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sezione I civile; sentenza 25 febbraio 2005, n. 4086; Pres. Olla, Est. Di Amato, P.M. Maccarone...

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sezione I civile; sentenza 25 febbraio 2005, n. 4086; Pres. Olla, Est. Di Amato, P.M. Maccarone (concl. conf.); Zanichelli (Avv. Pazzaglia) c. Derlindati (Avv. Gattamelata, Romano, Scanzano). Cassa senza rinvio App. Bologna 2 aprile 2001 Source: Il Foro Italiano, Vol. 128, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 2005), pp. 2047/2048-2057/2058 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23201713 . Accessed: 28/06/2014 08:46 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.31.195.34 on Sat, 28 Jun 2014 08:46:46 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione I civile; sentenza 25 febbraio 2005, n. 4086; Pres. Olla, Est. Di Amato, P.M. Maccarone(concl. conf.); Zanichelli (Avv. Pazzaglia) c. Derlindati (Avv. Gattamelata, Romano, Scanzano).Cassa senza rinvio App. Bologna 2 aprile 2001Source: Il Foro Italiano, Vol. 128, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 2005), pp. 2047/2048-2057/2058Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23201713 .

Accessed: 28/06/2014 08:46

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2047 PARTE PRIMA 2048

pio della continuità delle trascrizioni immobiliari previste dal

codice civile. La decisione, ad avviso della ricorrente, non con

sidererebbe che nel nostro sistema di pubblicità immobiliare, l'unico registro da cui è dato desumere la titolarità di un immo

bile è quello esistente presso la conservatoria dei registri immo

biliari, mentre quello catastale non ha alcun valore probatorio. Il motivo è destituito di fondamento.

Con la prima censura viene posta una questione del tutto nuo

va e, quindi, inammissibile in questa sede. Negli atti di causa non si fa parola della clausola di esonero, e

la ricorrente, che oggi la invoca a propria difesa, non specifica di aver già sollevato la questione in sede di merito, né, comun

que, indica l'atto o l'udienza in cui sarebbe stata sollevata.

Anche la seconda censura contenuta nel primo motivo non ha

pregio, perché anche a voler ammettere che nel caso specifico la

1. 47/85 — ampiamente successiva alla data di stipulazione del

l'atto di vendita — consentisse la sanatoria, la circostanza non

può influire sulla nullità dell'atto, sussistente al momento della

stipula in modo assoluto per l'impossibilità giuridica del bene

oggetto del contratto.

L'ultima censura è altrettanto infondata, perché la corte di

merito ha fatto riferimento alla partita catastale (che era indicata

erroneamente nell'atto oggetto del presente giudizio) solo per

spiegare la riforma della sentenza di primo grado che aveva ri

tenuto non provata l'identità del bene oggetto della vendita con

quello gravato da uso civico; tuttavia, la corte ha specificato, alla stregua degli accertamenti eseguiti dal consulente tecnico, che l'immobile oggetto del contratto rogato dall'attuale ricor

rente non era intestato al venditore quale proprietario, in quanto nei registri immobiliari il predetto era indicato come colono

perpetuo, cioè titolare di una situazione soggettiva diversa dalla

proprietà. Il notaio avrebbe quindi dovuto accertare il reale

contenuto dell'atto di provenienza rogato dal notaio Pisapia, ve

rificando, in particolare, se ricorreva la continuità delle trascri

zioni immobiliari con particolare riferimento al contenuto del

diritto che il Gatta intendeva cedere.

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia insufficienza e

contraddittorietà della motivazione. Si duole la Quattrociocchi che la corte abbia tratto conferma che il terreno fosse gravato da

uso civico, come ritenuto dal c.t.u., dalla mancanza di espressa contestazione sul punto da parte di essa appellata. In realtà la

contestazione aveva improntato tutto il giudizio di primo grado nel quale si era discusso proprio della natura del bene, tanto che

la domanda era stata respinta per la mancata dimostrazione della

«identità del bene compravenduto con quello cui erano riferite

le doglianze dell'attrice che ha proposto appello». La corte di

merito sarebbe, pertanto, incorsa in evidente contraddizione, avendo accolto la domanda sulla base di un frettoloso accerta

mento compiuto dal c.t.u., senza che il presupposto dell'esisten

za sul fondo dell'uso civico fosse stata dimostrata rigorosa mente attraverso gli unici strumenti previsti, e cioè la dichiara

zione del commissario agli usi civici ovvero l'accertamento giu risdizionale. Si duole inoltre la ricorrente di essere stata con

dannata al risarcimento sulla base del presupposto che il bene

non era risultato intestato al venditore, benché la stessa sentenza

faccia riferimento all'atto di provenienza a rogito Pisapia men

zionandolo come l'atto «col quale il venditore aveva acquistato il terreno successivamente da lui frazionato ed edificato». Infine

assume la ricorrente che la sola esistenza di un vincolo di uso

civico non potrebbe integrare la responsabilità del notaio per

negligenza, essendo notoria la difficoltà dell'accertamento.

Anche il secondo motivo non può trovare accoglimento. Premesso che non vi è motivo per ritenere che il c.t.u. abbia

svolto un accertamento «frettoloso» in merito alla titolarità del

fondo oggetto della vendita, è altresì infondato l'assunto della

ricorrente secondo cui l'esistenza sul fondo dell'uso civico an

drebbe dimostrata soltanto attraverso la dichiarazione del com

missario agli usi civici ovvero l'accertamento giurisdizionale. L'accertamento in argomento rientra nella giurisdizione del

commissario agli usi civici, prevista dall'art. 29 1. 1766/27, sol

tanto quando la relativa questione sia sollevata dal preteso tito

lare o dal preteso utente del diritto civico e debba essere risolta,

quindi, con efficacia di giudicato. Nelle controversie tra privati, invece, nelle quali

— come nella specie — la demanialità civica

del bene sia soltanto eccepita ad altri fini — come per contesta

re il diritto soggettivo di cui la controparte assuma essere titola

re — l'accertamento deve essere condotto dal giudice di merito.

