sezione I civile; sentenza 25 febbraio 2005, n. 4086; Pres. Olla, Est. Di Amato, P.M. Maccarone(concl. conf.); Zanichelli (Avv. Pazzaglia) c. Derlindati (Avv. Gattamelata, Romano, Scanzano).Cassa senza rinvio App. Bologna 2 aprile 2001Source: Il Foro Italiano, Vol. 128, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 2005), pp. 2047/2048-2057/2058Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23201713 .
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2047 PARTE PRIMA 2048
pio della continuità delle trascrizioni immobiliari previste dal
codice civile. La decisione, ad avviso della ricorrente, non con
sidererebbe che nel nostro sistema di pubblicità immobiliare, l'unico registro da cui è dato desumere la titolarità di un immo
bile è quello esistente presso la conservatoria dei registri immo
biliari, mentre quello catastale non ha alcun valore probatorio. Il motivo è destituito di fondamento.
Con la prima censura viene posta una questione del tutto nuo
va e, quindi, inammissibile in questa sede. Negli atti di causa non si fa parola della clausola di esonero, e
la ricorrente, che oggi la invoca a propria difesa, non specifica di aver già sollevato la questione in sede di merito, né, comun
que, indica l'atto o l'udienza in cui sarebbe stata sollevata.
Anche la seconda censura contenuta nel primo motivo non ha
pregio, perché anche a voler ammettere che nel caso specifico la
1. 47/85 — ampiamente successiva alla data di stipulazione del
l'atto di vendita — consentisse la sanatoria, la circostanza non
può influire sulla nullità dell'atto, sussistente al momento della
stipula in modo assoluto per l'impossibilità giuridica del bene
oggetto del contratto.
L'ultima censura è altrettanto infondata, perché la corte di
merito ha fatto riferimento alla partita catastale (che era indicata
erroneamente nell'atto oggetto del presente giudizio) solo per
spiegare la riforma della sentenza di primo grado che aveva ri
tenuto non provata l'identità del bene oggetto della vendita con
quello gravato da uso civico; tuttavia, la corte ha specificato, alla stregua degli accertamenti eseguiti dal consulente tecnico, che l'immobile oggetto del contratto rogato dall'attuale ricor
rente non era intestato al venditore quale proprietario, in quanto nei registri immobiliari il predetto era indicato come colono
perpetuo, cioè titolare di una situazione soggettiva diversa dalla
proprietà. Il notaio avrebbe quindi dovuto accertare il reale
contenuto dell'atto di provenienza rogato dal notaio Pisapia, ve
rificando, in particolare, se ricorreva la continuità delle trascri
zioni immobiliari con particolare riferimento al contenuto del
diritto che il Gatta intendeva cedere.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia insufficienza e
contraddittorietà della motivazione. Si duole la Quattrociocchi che la corte abbia tratto conferma che il terreno fosse gravato da
uso civico, come ritenuto dal c.t.u., dalla mancanza di espressa contestazione sul punto da parte di essa appellata. In realtà la
contestazione aveva improntato tutto il giudizio di primo grado nel quale si era discusso proprio della natura del bene, tanto che
la domanda era stata respinta per la mancata dimostrazione della
«identità del bene compravenduto con quello cui erano riferite
le doglianze dell'attrice che ha proposto appello». La corte di
merito sarebbe, pertanto, incorsa in evidente contraddizione, avendo accolto la domanda sulla base di un frettoloso accerta
mento compiuto dal c.t.u., senza che il presupposto dell'esisten
za sul fondo dell'uso civico fosse stata dimostrata rigorosa mente attraverso gli unici strumenti previsti, e cioè la dichiara
zione del commissario agli usi civici ovvero l'accertamento giu risdizionale. Si duole inoltre la ricorrente di essere stata con
dannata al risarcimento sulla base del presupposto che il bene
non era risultato intestato al venditore, benché la stessa sentenza
faccia riferimento all'atto di provenienza a rogito Pisapia men
zionandolo come l'atto «col quale il venditore aveva acquistato il terreno successivamente da lui frazionato ed edificato». Infine
assume la ricorrente che la sola esistenza di un vincolo di uso
civico non potrebbe integrare la responsabilità del notaio per
negligenza, essendo notoria la difficoltà dell'accertamento.
Anche il secondo motivo non può trovare accoglimento. Premesso che non vi è motivo per ritenere che il c.t.u. abbia
svolto un accertamento «frettoloso» in merito alla titolarità del
fondo oggetto della vendita, è altresì infondato l'assunto della
ricorrente secondo cui l'esistenza sul fondo dell'uso civico an
drebbe dimostrata soltanto attraverso la dichiarazione del com
missario agli usi civici ovvero l'accertamento giurisdizionale. L'accertamento in argomento rientra nella giurisdizione del
commissario agli usi civici, prevista dall'art. 29 1. 1766/27, sol
tanto quando la relativa questione sia sollevata dal preteso tito
lare o dal preteso utente del diritto civico e debba essere risolta,
quindi, con efficacia di giudicato. Nelle controversie tra privati, invece, nelle quali
— come nella specie — la demanialità civica
del bene sia soltanto eccepita ad altri fini — come per contesta
re il diritto soggettivo di cui la controparte assuma essere titola
re — l'accertamento deve essere condotto dal giudice di merito.
Il Foro Italiano — 2005.
Nessuna contraddizione può, infine, ravvisarsi nell'aver fatto
riferimento al rogito Pisapia come atto di provenienza del bene
in capo al venditore, perché mai viene indicato detto atto come
fonte dell'acquisto per il Gatta del diritto di proprietà. Peraltro il
notaio rogante non avrebbe potuto fermarsi alla visione dell'atto
di provenienza del diritto, ma avrebbe comunque dovuto con
trollare la continuità a ritroso delle trascrizioni con riferimento
allo specifico diritto oggetto della cessione.
Quanto alla pretesa «difficoltà» dell'accertamento che man
derebbe esente da responsabilità il notaio, osserva la corte che il
notaio non può invocare la limitazione di responsabilità prevista
per il professionista dall'art. 2236 c.c. con riferimento al caso di
prestazione implicante la soluzione di problemi tecnici di spe ciale difficoltà, in quanto il mancato espletamento di un'attività
preparatoria importante, quale la visura dei registri immobiliari, non integra un'ipotesi di imperizia, cui soltanto è indirizzata la
previsione normativa in parola, ma negligenza o imprudenza, e
cioè violazione del dovere della normale diligenza professionale media esigibile ai sensi del 2° comma dell'art. 1176 c.c., ri
spetto alla quale rileva anche la colpa lieve.
Deve quindi concludersi per il rigetto del ricorso.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 25 feb braio 2005, n. 4086; Pres. Olla, Est. Di Amato, P.M. Mac
carone (conci, conf.); Zanichelli (Avv. Pazzaglia) c. Derlin
dati (Avv. Gattamelata, Romano, Scanzano). Cassa senza
rinvio App. Bologna 2 aprile 2001.
Fallimento — Curatore — Rendiconto — Contestazione —
Legale rappresentante della società fallita — Legittima zione — Limiti (R.d. 16 marzo 1942 n. 267, disciplina del fallimento, art. 116).
