+ All Categories
Home > Documents > sezione I civile; sentenza 25 febbraio 2004, n. 3733; Pres. Saggio, Est. Salvago, P.M. Finocchi...

sezione I civile; sentenza 25 febbraio 2004, n. 3733; Pres. Saggio, Est. Salvago, P.M. Finocchi...

Date post: 30-Jan-2017
Category:
Upload: vutram
View: 215 times
Download: 1 times
Share this document with a friend
4
sezione I civile; sentenza 25 febbraio 2004, n. 3733; Pres. Saggio, Est. Salvago, P.M. Finocchi Ghersi (concl. diff.); Del Monaco (Avv. Traversa) c. Soc. Sai assicurazioni (Avv. Perilli). Cassa senza rinvio Trib. Taranto-Martina Franca 28 marzo 2001 Source: Il Foro Italiano, Vol. 127, No. 5 (MAGGIO 2004), pp. 1417/1418-1421/1422 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23199302 . Accessed: 24/06/2014 20:53 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.44.77.28 on Tue, 24 Jun 2014 20:53:58 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
Transcript

sezione I civile; sentenza 25 febbraio 2004, n. 3733; Pres. Saggio, Est. Salvago, P.M. FinocchiGhersi (concl. diff.); Del Monaco (Avv. Traversa) c. Soc. Sai assicurazioni (Avv. Perilli). Cassasenza rinvio Trib. Taranto-Martina Franca 28 marzo 2001Source: Il Foro Italiano, Vol. 127, No. 5 (MAGGIO 2004), pp. 1417/1418-1421/1422Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23199302 .

Accessed: 24/06/2014 20:53

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].

.

Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.

http://www.jstor.org

This content downloaded from 185.44.77.28 on Tue, 24 Jun 2014 20:53:58 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Peraltro, rileva il Bertinetti, il registro di consegna dell'ente

Poste acquisito agli atti non reca la sottoscrizione dell'agente

postale e tanto meno l'indicazione di chi avrebbe ricevuto la

consegna, che era avvenuta in luogo diverso da quello di resi

denza del destinatario della notifica e ciò in violazione dell'art.

7 1. n. 890 del 1992 (rectius: del 1982). Il tribunale, in altri termini, secondo il ricorrente, avrebbe

tratto elementi di convincimento circa la validità della notifica

dal registro di consegna, che tale rilevanza probatoria non ha

nemmeno se in esso fosse stata apposta la firma del destinatario

o della persona abilitata a riceverlo.

Inoltre il giudice di merito, secondo quanto dedotto dal ricor

rente, non aveva considerato che il medesimo aveva già disco

nosciuto la propria sottoscrizione e che per tale ragione non era

tenuto a fornire la prova dell'autenticità della sottoscrizione né

la coincidenza del numero di patente indicato nel registro di

consegna con quello della patente in sua titolarità.

Il ricorso è infondato.

La relazione di notifica eseguita dall'ufficiale giudiziario at

testante il compimento delle prescritte formalità fa fede fino a

querela di falso.

Del pari fa fede fino a querela di falso e non già sino a prova contraria (come diversamente è stato ritenuto da Cass. 29 mag

gio 1997, n. 4779, Foro it., Rep. 1997, voce Notificazione civile, n. 49, e da Cass. 23 novembre 1987, n. 8655, id., Rep. 1987, voce cit., n. 47) l'attestazione sull'avviso di ricevimento con la

quale l'agente postale dichiara di avere eseguito la notificazione

ai sensi degli art. 7 e 8 1. 20 novembre 1982 n. 890, essendo tale

notificazione un'attività direttamente delegatagli dall'ufficiale

giudiziario, il quale in forza dell'art. 1 citata 1. n. 890 del 1982 è

autorizzato, salvo diverse disposizioni dell'autorità giudiziaria o

della parte, ad avvalersi del servizio postale per l'attività notifi

catoria della cui esecuzione ha ricevuto l'incarico.