Il Foro Italiano — 2005.

Nessuna contraddizione può, infine, ravvisarsi nell'aver fatto

riferimento al rogito Pisapia come atto di provenienza del bene

in capo al venditore, perché mai viene indicato detto atto come

fonte dell'acquisto per il Gatta del diritto di proprietà. Peraltro il

notaio rogante non avrebbe potuto fermarsi alla visione dell'atto

di provenienza del diritto, ma avrebbe comunque dovuto con

trollare la continuità a ritroso delle trascrizioni con riferimento

allo specifico diritto oggetto della cessione.

Quanto alla pretesa «difficoltà» dell'accertamento che man

derebbe esente da responsabilità il notaio, osserva la corte che il

notaio non può invocare la limitazione di responsabilità prevista

per il professionista dall'art. 2236 c.c. con riferimento al caso di

prestazione implicante la soluzione di problemi tecnici di spe ciale difficoltà, in quanto il mancato espletamento di un'attività

preparatoria importante, quale la visura dei registri immobiliari, non integra un'ipotesi di imperizia, cui soltanto è indirizzata la

previsione normativa in parola, ma negligenza o imprudenza, e

cioè violazione del dovere della normale diligenza professionale media esigibile ai sensi del 2° comma dell'art. 1176 c.c., ri

spetto alla quale rileva anche la colpa lieve.

Deve quindi concludersi per il rigetto del ricorso.

I

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 25 feb braio 2005, n. 4086; Pres. Olla, Est. Di Amato, P.M. Mac

carone (conci, conf.); Zanichelli (Avv. Pazzaglia) c. Derlin

dati (Avv. Gattamelata, Romano, Scanzano). Cassa senza

rinvio App. Bologna 2 aprile 2001.

Fallimento — Curatore — Rendiconto — Contestazione —

Legale rappresentante della società fallita — Legittima zione — Limiti (R.d. 16 marzo 1942 n. 267, disciplina del fallimento, art. 116).

Fra i soggetti legittimati a impugnare il rendiconto del curatore

deve essere compreso anche il legale rappresentante della

società fallita purché agisca prospettando tale qualifica, po sto che altrimenti può presentare osser\>azioni ma non anche

contestazioni. (1)

II

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 29 no

vembre 2004, n. 22472; Pres. Losavio, Est. Plenteda, P.M.

Abbritti (conci, conf.); Amatucci (Avv. Di Amato) c. Fall,

soc. Atea (Avv. Nappi). Conferma App. Napoli 10 maggio 2002.

Fallimento — Curatore — Revoca — Rendiconto — Conte

stazione — Curatore subentrato — Legittimazione (R.d.

16 marzo 1942 n. 267, art. 38, 116). Fallimento — Curatore — Rendiconto — Contestazione —

Oggetto (R.d. 16 marzo 1942 n. 267, art. 116).

Nell'ipotesi di revoca del curatore, fra i soggetti legittimati a

impugnare il rendiconto di gestione deve essere compreso an

che il curatore subentrato. (2) Nel giudizio di impugnazione del rendiconto del curatore l'og

(1-2) Solo all'apparenza l'art. 116, 3° comma, 1. fall, sembra voler

assegnare al fallito e ai creditori il diritto di interloquire sul rendiconto

presentato dal curatore; la disposizione si trova infatti collocata nel ca

po VII relativo alla ripartizione dell'attivo ed è quindi destinata a re

golare il caso paradigmatico e fisiologico in cui approssimandosi alla chiusura della procedura il curatore in carica deposita il conto della sua

gestione. In verità tale articolo è espressamente richiamato nel prece

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

getto non è solo la verifica della gestione contabile della pro cedura in quanto il controllo può estendersi a sindacare l'o

pera prestata, i risultati ottenuti e la sollecitudine nel compi mento delle attività che gli competono. (3)

I

Svolgimento del processo. —

Luigi Derlindati, con ricorso del

19 gennaio 1995, contestava il rendiconto presentato da Corrado

dente art. 38 1. fall, ove si stabilisce che il curatore che (per qualsiasi causa) cessa dal suo ufficio è tenuto a rendere il conto, di talché all'e videnza oltre ai creditori e al fallito anche il nuovo curatore è legitti mato ad impugnare il rendiconto. Sulla legittimazione del curatore su

bentrato, sebbene in obiter, cfr. Cass. 5 ottobre 2000, n. 13274, Foro

it., Rep. 2000, voce Fallimento, n. 343; 20 luglio 1999, n. 7778, id.,

Rep. 1999, voce cit., n. 424; 17 maggio 1995, n. 5435, id., Rep. 1996, voce cit., n. 323; 2 agosto 1957, n. 3287, id., 1958,1, 1858. Nello stesso

senso, Stasi, Rendiconto del curatore fallimentare e giudizio di respon sabilità, in Fallimento, 2003, 784; Capocchi, La responsabilità civile del curatore fallimentare, id., 2002, 67; G.U. Tedeschi, Manuale di di ritto fallimentare, Padova, 2001, 576; Jorio, Le crisi d'impresa. Il fal limento, Milano, 2000, 691; Bonsignori, La liquidazione dell'attivo e il

riparto, in Le procedure concorsuali. Il fallimento, trattato a cura di G. Ragusa Maggiore e C. Costa, Torino, 1997, III, 548; Chizzini, Rendi conto del curatore, in Le procedure concorsuali a cura di G.U. Tede

schi, Torino, 1996,1, II, 1108; Lo Cascio, Il fallimento e le altre proce dure concorsuali, Milano, 1995, 423; Pajardi, Manuale di diritto falli mentare, Milano, 1986, 555 (ad avviso del quale la legittimazione so stanziale a contestare il conto spetterebbe anche al giudice delegato). Per converso, se è naturale che il legale rappresentante della società fallita sia legittimato a contestare il conto qualora agisca facendo valere il suo rapporto organico con la società, dovendosi l'ipotesi equiparare a

