Sezione I civile; sentenza 24 marzo 1962, n. 600; Pres. Celentano P., Est. Favara, P. M. Tavolaro(concl. conf.); Ditta S.i.s.a.m. (Avv. Sorrentino, Zanghi) c. Comune Catania (Avv. Daina, DeFelice, Scaduto)Source: Il Foro Italiano, Vol. 85, No. 9 (1962), pp. 1739/1740-1743/1744Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23150911 .
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1739 PARTE PRIMA 1740
couseguenza, non poteva essergli disconosciuto il compenso
per il lavoro che perdurava oltre l'orario normale. Infine
sostiene ohe, qualora il citato art. 34 del menzionato con
tratto collettivo fosse diversamente interpretato, dovrebbe
essere considerato privo di efficacia, giacche sarebbe in
contrasto con disposizioni generali, di carattere imperative, sulla retribuzione del lavoro straordinario.
Anche tali doglianze sono prive di fondamento.
£ d'uopo premettere che la Corte di merito, nel pren dere in esame la questione inerente alia retribuzione per il lavoro straordinario pretesa dal Dall'Ovo, osservõ che, a termini dell'art. 34 del contratto collettivo del 23 otto
bre 1950 per i dipendenti da aziende commerciali, il per sonale preposto alla direzione tecnica o amministrativa
dell'azienda o di un reparto di essa, con diretta responsa bilitä, dell'andamento dei servizi, e tenuto a prestare la
sua opera anche dopo l'orario normale di lavoro, senza
speciale compenso e per il tempo necessario al regolare funzionamento dei servizi ad esso affidati. Considerõ, poi, che tale era, per l'appunto, la condizione del Dall'Ovo,
quale capo ufficio preposto alia direzione di una notevole
branca dell'attivita aziendale (reparto spedizioni dei pe riodici e resa di quelli rimasti invenduti), reparto dislocato
in sede separata con correlativa autonomia di azione nel
l'espletamento del servizio e con responsabilita dell'anda
mento di questo. E, in base a tali considerazioni, la Corte
di appello pervenne alia conclusione che doveva escludersi
il diritto dello stesso Dall'Ovo a un particolare compenso
per il lavoro prestato oltre l'orario normale. .
Ciõ posto, va rilevato che il menzionato contratto col
lettivo del 23 ottobre 1950, essendo stato stipulato dopo la
soppressione dell'ordinamento corporativo dello Stato, ha
natura privatistica. Ond'ö che la violazione e la falsa appli cazione, da parte dei Giudici del merito, dei patti in esso
contenuti, non sono denunziabili in Cassazione come errori
di diritto e possono essere sindacati soltanto per eventuale
violazione delle regole attinenti all'interpretazione dei con
tratti, ai sensi degli art. 1362 segg. cod. civile. Per altro, nel
caso in esame, nessuna violazione delle norme di erme
neutica e stata denunziata dal ricorrente, ne e comunque ravvisabile nella indagine compiuta dalla Corte di appello, in ordine all'interpretazione del piu volte menzionato con
tratto collettivo : la prospettata doglianza si rileva, per tanto, del tutto vana e inattendibile.
Non e poi esatto l'ulteriore assunto del ricorrente che, accedendo all'interpretazione data dalla Corte di appello al citato art. 34, questo dovrebbe essere considerato privo di efficacia, perche in contrasto con norme imperative. In
fatti l'anzidetta disposizione del contratto collettivo del
23 ottobre 1950 costituisce una mera applicazione del prin
cipio fissato dall'art. 1 r. deereto legge 15 marzo 1923 n.
