surabile la decisione del giudice che, nel decidere sul motivo di
gravame basato su tale generico richiamo, si limiti ad utilizzare
quei soli documenti per i quali, in precedenza, sia stata giudi cata fondata la doglianza dell'appellante, di mancato esame da
parte del giudice di primo grado. Con una seconda censura si deduce che la corte di Brescia sa
rebbe stata in errore negando che nella relazione De Vecchi non
vi fosse la prova della falsità del bilancio in questione. Sui punti costituiti dalla riclassificazione fondi al passivo e dalla creazio
ne fondo plusvalenze, le spiegazioni offerte dagli amministratori
non potevano bastare a respingere una censura di difetto di chia
rezza, perché l'accertata falsità dei bilanci 1979, 1980 e 1981 si
rifletteva anche sui singoli aspetti del bilancio 1983.
Il motivo è in parte inammissibile, e per il resto infondato.
Esso è inammissibile nella parte in cui svolge considerazioni
concernenti il contenuto dei documenti e il valore dimostrativo
che essi avrebbero avuto, così sconfinando nel merito. Il moti
vo, poi, è infondato laddove svolge una censura alla motivazio
ne, per aver trascurato le implicazioni del principio della conti
nuità dei bilànci. Detto principio, infatti, vale tra bilanci di anni consecutivi: il fatto che non sia stata accertata la nullità del bi
lancio 1982 non consentiva di riverberare la nullità del bilancio
1981 su quello 1983. 3.2. - Con il secondo motivo del ricorso incidentale, diretto
contro quella parte della sentenza che si occupa dell'impugna zione del bilancio al 31 luglio 1984, e articolato in due censure, si denunciano la violazione o falsa applicazione dell'art. 342
c.p.c., dell'art. 116 c.p.c. e di norme in tema di bilanci, nonché
vizi di motivazione della sentenza impugnata. Con la prima censura si deduce che a torto il giudice di ap
pello avrebbe ritenuto infondata la censura proposta in appello mediante semplice richiamo a quanto dedotto in citazione e
nelle varie difese, giudicando insufficiente il generico rinvio
alle difese svolte in primo grado. Infatti, l'art. 342 c.p.c. in tema
di appello, non richiederebbe la dettagliata specificazione dei
motivi di doglianza imposta invece dall'art. 366, n. 4, c.p.c. per il ricorso per cassazione, ma soltanto un'esposizione chiara ed
univoca, anche se sommaria, (della domanda di gravame e) delle ragioni della doglianza, che possono essere integrate anche
con il rinvio ad atti del processo già ritualmente acquisiti, i quali si presumono noti. Si aggiunga che, in ogni caso, l'appello $ra strutturato in due parti: una generale, riferita alla denuncia del
l'errore del tribunale di non aver valutato il materiale probato rio, e una specifica, riferita ai singoli bilanci; e che la corte
d'appello, avendo ammesso i motivi riferiti alle impugnazioni dei bilanci precedenti (1979, 1980, 1981 e 1983), avrebbe do vuto ammettere anche il motivo d'appello per l'anno 1984
«avente ad oggetto le medesime doglianze sorrette dalle mede
sime argomentazioni». Il motivo è infondato. È consolidato nella giurisprudenza di
questa corte il principio che l'onere di specificazione dei motivi
di appello, imposto dall'art. 342 c.p.c., non è assolto con il
semplice richiamo per relationem alle difese di primo grado in
quanto, da una parte, i motivi di gravame devono, per dettato di
legge, essere contenuti nell'atto di impugnazione e riferirsi alla
decisione appellata, e tali non possono essere le osservazioni e
le difese esposte prima di essa; dall'altra, perché un siffatto ri
chiamo obbligherebbe il giudice ad quem ad un'opera di rela
zione e di supposizione che la legge processuale non gli affida.
Ne consegue, in difetto di esposizione dei motivi specifici del
l'impugnazione, la nullità dell'atto e l'inammissibilità del gra vame (Cass. 20 settembre 2002, n. 13756, id., Rep. 2002, voce
Appello civile, n. 89; 17 gennaio 2001, n. 573, id., Rep. 2001, voce cit„ n. 76).