quella della proposizione delle contestazioni da parte del fallito, vice versa il legale rappresentante che agisca in proprio è legittimato, come

qualsiasi interessato, a presentare solo osservazioni e non anche conte stazioni al rendiconto seguendo la logica della separazione fra coloro che possono presentare osservazioni (ad esempio, i creditori non am messi: v. Cass. 24 marzo 1993, n. 3500, Foro it., Rep. 1993, voce cit., n. 517; Guglielmucci, Lezioni di diritto fallimentare, Torino, 2004, 302; Frascaroli Santi, La ripartizione dell'attivo, in Diritto fallimen tare a cura di A. Maffei Alberti, Bologna, 2002, 362; G.U. Tedeschi, Manuale di diritto fallimentare, cit., 576) e coloro che possono anche

impugnare il conto (sul punto, v. Cass. 28 agosto 2001, n. 11286, Foro

it., 2001, I, 3584, alla cui nota si rinvia, ove si è precisato che la fissa zione dell'udienza di discussione deve essere comunicata anche ai cre ditori in prededuzione; in senso adesivo, Stasi, Natura obbligatoria della comunicazione del rendiconto, in Fallimento, 2002, 1054).

Nel giudizio di rendiconto, infatti, non è prevista quella legittimazio ne diffusa che, invece, è prevista per la proposizione dell'opposizione al fallimento, rispetto alla quale il legale rappresentante è legittimato anche senza la spendita del nome della società rappresentata: Cass. 28

giugno 2002, n. 9491, Foro it., Rep. 2003, voce cit., n. 258; 25 agosto 1997, n. 7943, id., Rep. 1998, voce cit., n. 259.

(3) Quale possa essere l'oggetto del giudizio di rendiconto del cura tore lo si rileva dalla copiosa giurisprudenza che, in modo compatto, precisa come le contestazioni non debbano limitarsi alla mera gestione contabile, potendo invece involgere il più complessivo operato del cu

ratore, così da rendere il procedimento di rendiconto la sede dove sin dacare le scelte dell'organo della procedura, scelte che sino a quel mo mento, per i creditori che non sono stati chiamati a far parte del comi tato dei creditori, potrebbero anche essere rimaste ignote; in termini, Cass. 5 ottobre 2000, n. 13274, cit.; 19 gennaio 2000, n. 547, Foro it.,

Rep. 2001, voce Fallimento, n. 600; 14 ottobre 1997, n. 10028, id.,

Rep. 1998, voce cit., n. 339; Trib. Palermo 18 luglio 2002, id., Rep. 2003, voce cit., n. 323; Trib. Napoli 28 febbraio 2001, id., Rep. 2002, voce cit., n. 327; Trib. Bologna 23 gennaio 1998, id., 1998,1, 2579, alla cui nota redazionale si rinvia, tutte decisioni che si ricollegano alla ri salente Cass. 13 giugno 1953, n. 1742, id., 1955, I, 699; in dottrina, di

recente, Bonfatti-Censoni, Manuale di diritto fallimentare, Padova, 2004, 231; Capocchi, La responsabilità civile del curatore fallimentare, cit., 67; Guglielmucci, Lezioni di diritto fallimentare, cit., 302; Jorio, Le crisi d'impresa. Il fallimento, cit., 691; G.U. Tedeschi, Manuale di diritto fallimentare, cit., 575.

Per ciò che attiene invece alla regolamentazione del procedimento di

rendiconto in presenza di contestazioni, v. Trib. Bologna 23 gennaio 1998, cit., con particolare riferimento all'attribuzione della cognizione al giudice monocratico; così, anche, Bonfatti-Censoni, Manuale di di ritto fallimentare, cit., 231; G.U. Tedeschi, Manuale di diritto falli mentare, cit., 576; in contrario potrebbe essere valutato il precedente di Trib. Palermo 18 luglio 2002, cit., ma in quel caso nel giudizio di ren diconto era stata innestata anche l'azione di responsabilità nei confronti

del curatore, talché non è dato comprendere se la scelta della collegia lità sia dipesa dalla sovrapposizione processuale. [M. Fabiani]

Il Foro Italiano — 2005.

Zanichelli, curatore dimissionario del fallimento della s.p.a.

Gresparma; in particolare, il Derlindati lamentava, per quanto

qui ancora interessa, che il cessato curatore, in occasione della

vendita del principale immobile della società fallita, aveva ad

dossato alla procedura gli oneri di una bonifica da rifiuti tossici. Il Tribunale di Parma, con sentenza del 20 novembre 1995,

rigettava l'opposizione ed approvava il rendiconto. Luigi Der

lindati proponeva appello che la corte territoriale di Bologna ac

coglieva parzialmente, quanto al punto che qui interessa, osser

vando che: 1) l'eccezione di difetto di legittimazione del Der lindati ad impugnare il rendiconto del curatore era infondata in

quanto lo stesso, nel ricorso introduttivo proposto ai sensi del

l'art. 116 1. fall., si era qualificato ex amministratore della fallita

s.p.a. Gresparma ed aveva dichiarato di ribadire l'opposizione

all'approvazione del rendiconto già espressa in via breve con

una precedente istanza al giudice delegato nella quale si qualifi cava liquidatore della Gresparma; in tale contesto era, quindi, evidente che il Derlindati aveva agito quale legale rappresen tante della società fallita, non avendo tra l'altro, allo stato, alcun

interesse alla contestazione quale persona fisica; 2) nel merito,

premesso che la posizione del curatore rispetto agli atti di ge stione non poteva essere considerata come servente e subordi

nata alle determinazioni del giudice delegato, le cui autorizza

zioni, quindi, non potevano escludere la responsabilità del cu

ratore, riteneva che il rendiconto non potesse essere approvato

quanto alla spesa sostenuta per la bonifica dell'immobile ven

duto; infatti, il rendiconto mancava degli elementi minimi di

chiarezza ed analiticità, considerato che esso non si può esaurire

in un riepilogo sommario delle attività e passività, ma deve in formare sulle scelte operative e gestionali effettuate; 3) più spe cificamente, elementi di responsabilità a carico di Corrado Za