adesivamente da Pasini, Sulla retribuzione del lavoro prestato dai dirigenti d'azienda oltre i limiti conlrattuali, in Dir. lav., 1943, II, 33 ; conforme Ardau, Sul lavoro straordinario dei diri
genti d'azienda, ibid., I, 184. Comunque la normativa legale puõ essere derogata, purchž in favore del lavoratore, sia dal con tratto collettivo : App. L'Aquila 31 lug] io 1954, Foro it., Rep. 1955, voce Lavoro (rapporto), n. 471, sia dal contratto indivi duale : Cass. 14 aprile 1947, n. 539, id., Rep. 1947, voce Im
piego priv., n. 37. Per qualche riferimento, infine, alle norme da applicarfe
in tema di interpretazione dei contratti collettivi postcorpora tivi (art. 1362 e segg. cod. civ.), confronta la giurisprudenza, ormai consolidata, appresso indicata: Cass. 16 marzo 1962, n. 550, id., Mass., 160 ; 22 giugno 1961, n. 1490, id., Kep. 1961, voce Lavoro (contratto), n. 51 ; 30 ottobre 1961, n. 2485, ibid., n. 52 ; 14 ottobre 1961, n. 2163, ibid., n. 53 ; 21 gennaio 1961, n. 81, ibid., n. 54 ; 3 febbraio 1961, n. 228, ibid., n. 55 ; 30 agosto 1960, n. 2395, id., Rep. 1960, voce cit., n. 62 ; 11 ottobre 1960, n. 2631, ibid., nn. 70, 71 ; 4 giugno 1960, n. 1459, ibid., n. 72 ; 29 aprile 1950, n. 1155, id., 1950, I, 662 e 3 febbraio 1950, n.
283, ibid., 1155. II contratto collettivo 23 ottobre 1950 (Le Leggi, 1958,
appendice n. 5, 49) & stato « recepito » nel deereto pres. 2 gen naio 1962 n. 481, pubblicato nel supplemento n. 155 della Gaz zetta uff. del 20 giugno 1962 (Le Leggi, 1962, appendice n. 5, 224).
692, a tenore del quale il personale direttivo delle aziende
e escluso dalle limitazioni dell'orario di lavoro. Ora questa ultima disposizione, nello stabilire Tinapplicabilita delle li
mitazioni in parola, non pone alcuna distinzione tra il per sonale direttivo ehe sia tenuto all'osservanza di un deter
minate orario di lavoro e quello clie non sia tenuto a tale
osservanza. E tale distinzione sarebbe, d'altronde, contra
ria alia ratio della norma. Questa, infatti, ha la sua ragione d'essere nella particolare qualitä dei soggetti e nella natura
delle mansioni da essi svolte. Coloro che hanno la dire
zione tecnica o amministrativa di una impresa, o di uno
dei suoi grandi reparti, non possono svolgere un lavoro
eircoseritto entro limiti di orario. Essi hanno gia un trat
tamento superiore per la qualita. delle prestazioni e, nel
loro lavoro, non si puõ avere una parte ordinaria e una
parte straordinaria, giacche devono dare tutta l'opera oc
corrente per il buon andamento dell'azienda o del reparto a cui sono preposti. D'altra parte l'esplicazione di una atti
vitä direttiva conferisce, di regola, al lavoro un earattere
di minore penosita fisica nei confronti di coloro che sono
adibiti a mansioni, in tutto o in parte, manuali. Orbene, tali ragioni, per le quali e stata disposta, per il lavoro diret
tivo, la esclusione del vincolo del massimo orario, concer
nono tutto il personale che presti tale lavoro, e non sol
tanto quello che non sia tenuto all'osservanza di un deter
minate orario. Ond'fe che, contrariamente a quanto il ricor
rente assume, l'esclusione in discorso ha una portata gene rale e si applica a tutto il personale direttivo. Esaurito
l'esame del ricorso principale, si procede alia valutazione
del ricorso ineidentale. (Omissis) Per questi motivi, eassa, ecc.
P. s.
CORTE SÜPREMA DI CASSAZIONE.
Sezione I civile ; sentenza 24 marzo 1962, n. 600 ; Pres.
Celentano P., Est. Favara, P. M. Tavolaro (concl.
conf.) ; Ditta S.i.s.a.m. (Aw. Sorrentino, Zanghi) c.
Comune Catania (Aw. Daina, De Felice, Scaduto).