Fra i soggetti legittimati a impugnare il rendiconto del curatore
deve essere compreso anche il legale rappresentante della
società fallita purché agisca prospettando tale qualifica, po sto che altrimenti può presentare osser\>azioni ma non anche
contestazioni. (1)
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 29 no
vembre 2004, n. 22472; Pres. Losavio, Est. Plenteda, P.M.
Abbritti (conci, conf.); Amatucci (Avv. Di Amato) c. Fall,
soc. Atea (Avv. Nappi). Conferma App. Napoli 10 maggio 2002.
Fallimento — Curatore — Revoca — Rendiconto — Conte
stazione — Curatore subentrato — Legittimazione (R.d.
16 marzo 1942 n. 267, art. 38, 116). Fallimento — Curatore — Rendiconto — Contestazione —
Oggetto (R.d. 16 marzo 1942 n. 267, art. 116).
Nell'ipotesi di revoca del curatore, fra i soggetti legittimati a
impugnare il rendiconto di gestione deve essere compreso an
che il curatore subentrato. (2) Nel giudizio di impugnazione del rendiconto del curatore l'og
(1-2) Solo all'apparenza l'art. 116, 3° comma, 1. fall, sembra voler
assegnare al fallito e ai creditori il diritto di interloquire sul rendiconto
presentato dal curatore; la disposizione si trova infatti collocata nel ca
po VII relativo alla ripartizione dell'attivo ed è quindi destinata a re
golare il caso paradigmatico e fisiologico in cui approssimandosi alla chiusura della procedura il curatore in carica deposita il conto della sua
gestione. In verità tale articolo è espressamente richiamato nel prece
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
getto non è solo la verifica della gestione contabile della pro cedura in quanto il controllo può estendersi a sindacare l'o
pera prestata, i risultati ottenuti e la sollecitudine nel compi mento delle attività che gli competono. (3)
I
Svolgimento del processo. —
Luigi Derlindati, con ricorso del
19 gennaio 1995, contestava il rendiconto presentato da Corrado
dente art. 38 1. fall, ove si stabilisce che il curatore che (per qualsiasi causa) cessa dal suo ufficio è tenuto a rendere il conto, di talché all'e videnza oltre ai creditori e al fallito anche il nuovo curatore è legitti mato ad impugnare il rendiconto. Sulla legittimazione del curatore su
bentrato, sebbene in obiter, cfr. Cass. 5 ottobre 2000, n. 13274, Foro
it., Rep. 2000, voce Fallimento, n. 343; 20 luglio 1999, n. 7778, id.,
Rep. 1999, voce cit., n. 424; 17 maggio 1995, n. 5435, id., Rep. 1996, voce cit., n. 323; 2 agosto 1957, n. 3287, id., 1958,1, 1858. Nello stesso
senso, Stasi, Rendiconto del curatore fallimentare e giudizio di respon sabilità, in Fallimento, 2003, 784; Capocchi, La responsabilità civile del curatore fallimentare, id., 2002, 67; G.U. Tedeschi, Manuale di di ritto fallimentare, Padova, 2001, 576; Jorio, Le crisi d'impresa. Il fal limento, Milano, 2000, 691; Bonsignori, La liquidazione dell'attivo e il
riparto, in Le procedure concorsuali. Il fallimento, trattato a cura di G. Ragusa Maggiore e C. Costa, Torino, 1997, III, 548; Chizzini, Rendi conto del curatore, in Le procedure concorsuali a cura di G.U. Tede
schi, Torino, 1996,1, II, 1108; Lo Cascio, Il fallimento e le altre proce dure concorsuali, Milano, 1995, 423; Pajardi, Manuale di diritto falli mentare, Milano, 1986, 555 (ad avviso del quale la legittimazione so stanziale a contestare il conto spetterebbe anche al giudice delegato). Per converso, se è naturale che il legale rappresentante della società fallita sia legittimato a contestare il conto qualora agisca facendo valere il suo rapporto organico con la società, dovendosi l'ipotesi equiparare a
quella della proposizione delle contestazioni da parte del fallito, vice versa il legale rappresentante che agisca in proprio è legittimato, come
qualsiasi interessato, a presentare solo osservazioni e non anche conte stazioni al rendiconto seguendo la logica della separazione fra coloro che possono presentare osservazioni (ad esempio, i creditori non am messi: v. Cass. 24 marzo 1993, n. 3500, Foro it., Rep. 1993, voce cit., n. 517; Guglielmucci, Lezioni di diritto fallimentare, Torino, 2004, 302; Frascaroli Santi, La ripartizione dell'attivo, in Diritto fallimen tare a cura di A. Maffei Alberti, Bologna, 2002, 362; G.U. Tedeschi, Manuale di diritto fallimentare, cit., 576) e coloro che possono anche
impugnare il conto (sul punto, v. Cass. 28 agosto 2001, n. 11286, Foro
it., 2001, I, 3584, alla cui nota si rinvia, ove si è precisato che la fissa zione dell'udienza di discussione deve essere comunicata anche ai cre ditori in prededuzione; in senso adesivo, Stasi, Natura obbligatoria della comunicazione del rendiconto, in Fallimento, 2002, 1054).
Nel giudizio di rendiconto, infatti, non è prevista quella legittimazio ne diffusa che, invece, è prevista per la proposizione dell'opposizione al fallimento, rispetto alla quale il legale rappresentante è legittimato anche senza la spendita del nome della società rappresentata: Cass. 28
giugno 2002, n. 9491, Foro it., Rep. 2003, voce cit., n. 258; 25 agosto 1997, n. 7943, id., Rep. 1998, voce cit., n. 259.
(3) Quale possa essere l'oggetto del giudizio di rendiconto del cura tore lo si rileva dalla copiosa giurisprudenza che, in modo compatto, precisa come le contestazioni non debbano limitarsi alla mera gestione contabile, potendo invece involgere il più complessivo operato del cu
ratore, così da rendere il procedimento di rendiconto la sede dove sin dacare le scelte dell'organo della procedura, scelte che sino a quel mo mento, per i creditori che non sono stati chiamati a far parte del comi tato dei creditori, potrebbero anche essere rimaste ignote; in termini, Cass. 5 ottobre 2000, n. 13274, cit.; 19 gennaio 2000, n. 547, Foro it.,
Rep. 2001, voce Fallimento, n. 600; 14 ottobre 1997, n. 10028, id.,
Rep. 1998, voce cit., n. 339; Trib. Palermo 18 luglio 2002, id., Rep. 2003, voce cit., n. 323; Trib. Napoli 28 febbraio 2001, id., Rep. 2002, voce cit., n. 327; Trib. Bologna 23 gennaio 1998, id., 1998,1, 2579, alla cui nota redazionale si rinvia, tutte decisioni che si ricollegano alla ri salente Cass. 13 giugno 1953, n. 1742, id., 1955, I, 699; in dottrina, di
recente, Bonfatti-Censoni, Manuale di diritto fallimentare, Padova, 2004, 231; Capocchi, La responsabilità civile del curatore fallimentare, cit., 67; Guglielmucci, Lezioni di diritto fallimentare, cit., 302; Jorio, Le crisi d'impresa. Il fallimento, cit., 691; G.U. Tedeschi, Manuale di diritto fallimentare, cit., 575.
