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Sezione I civile; sentenza 24 marzo 1962, n. 600; Pres. Celentano P., Est. Favara, P. M. Tavolaro...

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Sezione I civile; sentenza 24 marzo 1962, n. 600; Pres. Celentano P., Est. Favara, P. M. Tavolaro (concl. conf.); Ditta S.i.s.a.m. (Avv. Sorrentino, Zanghi) c. Comune Catania (Avv. Daina, De Felice, Scaduto) Source: Il Foro Italiano, Vol. 85, No. 9 (1962), pp. 1739/1740-1743/1744 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23150911 . Accessed: 28/06/2014 07:43 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 193.142.30.220 on Sat, 28 Jun 2014 07:43:51 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sezione I civile; sentenza 24 marzo 1962, n. 600; Pres. Celentano P., Est. Favara, P. M. Tavolaro(concl. conf.); Ditta S.i.s.a.m. (Avv. Sorrentino, Zanghi) c. Comune Catania (Avv. Daina, DeFelice, Scaduto)Source: Il Foro Italiano, Vol. 85, No. 9 (1962), pp. 1739/1740-1743/1744Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23150911 .

Accessed: 28/06/2014 07:43

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1739 PARTE PRIMA 1740

couseguenza, non poteva essergli disconosciuto il compenso

per il lavoro che perdurava oltre l'orario normale. Infine

sostiene ohe, qualora il citato art. 34 del menzionato con

tratto collettivo fosse diversamente interpretato, dovrebbe

essere considerato privo di efficacia, giacche sarebbe in

contrasto con disposizioni generali, di carattere imperative, sulla retribuzione del lavoro straordinario.

Anche tali doglianze sono prive di fondamento.

£ d'uopo premettere che la Corte di merito, nel pren dere in esame la questione inerente alia retribuzione per il lavoro straordinario pretesa dal Dall'Ovo, osservõ che, a termini dell'art. 34 del contratto collettivo del 23 otto

bre 1950 per i dipendenti da aziende commerciali, il per sonale preposto alla direzione tecnica o amministrativa

dell'azienda o di un reparto di essa, con diretta responsa bilitä, dell'andamento dei servizi, e tenuto a prestare la

sua opera anche dopo l'orario normale di lavoro, senza

speciale compenso e per il tempo necessario al regolare funzionamento dei servizi ad esso affidati. Considerõ, poi, che tale era, per l'appunto, la condizione del Dall'Ovo,

quale capo ufficio preposto alia direzione di una notevole

branca dell'attivita aziendale (reparto spedizioni dei pe riodici e resa di quelli rimasti invenduti), reparto dislocato

in sede separata con correlativa autonomia di azione nel

l'espletamento del servizio e con responsabilita dell'anda

mento di questo. E, in base a tali considerazioni, la Corte

di appello pervenne alia conclusione che doveva escludersi

il diritto dello stesso Dall'Ovo a un particolare compenso

per il lavoro prestato oltre l'orario normale. .

Ciõ posto, va rilevato che il menzionato contratto col

lettivo del 23 ottobre 1950, essendo stato stipulato dopo la

soppressione dell'ordinamento corporativo dello Stato, ha

natura privatistica. Ond'ö che la violazione e la falsa appli cazione, da parte dei Giudici del merito, dei patti in esso

contenuti, non sono denunziabili in Cassazione come errori

di diritto e possono essere sindacati soltanto per eventuale

violazione delle regole attinenti all'interpretazione dei con

tratti, ai sensi degli art. 1362 segg. cod. civile. Per altro, nel

caso in esame, nessuna violazione delle norme di erme

neutica e stata denunziata dal ricorrente, ne e comunque ravvisabile nella indagine compiuta dalla Corte di appello, in ordine all'interpretazione del piu volte menzionato con

tratto collettivo : la prospettata doglianza si rileva, per tanto, del tutto vana e inattendibile.