(Oassa App. Gatania 19 maggio 1959)
Arbitrato — Conclusioni di una parte eoeedenti i
limiti del compromesso o della elausolu compro missoria — Maneato rilievo — Conseguenze —
Fattispecie (Cod. proo. civ., art. 817, 829, n. 4).
II principio, per il quale la sentenza arbitrale, che pronunzi
fuori dei limiti del compromesso o della clausola compro missoria, non puö essere impugnata per nullita dalla
parte che nel corso del procedimento non ha ritualmente
eccepito I'incompetenza degli arbitri a decidere fuori da
quei limiti, si appliva anche al caso in oui I'onere dell'ec
eezione gravava sulla pubblica Amministrazione. (1) Alia eccezione d'incompetenza non equivale Vistanza di riw
nione del procedimento arbitrale con altro procedimento arbitrale. (2)
La Corte, ecc. — Col primo mezzo, il ricorrente, denun ziando la violazione degli art. 817 e 829, n. 4, cod. proe. civ., assume che, contrariamente a quanto ritenuto dalla
Corte di merito, la pronunzia fuori dei limiti del compro
(1-2) Conformi, sul principio generale, Cass. 12 marzo 1957, n. 835, Foro it., Rep. 1957, voce Arbitrato, mi. 136, 137 ; 21 feb braio 1955, n. 502, id., Rep. 1955, voce eit., nn. 144, 145 ; App. Milano 19 ottobre 1953, id., Rep. 1953, voce Arbitramento, n. 67 ; Cass. 23 febbraio 1949, n. 336, id., Rep. 1949, voce cit., n. 79 ; 9 agosto 1948, n. 1447, id., Rep. 1948, voce cit., n. 58 (altra parte della motivazione e riportata in questa rivista, 1948, I, 818, con nota di richiami).
In dottrina, sempre sul principio generale, Schizzerotto, Dell'arbitrato, Milano, 1958, pag. 411 segg. ; Vecchione, L'arbi trato, Napoli, 1953, pag. 377 ; Carnacini, Arbitrato rituale, n. 50, voce del Novissimo digesto italiano.
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1741 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 1742
messo realizza un vizio di incompetenza del collegio arbi
trate che puõ essere dedotto come motivo di impugnazione del lodo per nullita solo se, nel caso del giudizio arbitrate, la parte interessata abbia ritualmente eccepito che le con
clusion! delle altre parti esorbitavano dai limiti del compro messo o della clausola compromissoria. Perciõ, nella specie, il motivo di nullita dedotto dal Comune di Catania era
inammissibile perche questo, nel giudizio arbitrale, non
aveva eccepito che la questione della valutazione del mate
riale eccedeva i limiti della clausola compromissoria ed
anzi col suo comportamento aveva mostrato di aderire a
rimettere al Collegio la determinazione del compenso do
vuto per l'uso del materiale stesso. Inoltre, la Corte, affer
mando che l'eventuale adesione dei rappresentanti del
Comune nel corso del processo arbitrale, rivolta a fare valu
tare l'attrezzatura con modalitä difformi da quelle previste nella clausola compromissoria, sarebbe stata inefficace in
quanto unico competente a deliberare tale adesione sarebbe
stato il Consiglio comunale, ha fatto un rilievo irrilevante
perche, essendo la preclusione all'esperimento di una im
pugnativa una conseguenza di carattere processuale che
la legge fa derivare da un determinato comportamento, in
questo campo i litiganti non si distinguono in due settori, l'uno dei quali costituito dalle pubbliche Amministrazioni
che, potendo deliberare solo attraverso organi e con certe
modalitä, sfuggirebbero cosi alle preclusioni ed alle deca
denze sancite dalle leggi processuali per effetto del loro
comportamento processuale. Le doglianze del mezzo sono fondate.
Infatti, ai sensi degli art. 829, n. 4, e 817, l'impugna zione per nullita della sentenza arbitrale, per averla gli arbitri pronunziata fuori dei limiti del compromesso o
della clausola compromissoria, non e ammessa per la parte
che, nel corso del procedimento arbitrale, non abbia ri
tualmente eccepito che le conclusioni dell'altra parte esor
bitano dai limiti anzidetti.