Per ciò che attiene invece alla regolamentazione del procedimento di
rendiconto in presenza di contestazioni, v. Trib. Bologna 23 gennaio 1998, cit., con particolare riferimento all'attribuzione della cognizione al giudice monocratico; così, anche, Bonfatti-Censoni, Manuale di di ritto fallimentare, cit., 231; G.U. Tedeschi, Manuale di diritto falli mentare, cit., 576; in contrario potrebbe essere valutato il precedente di Trib. Palermo 18 luglio 2002, cit., ma in quel caso nel giudizio di ren diconto era stata innestata anche l'azione di responsabilità nei confronti
del curatore, talché non è dato comprendere se la scelta della collegia lità sia dipesa dalla sovrapposizione processuale. [M. Fabiani]
Il Foro Italiano — 2005.
Zanichelli, curatore dimissionario del fallimento della s.p.a.
Gresparma; in particolare, il Derlindati lamentava, per quanto
qui ancora interessa, che il cessato curatore, in occasione della
vendita del principale immobile della società fallita, aveva ad
dossato alla procedura gli oneri di una bonifica da rifiuti tossici. Il Tribunale di Parma, con sentenza del 20 novembre 1995,
rigettava l'opposizione ed approvava il rendiconto. Luigi Der
lindati proponeva appello che la corte territoriale di Bologna ac
coglieva parzialmente, quanto al punto che qui interessa, osser
vando che: 1) l'eccezione di difetto di legittimazione del Der lindati ad impugnare il rendiconto del curatore era infondata in
quanto lo stesso, nel ricorso introduttivo proposto ai sensi del
l'art. 116 1. fall., si era qualificato ex amministratore della fallita
s.p.a. Gresparma ed aveva dichiarato di ribadire l'opposizione
all'approvazione del rendiconto già espressa in via breve con
una precedente istanza al giudice delegato nella quale si qualifi cava liquidatore della Gresparma; in tale contesto era, quindi, evidente che il Derlindati aveva agito quale legale rappresen tante della società fallita, non avendo tra l'altro, allo stato, alcun
interesse alla contestazione quale persona fisica; 2) nel merito,
premesso che la posizione del curatore rispetto agli atti di ge stione non poteva essere considerata come servente e subordi
nata alle determinazioni del giudice delegato, le cui autorizza
zioni, quindi, non potevano escludere la responsabilità del cu
ratore, riteneva che il rendiconto non potesse essere approvato
quanto alla spesa sostenuta per la bonifica dell'immobile ven
duto; infatti, il rendiconto mancava degli elementi minimi di
chiarezza ed analiticità, considerato che esso non si può esaurire
in un riepilogo sommario delle attività e passività, ma deve in formare sulle scelte operative e gestionali effettuate; 3) più spe cificamente, elementi di responsabilità a carico di Corrado Za
nichelli erano risultati, in primo luogo, per l'inesatta o tardiva
informazione sulla presenza di fanghi nocivi e tossici nell'im
mobile posto in vendita. In particolare, tale presenza non era
stata rilevata malgrado fosse chiaramente visibile, dall'epoca del fallimento in poi, un'area nella quale affioravano fanghi secchi di colore rosso; 4) in secondo luogo, elementi di respon sabilità emergevano per il mancato svolgimento di controlli e
verifiche dell'attività di escavazione, asporto e smaltimento dei
fanghi svolta dalla società che aveva acquistato dall'aggiudica taria l'immobile subastato; 5) in terzo luogo, era censurabile
l'assenza di un reale controllo dei documenti giustificativi delle
spese sostenute dall'acquirente s.r.l. Ceramica Fenix per un
ammontare di oltre lire 700.000.000 a fronte di una previsione di spesa di lire 256.000.000 formulata dal perito incaricato dalla
stessa Ceramica Fenix, considerando che la differenza non era
giustificabile per la successiva scoperta di altre parti dell'im
mobile inquinate (alcune canalette di scolo ed un pendio albe
rato), tenuto conto della modestia dei relativi interventi. Il cu
ratore, inoltre, aveva indotto in errore il giudice delegato, da un
lato asserendo contrariamente al vero che l'acquirente aveva
sempre dato tempestiva comunicazione del rinvenimento dei
depositi inquinanti e, dall'altro, richiedendo l'autorizzazione al
pagamento di fatture delle quali non aveva verificato la con
gruità e l'inerenza alla bonifica; il curatore non aveva neppure giustificato la spesa per la rimozione di alcune vernici e di altre
cose giacenti nel capannone né aveva spiegato le ragioni delle
differenze, quanto a peso dei rifiuti e costo di smaltimento, ri
sultanti dalla richiesta della società acquirente, da un lato, e dal
l'altro dalle indicazioni del consulente tecnico oltre che dalle
perizie svoltesi in sede penale, né aveva spiegato le ragioni di
un incremento dei costi nella misura del trenta per cento rispetto a quelli sostenuti cinque mesi prima; infine, elementi di respon sabilità emergevano in relazione all'addebito al fallimento di
costi di smaltimento di fanghi che non solo erano superiori a
quelli fatturati dal gestore della discarica, ma rappresentavano un duplicato di spese.
In conclusione, secondo la corte d'appello il rendiconto di
Corrado Zanichelli in ordine ai costi delle operazioni di scavo,
bonifica, trasporto e smaltimento dei rifiuti era ampiamente la
cunoso, ingiustificato e contraddetto dai documenti; pertanto, ri
fiutava l'approvazione del conto rispetto alle voci indicate.
Avverso detta sentenza Corrado Zanichelli propone ricorso
per cassazione, deducendo nove motivi. Luigi Derlindati, in
proprio e nella qualità di liquidatore della Ceramica Gresparma
s.p.a., resiste con controricorso e propone, affidandolo ad un
motivo, ricorso incidentale condizionato, cui Corrado Zanichelli
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PARTE PRIMA 2052
resiste con controricorso. Entrambe le parti hanno presentato memoria.
Motivi della decisione. — 1. - I ricorsi, proposti avverso la
stessa sentenza, devono essere riuniti, ai sensi dell'art. 335
c.p.c. Con il primo motivo il ricorrente principale deduce violazio
ne dei principi sulla legittimazione e sull'identificazione delle parti nel processo, violazione dell'art. 100 c.p.c. nonché vizio di
motivazione, lamentando che erroneamente la corte territoriale
aveva ritenuto possibile individuare la veste nella quale il Der
lindati aveva agito sulla base di un atto, le osservazioni al rendi
conto, anteriori alla radicazione del giudizio e sulla base del di
fetto di un interesse ad agire in proprio. In ogni caso, nell'atto
di appello mancava ogni riferimento alla società fallita ed alla
carica sociale rivestita dall'appellante. Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione degli
art. 38 e 116 1. fall, in quanto il Derlindati aveva proposto, sna
turando il giudizio di rendiconto, un'azione di responsabilità verso il curatore che è, invece, riservata al nuovo curatore, pre via autorizzazione del giudice delegato.
Con il terzo motivo il ricorrente deduce la violazione dell'art.
116 1. fall., lamentando che erroneamente la sentenza impugnata aveva ritenuto che il rendiconto non si esaurisse in espressioni numeriche e si potesse trasformare in una relazione illustrativa
dell'attività svolta.