Non e poi esatto l'ulteriore assunto del ricorrente che, accedendo all'interpretazione data dalla Corte di appello al citato art. 34, questo dovrebbe essere considerato privo di efficacia, perche in contrasto con norme imperative. In

fatti l'anzidetta disposizione del contratto collettivo del

23 ottobre 1950 costituisce una mera applicazione del prin

cipio fissato dall'art. 1 r. deereto legge 15 marzo 1923 n.

adesivamente da Pasini, Sulla retribuzione del lavoro prestato dai dirigenti d'azienda oltre i limiti conlrattuali, in Dir. lav., 1943, II, 33 ; conforme Ardau, Sul lavoro straordinario dei diri

genti d'azienda, ibid., I, 184. Comunque la normativa legale puõ essere derogata, purchž in favore del lavoratore, sia dal con tratto collettivo : App. L'Aquila 31 lug] io 1954, Foro it., Rep. 1955, voce Lavoro (rapporto), n. 471, sia dal contratto indivi duale : Cass. 14 aprile 1947, n. 539, id., Rep. 1947, voce Im

piego priv., n. 37. Per qualche riferimento, infine, alle norme da applicarfe

in tema di interpretazione dei contratti collettivi postcorpora tivi (art. 1362 e segg. cod. civ.), confronta la giurisprudenza, ormai consolidata, appresso indicata: Cass. 16 marzo 1962, n. 550, id., Mass., 160 ; 22 giugno 1961, n. 1490, id., Kep. 1961, voce Lavoro (contratto), n. 51 ; 30 ottobre 1961, n. 2485, ibid., n. 52 ; 14 ottobre 1961, n. 2163, ibid., n. 53 ; 21 gennaio 1961, n. 81, ibid., n. 54 ; 3 febbraio 1961, n. 228, ibid., n. 55 ; 30 agosto 1960, n. 2395, id., Rep. 1960, voce cit., n. 62 ; 11 ottobre 1960, n. 2631, ibid., nn. 70, 71 ; 4 giugno 1960, n. 1459, ibid., n. 72 ; 29 aprile 1950, n. 1155, id., 1950, I, 662 e 3 febbraio 1950, n.

283, ibid., 1155. II contratto collettivo 23 ottobre 1950 (Le Leggi, 1958,

appendice n. 5, 49) & stato « recepito » nel deereto pres. 2 gen naio 1962 n. 481, pubblicato nel supplemento n. 155 della Gaz zetta uff. del 20 giugno 1962 (Le Leggi, 1962, appendice n. 5, 224).

692, a tenore del quale il personale direttivo delle aziende

e escluso dalle limitazioni dell'orario di lavoro. Ora questa ultima disposizione, nello stabilire Tinapplicabilita delle li

mitazioni in parola, non pone alcuna distinzione tra il per sonale direttivo ehe sia tenuto all'osservanza di un deter

minate orario di lavoro e quello clie non sia tenuto a tale

osservanza. E tale distinzione sarebbe, d'altronde, contra

ria alia ratio della norma. Questa, infatti, ha la sua ragione d'essere nella particolare qualitä dei soggetti e nella natura

delle mansioni da essi svolte. Coloro che hanno la dire

zione tecnica o amministrativa di una impresa, o di uno

dei suoi grandi reparti, non possono svolgere un lavoro

eircoseritto entro limiti di orario. Essi hanno gia un trat

tamento superiore per la qualita. delle prestazioni e, nel

loro lavoro, non si puõ avere una parte ordinaria e una

parte straordinaria, giacche devono dare tutta l'opera oc

corrente per il buon andamento dell'azienda o del reparto a cui sono preposti. D'altra parte l'esplicazione di una atti

vitä direttiva conferisce, di regola, al lavoro un earattere

di minore penosita fisica nei confronti di coloro che sono

adibiti a mansioni, in tutto o in parte, manuali. Orbene, tali ragioni, per le quali e stata disposta, per il lavoro diret

tivo, la esclusione del vincolo del massimo orario, concer

nono tutto il personale che presti tale lavoro, e non sol

tanto quello che non sia tenuto all'osservanza di un deter

minate orario. Ond'fe che, contrariamente a quanto il ricor

rente assume, l'esclusione in discorso ha una portata gene rale e si applica a tutto il personale direttivo. Esaurito

l'esame del ricorso principale, si procede alia valutazione

del ricorso ineidentale. (Omissis) Per questi motivi, eassa, ecc.