Ne consegue che l'avviso di ricevimento, a condizione che

esso sia sottoscritto — pena la sua nullità-inesistenza — dall'a

gente postale (v. Cass. 21 maggio 1992 n. 6146, id., Rep. 1993, voce cit., n. 24), contiene, per le attività che risultano in esso

compiute, una forza certificatoria sino a querela di falso assi

milabile a quella ipotizzabile per la relata di notifica eseguita dallo stesso ufficiale giudiziario.

Non ha uguale forza fidefaciente, invece, il registro di conse

gna dell'ente Poste, assolvendo esso a una funzione certificato

ria nel diverso rapporto tra l'agente postale e l'ente Poste in or

dine all'avvenuto compimento dell'attività notificatoria dele

gata dall'ufficiale giudiziario all'agente postale medesimo ai

sensi dell'art. 1 1. n. 890 del 1982 (v. Cass. 23 marzo 1988, n.

2534, id., Rep. 1988, voce cit., n. 35). Applicando i sopra espo sti principi di diritto alla fattispecie esaminata, va osservato che

il Bertinetti avrebbe dovuto impugnare di falso la sottoscrizione

dell'avviso di ricevimento che l'agente postale gli aveva attri

buito dichiarando, in tal modo, implicitamente di avergli conse

gnato personalmente la copia da notificare (essendo, peraltro, tale consegna personale sempre consentita ex art. 9 1. n. 890 del

1982 anche in caso di cambiamento di residenza, dimora o do

micilio del destinatario). Infatti l'agente postale medesimo non aveva dichiarato, con

le modalità prescritte dal 4° comma del citato art. 7, di avere

consegnato la copia dell'atto da notificare a persona diversa dal

destinatario, ciò che avrebbe dovuto fare se non avesse potuto rintracciare personalmente lo stesso destinatario.

Infatti ai sensi del 1° comma dell'art. 7 1. n. 890 del 1892 l'a

gente postale è tenuto a consegnare al destinatario la copia del

l'atto da notificare.

Ove, però, la copia non venga consegnata personalmente al

destinatario, l'agente postale è tenuto, ai sensi del citato art. 7,

4° comma, a specificare nella relata la persona diversa nei cui

confronti la notifica fu eseguita, l'eventuale grado di parentela esistente tra il destinatario e tale persona cui la copia dell'atto fu

consegnata, l'eventuale indicazione della convivenza sia pure

temporanea tra il destinatario e la persona cui la copia dell'atto

fu consegnata. Pertanto l'omessa indicazione da parte dell'agente postale del

compimento delle formalità previste dal 4° comma del citato art.

7 induce a ritenere, salvo querela di falso, che tale agente abbia

consegnato la copia dell'atto da notificare personalmente al de

stinatario, se quest'ultimo ha sottoscritto l'avviso di ricevi

mento, a nulla rilevando che manchi nell'avviso di ricevimento

Il Foro Italiano — 2004.

stesso l'ulteriore specificazione «personalmente al destinata

rio», seguita dalla sottoscrizione, posto che per il citato art. 7

l'agente postale è tenuto a specificare le modalità di individua

zione della persona a cui ha consegnato la copia dell'atto sol

tanto se non è stato possibile eseguire la consegna personal mente a mani del destinatario.

Irrilevante, pertanto, risulta la doglianza del ricorrente circa

la mancata attività sollecitatoria della verificazione da parte del

l'Inps a seguito del suo disconoscimento della sottoscrizione,

posto che avendo l'avviso di ricevimento natura di atto pubblico e non già di scrittura privata, la contestazione del suo contenuto

andava fatta con la querela di falso e non già con il mero disco

noscimento della sottoscrizione a norma dell'art. 214 c.p.c. suf

ficiente per addossare sulla controparte l'onere di sollecitare

con apposita istanza ex art. 216 c.p.c. la procedura di verifica

zione.

A nulla rileva, perciò, che il registro di consegna contenga la

cune o che non sia stato sottoscritto dall'agente postale, attesa la

sua ristretta natura certificatoria a causa della sua irrilevanza ai

fini della validità dell'avviso di ricevimento.