In altre parole, l'eccezione di incompetenza non puõ essere messa a base della impugnazione per nulllitä della
sentenza arbitrale quante volte il vizio di extra od ultra
petizione sia provocato dalla parte attraverso le richieste
contenute nelle conclusioni senza eccezione dell'altra parte. II vizio e, invece, denunziabile in sede di impugnazione
per miilita,, anohe se la parte non abbia sollevato la rela
tiva eccezione nel corso del procedimento arbitrale, quando la pronunzia viziata per extrapetizione dipenda non dalle
conclusioni delle parti, ma da un vero e proprio error in
procedendo spontaneo degli arbitri, ovvero quando, avendo
la parte sollevato l'eccezione stessa durante il procedimento
arbitrale, gli arbitri 1'abbiano, con la sentenza, disattesa.
Quando, perciõ, l'una parte formuli conclusioni ultronee
che come tali esorbitano dai limiti fissati dal compromesso o dalla clausola compromissoria e l'altra parte non ecce
pisce l'incompetenza degli arbitri, questi (salvo che non
si tratti di materie del tutto sottratte al giudizio arbitrale)
giudicano validamente anche dell'oggetto ultroneo che
cosi, attraverso il comune consenso delle parti, viene sot
toposto al loro esame, allargando in tale modo la materia
del contendere.
Ora, questo Supremo collegio, vagliando quale giudice di merito in tema di competenza la specie in esame, ritiene
per fermo che, in virtu del concorde comportamento pro cessuale delle parti in causa, il giudizio arbitrale deferito
ai tre arbitri giuristi in virtu dell'apposita clausola com
promissoria, e stato esteso, al di la dei limiti originalmente fissati da essa, anche alia soluzione delle questioni tecniche
che si presentavano quali strettamente conseguenziali per la valutazione del danno richiesto dal Michisanti nei con
fronti del Comune di Catania per effetto della risoluzione
del contratto col quale era stato concesso ad esso Michi
santi il servizio di nettezza urbana della cittä di Catania e, in particolare, in ordine alia valutazione dell'uso delle at
trezzature dal momento della risoluzione del contratto a
quello della loro restituzione al concessionary avvenuta
circa un anno dopo.
Infatti, tra le conclusioni della S.i.s.a.m., di cui il Mi
chisanti era titolare, vi era quella con la quale era stato
espressamente richiesto agli arbitri di fissare tra l'altro
l'indennizzo per 1'uso delle attrezzature addette al servizio
di nettezza urbana, restituite dopo oltre un anno di servizio,
compreso il loro deterioramento.
Per la stima di tale indennizzo, rientrante tra le varie
voci del danno richiesto dalla parte a oarico del Comune,
gli arbitri nominarono un consulente tecnico con ordinanza
del 2 giugno 1953, nella persona dell'ing. Giuliani, dando
alle parti la facoltä di nominare i propri consulenti. Tale
richiesta espressa non trovõ alcuna opposizione da parte del Comune di Catania, nella competente sede arbitrale, eon la conseguenza che, a norma del disposto degli art.
829, n. 4, e 817, esso Comune non poteva piu fare valere
tale motivo di nullity in sede di impugnazione non avendo
proposto la relativa eccezione durante il procedimento ar
bitrale.
Sostiene il Comune, in questa sede, clie era stata da
vanti agli arbitri chiesta l'unione del procedimento di cui
e oggi causa ad altro, pendente tra le stesse parti, dinanzi
a diverso collegio arbitrate formato dagli stessi arbitri
ehe pronunziarono il lodo impugnato e da altri due arbitri
tecnici per la risoluzione di altra controversia insorta tra
le parti in ordine alia chiesta revisione dei canoni; una
tale ricbiesta, deduce il Comune, implicava senz'altro la
rituale proposizione dell'eccezione di incompetenza degli arbitri nella presente controversia, dimostrando la propria volonta di volere che la causa fosse decisa dal collegio in
tegrate dai tecnici, cosi come previsto dalla clausola com
promissoria come necessario quante volte si fosse dovuto de
cidere di questioni involgenti, tra l'altro, la valutazione dei
materiali.