Con il quarto motivo il ricorrente deduce la violazione del
l'art. 38 1. fall, e dell'art. 2236 c.c., lamentando che la respon sabilità del curatore era stata affermata trascurando la disciplina
prevista per la responsabilità professionale, alla cui stregua una
responsabilità era configurabile solo per dolo o colpa grave e,
quindi, solo se il curatore durante il periodo del suo incarico, iniziato nel maggio 1987 quando le attività di rilevazione erano
già state compiute da altri, avesse avuto la possibilità e le co
gnizioni tecniche indispensabili per scoprire la presenza nello
stabilimento e nelle sue vicinanze di sostanze nocive o tossiche.
Con il quinto motivo il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione in quanto la corte d'appello non aveva
considerato che le dichiarazioni del curatore, contenute nell'i
stanza con cui aveva chiesto al giudice delegato conferma delle
assicurazioni date dallo stesso giudice delegato ad un parteci
pante all'asta, in ordine alla bonifica del terreno a carico del
fallimento, non potevano essere disattese in quanto rese in atti
relativi all'esercizio di pubbliche funzioni ed in quanto non im pugnate con querela di falso. In ogni caso il preteso ritardo nel
l'informazione del giudice delegato era stato privo di efficienza
causale in quanto il provvedimento del giudice avrebbe dovuto
avere comunque identico contenuto. In proposito, la sentenza
impugnata aveva contraddittoriamente ritenuto inevitabile l'im
pegno all'eventuale bonifica da parte del giudice delegato, ave
va addebitato al curatore un ritardo nell'informazione del giudi ce delegato ed aveva infine escluso il rilievo di vizi in sede di vendita forzata.
Con il sesto motivo il ricorrente deduce violazione dell'art.
2697 c.c. e vizio di motivazione in quanto la corte d'appello, sulla base di una consulenza tecnica che non poteva esonerare
dall'onere della prova, aveva ritenuto rimossa un'inferiore
quantità di terreno inquinato e di sostanze nocive rispetto alle
quantità che avevano formato oggetto del rimborso spese. In
ogni caso, nella quantificazione del terreno rimosso la sentenza
impugnata aveva omesso di considerare sia il peso specifico medio risultante dai campioni analizzati dall'Amnu di Modena sia l'aumento del peso specifico degli strati inferiori del terreno.
Inoltre, del tutto immotivatamente la corte territoriale aveva ri
tenuto modesta la quantità di terreno rimossa dal pendio albe
rato.
Con il settimo motivo il ricorrente lamenta il vizio di motiva
zione, deducendo che il divario tra la previsione di spesa, come
valutata dal perito incaricato dalla società acquirente, e la spesa effettivamente occorsa era stato valorizzato senza tener conto
che dopo la perizia era emersa la necessità, oltre che di smaltire
il terreno inquinato proveniente dal pendio alberato, anche dalla
vagliatura (riduzione in frammenti) del terreno.
Con l'ottavo motivo il ricorrente lamenta la violazione del
l'art. 38 1. fall., deducendo che erroneamente era stato ritenuto
addebitabile al curatore il rimborso delle spese occorse per la
rimozione dei sacchi contenenti vernici e delle altre giacenze esistenti nel capannone, considerato che il decreto di trasferi
II Foro Italiano — 2005.
mento, senza che fosse possibile ipotizzare un contrasto con
l'ordinanza che disponeva la vendita nello stato di fatto, preve deva la consegna dell'immobile libero da persone e cose.
Con il nono motivo il ricorrente lamenta il vizio di motiva
zione in quanto nel ritenere la mancanza di controllo sulle fattu
re relative al trasporto di materiale ed il maggior importo richie
sto al fallimento, la corte d'appello non aveva considerato che
tale differenza, emersa in sede penale, non riguardava la fattura
emessa a carico della soc. Fenix (avente causa dall'aggiudicata rio ed esecutrice dei lavori), ma la fattura emessa a carico del
soggetto incaricato dalla Fenix e relativa, quindi, ad un rapporto che il curatore non era in stato in grado di controllare.
2. - Il primo motivo del ricorso principale è fondato. Si deve
premettere, secondo quanto risulta dalla lettura degli atti, che
Luigi Derlindati si è qualificato liquidatore della fallita società nelle osservazioni scritte al rendiconto presentate il 24 settem
bre 1994; che all'udienza del 4 ottobre 1994, fissata per la di
scussione del rendiconto, ha presentato le sue contestazioni sen
za spendere il nome della società; che, con la memoria di costi
tuzione del 12 gennaio 1995, ha conferito procura a margine senza spendita del nome della società e si è qualificato ex am
ministratore della società fallita; che nella nota di iscrizione a
ruolo, effettuata dal suo procuratore, si è qualificato quale parte
opponente, senza alcun riferimento alla società fallita; che nel
ricorso per riassunzione, presentato in data 1° febbraio 1995,
dopo una sospensione del giudizio seguita ad una ricusazione, non ha speso il nome della società.
Ciò premesso, non è in discussione, naturalmente, la legitti mazione del Derlindati a proporre opposizione al rendiconto in
qualità di liquidatore della fallita società Gresparma s.p.a.; è,
invece, controverso se nella specie vi sia stata o meno spendita del nome della società. Al riguardo, si deve anche precisare che
il Derlindati era legittimato a spendere il nome della società
soltanto in qualità di liquidatore, in quanto legale rappresentante in carica, e non anche in qualità di ex amministratore, conside
rato che con la messa in liquidazione della società cessano i
poteri degli amministratori. Il fatto che entrambe le cariche sia
no state rivestite dalla stessa persona non comporta, ovviamen
te, la possibilità di spendere indifferentemente l'una o l'altra
qualifica, atteso che alla carica di amministratore non consegue necessariamente quella di liquidatore.
Ciò premesso, si deve osservare che la spendita del nome
della società non richiede, secondo la giurisprudenza di questa corte, l'uso di formule sacramentali e non deve essere necessa
riamente espressa, potendo risultare anche indirettamente, pur ché in modo certo ed univoco, dalle circostanze del caso con
creto o dalla struttura dell'atto (Cass. 26 maggio 2000, n. 7002, Foro it., Rep. 2000, voce Procedimento civile, n. 122; 29 agosto 1997, n. 8249, id., Rep. 1997, voce cit., n. 86; 16 novembre
1995, n. 11885, id., Rep. 1995, voce Società, n. 515). Nella spe cie, tuttavia, non solo la procura rilasciata con la memoria di co
stituzione nel giudizio ex art. 116 1. fall, non contiene una spen dita del nome della società, ma l'esercizio di poteri rappresen tativi non risulta neppure dal contesto degli atti, né è possibile, come ipotizza invece la corte d'appello, desumerlo da atti diver
si da quelli introduttivi del giudizio ovvero addirittura dall'ine
sistenza di un interesse alla contestazione del conto quale per sona fisica. Quanto a quest'ultima osservazione è agevole os
servare che essa si risolve in una petizione di principio poiché finisce per equiparare il difetto di interesse ad agire quale per sona fisica alla spendita del nome della società e, quindi, per da
re per dimostrato ciò che invece deve essere dimostrato, proprio
per evitare il rilievo del difetto di interesse. Quanto alla possi bilità di integrare gli elementi risultanti dagli atti introduttivi con elementi ad essi estranei, al fine di identificare la parte che
agisce, la giurisprudenza di questa corte, seppure in relazione
all'art. 163 c.p.c., ha affermato che i requisiti essenziali del
l'atto di citazione devono essere individuati direttamente da tale
atto, autonomamente considerato, senza che sia possibile fare ri
ferimento al contenuto di altri atti del procedimento (Cass. 21
maggio 1999, n. 4951, id., Rep. 1999, voce Impugnazioni civili, n. 30; 2 agosto 1975, n. 2949, id., 1976, I, 732). Tale principio sembra valido per tutti gli atti che determinano l'incardina
mento della lite (nella specie la contestazione in udienza e la co
stituzione nella conseguente fase contenziosa) e rispetto ai quali è identica l'esigenza di non avere incertezze sull'identificazione
delle parti in causa.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Il motivo è fondato anche in relazione all'atto di appello nel
quale il Derlindati, nell'impugnare la sentenza con cui il Tribu
nale di Parma aveva approvato il rendiconto del curatore, non ha
speso, né nella procura né nel contesto dell'atto, la qualità di le
gale rappresentante della società Gresparma, confermando di
fatto che l'opposizione era stata presentata in proprio. La corte di merito ha pertanto errato tanto nel ritenere che
l'opposizione al rendiconto e l'appello fossero riferibili alla so cietà fallita.