Caso mai, tale registro avrebbe potuto consentire, dopo la

querela di falso — che, però, non è stata presentata — un punto

di partenza per la necessaria attività che si sarebbe dovuta com

piere per accertare la veridicità o la falsità della certificazione

compiuta dall'agente postale circa l'avvenuta identificazione

personale del destinatario, al quale la copia del precetto sarebbe

stata consegnata. Il tribunale, però, a prescindere dalla mancata presentazione

della querela di falso, ha rilevato in proposito che il Bertinetti

non aveva in alcun modo provato che il numero della patente indicato dall'agente postale nel registro di consegna non corri

spondesse a quello della sua patente e, quindi, che l'agente po stale non avesse consegnato al medesimo il precetto dopo averlo

identificato a mezzo di tale patente. Pertanto il proposto ricorso va rigettato, modificata ex art.

384, 2° comma, c.p.c. nel senso sopra esposto la motivazione

della sentenza impugnata, non annullabile perché conforme a di

ritto nel dispositivo.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 25 feb

braio 2004, n. 3733; Pres. Saggio, Est. Salvago, P.M. Finoc

chi Ghersi (conci, diff.); Del Monaco (Avv. Traversa) c.

Soc. Sai assicurazioni (Avv. Perilli). Cassa senza rinvio

Trib. Taranto-Martina Franca 28 marzo 2001.

Procedimento civile — Giudice unico di tribunale in funzio

ne di giudice di appello — Dichiarazione di estinzione con

ordinanza — Reclamo allo stesso giudice — Inammissibili

tà (Cod. proc. civ., art. 178, 307, 308, 350).

Davanti al giudice unico di tribunale in funzione di giudice dì

appello l'estinzione del giudizio deve essere dichiarata con

sentenza, trattandosi di provvedimento di natura decisoria; nel caso di erronea scelta della forma dell'ordinanza, avendo

tale provvedimento natura sostanziale di sentenza, deve esse

re impugnato con l'ordinario ricorso per cassazione. (1)

(1) Non risultano precedenti in termini.

La Cassazione affronta per la prima volta in riferimento al giudizio di appello (dopo l'entrata in vigore del d.leg. 51/98 che ha istituito il

giudice unico di tribunale ed ha stabilito all'art. 74 che davanti al tribu

nale l'appello è trattato e deciso dal giudice monocratico), il problema del regime e della forma del provvedimento dichiarativo dell'estinzione

del giudizio. Lo stesso problema si è già posto per il provvedimento con cui il

giudice unico di tribunale in primo grado dichiara l'estinzione del giu dizio, in quanto il legislatore, nell'istituire la figura del giudice unico di

This content downloaded from 185.44.77.28 on Tue, 24 Jun 2014 20:53:58 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

PARTE PRIMA

Svolgimento del processo. — Il giudice monocratico presso il

Tribunale di Taranto, sezione distaccata di Martina Franca, nel

l'udienza dell'I 1 luglio 2000 dichiarava la nullità dell'atto di

citazione con cui Antonio Del Monaco aveva impugnato la

sentenza del Giudice di pace di Martina Franca nel procedi mento promosso contro la Società assicuratrice industriale (Sai),

per il fatto che il Tribunale di Taranto si compone di ben quattro sezioni distaccate; e disponeva la rinnovazione della citazione

entro il 30 novembre 2000.

tribunale, non è intervenuto con modifica di raccordo sulla disciplina dettatta dall'art. 308 c.p.c per il provvedimento di estinzione pronun ciato nell'ambito del procedimento di fronte al tribunale in composi zione collegiale.

La stessa questione era sorta, prima della riforma del processo civile,

per i provvedimenti di estinzione pronunciati dal pretore e dal conci liatore ed era stato risolto in questi termini: gli art. 307, ultimo comma, e 308 c.p.c. disciplinano la forma e il regime del provvedimento dichia rativo dell'estinzione con riferimento al procedimento davanti al tribu nale (l'estinzione è dichiarata dal giudice istruttore se di fronte a lui ec