Tale deduzione e perõ infondata perche diverso e lo
scopo che si propone la parte nel chiedere la riunione dei due
processi pendenti tra le stesse parti davanti a giudici di
versi per effetto della loro connessione, rispetto a quello che muove la parte nell'eccepire l'mcompetenza di un col
legio giudicante, a favore di altro giudice che la parte ri
tenga, invece, per la controversia portata al suo esame.
II Comune avrebbe dovuto eccepire formalmente 1'in
competenza del collegio adito, cosi negando la competenza a decidere della controversia negli ampliati limiti quali
risultati, rispetto al compromesso, dalle conclusioni del
l'altra parte, per effetto delle richieste eventualmente ri
tenute ultronee, per le quali il Comune avrebbe perciõ dovuto negare ogni potere giudicante al collegio arbitrate,
perche di competenza dell'altro giudice arbitrate da esso
indicate. II Comune, invece, si e limitato a chiedere la riunione
dei due procedimenti arbitrali pendenti tra le parti con og
getti tra loro del tutto diversi, con una volonta rivolta solo
alia semplificazione della procedura, per renderla piu spe dita ed idonea, di fronte alia quale stava se mai un potere discrezionale del collegio adito, mentre questo, di fronte
all'eccezione di incompetenza, se ritualmente proposta, avrebbe invece avuto il dovere di decidere col conseguente
potere della parte di impugnarne la pronunzia, ove a se
sfavorevole, cosi come gli art. 829, n. 4, e 817 in tale caso
espressamente consentono di fare.
Non perche nei due diversi collegi arbitrali giudicanti di due distinte e diverse cause pendenti, sia pure tra le
medesime parte, i tre arbitri giuristi si identificassero
nelle stesse persone poteva l'espressa eccezione richiesta
dall'art. 817 essere sostituita dalla ben diversa richiesta
di riunione delle due cause, in se necessariamente rivolta
ad altri fini. £ manifesta, perciõ, l'infondatezza del rilievo
del Comune al riguardo.
Neppure puõ dirsi, poi, fondata l'altra deduzione del
Comune secondo la quale, per aversi l'adesione sia pure tacita di esso resistente al proposto allargamento della ma
teria controversa dinanzi agli arbitri, la volontä di esso
Comune avrebbe dovuto essere adottata e manifestata
nelle forme di legge previe le approvazioni previste per tutta l'attivita comunale, in quanto sottoposta ai controlli
insostituibili delle autorita tutorie.
A prescindere da ogni altra considerazione, infatti,
quella che viene in rilievo non e una volonta manifestata
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1743 PARTE PRIMA 1744
in atti positivi, oome tali sottoposti a controllo tutorio, ma solo la mancata proposizione nel procedimento arbi
trate dell'eccezione prevista dall'art. 817 ete il Comune
avrebbe dovuto sottoporre agli arbitri e ehe, inveee non
propose, oosi precludendosi, ai sensi dei ricordati art. 829, n. 4, e 817, la possibilitä di impugnare la sentenza arbitrale
per tale motivo.