P. s.

CORTE SÜPREMA DI CASSAZIONE.

Sezione I civile ; sentenza 24 marzo 1962, n. 600 ; Pres.

Celentano P., Est. Favara, P. M. Tavolaro (concl.

conf.) ; Ditta S.i.s.a.m. (Aw. Sorrentino, Zanghi) c.

Comune Catania (Aw. Daina, De Felice, Scaduto).

(Oassa App. Gatania 19 maggio 1959)

Arbitrato — Conclusioni di una parte eoeedenti i

limiti del compromesso o della elausolu compro missoria — Maneato rilievo — Conseguenze —

Fattispecie (Cod. proo. civ., art. 817, 829, n. 4).

II principio, per il quale la sentenza arbitrale, che pronunzi

fuori dei limiti del compromesso o della clausola compro missoria, non puö essere impugnata per nullita dalla

parte che nel corso del procedimento non ha ritualmente

eccepito I'incompetenza degli arbitri a decidere fuori da

quei limiti, si appliva anche al caso in oui I'onere dell'ec

eezione gravava sulla pubblica Amministrazione. (1) Alia eccezione d'incompetenza non equivale Vistanza di riw

nione del procedimento arbitrale con altro procedimento arbitrale. (2)

La Corte, ecc. — Col primo mezzo, il ricorrente, denun ziando la violazione degli art. 817 e 829, n. 4, cod. proe. civ., assume che, contrariamente a quanto ritenuto dalla

Corte di merito, la pronunzia fuori dei limiti del compro

(1-2) Conformi, sul principio generale, Cass. 12 marzo 1957, n. 835, Foro it., Rep. 1957, voce Arbitrato, mi. 136, 137 ; 21 feb braio 1955, n. 502, id., Rep. 1955, voce eit., nn. 144, 145 ; App. Milano 19 ottobre 1953, id., Rep. 1953, voce Arbitramento, n. 67 ; Cass. 23 febbraio 1949, n. 336, id., Rep. 1949, voce cit., n. 79 ; 9 agosto 1948, n. 1447, id., Rep. 1948, voce cit., n. 58 (altra parte della motivazione e riportata in questa rivista, 1948, I, 818, con nota di richiami).

In dottrina, sempre sul principio generale, Schizzerotto, Dell'arbitrato, Milano, 1958, pag. 411 segg. ; Vecchione, L'arbi trato, Napoli, 1953, pag. 377 ; Carnacini, Arbitrato rituale, n. 50, voce del Novissimo digesto italiano.

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1741 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 1742

messo realizza un vizio di incompetenza del collegio arbi

trate che puõ essere dedotto come motivo di impugnazione del lodo per nullita solo se, nel caso del giudizio arbitrate, la parte interessata abbia ritualmente eccepito che le con

clusion! delle altre parti esorbitavano dai limiti del compro messo o della clausola compromissoria. Perciõ, nella specie, il motivo di nullita dedotto dal Comune di Catania era

inammissibile perche questo, nel giudizio arbitrale, non

aveva eccepito che la questione della valutazione del mate

riale eccedeva i limiti della clausola compromissoria ed

anzi col suo comportamento aveva mostrato di aderire a

rimettere al Collegio la determinazione del compenso do

vuto per l'uso del materiale stesso. Inoltre, la Corte, affer

mando che l'eventuale adesione dei rappresentanti del

Comune nel corso del processo arbitrale, rivolta a fare valu

tare l'attrezzatura con modalitä difformi da quelle previste nella clausola compromissoria, sarebbe stata inefficace in

quanto unico competente a deliberare tale adesione sarebbe

stato il Consiglio comunale, ha fatto un rilievo irrilevante

perche, essendo la preclusione all'esperimento di una im

pugnativa una conseguenza di carattere processuale che

la legge fa derivare da un determinato comportamento, in

questo campo i litiganti non si distinguono in due settori, l'uno dei quali costituito dalle pubbliche Amministrazioni

che, potendo deliberare solo attraverso organi e con certe

modalitä, sfuggirebbero cosi alle preclusioni ed alle deca

denze sancite dalle leggi processuali per effetto del loro

comportamento processuale. Le doglianze del mezzo sono fondate.