cepita, con ordinanza reclamabile al collegio a norma dell'art. 178, 3°, 4° e 5° comma. Il collegio pronuncia sentenza se respinge il reclamo, ordinanza non impugnabile se lo accoglie). Qualora la dichiarazione di estinzione venga pronunciata dal pretore o dal conciliatore, poiché l'art. 317, 2° comma, esclude l'applicabilità dell'istituto del reclamo al

collegio, si deve dedurre «che il provvedimento con il quale il giudice singolo dichiara l'estinzione del processo non forma oggetto di reclamo immediato, ma deve essere preso nella forma di sentenza con totale

inapplicabilità sia del 1° sia del 2° comma dell'art. 308»: v. Andrioli, Commento al c.p.c., Napoli, 1960, II, 362; Id., Diritto processuale ci

vile, Napoli, 1979, 758, con la conseguenza che anche qualora il prov vedimento sia stato preso con la forma dell'ordinanza, questa avendo sostanzialmente natura di sentenza, è impugnabile con l'appello. Tale l'orientamento dottrinale e giurisprudenziale prevalente: v. Cass. 1 1

giugno 1964, n. 1447, Foro it., 1964,1, 1996; 12 agosto 1977, n. 3743, id., 1977, I, 2136, con nota di Barone, fino alle più recenti Cass. 3 set tembre 1993, n. 9279, id., Rep. 1993, voce Cassazione civile, n. 26; 21 febbraio 1992, n. 2151. id., Rep. 1992, voce Procedimento civile da vanti al pretore, n. 5. Per la dottrina, oltre il già citato Andrioli, v. Vaccarella, Inattività delle parti ed estinzione del processo di cogni zione, Napoli, 1975, 271 ss.; Saletti, Estinzione del processo (dir. proc. civ.), voce dell' Enciclopedia giuridica Treccani, Roma, 1988. Ili, 11.

Diverso orientamento, sebbene minoritario, sosteneva che l'esclusio ne delle norme sul reclamo non si estendeva all'ipotesi dell'estinzione del processo; «se il pretore pronuncia ordinanza di estinzione, questa sarà sempre reclamabile di fronte a lui medesimo, ed egli deciderà con sentenza se dichiara l'estinzione». Satta, Commentario al c.p.c., Na

poli, 1960, II, 460; ma lo stesso autore in Diritto processuale civile, Padova, 1973, 345, afferma che l'estinzione va dichiarata con sentenza e non con ordinanza reclamabile. Favorevole alla pronuncia con ordi nanza reclamabile dell'estinzione nei giudizi di fronte a giudice singolo anche Cipriani, La declaratoria di estinzione per inattività delle parti nel giudizio di primo grado, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1966, 155. Per la giurisprudenza, v. Trib. Napoli 17 ottobre 1985. Foro it.. 1986,1, 2296; Cass. 28 maggio 1963, n. 1419, id., 1963, I, 1654, che concerne va però l'ordinanza ex art. 630 c.p.c.

Per quanto riguardava la forma ed il regime della dichiarazione di estinzione nel processo di appello il problema aveva rilevanza assai li mitata in quanto l'appello si svolgeva sempre di fronte a giudice colle

giale, tranne per le limitate ipotesi di appello al pretore contro le sen tenze del conciliatore poi dichiarate inappellabili con 1. 30 luglio 1984 n. 399, art. 5. Unico precedente rinvenuto è Cass. 3 aprile 1963, n. 942, ibid., che ammette il ricorso per cassazione in caso di ordinanza del

pretore giudice di appello. Tale questione ha assunto maggiore importanza con l'introduzione

(art. 48 ord. giud. modificato dalla 1. 26 novembre 1990 n. 353) del

giudice istruttore in funzione di giudice unico prima, ed ora con il

d.leg. 51/98 che ha soppresso le preture ed istituito il giudice unico di tribunale di primo grado e all'art. 74 ha stabilito che anche l'appello davanti al tribunale è trattato e deciso dal giudice monocratico. Immo dificato è rimasto l'art. 308 c.p.c. ed il legislatore non è intervenuto in alcun modo con una disciplina di raccordo.