nichelli erano risultati, in primo luogo, per l'inesatta o tardiva

informazione sulla presenza di fanghi nocivi e tossici nell'im

mobile posto in vendita. In particolare, tale presenza non era

stata rilevata malgrado fosse chiaramente visibile, dall'epoca del fallimento in poi, un'area nella quale affioravano fanghi secchi di colore rosso; 4) in secondo luogo, elementi di respon sabilità emergevano per il mancato svolgimento di controlli e

verifiche dell'attività di escavazione, asporto e smaltimento dei

fanghi svolta dalla società che aveva acquistato dall'aggiudica taria l'immobile subastato; 5) in terzo luogo, era censurabile

l'assenza di un reale controllo dei documenti giustificativi delle

spese sostenute dall'acquirente s.r.l. Ceramica Fenix per un

ammontare di oltre lire 700.000.000 a fronte di una previsione di spesa di lire 256.000.000 formulata dal perito incaricato dalla

stessa Ceramica Fenix, considerando che la differenza non era

giustificabile per la successiva scoperta di altre parti dell'im

mobile inquinate (alcune canalette di scolo ed un pendio albe

rato), tenuto conto della modestia dei relativi interventi. Il cu

ratore, inoltre, aveva indotto in errore il giudice delegato, da un

lato asserendo contrariamente al vero che l'acquirente aveva

sempre dato tempestiva comunicazione del rinvenimento dei

depositi inquinanti e, dall'altro, richiedendo l'autorizzazione al

pagamento di fatture delle quali non aveva verificato la con

gruità e l'inerenza alla bonifica; il curatore non aveva neppure giustificato la spesa per la rimozione di alcune vernici e di altre

cose giacenti nel capannone né aveva spiegato le ragioni delle

differenze, quanto a peso dei rifiuti e costo di smaltimento, ri

sultanti dalla richiesta della società acquirente, da un lato, e dal

l'altro dalle indicazioni del consulente tecnico oltre che dalle

perizie svoltesi in sede penale, né aveva spiegato le ragioni di

un incremento dei costi nella misura del trenta per cento rispetto a quelli sostenuti cinque mesi prima; infine, elementi di respon sabilità emergevano in relazione all'addebito al fallimento di

costi di smaltimento di fanghi che non solo erano superiori a

quelli fatturati dal gestore della discarica, ma rappresentavano un duplicato di spese.

In conclusione, secondo la corte d'appello il rendiconto di

Corrado Zanichelli in ordine ai costi delle operazioni di scavo,

bonifica, trasporto e smaltimento dei rifiuti era ampiamente la

cunoso, ingiustificato e contraddetto dai documenti; pertanto, ri

fiutava l'approvazione del conto rispetto alle voci indicate.

Avverso detta sentenza Corrado Zanichelli propone ricorso

per cassazione, deducendo nove motivi. Luigi Derlindati, in

proprio e nella qualità di liquidatore della Ceramica Gresparma

s.p.a., resiste con controricorso e propone, affidandolo ad un

motivo, ricorso incidentale condizionato, cui Corrado Zanichelli

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PARTE PRIMA 2052

resiste con controricorso. Entrambe le parti hanno presentato memoria.

Motivi della decisione. — 1. - I ricorsi, proposti avverso la

stessa sentenza, devono essere riuniti, ai sensi dell'art. 335

c.p.c. Con il primo motivo il ricorrente principale deduce violazio

ne dei principi sulla legittimazione e sull'identificazione delle parti nel processo, violazione dell'art. 100 c.p.c. nonché vizio di

motivazione, lamentando che erroneamente la corte territoriale

aveva ritenuto possibile individuare la veste nella quale il Der

lindati aveva agito sulla base di un atto, le osservazioni al rendi

conto, anteriori alla radicazione del giudizio e sulla base del di

fetto di un interesse ad agire in proprio. In ogni caso, nell'atto

di appello mancava ogni riferimento alla società fallita ed alla

carica sociale rivestita dall'appellante. Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione degli

art. 38 e 116 1. fall, in quanto il Derlindati aveva proposto, sna

turando il giudizio di rendiconto, un'azione di responsabilità verso il curatore che è, invece, riservata al nuovo curatore, pre via autorizzazione del giudice delegato.

Con il terzo motivo il ricorrente deduce la violazione dell'art.

116 1. fall., lamentando che erroneamente la sentenza impugnata aveva ritenuto che il rendiconto non si esaurisse in espressioni numeriche e si potesse trasformare in una relazione illustrativa

dell'attività svolta.

Con il quarto motivo il ricorrente deduce la violazione del

l'art. 38 1. fall, e dell'art. 2236 c.c., lamentando che la respon sabilità del curatore era stata affermata trascurando la disciplina

prevista per la responsabilità professionale, alla cui stregua una

responsabilità era configurabile solo per dolo o colpa grave e,

quindi, solo se il curatore durante il periodo del suo incarico, iniziato nel maggio 1987 quando le attività di rilevazione erano

già state compiute da altri, avesse avuto la possibilità e le co

gnizioni tecniche indispensabili per scoprire la presenza nello

stabilimento e nelle sue vicinanze di sostanze nocive o tossiche.

Con il quinto motivo il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione in quanto la corte d'appello non aveva

considerato che le dichiarazioni del curatore, contenute nell'i

stanza con cui aveva chiesto al giudice delegato conferma delle

assicurazioni date dallo stesso giudice delegato ad un parteci

pante all'asta, in ordine alla bonifica del terreno a carico del

fallimento, non potevano essere disattese in quanto rese in atti

relativi all'esercizio di pubbliche funzioni ed in quanto non im pugnate con querela di falso. In ogni caso il preteso ritardo nel

l'informazione del giudice delegato era stato privo di efficienza

causale in quanto il provvedimento del giudice avrebbe dovuto

avere comunque identico contenuto. In proposito, la sentenza

impugnata aveva contraddittoriamente ritenuto inevitabile l'im

pegno all'eventuale bonifica da parte del giudice delegato, ave

va addebitato al curatore un ritardo nell'informazione del giudi ce delegato ed aveva infine escluso il rilievo di vizi in sede di vendita forzata.