Infatti, ai sensi degli art. 829, n. 4, e 817, l'impugna zione per nullita della sentenza arbitrale, per averla gli arbitri pronunziata fuori dei limiti del compromesso o

della clausola compromissoria, non e ammessa per la parte

che, nel corso del procedimento arbitrale, non abbia ri

tualmente eccepito che le conclusioni dell'altra parte esor

bitano dai limiti anzidetti.

In altre parole, l'eccezione di incompetenza non puõ essere messa a base della impugnazione per nulllitä della

sentenza arbitrale quante volte il vizio di extra od ultra

petizione sia provocato dalla parte attraverso le richieste

contenute nelle conclusioni senza eccezione dell'altra parte. II vizio e, invece, denunziabile in sede di impugnazione

per miilita,, anohe se la parte non abbia sollevato la rela

tiva eccezione nel corso del procedimento arbitrale, quando la pronunzia viziata per extrapetizione dipenda non dalle

conclusioni delle parti, ma da un vero e proprio error in

procedendo spontaneo degli arbitri, ovvero quando, avendo

la parte sollevato l'eccezione stessa durante il procedimento

arbitrale, gli arbitri 1'abbiano, con la sentenza, disattesa.

Quando, perciõ, l'una parte formuli conclusioni ultronee

che come tali esorbitano dai limiti fissati dal compromesso o dalla clausola compromissoria e l'altra parte non ecce

pisce l'incompetenza degli arbitri, questi (salvo che non

si tratti di materie del tutto sottratte al giudizio arbitrale)

giudicano validamente anche dell'oggetto ultroneo che

cosi, attraverso il comune consenso delle parti, viene sot

toposto al loro esame, allargando in tale modo la materia

del contendere.

Ora, questo Supremo collegio, vagliando quale giudice di merito in tema di competenza la specie in esame, ritiene

per fermo che, in virtu del concorde comportamento pro cessuale delle parti in causa, il giudizio arbitrale deferito

ai tre arbitri giuristi in virtu dell'apposita clausola com

promissoria, e stato esteso, al di la dei limiti originalmente fissati da essa, anche alia soluzione delle questioni tecniche

che si presentavano quali strettamente conseguenziali per la valutazione del danno richiesto dal Michisanti nei con

fronti del Comune di Catania per effetto della risoluzione

del contratto col quale era stato concesso ad esso Michi

santi il servizio di nettezza urbana della cittä di Catania e, in particolare, in ordine alia valutazione dell'uso delle at

trezzature dal momento della risoluzione del contratto a

quello della loro restituzione al concessionary avvenuta

circa un anno dopo.

Infatti, tra le conclusioni della S.i.s.a.m., di cui il Mi

chisanti era titolare, vi era quella con la quale era stato

espressamente richiesto agli arbitri di fissare tra l'altro

l'indennizzo per 1'uso delle attrezzature addette al servizio

di nettezza urbana, restituite dopo oltre un anno di servizio,

compreso il loro deterioramento.

Per la stima di tale indennizzo, rientrante tra le varie

voci del danno richiesto dalla parte a oarico del Comune,

gli arbitri nominarono un consulente tecnico con ordinanza

del 2 giugno 1953, nella persona dell'ing. Giuliani, dando

alle parti la facoltä di nominare i propri consulenti. Tale

richiesta espressa non trovõ alcuna opposizione da parte del Comune di Catania, nella competente sede arbitrale, eon la conseguenza che, a norma del disposto degli art.

829, n. 4, e 817, esso Comune non poteva piu fare valere

tale motivo di nullity in sede di impugnazione non avendo

proposto la relativa eccezione durante il procedimento ar

bitrale.