La dottrina che ha commentato la riforma, pur lamentando il mancato intervento del legislatore, ha riproposto la soluzione accolta dalla mag gior parte della giurisprudenza per il pretore e per il conciliatore, solu zione che affermava la pronuncia di estinzione dover assumere la forma di sentenza, e qualora erroneamente fosse stata assunta con la forma di ordinanza, questa avendo natura di sentenza di questa seguisse il regi me di impugnabilità, mentre la pronuncia che negava l'estinzione do veva essere pronunciata con ordinanza, riesaminabile in sede di deci sione; v. Consolo-Luiso-Sassani, La riforma del processo civile, Mila

no, 1991, 73; Balena, La riforma del processo civile di cognizione, Napoli, 1994, 312 ss.; Tarzia, Lineamenti de! nuovo processo civile di

cognizione, Milano, 1991, 162; Id., L'istituzione del giudice unico di

Il Foro Italiano — 2004.

Non avendo i] Del Monaco ottemperato, con ordinanza dell' 8

marzo 2001 dichiarava l'estinzione del processo; e con succes

sivo provvedimento del 28 marzo 2001 ha respinto il reclamo

dello stesso Del Monaco, osservando che il Tribunale di Taranto

si compone di più sezioni ordinarie e di quattro sezioni distac

cate, per cui l'appellante avrebbe dovuto indicare la sezione di

staccata davanti alla quale comparire; laddove l'indicazione del

solo Tribunale di Taranto e l'iscrizione a ruolo della causa pres so la sezione distaccata di Martina Franca aveva provocato l'as

soluta incertezza del giudice presso cui comparire. Per la cassazione della sentenza Antonio Del Monaco ha pro

posto ricorso per un motivo; cui resiste la Sai con controricorso.

Motivi della decisione. — Con il ricorso, il Del Monaco, de

ducendo violazione degli art. 163, n. 1, e 164 c.p.c., si duole che

il tribunale abbia dichiarato l'estinzione del processo, malgrado non vi fosse alcuna incertezza nella citazione di cui era stata di

sposta la rinnovazione, posto che nella sua intestazione era indi

cato il Tribunale di Taranto; e d'altra parte si dava atto che

l'appello era formulato contro la sentenza del Giudice di pace di

Martina Franca, per cui era conseguente che il giudice di ap

pello doveva individuarsi nella sezione distaccata di Martina

Franca.

Al riguardo la corte osserva che nel sistema introdotto dagli art. 307 e 308, come modificati dalla 1. n. 581 del 1950, il prov vedimento di estinzione del procedimento nel giudizio di primo

grado può essere emesso dal giudice istruttore con ordinanza,

ovvero con sentenza dal collegio, se dianzi a questo venga ecce

pita l'estinzione. Contro l'ordinanza del giudice istruttore è

ammesso reclamo nei modi previsti dall'art. 178 al collegio, il

quale provvede con ordinanza impugnabile se l'accoglie; e con

sentenza se respinge il reclamo.

primo grado e il processo civile, in Riv. dir. proc., 1999, 621; Verde,

Profili del processo civile, Napoli, 1996, II, 199; Mandrioli, Corso di diritto processuale civile, Torino, 1998, 11. 337. Univoca in tal senso la

giurisprudenza: v. Trib. Milano, ord. 2 giugno 1997, Foro it., 1997, I.

3027, con ampia nota di richiami, e Nuova giur. civ., 1998, I, 587, con nota di Corsini, Il provvedimento di estinzione del processo pronun ciato da! giudice monocratico', Trib. Modena 15 giugno 1999, Foro it.,

Rep. 2000, voce Procedimento civile, n. 409, e Giur. it., 2000, 758; Trib. Parma 17 gennaio 2000, Foro it., Rep. 2000, voce cit., n. 408; Cass. 22 ottobre 2002, n. 14889, id., Rep. 2002, voce cit., n. 338; 6

giugno 2002, n. 8206, ibid., n. 339. La sentenza sopra riportata si inserisce in questo filone, ma affronta