3. - Con l'unico motivo del ricorso incidentale subordinato
Luigi Derlindati ha dedotto la violazione dell'art. 116 1. fall, ed
il vizio di motivazione, lamentando che erroneamente la corte
d'appello aveva negato il suo interesse a contestare il rendi
conto quale persona fisica. In particolare, secondo il ricorrente
incidentale la categoria dei soggetti interessati alla presentazio ne di osservazioni al rendiconto non si esaurisce nei creditori e
nel fallito, ma è più ampia e ricomprende anche l'amministrato
re della società fallita, trattandosi di soggetto che subisce sulla
sua persona le restrizioni e le limitazioni previste dalla legge a
carico del fallito. Nella specie, inoltre, la legittimazione del ri corrente discendeva dal fatto che Luigi Derlindati era stato con
vocato dal curatore per l'udienza di esame del rendiconto con
una comunicazione personale diretta al suo indirizzo; pertanto, alla legittimazione come legale rappresentante della fallita so
cietà, il ricorrente sommava una legittimazione personale che
discendeva dal suo essere divenuto parte per iniziativa del cu
ratore.
Il motivo è infondato. Malgrado la dizione del 2° comma del
l'art. 116 1. fall., secondo cui all'udienza fissata per la discus
sione del rendiconto «ogni interessato può presentare le sue os
servazioni», si deve ritenere che legittimati alla formulazione di
contestazioni siano soltanto i creditori ammessi al passivo ed il
fallito. Il conto, infatti, viene reso al fallito, considerato che si
discute della gestione e della liquidazione del suo patrimonio, ed ai creditori, ai quali viene distribuito il risultato della liqui dazione. Soltanto fallito e creditori sono, quindi, legittimati alla
contestazione del rendiconto ed è infatti ad essi che il 3° comma
dello stesso art. 116 prevede che sia data comunicazione del
l'avvenuto deposito del conto e della fissazione dell'udienza per la sua discussione. Si deve, quindi, distinguere tra le semplici osservazioni alle quali è legittimato qualsiasi interessato (in
questo senso, già Cass. 24 marzo 1993, n. 3500, id., Rep. 1993, voce Fallimento, n. 517) e le contestazioni, che, ove non risolte
amichevolmente, danno luogo ad un giudizio ordinario che si
giustifica soltanto nel rapporto tra il curatore ed i soggetti che
hanno diritto al rendiconto e non anche nei confronti di soggetti che possano avere un semplice interesse di fatto ai risultati della
gestione. Da ciò consegue che, in caso di fallimento a carico di
società, chi è, ovvero è stato, legale rappresentante della società
fallita non è personalmente legittimato alla proposizione di
contestazioni del rendiconto del curatore. In contrario non as
sume rilievo la circostanza che il legale rappresentante della so
cietà fallita sia stato avvisato, come nella specie, dell'udienza
con comunicazione a lui diretta e spedita al suo domicilio; tale
comunicazione, infatti, da un lato si deve ritenere fatta in consi derazione della qualità rivestita dal destinatario (tenuto anche
conto che si tratta di una modalità obbligata, poiché la posta di
retta al fallito viene consegnata al curatore) e, d'altro canto, non
trattandosi dell'atto che incardina la lite, non vale ad attribuire
la legittimazione alla contestazione ad un soggetto che ne è pri vo.
In conclusione si deve accogliere il primo motivo del ricorso
principale e si deve rigettare il ricorso incidentale. Gli altri mo
tivi del ricorso principale, in quanto attinenti al merito, restano
assorbiti. Per quanto sopra la sentenza impugnata deve essere cassata
senza rinvio e l'opposizione al rendiconto proposta da Luigi Derlindati deve essere dichiarata inammissibile perché proposta da soggetto non legittimato.
II
Svolgimento del processo. — Con atto 31 ottobre 2000 il
prof. avv. Andrea Amatucci propose appello avverso la sentenza
28 luglio 2000 del Tribunale di Napoli, che non aveva appro vato il rendiconto da lui depositato quale curatore del fallimento
Il Foro Italiano — 2005.
della società Atea s.r.l., all'atto della sua sostituzione nella cari
ca con l'avv. Gennaro Stradolini.
Dedusse l'appellante che il tribunale aveva acriticamente re
cepito la tesi della curatela, ritenendo non valide le spiegazioni e le giustificazioni fornite in ordine alle contestazioni relative
alla redazione dell'inventario, del libro giornale, delle relazioni
ex art. 33 1. fall, e agli omessi accertamenti in merito alle re
sponsabilità degli amministratori e sindaci della società, all'atti vità gestionale, contabile e di controllo, al recupero dei crediti
della fallita e alla custodia dei suoi beni. La curatela resistette all'impugnazione, che la Corte d'ap
pello di Napoli ha respinto con sent. 23 aprile 2002. Ha ritenuto la corte di merito che la questione del difetto di
legittimazione del curatore subentrato a proporre l'azione di
rendiconto ex art. 116 1. fall, fosse inammissibile, perché propo sta con la comparsa conclusionale. La relativa eccezione avreb
be dovuto, infatti, essere dedotta con un motivo di gravame. Ha, comunque, ritenuto tale eccezione infondata, giacché il
nuovo curatore, per il fatto che assume la responsabilità della
continuazione della gestione e della liquidazione del patrimonio del fallito, ha il diritto-dovere di contestare i risultati della pre gressa gestione, onde evitare di essere chiamato a rispondere
personalmente delle omissioni e della mala gestio del suo pre decessore; al di là del suo dovere di tutelare gli interessi di tutti
i creditori concorsuali, anche non concorrenti.