Sostiene il Comune, in questa sede, clie era stata da

vanti agli arbitri chiesta l'unione del procedimento di cui

e oggi causa ad altro, pendente tra le stesse parti, dinanzi

a diverso collegio arbitrate formato dagli stessi arbitri

ehe pronunziarono il lodo impugnato e da altri due arbitri

tecnici per la risoluzione di altra controversia insorta tra

le parti in ordine alia chiesta revisione dei canoni; una

tale ricbiesta, deduce il Comune, implicava senz'altro la

rituale proposizione dell'eccezione di incompetenza degli arbitri nella presente controversia, dimostrando la propria volonta di volere che la causa fosse decisa dal collegio in

tegrate dai tecnici, cosi come previsto dalla clausola com

promissoria come necessario quante volte si fosse dovuto de

cidere di questioni involgenti, tra l'altro, la valutazione dei

materiali.

Tale deduzione e perõ infondata perche diverso e lo

scopo che si propone la parte nel chiedere la riunione dei due

processi pendenti tra le stesse parti davanti a giudici di

versi per effetto della loro connessione, rispetto a quello che muove la parte nell'eccepire l'mcompetenza di un col

legio giudicante, a favore di altro giudice che la parte ri

tenga, invece, per la controversia portata al suo esame.

II Comune avrebbe dovuto eccepire formalmente 1'in

competenza del collegio adito, cosi negando la competenza a decidere della controversia negli ampliati limiti quali

risultati, rispetto al compromesso, dalle conclusioni del

l'altra parte, per effetto delle richieste eventualmente ri

tenute ultronee, per le quali il Comune avrebbe perciõ dovuto negare ogni potere giudicante al collegio arbitrate,

perche di competenza dell'altro giudice arbitrate da esso

indicate. II Comune, invece, si e limitato a chiedere la riunione

dei due procedimenti arbitrali pendenti tra le parti con og

getti tra loro del tutto diversi, con una volonta rivolta solo

alia semplificazione della procedura, per renderla piu spe dita ed idonea, di fronte alia quale stava se mai un potere discrezionale del collegio adito, mentre questo, di fronte

all'eccezione di incompetenza, se ritualmente proposta, avrebbe invece avuto il dovere di decidere col conseguente

potere della parte di impugnarne la pronunzia, ove a se

sfavorevole, cosi come gli art. 829, n. 4, e 817 in tale caso

espressamente consentono di fare.

Non perche nei due diversi collegi arbitrali giudicanti di due distinte e diverse cause pendenti, sia pure tra le

medesime parte, i tre arbitri giuristi si identificassero

nelle stesse persone poteva l'espressa eccezione richiesta

dall'art. 817 essere sostituita dalla ben diversa richiesta

di riunione delle due cause, in se necessariamente rivolta

ad altri fini. £ manifesta, perciõ, l'infondatezza del rilievo

del Comune al riguardo.

Neppure puõ dirsi, poi, fondata l'altra deduzione del

Comune secondo la quale, per aversi l'adesione sia pure tacita di esso resistente al proposto allargamento della ma

teria controversa dinanzi agli arbitri, la volontä di esso

Comune avrebbe dovuto essere adottata e manifestata

nelle forme di legge previe le approvazioni previste per tutta l'attivita comunale, in quanto sottoposta ai controlli

insostituibili delle autorita tutorie.

A prescindere da ogni altra considerazione, infatti,

quella che viene in rilievo non e una volonta manifestata

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1743 PARTE PRIMA 1744

in atti positivi, oome tali sottoposti a controllo tutorio, ma solo la mancata proposizione nel procedimento arbi

trate dell'eccezione prevista dall'art. 817 ete il Comune

avrebbe dovuto sottoporre agli arbitri e ehe, inveee non

propose, oosi precludendosi, ai sensi dei ricordati art. 829, n. 4, e 817, la possibilitä di impugnare la sentenza arbitrale

per tale motivo.