Con il sesto motivo il ricorrente deduce violazione dell'art.

2697 c.c. e vizio di motivazione in quanto la corte d'appello, sulla base di una consulenza tecnica che non poteva esonerare

dall'onere della prova, aveva ritenuto rimossa un'inferiore

quantità di terreno inquinato e di sostanze nocive rispetto alle

quantità che avevano formato oggetto del rimborso spese. In

ogni caso, nella quantificazione del terreno rimosso la sentenza

impugnata aveva omesso di considerare sia il peso specifico medio risultante dai campioni analizzati dall'Amnu di Modena sia l'aumento del peso specifico degli strati inferiori del terreno.

Inoltre, del tutto immotivatamente la corte territoriale aveva ri

tenuto modesta la quantità di terreno rimossa dal pendio albe

rato.

Con il settimo motivo il ricorrente lamenta il vizio di motiva

zione, deducendo che il divario tra la previsione di spesa, come

valutata dal perito incaricato dalla società acquirente, e la spesa effettivamente occorsa era stato valorizzato senza tener conto

che dopo la perizia era emersa la necessità, oltre che di smaltire

il terreno inquinato proveniente dal pendio alberato, anche dalla

vagliatura (riduzione in frammenti) del terreno.

Con l'ottavo motivo il ricorrente lamenta la violazione del

l'art. 38 1. fall., deducendo che erroneamente era stato ritenuto

addebitabile al curatore il rimborso delle spese occorse per la

rimozione dei sacchi contenenti vernici e delle altre giacenze esistenti nel capannone, considerato che il decreto di trasferi

II Foro Italiano — 2005.

mento, senza che fosse possibile ipotizzare un contrasto con

l'ordinanza che disponeva la vendita nello stato di fatto, preve deva la consegna dell'immobile libero da persone e cose.

Con il nono motivo il ricorrente lamenta il vizio di motiva

zione in quanto nel ritenere la mancanza di controllo sulle fattu

re relative al trasporto di materiale ed il maggior importo richie

sto al fallimento, la corte d'appello non aveva considerato che

tale differenza, emersa in sede penale, non riguardava la fattura

emessa a carico della soc. Fenix (avente causa dall'aggiudicata rio ed esecutrice dei lavori), ma la fattura emessa a carico del

soggetto incaricato dalla Fenix e relativa, quindi, ad un rapporto che il curatore non era in stato in grado di controllare.

2. - Il primo motivo del ricorso principale è fondato. Si deve

premettere, secondo quanto risulta dalla lettura degli atti, che

Luigi Derlindati si è qualificato liquidatore della fallita società nelle osservazioni scritte al rendiconto presentate il 24 settem

bre 1994; che all'udienza del 4 ottobre 1994, fissata per la di

scussione del rendiconto, ha presentato le sue contestazioni sen

za spendere il nome della società; che, con la memoria di costi

tuzione del 12 gennaio 1995, ha conferito procura a margine senza spendita del nome della società e si è qualificato ex am

ministratore della società fallita; che nella nota di iscrizione a

ruolo, effettuata dal suo procuratore, si è qualificato quale parte

opponente, senza alcun riferimento alla società fallita; che nel

ricorso per riassunzione, presentato in data 1° febbraio 1995,

dopo una sospensione del giudizio seguita ad una ricusazione, non ha speso il nome della società.

Ciò premesso, non è in discussione, naturalmente, la legitti mazione del Derlindati a proporre opposizione al rendiconto in

qualità di liquidatore della fallita società Gresparma s.p.a.; è,

invece, controverso se nella specie vi sia stata o meno spendita del nome della società. Al riguardo, si deve anche precisare che

il Derlindati era legittimato a spendere il nome della società

soltanto in qualità di liquidatore, in quanto legale rappresentante in carica, e non anche in qualità di ex amministratore, conside

rato che con la messa in liquidazione della società cessano i

poteri degli amministratori. Il fatto che entrambe le cariche sia

no state rivestite dalla stessa persona non comporta, ovviamen

te, la possibilità di spendere indifferentemente l'una o l'altra

qualifica, atteso che alla carica di amministratore non consegue necessariamente quella di liquidatore.

Ciò premesso, si deve osservare che la spendita del nome

della società non richiede, secondo la giurisprudenza di questa corte, l'uso di formule sacramentali e non deve essere necessa

riamente espressa, potendo risultare anche indirettamente, pur ché in modo certo ed univoco, dalle circostanze del caso con

creto o dalla struttura dell'atto (Cass. 26 maggio 2000, n. 7002, Foro it., Rep. 2000, voce Procedimento civile, n. 122; 29 agosto 1997, n. 8249, id., Rep. 1997, voce cit., n. 86; 16 novembre