Ora, la preclusione ebe, dall'attivita della parte ne] pro cesso, deriva rispetto alla proponibilitä di un determinato
mezzo di impugnazione, eolpisee iigualmente anehe un
ente pubblico ebe abbia acquistato, nel processo, la qualitä di parte, precludendo anebe ad esso la valida proponibi litä della impugnazione, senza ebe all'uopo occorra una spe cifiea deliberazione dei suoi organi, eon le eventuali appro vazioni di legge, per rendere operante 1'acquiescenza cosi
da esso necessariamente prestata per effetto della norma
processuale ebe la preclusione stessa cosi preveda. £ esatto ehe una parte della dottrina, sia pure autorevole,
parla di un compromesso tacito per spiegare 1'effetto preclu sivo ebe dalla mancata proposizione nel procedimento ar
bitrale dell'apposita eccezione sorge, rispetto all'impugna
zione, dal disposto degli art. 817 e 829, n. 4, ma c-iõ non
significa ebe tra le parti si debba necessariamente concludere
un nuovo compromesso per allargare la materia del decidere
perche in tale ipotesi 1'art. 817 non avrebbe piu il proprio fondamento nell'operato processuale delle parti, ma nella
loro volontä contrattuale, ehe non viene, inveee, in consi
derazione nella specie, in cui e solo di fronte all'inattivita
di una delle parti ehe in tale modo a se stessa preclude la
possibilitä di impugnare la sentenza arbitrale per un motivo
che essa medesima ritenne irrilevante durante il procedi mento dinanzi agli arbitri. In realtä, la legge voile cosi
evitare che l'impugnazione fosse proposta dalla parte solo
se soccombente ed in relazione alia propria soccombenza
ed al contenuto della sentenza arbitrale e da ciõ il fonda
mento della norma in esame. La Corte di merito ha disatteso i principi sopra enun
zianti e la sentenza deve, pertanto, essere cassata, dichia randosi assorbito il secondo motivo del ricorso col rinvio della causa ad altra corte che, nel deciderla si atterrä, ad
essi, prendendo in esame, altresi, gli ulteriori mezzi di im
pugnazione della sentenza arbitrale che la sentenza de nunziata aveva, invece, diohiarato assorbiti per effetto dello
accoglimento del motivo di annullamento relativo alia de dotta incompetenza degli arbitri superiormente esaminato.
Per questi motivi, cassa, ecc.
GORTE SÜPREMA Dl CASSAZIONE.
Sezione I civile ; sentenza 24 marzo 1962, n. 599 ; Pres. Lonardo P., Est. Iannuzzi, P. M. Colonnese (concl. conf.) ; Paima (Aw. Jelpo, Spizuoco) c. Borrasi (Avv. Caeiota Ferrara).
(Oonferma App. Napoli 10 marzo 1961)
Titoli di credit» —- Koll» insuf iieiente Reyolariz— zazionc eon inarch» — \ 111 missiliilil a (R. d. 14 dicembre 1933 n. 1669, norme sulla cambiale, art. 104).
Titoli di credit» — Fav«re — Conoscenza, da parte dcl ijiratario, del rilascio dclla cambiale a titolo di iavore — Irrilevanza.
Non impedisce 1'esercizio dei diritti cambiari la correspon sione delVimposta di bollo nel swo esatto ammontare, ma con
Vimpiego di un foglietto bottato inferiore ai taglio massimo,
integrato, con marche apposte dalVufficio del registro, in relazione aIVammontare del valore della cambiale. (1)
(1) Non si rinvengono precedents giurisprudenziali iii ter mini all'infuori della sentenza confermata App. Napoli 10 marzo 1961, Foro it., Rep. 1061, voce Titoli di credito, n. 71, pubbli cata per esteso in Giust. civ., 1961, I, 1654, con osservazione di JIontel.
La conoscenza, da parte del giratario, del rilascio della cam
biale a titolo di favore al momento della sua negoziazione non vale a conferirgli il sospetto e, aneor meno, il convin
cimento di acquistare il titolo in danno dell'emit tent e. (2)
La Corte, ecc. — Le ricorrenti deducono, con il primo
motivo, che il portatore non avrebbe potuto esercitare, mediante il processo di oognizione, i diritti eambiari ine
renti al titolo, non avendo regolarmente corrisposto l'impo sta di bollo dovuta e pagato la relativa penality. Denunciano
la violazione dell'art. 104 legge cambiaria (r. decreto 14
dicembre 1933 n. 1669) e dell'art. 27 della legge sul bollo
(decreto pres. 25 giugno 1953 n. 492) in relazione alle pre scrizioni ministeriali vigenti in materia di bollo sulle cam
biali. La censura non e fondata.