Ha poi negato che il primo giudice avesse omesso di conside rare le argomentazioni difensive del curatore surrogato, ricono
scendo invece che erano state oggetto di attento esame, unita
mente alle contestazioni mosse al rendiconto, da parte del nuovo
curatore, che avevano trovato puntuali riscontri nelle risultanze
processuali, sia per quanto attiene all'inventario, essendo risul
tato che la maggior parte dei materiali esistenti nello stabili
mento della fallita non era stato inventariato e non era stato li
quidato benché deperibile; sia per il libro giornale, non vidimato dal giudice delegato e comunque incompleto; sia per la mancan
za delle relazioni ex art. 33 1. fall.; sia, infine, per l'omesso ac
certamento dei fatti e delle responsabilità degli organi della so
cietà, delle operazioni bancarie, al fine dell'esercizio delle azio ni revocatorie, non più praticabili perché prescritte, e per l'o messo esercizio delle azioni di recupero dei crediti della fallita, la cui documentazione si era persino mancato di custodire; cu
stodia che era anche mancata per i beni acquisiti al fallimento e
sottratti da ignoti.
Propone ricorso per cassazione con tre motivi il prof. avv.
Amatucci; resiste con controricorso il fallimento della soc. Atea.
Motivi della decisione. — Con il primo motivo il ricorrente
denunzia la violazione e la falsa applicazione dell'art. 116 1.
fall., in relazione agli art. 81 e 112 c.p.c. Lamenta che la corte di merito abbia giudicato tardiva l'ecce
zione di carenza di legittimazione attiva del curatore subentrato, sebbene tale legitimatio ad causarti, in quanto condizione del
l'azione, debba essere verificata di ufficio, in ogni stato e grado del processo.
Quanto al suo fondamento, negato dalla sentenza impugnata, rileva che nel giudizio di rendiconto soggetti legittimati sono il fallito ed i creditori ammessi al passivo, essendo estranea ad es
so ogni questione relativa all'accertamento di eventuali respon sabilità del curatore surrogato e alla sua condanna al risarci
mento dei danni.
Se è vero, osserva il ricorrente, che ogni interessato può par
tecipare all'udienza di approvazione del rendiconto, solo il fal
lito ed i creditori sono però legittimati a contestare, potendo gli altri interessati, quali il creditore non ammesso al passivo, pre sentare osservazioni, ma non anche proporre contestazioni.
Con il secondo motivo si denunziano la violazione e la falsa
applicazione dell'art. 116 1. fall., con riguardo all'oggetto delle
contestazioni.
Ammette l'Amatucci che il giudizio che si instaura a seguito della mancata approvazione del rendiconto possa avere ad og
getto, oltre agli errori materiali, alle omissioni e ai criteri di conteggio, anche la gestione del curatore, se la violazione dei
doveri di diligenza ha determinato un concreto pregiudizio alla massa concorsuale o ai singoli creditori; purché il controllo su
di essa si sviluppi attraverso la verifica del rendiconto, la quale,
dunque, ha come necessario presupposto che l'atto presentato dal curatore sia rappresentativo della gestione del fallimento, con la conseguenza che accertare la regolarità del conto signifi
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2055 PARTE PRIMA 2056
ca solo verificare che i movimenti in entrata e in uscita da lui
compiuti corrispondano a quelli indicati.
Al contrario la corte territoriale aveva giudicato le modalità
di amministrazione del patrimonio fallimentare, senza alcuna
valutazione delle singole poste attive o passive inserite nel
conto; così censurando la condotta del curatore, con valutazioni
ed accertamenti propri di un'azione di responsabilità. Con il terzo mezzo il ricorrente denunzia la violazione e la
falsa applicazione dell'art. 116 1. fall., in relazione all'art. 2697
c.c., per avere ritenuto che nell'ambito del giudizio di rendi
conto l'onere della prova gravi sul curatore revocato.
Posto che chi agisce in giudizio ha l'obbligo di provare le cir
costanze a sostegno della domanda e che colui il quale promuo ve l'azione di rendiconto assume la veste di attore, avrebbe do
vuto da lui essere fornita la prova della violazione dei doveri di
ufficio da parte del curatore surrogato, in quanto fosse stata
produttiva di danno alla massa o ai singoli creditori.
Tanto non era avvenuto, avendo i giudici di merito ritenuto
provata la maggior parte degli addebiti, solo perché il curatore
sostituito non aveva assolto all'onere a suo carico di dimostrare
il rispetto dei criteri di diligenza nell'adempimento dei doveri di ufficio.
Preliminarmente va disattesa l'istanza di differimento della
udienza di discussione formulata dal difensore del ricorrente,
pendendo presso il Tribunale fallimentare di Napoli una sua
proposta di transazione, volta a definire il giudizio di responsa bilità promosso dalla curatela del fallimento nei suoi confronti,
per i fatti oggetto della presente controversia.
L'istanza, infatti, oltre a non essere stata sottoscritta dalla
controparte, è assolutamente priva di elementi di riscontro e non
consente di valutare la concretezza delle trattative di composi zione della lite.
Parimenti respinto deve essere il ricorso, per la palese sua in
fondatezza.
Quanto al primo motivo, è certamente condivisibile l'assunto
secondo cui la legitimatio ad causam del curatore, in quanto condizione dell'azione, poteva e doveva essere verificata di uf
ficio, rilevabile essa essendo in ogni stato e grado del processo; sicché è irrilevante la circostanza che fosse stata dedotta dal
l'appellante con la comparsa conclusionale.
Né giova a sostegno della tesi della inammissibilità l'argo mento della sentenza impugnata che l'eccezione avrebbe dovuto
essere fatta valere unicamente con i motivi di gravame. Non es
sendo stata infatti la questione trattata e meno ancora decisa dal
tribunale, è mancato il presupposto per l'applicazione del prin
cipio devolutivo e la sua deduzione, non trovando impedimenti nella formazione del giudicato, poteva trovare ingresso nel giu dizio di impugnazione.
Ha, comunque, ritenuto la corte territoriale che infondata fos
se l'eccezione, avendo il curatore subentrato legittimazione a
proporre l'azione di rendiconto, a tutela degli interessi dei cre
ditori concorsuali e del proprio a non restare coinvolto perso nalmente nelle omissioni e nella mala gestio del predecessore.
Oppone a riguardo il ricorrente che a norma dell'art. 116 1.
fall, unici destinatari del rendiconto sono il fallito e i creditori e
che la circostanza che non sia previsto il curatore subentrato, diversamente da quanto stabilisce l'art. 38, cpv., 1. fall, per l'a
zione di responsabilità, costituisce la prova della sua carenza di
legittimazione attiva, sicché, in mancanza di contestazioni da
parte di soggetti destinatari, il rendiconto doveva essere appro vato.
Contesta, infine, l'assunto che il curatore subentrato derivi la
legittimazione dalla sua esposizione per fatti verificatisi nella
precedente gestione, unico soggetto passivamente legittimato essendo il curatore, in carica nel periodo in cui sono state com
piute le violazioni contestate.
La tesi non ha pregio, trovando smentita proprio nell'art. 38
su cui si fonda.
Vero è, infatti, che l'art. 116 1. fall, contempla esclusivamente
il fallito e i singoli creditori come destinatari della comunica
zione del deposito del conto e dell'udienza fissata per la sua ap
provazione; ma è altrettanto vero che in quella udienza «ogni interessato» (2° comma) può presentare le sue osservazioni e
che possano esse determinare il giudice delegato a non appro varlo e ad aprire la fase contenziosa (art. 116, ultimo comma).