1995, n. 11885, id., Rep. 1995, voce Società, n. 515). Nella spe cie, tuttavia, non solo la procura rilasciata con la memoria di co

stituzione nel giudizio ex art. 116 1. fall, non contiene una spen dita del nome della società, ma l'esercizio di poteri rappresen tativi non risulta neppure dal contesto degli atti, né è possibile, come ipotizza invece la corte d'appello, desumerlo da atti diver

si da quelli introduttivi del giudizio ovvero addirittura dall'ine

sistenza di un interesse alla contestazione del conto quale per sona fisica. Quanto a quest'ultima osservazione è agevole os

servare che essa si risolve in una petizione di principio poiché finisce per equiparare il difetto di interesse ad agire quale per sona fisica alla spendita del nome della società e, quindi, per da

re per dimostrato ciò che invece deve essere dimostrato, proprio

per evitare il rilievo del difetto di interesse. Quanto alla possi bilità di integrare gli elementi risultanti dagli atti introduttivi con elementi ad essi estranei, al fine di identificare la parte che

agisce, la giurisprudenza di questa corte, seppure in relazione

all'art. 163 c.p.c., ha affermato che i requisiti essenziali del

l'atto di citazione devono essere individuati direttamente da tale

atto, autonomamente considerato, senza che sia possibile fare ri

ferimento al contenuto di altri atti del procedimento (Cass. 21

maggio 1999, n. 4951, id., Rep. 1999, voce Impugnazioni civili, n. 30; 2 agosto 1975, n. 2949, id., 1976, I, 732). Tale principio sembra valido per tutti gli atti che determinano l'incardina

mento della lite (nella specie la contestazione in udienza e la co

stituzione nella conseguente fase contenziosa) e rispetto ai quali è identica l'esigenza di non avere incertezze sull'identificazione

delle parti in causa.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Il motivo è fondato anche in relazione all'atto di appello nel

quale il Derlindati, nell'impugnare la sentenza con cui il Tribu

nale di Parma aveva approvato il rendiconto del curatore, non ha

speso, né nella procura né nel contesto dell'atto, la qualità di le

gale rappresentante della società Gresparma, confermando di

fatto che l'opposizione era stata presentata in proprio. La corte di merito ha pertanto errato tanto nel ritenere che

l'opposizione al rendiconto e l'appello fossero riferibili alla so cietà fallita.

3. - Con l'unico motivo del ricorso incidentale subordinato

Luigi Derlindati ha dedotto la violazione dell'art. 116 1. fall, ed

il vizio di motivazione, lamentando che erroneamente la corte

d'appello aveva negato il suo interesse a contestare il rendi

conto quale persona fisica. In particolare, secondo il ricorrente

incidentale la categoria dei soggetti interessati alla presentazio ne di osservazioni al rendiconto non si esaurisce nei creditori e

nel fallito, ma è più ampia e ricomprende anche l'amministrato

re della società fallita, trattandosi di soggetto che subisce sulla

sua persona le restrizioni e le limitazioni previste dalla legge a

carico del fallito. Nella specie, inoltre, la legittimazione del ri corrente discendeva dal fatto che Luigi Derlindati era stato con

vocato dal curatore per l'udienza di esame del rendiconto con

una comunicazione personale diretta al suo indirizzo; pertanto, alla legittimazione come legale rappresentante della fallita so

cietà, il ricorrente sommava una legittimazione personale che

discendeva dal suo essere divenuto parte per iniziativa del cu

ratore.

Il motivo è infondato. Malgrado la dizione del 2° comma del

l'art. 116 1. fall., secondo cui all'udienza fissata per la discus

sione del rendiconto «ogni interessato può presentare le sue os

servazioni», si deve ritenere che legittimati alla formulazione di

contestazioni siano soltanto i creditori ammessi al passivo ed il

fallito. Il conto, infatti, viene reso al fallito, considerato che si

discute della gestione e della liquidazione del suo patrimonio, ed ai creditori, ai quali viene distribuito il risultato della liqui dazione. Soltanto fallito e creditori sono, quindi, legittimati alla

contestazione del rendiconto ed è infatti ad essi che il 3° comma

dello stesso art. 116 prevede che sia data comunicazione del

l'avvenuto deposito del conto e della fissazione dell'udienza per la sua discussione. Si deve, quindi, distinguere tra le semplici osservazioni alle quali è legittimato qualsiasi interessato (in

questo senso, già Cass. 24 marzo 1993, n. 3500, id., Rep. 1993, voce Fallimento, n. 517) e le contestazioni, che, ove non risolte

amichevolmente, danno luogo ad un giudizio ordinario che si

giustifica soltanto nel rapporto tra il curatore ed i soggetti che

hanno diritto al rendiconto e non anche nei confronti di soggetti che possano avere un semplice interesse di fatto ai risultati della

gestione. Da ciò consegue che, in caso di fallimento a carico di

società, chi è, ovvero è stato, legale rappresentante della società

fallita non è personalmente legittimato alla proposizione di

contestazioni del rendiconto del curatore. In contrario non as

sume rilievo la circostanza che il legale rappresentante della so

cietà fallita sia stato avvisato, come nella specie, dell'udienza

con comunicazione a lui diretta e spedita al suo domicilio; tale

comunicazione, infatti, da un lato si deve ritenere fatta in consi derazione della qualità rivestita dal destinatario (tenuto anche

conto che si tratta di una modalità obbligata, poiché la posta di

retta al fallito viene consegnata al curatore) e, d'altro canto, non

trattandosi dell'atto che incardina la lite, non vale ad attribuire

la legittimazione alla contestazione ad un soggetto che ne è pri vo.

In conclusione si deve accogliere il primo motivo del ricorso

principale e si deve rigettare il ricorso incidentale. Gli altri mo

tivi del ricorso principale, in quanto attinenti al merito, restano

assorbiti. Per quanto sopra la sentenza impugnata deve essere cassata

senza rinvio e l'opposizione al rendiconto proposta da Luigi Derlindati deve essere dichiarata inammissibile perché proposta da soggetto non legittimato.

II

Svolgimento del processo. — Con atto 31 ottobre 2000 il

prof. avv. Andrea Amatucci propose appello avverso la sentenza

28 luglio 2000 del Tribunale di Napoli, che non aveva appro vato il rendiconto da lui depositato quale curatore del fallimento

Il Foro Italiano — 2005.

della società Atea s.r.l., all'atto della sua sostituzione nella cari

ca con l'avv. Gennaro Stradolini.