in modo specifico la forma ed il regime del provvedimento di estinzio ne pronunciato dal giudice monocratico di appello. La fattispecie decisa era la seguente: siamo in grado di appello contro sentenza di un giudice di pace; il tribunale dichiara con ordinanza l'estinzione del processo per mancata rinnovazione nei termini della citazione; la parte propone reclamo ed il tribunale lo respinge ancora con ordinanza; contro questa viene proposto ricorso per cassazione. La corte cassa senza rinvio con

questa motivazione. Il tribunale doveva pronunciare l'estinzione del

giudizio con sentenza e non con ordinanza, tale provvedimento avendo

comunque natura di sentenza doveva essere impugnato direttamente con ricorso. Non essendo tale ordinanza-sentenza stata impugnata con il rimedio suo proprio essa è divenuta definitiva mentre l'ordinanza de cisoria del giudice monocratico che rigettava il reclamo va cassata sen za rinvio in quanto estranea al sistema delle disposizioni del codice di

procedura civile in materia. Le argomentazioni che sostengono tale de cisione sono le seguenti: il provvedimento del tribunale in composizio ne monocratica che dichiara l'estinzione del processo è assimilabile

(quale ne sia la forma) alla sentenza del tribunale in composizione col

legiale che ai sensi dell'art. 308, 2° comma, respinge il reclamo contro l'ordinanza di estinzione del giudice istruttore. Tale provvedimento de ve essere impugnato con l'appello se emesso da un giudice di primo grado e con ricorso per cassazione se emesso da un giudice di appello. Tale conclusione è indubitabile dopo la riforma introdotta dalla 1. n. 353 del 1990 che ha abrogato l'art. 357 che prevedeva l'unico caso di reclamo contro le ordinanze di estinzione del processo emesse da un

giudice di appello; la nuova disposizione dell'art. 350 secondo la quale la trattazione dell'appello è collegiale davanti alla corte d'appello, mentre di fronte al tribunale l'appello è trattato e deciso sempre dal

giudice monocratico non lascia spazio alla fase davanti al giudice istruttore e quindi all'applicabilità dell'art. 308. Si deve dunque ritene re una tacita abrogazione dell'art. 308.

Unico elemento di dubbio (v. Frasca, in D'Aietti-Frasca-Manzi Miele, Il giudizio di primo grado, Milano, 1996, 153 ss.), il permanere dell'art. 630 (qualora non volesse ritenersi anch'esso abrogato per in

compatibilità con la nuova disciplina) che prevede il reclamo al collegio contro l'ordinanza dichiarativa di estinzione, pronunciata dal giudice dell'esecuzione che adesso anche per l'espropriazione forzata immobi liare è il tribunale in funzione di giudice unico. [G. Tombari Fabbrini]

This content downloaded from 185.44.77.28 on Tue, 24 Jun 2014 20:53:58 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Non diversamente da queste disposizioni era regolato il giu dizio di appello dagli art. 350 e 357, i quali per il caso di estin

zione dichiarata dal giudice istruttore (necessariamente con or

dinanza) configuravano il rimedio — interno al giudizio di ap

pello — del reclamo al collegio; il quale pronunciava la deci

sione con sentenza se lo respingeva, mentre negli altri casi

emetteva ordinanza non impugnabile.

Analogo rimedio non era, invece, preveduto quanto all'estin

zione dichiarata dallo stesso collegio, per la quale tornava dun

que ad applicarsi l'art. 307, ultimo comma, in base a quanto stabilito dall'art. 359, 1° comma: l'art. 307, ultimo comma, in

fatti, non era incompatibile con le disposizioni del capo II del

titolo III del libro II del codice, che disciplinavano lo svolgi mento del giudizio in grado di appello, prevedendo soltanto l'i

potesi dell'estinzione eccepita dinanzi all'istruttore, decisa da

questi solo quando al riguardo non sorgevano contestazioni;

mentre in caso contrario era rimessa per la sua decisione al col

legio ai sensi dell'art. 350, 2° comma.