Ora, la preclusione ebe, dall'attivita della parte ne] pro cesso, deriva rispetto alla proponibilitä di un determinato

mezzo di impugnazione, eolpisee iigualmente anehe un

ente pubblico ebe abbia acquistato, nel processo, la qualitä di parte, precludendo anebe ad esso la valida proponibi litä della impugnazione, senza ebe all'uopo occorra una spe cifiea deliberazione dei suoi organi, eon le eventuali appro vazioni di legge, per rendere operante 1'acquiescenza cosi

da esso necessariamente prestata per effetto della norma

processuale ebe la preclusione stessa cosi preveda. £ esatto ehe una parte della dottrina, sia pure autorevole,

parla di un compromesso tacito per spiegare 1'effetto preclu sivo ebe dalla mancata proposizione nel procedimento ar

bitrale dell'apposita eccezione sorge, rispetto all'impugna

zione, dal disposto degli art. 817 e 829, n. 4, ma c-iõ non

significa ebe tra le parti si debba necessariamente concludere

un nuovo compromesso per allargare la materia del decidere

perche in tale ipotesi 1'art. 817 non avrebbe piu il proprio fondamento nell'operato processuale delle parti, ma nella

loro volontä contrattuale, ehe non viene, inveee, in consi

derazione nella specie, in cui e solo di fronte all'inattivita

di una delle parti ehe in tale modo a se stessa preclude la

possibilitä di impugnare la sentenza arbitrale per un motivo

che essa medesima ritenne irrilevante durante il procedi mento dinanzi agli arbitri. In realtä, la legge voile cosi

evitare che l'impugnazione fosse proposta dalla parte solo

se soccombente ed in relazione alia propria soccombenza

ed al contenuto della sentenza arbitrale e da ciõ il fonda

mento della norma in esame. La Corte di merito ha disatteso i principi sopra enun

zianti e la sentenza deve, pertanto, essere cassata, dichia randosi assorbito il secondo motivo del ricorso col rinvio della causa ad altra corte che, nel deciderla si atterrä, ad

essi, prendendo in esame, altresi, gli ulteriori mezzi di im

pugnazione della sentenza arbitrale che la sentenza de nunziata aveva, invece, diohiarato assorbiti per effetto dello

accoglimento del motivo di annullamento relativo alia de dotta incompetenza degli arbitri superiormente esaminato.

Per questi motivi, cassa, ecc.

GORTE SÜPREMA Dl CASSAZIONE.

Sezione I civile ; sentenza 24 marzo 1962, n. 599 ; Pres. Lonardo P., Est. Iannuzzi, P. M. Colonnese (concl. conf.) ; Paima (Aw. Jelpo, Spizuoco) c. Borrasi (Avv. Caeiota Ferrara).

(Oonferma App. Napoli 10 marzo 1961)

Titoli di credit» —- Koll» insuf iieiente Reyolariz— zazionc eon inarch» — \ 111 missiliilil a (R. d. 14 dicembre 1933 n. 1669, norme sulla cambiale, art. 104).

Titoli di credit» — Fav«re — Conoscenza, da parte dcl ijiratario, del rilascio dclla cambiale a titolo di iavore — Irrilevanza.

Non impedisce 1'esercizio dei diritti cambiari la correspon sione delVimposta di bollo nel swo esatto ammontare, ma con

Vimpiego di un foglietto bottato inferiore ai taglio massimo,

integrato, con marche apposte dalVufficio del registro, in relazione aIVammontare del valore della cambiale. (1)

(1) Non si rinvengono precedents giurisprudenziali iii ter mini all'infuori della sentenza confermata App. Napoli 10 marzo 1961, Foro it., Rep. 1061, voce Titoli di credito, n. 71, pubbli cata per esteso in Giust. civ., 1961, I, 1654, con osservazione di JIontel.

La conoscenza, da parte del giratario, del rilascio della cam

biale a titolo di favore al momento della sua negoziazione non vale a conferirgli il sospetto e, aneor meno, il convin

cimento di acquistare il titolo in danno dell'emit tent e. (2)

La Corte, ecc. — Le ricorrenti deducono, con il primo

motivo, che il portatore non avrebbe potuto esercitare, mediante il processo di oognizione, i diritti eambiari ine

renti al titolo, non avendo regolarmente corrisposto l'impo sta di bollo dovuta e pagato la relativa penality. Denunciano

la violazione dell'art. 104 legge cambiaria (r. decreto 14

dicembre 1933 n. 1669) e dell'art. 27 della legge sul bollo

(decreto pres. 25 giugno 1953 n. 492) in relazione alle pre scrizioni ministeriali vigenti in materia di bollo sulle cam

biali. La censura non e fondata.