Peraltro non ha rilievo giuridico la circostanza che detta nor
ma non preveda tra i legittimati ad interloquire il curatore su
II Foro Italiano — 2005.
bentrato, dal momento che essa risulta concepita per l'ipotesi ordinaria delle operazioni che portano alla chiusura della proce dura concorsuale, successive alla liquidazione ed anteriori alla
ripartizione dell'attivo, e per quella, altrettanto ordinaria, della
permanenza in carica del curatore, tenuto al rendiconto; trovan
do, invece, la fattispecie della revoca e della di lui sostituzione
disciplina nell'art. 38 1. fall., che contempla l'azione di respon sabilità a suo carico, prevede che dal curatore revocato sia reso
il conto e, allorché stabilisce che l'azione di responsabilità nei
suoi confronti durante il fallimento sia promossa, con l'autoriz
zazione del giudice delegato, dal nuovo curatore, necessaria
mente suppone l'interesse di quest'ultimo ad interloquire e a
contestare nel giudizio, per l'intima correlazione che corre tra i
due procedimenti, potendo l'approvazione del conto implicare una positiva valutazione della condotta del curatore, suscettibile
di incidere nel giudizio di responsabilità. Se è, infatti, vero che l'approvazione non esclude quest'ulti
ma azione, allo stesso modo in cui l'esercizio di essa non impe disce tale approvazione, è altrettanto vero che, laddove essa
manchi, il giudizio che ne consegue può avere ad oggetto oltre
agli errori materiali, alle omissioni ed ai criteri di conteggio, an
che il controllo della gestione e l'accertamento delle personali
responsabilità, per il compimento o per l'omissione di atti che
abbiano arrecato pregiudizio alla massa o ai diritti dei singoli creditori (Cass. 547/00, Foro it., Rep. 2001, voce Fallimento, n.
660; 10028/97, id., Rep. 1998, voce cit., n. 339; 277/85, id., Rep. 1985, voce cit., n. 553; 1339/74, id., Rep. 1975, voce cit., n. 580; 1132/68, id., 1968, I, 2021; 4430/57, id., 1957, I, 1922; 1229/54, id., 1955,1, 699).
Alla stregua di tale principio è innegabile la legittimazione del curatore subentrato ad impugnare il conto, giacché egli agi sce, in uno quanto nell'altro dei due giudizi, nell'interesse del
l'intera massa concorsuale, comprensiva non solo dei creditori
concorrenti, ma anche di quelli non ancora insinuati al passivo, che pertanto, non hanno acquisito il titolo a contestare il conto.
E la circostanza che la revoca del curatore possa intervenire
in ogni momento della procedura e quindi anche prima della
formazione dello stato passivo, in assenza di creditori, uti sin
guli legittimati alla contestazione, costituisce la riprova della le
gittimazione, che ulteriormente si rafforza con il rilievo della
sentenza impugnata — che pure merita di essere condiviso —
secondo cui il potere di chiedere la pronunzia di merito è al
nuovo curatore attribuito dal suo ruolo istituzionale, che lo
espone personalmente per le omissioni e la mala gestio del suo
predecessore, non certo sotto l'inammissibile profilo di una
estensione oggettiva a lui delle responsabilità altrui, quanto per il fatto di essere venuto meno al dovere, connaturale al munus
publicum che svolge, di accertare e rappresentare errori, omis
sioni, negligenze ed ogni condotta che integri cattiva gestione del curatore revocato, con riflessi pregiudizievoli per il ceto
creditorio, nell'atto in cui il giudice è chiamato ad approvarne il
conto.
Infondato è anche il secondo motivo.
Prende atto il ricorrente della possibilità che il controllo della
gestione, per l'accertamento della violazione eventuale dei do
veri di diligenza, possa essere compiuto in sede di esame del
conto, purché, però, sia effettuato attraverso le poste attive e
passive in esso esposte; controllo che invece era nella specie mancato, essendo stato piuttosto rivolto alle modalità di ammi
nistrazione del patrimonio fallimentare.
La tesi non ha fondamento giuridico, in quanto finisce per
negare la premessa da cui muove, che cioè la mala gestio pro duttiva di danno per i creditori possa essere verificata in sede di
rendiconto.
La limitazione proposta dal ricorrente alla sola verifica «se i
movimenti in entrata e in uscita effettivamente compiuti dal cu
ratore corrispondano a quelli indicati nel conto» priva di effetti
vità il controllo della gestione, giacché riduce il giudizio di ren
diconto ad una operazione meramente contabile, di cassa, che
non attiene all'operato dell'organo, in quanto deputato all'am
ministrazione del patrimonio, ma alla sola sua correttezza for
male nella registrazione delle poste attive e passive.
L'obbligo di rendere il conto della gestione ha, al contrario, natura soprattutto sostanziale, in quanto diretto a rappresentare tra l'altro «l'opera prestata, i risultati ottenuti, la sollecitudine
con cui sono state condotte le relative operazioni», criteri che
non a caso sono previsti dal d.m. 28 luglio 1992 n. 570, quanto
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
da quelli che prima di esso hanno regolato la materia dei com
pensi spettanti ai curatori fallimentari e ai commissari giudiziali delle procedure di concordato preventivo e di amministrazione
controllata.
E la circostanza che il rendiconto segua la liquidazione del
l'attivo e che la sua approvazione preceda quella del compenso è significativa della portata dei criteri predetti e della sede in cui
assumono rilevanza, che non può che essere quella prevista dal
l'art. 116 1. fall.
Né la condotta tenuta dal ricorrente e accertata dai giudici di
merito risulta inconferente rispetto ai risultati della gestione, avendo la corte territoriale analizzato la serie di omissioni, dalla
irregolare tenuta del libro giornale, privo persino della preventi va vidimazione del giudice delegato e comunque inattendibile
per via di alcune palesi discordanze in ordine alle operazioni re
gistrate, necessario strumento di riscontro rispetto alle eviden
ziazioni del rendiconto; all'assenza delle relazioni previste dal
l'art. 33 1. fall., da quella generale a quelle periodiche; al man
cato accertamento «dei fatti e delle responsabilità dei soggetti che hanno gestito la società in bonis», malgrado le rilevate
inattendibilità del bilancio fallimentare; alla omessa individua
zione dei conti bancari e alla mancata acquisizione delle movi
mentazioni relative a quelli conosciuti, omissioni che avevano
impedito la ricostruzione dell'attivo, precludendo, per decaden
za, l'esercizio delle azioni revocatorie; alla totale inattività nel
recupero dei crediti vantati dalla fallita per circa due miliardi e
mezzo di lire, esposti nel bilancio fallimentare, in ordine ai
quali era andata perduta la documentazione presente all'interno
dei capannoni, a causa di negligenze nella custodia, che avevano
riguardato anche i beni aziendali, lasciati incustoditi ed esposti a due furti a distanza di alcuni mesi dalla sentenza dichiarativa di
fallimento, tempo sufficiente a consentire al curatore di porre in
atto le misure necessarie alla loro tutela.
Omissioni tutte di attività, i cui risultati negativi sono evi
dentemente risultati dallo stesso conto di gestione, laddove nulla
ha potuto esporre in ordine ai crediti da recuperare, alle azioni
revocatorie da esercitare, alle responsabilità patrimoniali degli
organi societari da accertare e far valere, ai beni da liquidare e
non realizzati per essere andati perduti; sicché persino il dato
formale del prospetto contabile in cui il conto consiste, unita
mente alla relazione dettagliata dell'attività compiuta cui si ac
compagna, su quei punti carente, si appalesava idoneo alle con
testazioni e giustificativo della mancata approvazione. Le considerazioni che precedono giovano a disattendere an
che il terzo motivo.