Da questo sistema deriva: 1 ) che il provvedimento dichiarati

vo dell'estinzione del processo pronunciato dal giudice istrutto

re — sia in primo grado che nel procedimento di appello (allor ché era vigente l'art. 357) — deve essere necessariamente im

pugnato con il mezzo ordinario del reclamo (e non avendo ca

rattere decisorio e definitivo, è sicuramente inammissibile, in

relazione ad esso il ricorso per cassazione: Cass 9295/99, Foro

it., Rep. 1999, voce Procedimento civile, n. 373; 11156/96, id.,

Rep. 1996, voce Impugnazioni civili, n. 32); 2) per converso, se

emesso dal collegio, secondo l'art. 307 necessariamente con

sentenza, è impugnabile con gli ordinari rimedi previsti per tale

provvedimento che sono l'appello, ove trattasi di sentenze pro nunciate in primo grado (cfr. art. 339 c.p.c.), o il ricorso per cassazione (ordinario) ex art. 360 c.p.c. ove la sentenza è pro nunciata in grado di appello (Cass. 14936/00, id., Rep. 2000,

voce Procedimento civile, n. 406; 11531/92, id., Rep. 1994, vo

ce cit., n. 209; 5163/91, id., Rep. 1993, voce Appello civile, n.

68). Naturalmente se il collegio adotta erroneamente il provvedi

mento di estinzione nelle forme dell'ordinanza, lo stesso acqui sta natura sostanziale di sentenza (poiché l'art. 307, ultimo

comma, a differenza degli art. 308 e 357, prevede per tale giudi ce unicamente questa tipologia di provvedimento) con le conse

guenze appena enunciate (tranne il caso in cui l'ordinanza

sentenza risulti sottoscritta dal solo presidente non estensore per il quale trova applicazione la disposizione dell'art. 161, 2°

comma, c.p.c.). A questa situazione — dell'estinzione dichiarata dal collegio

— la giurisprudenza di questa corte ha sempre equiparato la

fattispecie della causa già di competenza del pretore (o del con

ciliatore) e comunque di un giudice monocratico (quale, esem

plificativamente il giudice del lavoro): perché nel procedimento avanti al pretore non erano applicabili, per espressa disposizione di legge (art. 317 c.p.c.) le norme relative ai reclami contro le

ordinanze (art. 178 c.p.c.); per cui al provvedimento che dichia

rava l'estinzione del processo (art. 307 e 308), ancorché pro nunciato in forma di ordinanza, andava riconosciuta natura di

sentenza, di conseguenza impugnabile con gli ordinari mezzi di

gravame (14889/02, id., Rep. 2002, voce Procedimento civile, n.

338; 9279/93, id., Rep. 1993, voce Cassazione civile, n. 26;

3257/89, id., Rep. 1989, voce Procedimento davanti al pretore, n. 3).

Pertanto, anche il provvedimento emanato dal tribunale in

composizione monocratica, che dichiara l'estinzione del proces

so, è assimilabile (quale ne sia la forma) alla sentenza del tribu

nale che, in composizione collegiale ai sensi dell'art. 308, 2°

comma, respinge il reclamo contro l'ordinanza di estinzione del

giudice istruttore. E tale provvedimento, avendo comunque na

tura sostanziale di sentenza deve essere impugnato direttamente

con l'appello se emesso da un giudice di primo grado; e con

l'ordinario ricorso per cassazione se emesso, come nella specie, dal giudice di appello.

Questa conclusione non può più essere revocata in dubbio

dopo la riforma introdotta dalla !. n. 353 del 1990, posto che

l'art. 89 ha abrogato il menzionato art. 357 che prevedeva l'uni

co caso di reclamo contro le ordinanze dichiarative dell'estin

zione del processo, emesse da un giudice di appello: peraltro, in

coerenza con la nuova disposizione dell'art. 350. come modifi

cata dagli art. 55 1. 353/90 e 74 d.leg. 51/98, secondo la quale la

Il Foro Italiano — 2004.

trattazione dell'appello è comunque collegiale davanti alla corte

d'appello, mentre davanti al tribunale l'appello è trattato e deci

so sempre dal giudice monocratico; e non ne è più configurabile in nessuna delle due ipotesi la fase davanti al giudice istruttore.