L'imposta di lire 15.000, dovuta in relazione all'importo della cambiale ed alia sua scadenza, e stata corrisposta me

diante un foglietto bollato del taglio di lire 6.000 e l'applica zione, da parte dell'Ufficio del registro, prima deH'uso, di

marclie integrative per lire 9.000, mentre, invece, si sarebbe

dovuto impiegare un foglietto bollato del taglio massimo

di lire 12.000, con l'applicazione delle marche per lire 3.000.

Esattamente la Corte di appello ha ritenuto ehe ciõ impor tava soltanto un'irregolarita sul modo di pagamento del

l'imposta, che non poteva impedire l'esercizio dei diritti

eambiari inerenti al titolo di credito.

Questo impedimento all'esercizio dei diritti eambiari

e una sanzione comminata dalle disposizioni di legge ei

tate dalle ricorrenti, unitamente a quella relativa alia man

canza della qualitä di titolo esecutivo, per le violazioni di

carattere fiscale nell'impiego della cambiale, del vaglia cambiario e delPassegno circolare. Ma, proprio perche si

tratta di una sanzione, non ne e ammessa l'applicazione a

casi non espressamente previsti ed in particolare a quello in esame, in cui l'imposta & stata corrisposta nel suo esatto

ammontare, ma con 1'impiego di un foglietto bollato in

feriore al taglio massimo.

In tal caso potrebbe solo configurarsi una generica infrazione alia legge sul bollo concernente il modo di pa

gamento della imposta, come esso e descritto nell'art. 5

della tariffa all. A ; per la quale infrazione, perõ, la legge fiscale commina una pena pecuniaria (art. 38) e non la tem

poranea impossibilitä all'esercizio dei diritti eambiari di

cui all'art. 27, 4° comma, corrispondente all'art. 104, 2°

comma, della legge cambiaria.

Le ricorrenti richiamano la disposizione del 1° comma

dell'art. 27 della legge sxxl bollo, che fa divieto di presen tare in giudizio atti e scritti di qualsiasi specie « che non

siano comunque in regola con le prescrizioni del presente decreto, per sostenere che il 3° comma dello stesso arti

Nel senso che la cambiale deve ritenersi definitivamente

regolarizzata sino a querela di falso allorche l'ufficio abbia pro ceduto all'annullamento delle marche, cfr. Cass. 9 gennaio 1935, n. 56, Foro it., Rep. 1935, voce Bffetto cambiario, nn.

103, 104 ; App. Bologna 18 febbraio 1935, id., 1935, I, 1430, con nota di Montel, In tema di limiti dell'efficacia probante delVatto pubblico.

In ordine al principio che la regolarita fiscale della cam biale deve essere riferita al momento in cui essa viene messa in circolazione per produrre effetti eambiari, cons. Cass. 2 set tembre 1961, n. 2006, id., 1961, I, 1300.

(2) Dottrina e giurisprudenza hanno costantemente ritenuto clie la firrna di favore non puõ essere opposta dal favorente al terzo portatore, neanche se questi sia a conoscenza della qualitä di « comodo » della firma (cfr. Cass. 21 ottobre 1958, n. 3380, Foro it., 1959, I, 798, con nota di richiami).

La massima e una conseguenza del principio generale che, per l'opponibilita al giratario delle eccezioni derivanti dal

rapporto extracartolare opponibili al girante, e necessario che

l'acquisto del titolo sia stato fatto con il proposito di dan

neggiare il debitore, e cioe! con l'intenzione di impedire le difese del medesimo. Cfr., al riguardo, Cass. 9 ottobre 1959, n. 2740, id., Rep. 1959, voce Titoli di crcdito, nn. 33, 34.

Lo stesso principio 6 stato affermato, con riferimento alia cambiale di favore, da Cass. 7 dicembre 1959, n. 3500, ibid., n. 43, e 13 aprile 1959, n. 1075, ibid., n. 45.

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