L'imposta di lire 15.000, dovuta in relazione all'importo della cambiale ed alia sua scadenza, e stata corrisposta me
diante un foglietto bollato del taglio di lire 6.000 e l'applica zione, da parte dell'Ufficio del registro, prima deH'uso, di
marclie integrative per lire 9.000, mentre, invece, si sarebbe
dovuto impiegare un foglietto bollato del taglio massimo
di lire 12.000, con l'applicazione delle marche per lire 3.000.
Esattamente la Corte di appello ha ritenuto ehe ciõ impor tava soltanto un'irregolarita sul modo di pagamento del
l'imposta, che non poteva impedire l'esercizio dei diritti
eambiari inerenti al titolo di credito.
Questo impedimento all'esercizio dei diritti eambiari
e una sanzione comminata dalle disposizioni di legge ei
tate dalle ricorrenti, unitamente a quella relativa alia man
canza della qualitä di titolo esecutivo, per le violazioni di
carattere fiscale nell'impiego della cambiale, del vaglia cambiario e delPassegno circolare. Ma, proprio perche si
tratta di una sanzione, non ne e ammessa l'applicazione a
casi non espressamente previsti ed in particolare a quello in esame, in cui l'imposta & stata corrisposta nel suo esatto
ammontare, ma con 1'impiego di un foglietto bollato in
feriore al taglio massimo.
In tal caso potrebbe solo configurarsi una generica infrazione alia legge sul bollo concernente il modo di pa
gamento della imposta, come esso e descritto nell'art. 5
della tariffa all. A ; per la quale infrazione, perõ, la legge fiscale commina una pena pecuniaria (art. 38) e non la tem
poranea impossibilitä all'esercizio dei diritti eambiari di
cui all'art. 27, 4° comma, corrispondente all'art. 104, 2°
comma, della legge cambiaria.
Le ricorrenti richiamano la disposizione del 1° comma
dell'art. 27 della legge sxxl bollo, che fa divieto di presen tare in giudizio atti e scritti di qualsiasi specie « che non
siano comunque in regola con le prescrizioni del presente decreto, per sostenere che il 3° comma dello stesso arti
Nel senso che la cambiale deve ritenersi definitivamente
regolarizzata sino a querela di falso allorche l'ufficio abbia pro ceduto all'annullamento delle marche, cfr. Cass. 9 gennaio 1935, n. 56, Foro it., Rep. 1935, voce Bffetto cambiario, nn.
103, 104 ; App. Bologna 18 febbraio 1935, id., 1935, I, 1430, con nota di Montel, In tema di limiti dell'efficacia probante delVatto pubblico.
In ordine al principio che la regolarita fiscale della cam biale deve essere riferita al momento in cui essa viene messa in circolazione per produrre effetti eambiari, cons. Cass. 2 set tembre 1961, n. 2006, id., 1961, I, 1300.
(2) Dottrina e giurisprudenza hanno costantemente ritenuto clie la firrna di favore non puõ essere opposta dal favorente al terzo portatore, neanche se questi sia a conoscenza della qualitä di « comodo » della firma (cfr. Cass. 21 ottobre 1958, n. 3380, Foro it., 1959, I, 798, con nota di richiami).
La massima e una conseguenza del principio generale che, per l'opponibilita al giratario delle eccezioni derivanti dal
rapporto extracartolare opponibili al girante, e necessario che
l'acquisto del titolo sia stato fatto con il proposito di dan
neggiare il debitore, e cioe! con l'intenzione di impedire le difese del medesimo. Cfr., al riguardo, Cass. 9 ottobre 1959, n. 2740, id., Rep. 1959, voce Titoli di crcdito, nn. 33, 34.
Lo stesso principio 6 stato affermato, con riferimento alia cambiale di favore, da Cass. 7 dicembre 1959, n. 3500, ibid., n. 43, e 13 aprile 1959, n. 1075, ibid., n. 45.
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