Pertanto, poiché lo stesso ricorrente ha dedotto che nella fatti

specie egli aveva proposto appello contro la sentenza del Giudi

ce di pace di Martina Franca e che l'impugnazione apparteneva ai sensi del successivo art. 341 c.p.c. alla competenza del Tribu

nale (di Taranto), perciò in composizione monocratica ex art.

350 ora ricordato, è contro il provvedimento di estinzione del

procedimento adottato 1" 8 marzo 2001 dal giudice monocratico

di detto tribunale, per quanto detto non reclamabile ed avente

natura di sentenza, che doveva essere proposto ricorso a questa corte.

Il Del Monaco, invece si è avvalso di un rimedio — il recla

mo, peraltro allo stesso giudice monocratico — non previsto dall'ordinamento; e successivamente ha proposto ricorso contro

l'ordinanza decisoria dello stesso giudice monocratico che in

data 24 marzo 2001 ha rigettato il reclamo del ricorrente. La

quale, per essere pur essa estranea al sistema di cui alle disposi zioni del codice di procedura civile ora esaminate, costituisce un

provvedimento inutiliter datum e deve essere cassata senza rin

vio: con conseguente passaggio in giudicato dell'ordinanza

sentenza dell'8 marzo 2001, non impugnata con il rimedio suo

proprio e, perciò, divenuta definitiva.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 23

febbraio 2004, n. 3546; Pres. Fiduccia, Est. Di Nanni, P.M.

Golia (conci, conf.); B. (Avv. Consolini, D'Urso) c. M. e

altri (Avv. Di Marcantonio). Conferma App. Roma 22 giu

gno 1999.

Successione ereditaria — Separazione dei beni ereditari —

Termine di decadenza per l'esercizio del diritto — Que stione manifestamente infondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 24; cod. civ., art. 516).

Posto che il termine di tre mesi per l'esercizio del diritto di se

parazione dei beni ereditari è stabilito a pena di decadenza, è

manifestamente infondata la questione di legittimità costitu

zionale dell'art. 516 c.c., in riferimento: aj all'art. 3 Cost.,

nella parte in cui attua una disparità di trattamento tra gli eredi del defunto e i creditori o i legatari, in base all'assunto

che i primi possano accettare l'eredità beneficiata in un ter

mine estremamente maggiore rispetto ai secondi, poiché il

principio di eguaglianza non può essere invocato mettendo a

confronto situazioni giuridiche sostanzialmente diverse nei

presupposti e nelle finalità; b) all'art. 24 Cost., nella parte in

cui fa decorrere il termine per l'esercizio del diritto di sepa razione dall'apertura della successione e non dalla cono

scenza della morte del de cuius, poiché l'incondizionato eser

cizio dei diritti non è intaccato dalla previsione di termini di

decadenza. (1)

(1) Non si rinvengono precedenti, presumibilmente perché, in linea con l'unanime dottrina, non si dubita che il termine di tre mesi dall'a

pertura della successione, entro cui il diritto alla separazione ereditaria

va esercitato, sia di natura decadenziale, non compatibile, pertanto, con

l'applicabilità degli istituti dell'interru2ione e della sospensione (cfr., in questo senso, M. Garutti, Separazione dei beni ereditari, voce del

l' Enciclopedia giuridica Treccani, Roma, 1992, XXVIII; v. anche Se

parazione dei beni del defunto: a) C. Storti Storchi, Storia, b) S. Fer

rari, Diritto vigente, voce dell' Enciclopedia del diritto, Milano, 1989,

XLI, 1455). L'unica sentenza edita rinvenibile parrebbe Trib. Modena 15 marzo

1996, Foro it., Rep. 1998, voce Successione ereditaria, n. 53, e, per esteso, con nota di R. Guidotti, Brevi osservazioni sulla separazione di

quote di s.r.l. ex art. 512 c.c. e sulla pubblicità di cui al 4° comma del

l'art. 2479 c.c.. in Giur. comm., 1998, II, 98, a cui dire la separazione dei beni del defunto da quelli dell'erede, nel caso in cui gli stessi siano

This content downloaded from 185.44.77.28 on Tue, 24 Jun 2014 20:53:58 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions


Recommended