Dedusse l'appellante che il tribunale aveva acriticamente re

cepito la tesi della curatela, ritenendo non valide le spiegazioni e le giustificazioni fornite in ordine alle contestazioni relative

alla redazione dell'inventario, del libro giornale, delle relazioni

ex art. 33 1. fall, e agli omessi accertamenti in merito alle re

sponsabilità degli amministratori e sindaci della società, all'atti vità gestionale, contabile e di controllo, al recupero dei crediti

della fallita e alla custodia dei suoi beni. La curatela resistette all'impugnazione, che la Corte d'ap

pello di Napoli ha respinto con sent. 23 aprile 2002. Ha ritenuto la corte di merito che la questione del difetto di

legittimazione del curatore subentrato a proporre l'azione di

rendiconto ex art. 116 1. fall, fosse inammissibile, perché propo sta con la comparsa conclusionale. La relativa eccezione avreb

be dovuto, infatti, essere dedotta con un motivo di gravame. Ha, comunque, ritenuto tale eccezione infondata, giacché il

nuovo curatore, per il fatto che assume la responsabilità della

continuazione della gestione e della liquidazione del patrimonio del fallito, ha il diritto-dovere di contestare i risultati della pre gressa gestione, onde evitare di essere chiamato a rispondere

personalmente delle omissioni e della mala gestio del suo pre decessore; al di là del suo dovere di tutelare gli interessi di tutti

i creditori concorsuali, anche non concorrenti.

Ha poi negato che il primo giudice avesse omesso di conside rare le argomentazioni difensive del curatore surrogato, ricono

scendo invece che erano state oggetto di attento esame, unita

mente alle contestazioni mosse al rendiconto, da parte del nuovo

curatore, che avevano trovato puntuali riscontri nelle risultanze

processuali, sia per quanto attiene all'inventario, essendo risul

tato che la maggior parte dei materiali esistenti nello stabili

mento della fallita non era stato inventariato e non era stato li

quidato benché deperibile; sia per il libro giornale, non vidimato dal giudice delegato e comunque incompleto; sia per la mancan

za delle relazioni ex art. 33 1. fall.; sia, infine, per l'omesso ac

certamento dei fatti e delle responsabilità degli organi della so

cietà, delle operazioni bancarie, al fine dell'esercizio delle azio ni revocatorie, non più praticabili perché prescritte, e per l'o messo esercizio delle azioni di recupero dei crediti della fallita, la cui documentazione si era persino mancato di custodire; cu

stodia che era anche mancata per i beni acquisiti al fallimento e

sottratti da ignoti.

Propone ricorso per cassazione con tre motivi il prof. avv.

Amatucci; resiste con controricorso il fallimento della soc. Atea.

Motivi della decisione. — Con il primo motivo il ricorrente

denunzia la violazione e la falsa applicazione dell'art. 116 1.

fall., in relazione agli art. 81 e 112 c.p.c. Lamenta che la corte di merito abbia giudicato tardiva l'ecce

zione di carenza di legittimazione attiva del curatore subentrato, sebbene tale legitimatio ad causarti, in quanto condizione del

l'azione, debba essere verificata di ufficio, in ogni stato e grado del processo.

Quanto al suo fondamento, negato dalla sentenza impugnata, rileva che nel giudizio di rendiconto soggetti legittimati sono il fallito ed i creditori ammessi al passivo, essendo estranea ad es

so ogni questione relativa all'accertamento di eventuali respon sabilità del curatore surrogato e alla sua condanna al risarci

mento dei danni.

Se è vero, osserva il ricorrente, che ogni interessato può par

tecipare all'udienza di approvazione del rendiconto, solo il fal

lito ed i creditori sono però legittimati a contestare, potendo gli altri interessati, quali il creditore non ammesso al passivo, pre sentare osservazioni, ma non anche proporre contestazioni.

Con il secondo motivo si denunziano la violazione e la falsa

applicazione dell'art. 116 1. fall., con riguardo all'oggetto delle

contestazioni.

Ammette l'Amatucci che il giudizio che si instaura a seguito della mancata approvazione del rendiconto possa avere ad og

getto, oltre agli errori materiali, alle omissioni e ai criteri di conteggio, anche la gestione del curatore, se la violazione dei

doveri di diligenza ha determinato un concreto pregiudizio alla massa concorsuale o ai singoli creditori; purché il controllo su

di essa si sviluppi attraverso la verifica del rendiconto, la quale,

dunque, ha come necessario presupposto che l'atto presentato dal curatore sia rappresentativo della gestione del fallimento, con la conseguenza che accertare la regolarità del conto signifi

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2055 PARTE PRIMA 2056

ca solo verificare che i movimenti in entrata e in uscita da lui

compiuti corrispondano a quelli indicati.

Al contrario la corte territoriale aveva giudicato le modalità

di amministrazione del patrimonio fallimentare, senza alcuna

valutazione delle singole poste attive o passive inserite nel

conto; così censurando la condotta del curatore, con valutazioni

ed accertamenti propri di un'azione di responsabilità. Con il terzo mezzo il ricorrente denunzia la violazione e la

falsa applicazione dell'art. 116 1. fall., in relazione all'art. 2697

c.c., per avere ritenuto che nell'ambito del giudizio di rendi

conto l'onere della prova gravi sul curatore revocato.

Posto che chi agisce in giudizio ha l'obbligo di provare le cir

costanze a sostegno della domanda e che colui il quale promuo ve l'azione di rendiconto assume la veste di attore, avrebbe do

vuto da lui essere fornita la prova della violazione dei doveri di

ufficio da parte del curatore surrogato, in quanto fosse stata

produttiva di danno alla massa o ai singoli creditori.

Tanto non era avvenuto, avendo i giudici di merito ritenuto

provata la maggior parte degli addebiti, solo perché il curatore

sostituito non aveva assolto all'onere a suo carico di dimostrare

il rispetto dei criteri di diligenza nell'adempimento dei doveri di ufficio.

Preliminarmente va disattesa l'istanza di differimento della

udienza di discussione formulata dal difensore del ricorrente,

pendendo presso il Tribunale fallimentare di Napoli una sua

proposta di transazione, volta a definire il giudizio di responsa bilità promosso dalla curatela del fallimento nei suoi confronti,

per i fatti oggetto della presente controversia.