Vero è che, essendo l'attore a dover fornire la prova dei fatti
costitutivi della domanda, nel giudizio di cui si tratta, che ha in
vestito il merito dell'attività, la prova del danno conseguito alla
mala gestio era a carico del curatore subentrato.
Ma erra il ricorrente allorché afferma che i giudici di merito
abbiano invece posto a carico suo la prova che dalla condotta
omissiva non fosse derivato alcun danno al patrimonio della so
cietà.
La censura coglie a pretesto un passaggio della sentenza im
pugnata, laddove afferma, con riguardo all'assunto dell'appel lante circa la mancata dimostrazione che il deterioramento dei
beni non fosse già presente alla data del fallimento, che avrebbe
dovuto il curatore surrogato fornire elementi di prova in merito
a quanto prospettato, dal momento che la mancata inventaria
zione dei beni, di cui si era reso responsabile, aveva impedito la
tempestiva valutazione dello stato in cui si trovavano e non con
sentito la vendita immediata, come prescritto per i beni deperi bili dalla legge fallimentare, essendo quelli acquisiti alla massa
attiva a rapida obsolescenza.
Un'affermazione dunque che muove da dati certi, quali la de
peribilità e il mancato inventario; sicché coerente con essi ri
sulta la conclusione che avrebbe dovuto l'appellante dimostrare
che, comunque, l'una e l'altro non avevano prodotto alcun dan
no, perché il deperimento era maturato anteriormente all'apertu ra del fallimento.
Ma al di là di tale considerazione, la doglianza è gratuita, a
fronte di quanto la corte territoriale ha osservato in ordine al
danno prodotto al ceto creditorio, oltreché per la mancata custo
dia e liquidazione dei beni, per tutte le inattività prima menzio
nate; sicché la mala gestio accertata ha trovato i necessari ri
scontri in termini di pregiudizio ai creditori, tanto da giustificare la mancata approvazione del conto.
Il Foro Italiano — 2005.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 25 febbraio 2005, n. 4059; Pres. Carbone, Est. Chiarini, P.M.
Uccella (conci, conf.); Velotti (Avv. Marotta) c. Regione
Campania (Avv. De Girolamo). Dichiara inammissibile ri
corso avverso App. Napoli 28 giugno 2000.
Impugnazioni civili in genere — Termine annuale — So
spensione feriale — Scadenza — Ulteriore proroga — Fat
tispecie (Cod. proc. civ., art. 327; 1. 7 ottobre 1969 n. 742, so
spensione dei termini processuali nel periodo feriale, art. 1).
Il termine annuale di decadenza dall 'impugnazione, che comin
cia a decorrere prima della sospensione feriale, prevista dal
l'art. 1 l. n. 742 del 1969, deve essere prolungato di quaran tasei giorni, che diventano novantadue ove l'ultimo di essi
cada nel corso del successivo periodo di sospensione feriale dell'anno seguente. (1)
Svolgimento del processo. — Con sentenza del 28 giugno
2000 la Corte d'appello di Napoli, in parziale accoglimento del
l'appello principale di Velotti Teresa, in proprio e rappresentata dalla s.p.a. Credifarma, e dell'appello incidentale della Asl Na
poli 3, riconosceva il danno da ritardo nel pagamento di alcune
distinte riepilogative di ricette inoltrate dalla Velotti per il pa
gamento e la legittimazione passiva della regione Campania. Avverso questa sentenza ricorre per cassazione Velotti Tere
sa, in proprio e rappresentata dalla s.p.a. Credifarma, per tre
motivi di ricorso, cui resiste la regione Campania. Motivi della decisione. — Va preliminarmente esaminata
l'eccezione della controricorrente di inammissibilità del ricorso
perché tardivo.
L'eccezione è fondata.
Come già altre volte questa corte ha precisato (Cass. 4294/97, Foro it., Rep. 1997, voce Impugnazioni civili, n. 49), se il ter
mine annuale di decadenza dall'impugnazione inizia a decorrere
prima della sospensione durante il periodo feriale, a norma del
l'art. 1 1. 7 ottobre 1969 n. 742, deve prolungarsi di quarantasei
giorni per effetto della sospensione medesima (non dovendosi
tener conto del periodo compreso tra il 1° agosto ed il 15 set
tembre), ed è suscettibile di un ulteriore analogo prolungamento
quando l'ultimo giorno di detta proroga venga a cadere dopo l'inizio del nuovo periodo feriale dell'anno successivo.
La decisione impugnata, non notificata, è stata pubblicata, mediante deposito nella cancelleria del giudice che l'ha pronun ciata, in data 28 giugno 2000.
Il termine annuale di decadenza previsto dall'art. 327 c.p.c. ha dunque subito una prima interruzione, dopo il decorso di
trentatré giorni, in conseguenza della sospensione feriale pro trattasi dal 1° agosto al 15 settembre del 2000. Il medesimo ter
mine non ha quindi potuto completare il proprio decorso prima che si verificasse una seconda sospensione, per il sopravvenire dell'ulteriore periodo feriale compreso tra il 1° agosto ed il 15
settembre 2001. Pertanto, dal momento in cui il termine ha ri
preso a decorrere, dopo la conclusione di questo secondo perio do di sospensione, mancavano al suo definitivo spirare ancora
tredici giorni (un anno e quarantasei giorni, meno i trentatré
giorni già trascorsi all'inizio). Ne consegue che, avendo la Ve
lotti notificato il ricorso alla regione Campania I'll ottobre
2001 e alla Usi Napoli 3 il 12 ottobre 2001, e cioè ventuno gior ni dopo il 15 settembre di quello stesso anno, esso è tardivo e va
dichiarato inammissibile.
(1) In senso conforme, in motivazione, sez. un. 28 luglio 2004, n.
14170, Foro it., 2004,1, 3017, con osservazioni di S. Benini; 8 gennaio 2001, n. 200, id., Rep. 2001, voce Impugnazioni civili, n. 48; 20 marzo
1998, n. 2978, id., Rep. 1998, voce Termini processuali civili, n. 9; 15
maggio 1997, n. 4294, id.. Rep. 1997, voce Impugnazioni civili, n. 49, citata in motivazione; Cons. Stato, sez. VI, 8 luglio 1997, n. 1099, ibid., voce Termini processuali civili, n. 6; Cass. 11 aprile 1987, n. 3613, id.,
Rep. 1987, voce cit., n. 5. La duplicabilità del periodo di sospensione feriale dei termini pro
cessuali (che cessa a partire dal 16 e non dal 17 settembre: sez. un. 14
luglio 1983, n. 4814. id., 1983, I, 3051, con nota di richiami) in situa
zioni come quella esaminata dalla riportata sentenza è stata propugnata da Gaetani, in Corriere giur., 2001, 1180 ss., in nota critica a Cass., ord. 5 dicembre 2000, n. 1125, Foro it., Rep. 2001, voce cit., n. 9, im motivatamente contraria all'impostazione ribadita nella specie e, per ciò, rimasta giustamente isolata. [C.M. Barone]
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