Il fatto poi che una parte dei motivi, concernente l'utilizzabi
lità del materiale probatorio proposto in primo grado, fosse stata
utilizzata per verificare la fondatezza delle doglianze specifiche concernenti altri bilanci non è in contraddizione con la loro ge nericità per l'anno in questione, posto che con riguardo a questo non erano state formulate censure specifiche alla motivazione — essa stessa specifica
— della sentenza di primo grado. E ne
cessario infatti, anche quando la sentenza di primo grado sia
stata censurata nella sua interezza, che le ragioni sulle quali si
fonda il gravame siano esposte con sufficiente grado di specifi
cità, da correlare con la motivazione della sentenza impugnata,
Il Foro Italiano — 2005.
con la conseguenza che se, da un lato, il grado di specificità dei
motivi non può essere stabilito in via generale ed assoluta, dal
l'altro lato, esso esige pur sempre che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata siano contrapposte quelle del
l'appellante, volte ad incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime (Cass. 19 gennaio 1999, n. 464, id., 2000,1, 218).
Con la seconda censura si deduce che la corte di Brescia ave
va riconosciuto, per l'impugnazione del bilancio 1984, la speci ficità della sola doglianza relativa all'errore commesso dal tri
bunale, per non aver rinvenuto in atti la prova della dedotta nul
lità del bilancio, consistente, in tesi, nella relazione del prof. De
Vecchi, e nella documentazione prodotta dagli appellanti; ma
che, a torto, aveva giudicato infondata la doglianza medesima
osservando che, secondo lo stesso ispettore; il bilancio di quel l'anno era stato certificatole che pertanto nella relazione non vi
era nulla che potesse contrastare il convincimento del primo
giudice circa la legittimità del bilancio medesimo. Così facendo
la corte del merito aveva commesso un duplice errore, perché:
a) non aveva considerato che le irregolarità accertate per i bi
lanci precedenti si ripercuotevano necessariamente su quello in
esame; e b) perché si era contraddetta, avendo in realtà già uti
lizzato la relazione dell'ispettore per contrastare il convinci
mento espresso dal primo giudice. Anche questo motivo è infondato. Secondo il giudice di ap
pello, la relazione dell'ispettore giudiziario non si era occupata del bilancio chiuso il 31 luglio 1984, adducendo il motivo che
quel bilancio era certificato. Si ricava da ciò che nella relazione
non potevano esserci rilievi sul bilancio 1984, da utilizzare in
chiave critica alla decisione di primo grado, mentre la rilevanza
delle nullità rilevate per i bilanci precedenti era esclusa dal fatto
che il bilancio in questione era stato immediatamente preceduto da due bilanci (1982 e 1983) esenti da vizi di nullità. La con traddizione denunciata, pertanto, non esiste perché la relazione
in questione è stata utilizzata dal giudice del merito per i suoi
contenuti, che non includevano dati concernenti l'anno in que stione, mentre le osservazioni per gli anni precedenti non pote vano comunque svolgere un ruolo, in difetto di consecutività
degli esercizi. 4. - Il ricorso incidentale subordinato, proposto dalla società
ricorrente principale a seguito del ricorso incidentale dei soci, è
inammissibile. Secondo la costante giurisprudenza di questa corte, la parte che abbia già proposto ricorso per cassazione (sia esso principale o incidentale) contro alcune delle statuizioni
della sentenza d'appello, nel rapporto con un determinato av
versario, non può successivamente presentare un nuovo ricorso, nell'ambito dello stesso rapporto, nemmeno se nel frattempo abbia ricevuto notificazione del ricorso di detto avversario, ed a
prescindere dal fatto che quest'ultimo possa suggerire una
estensione della contesa anche con riguardo ad altre pronunce relative a quel rapporto, atteso che l'ordinamento non consente
il reiterarsi o frazionarsi dell'iniziativa impugnatoria in atti se
parati (secondo il principio della c.d. consumazione dell'impu
gnazione); e il relativo divieto non trova deroga nelle disposi zioni di cui all'art. 334 c.p.c., le quali operano soltanto in favore
della parte che, prima dell'iniziativa dell'altro contendente, ab
bia fatto una scelta di acquiescenza alla sentenza impugnata (Cass. 13 dicembre 1996, n. 11128, id., Rep. 1996, voce Impu
gnazioni civili, n. 85; 2 dicembre 2000, n. 15407, id., Rep. 2000, voce cit., n. 138; 9 agosto 2001, n. 10998, id., Rep. 2001, voce
Cassazione civile, n. 269; 2 agosto 2002, n. 11602, id., Rep. 2002, voce cit., n. 275).
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