L'istanza, infatti, oltre a non essere stata sottoscritta dalla

controparte, è assolutamente priva di elementi di riscontro e non

consente di valutare la concretezza delle trattative di composi zione della lite.

Parimenti respinto deve essere il ricorso, per la palese sua in

fondatezza.

Quanto al primo motivo, è certamente condivisibile l'assunto

secondo cui la legitimatio ad causam del curatore, in quanto condizione dell'azione, poteva e doveva essere verificata di uf

ficio, rilevabile essa essendo in ogni stato e grado del processo; sicché è irrilevante la circostanza che fosse stata dedotta dal

l'appellante con la comparsa conclusionale.

Né giova a sostegno della tesi della inammissibilità l'argo mento della sentenza impugnata che l'eccezione avrebbe dovuto

essere fatta valere unicamente con i motivi di gravame. Non es

sendo stata infatti la questione trattata e meno ancora decisa dal

tribunale, è mancato il presupposto per l'applicazione del prin

cipio devolutivo e la sua deduzione, non trovando impedimenti nella formazione del giudicato, poteva trovare ingresso nel giu dizio di impugnazione.

Ha, comunque, ritenuto la corte territoriale che infondata fos

se l'eccezione, avendo il curatore subentrato legittimazione a

proporre l'azione di rendiconto, a tutela degli interessi dei cre

ditori concorsuali e del proprio a non restare coinvolto perso nalmente nelle omissioni e nella mala gestio del predecessore.

Oppone a riguardo il ricorrente che a norma dell'art. 116 1.

fall, unici destinatari del rendiconto sono il fallito e i creditori e

che la circostanza che non sia previsto il curatore subentrato, diversamente da quanto stabilisce l'art. 38, cpv., 1. fall, per l'a

zione di responsabilità, costituisce la prova della sua carenza di

legittimazione attiva, sicché, in mancanza di contestazioni da

parte di soggetti destinatari, il rendiconto doveva essere appro vato.

Contesta, infine, l'assunto che il curatore subentrato derivi la

legittimazione dalla sua esposizione per fatti verificatisi nella

precedente gestione, unico soggetto passivamente legittimato essendo il curatore, in carica nel periodo in cui sono state com

piute le violazioni contestate.

La tesi non ha pregio, trovando smentita proprio nell'art. 38

su cui si fonda.

Vero è, infatti, che l'art. 116 1. fall, contempla esclusivamente

il fallito e i singoli creditori come destinatari della comunica

zione del deposito del conto e dell'udienza fissata per la sua ap

provazione; ma è altrettanto vero che in quella udienza «ogni interessato» (2° comma) può presentare le sue osservazioni e

che possano esse determinare il giudice delegato a non appro varlo e ad aprire la fase contenziosa (art. 116, ultimo comma).

Peraltro non ha rilievo giuridico la circostanza che detta nor

ma non preveda tra i legittimati ad interloquire il curatore su

II Foro Italiano — 2005.

bentrato, dal momento che essa risulta concepita per l'ipotesi ordinaria delle operazioni che portano alla chiusura della proce dura concorsuale, successive alla liquidazione ed anteriori alla

ripartizione dell'attivo, e per quella, altrettanto ordinaria, della

permanenza in carica del curatore, tenuto al rendiconto; trovan

do, invece, la fattispecie della revoca e della di lui sostituzione

disciplina nell'art. 38 1. fall., che contempla l'azione di respon sabilità a suo carico, prevede che dal curatore revocato sia reso

il conto e, allorché stabilisce che l'azione di responsabilità nei

suoi confronti durante il fallimento sia promossa, con l'autoriz

zazione del giudice delegato, dal nuovo curatore, necessaria

mente suppone l'interesse di quest'ultimo ad interloquire e a

contestare nel giudizio, per l'intima correlazione che corre tra i

due procedimenti, potendo l'approvazione del conto implicare una positiva valutazione della condotta del curatore, suscettibile

di incidere nel giudizio di responsabilità. Se è, infatti, vero che l'approvazione non esclude quest'ulti

ma azione, allo stesso modo in cui l'esercizio di essa non impe disce tale approvazione, è altrettanto vero che, laddove essa

manchi, il giudizio che ne consegue può avere ad oggetto oltre

agli errori materiali, alle omissioni ed ai criteri di conteggio, an

che il controllo della gestione e l'accertamento delle personali

responsabilità, per il compimento o per l'omissione di atti che

abbiano arrecato pregiudizio alla massa o ai diritti dei singoli creditori (Cass. 547/00, Foro it., Rep. 2001, voce Fallimento, n.

660; 10028/97, id., Rep. 1998, voce cit., n. 339; 277/85, id., Rep. 1985, voce cit., n. 553; 1339/74, id., Rep. 1975, voce cit., n. 580; 1132/68, id., 1968, I, 2021; 4430/57, id., 1957, I, 1922; 1229/54, id., 1955,1, 699).

Alla stregua di tale principio è innegabile la legittimazione del curatore subentrato ad impugnare il conto, giacché egli agi sce, in uno quanto nell'altro dei due giudizi, nell'interesse del

l'intera massa concorsuale, comprensiva non solo dei creditori

concorrenti, ma anche di quelli non ancora insinuati al passivo, che pertanto, non hanno acquisito il titolo a contestare il conto.

E la circostanza che la revoca del curatore possa intervenire

in ogni momento della procedura e quindi anche prima della

formazione dello stato passivo, in assenza di creditori, uti sin

guli legittimati alla contestazione, costituisce la riprova della le

gittimazione, che ulteriormente si rafforza con il rilievo della

sentenza impugnata — che pure merita di essere condiviso —

secondo cui il potere di chiedere la pronunzia di merito è al

nuovo curatore attribuito dal suo ruolo istituzionale, che lo

espone personalmente per le omissioni e la mala gestio del suo

predecessore, non certo sotto l'inammissibile profilo di una

estensione oggettiva a lui delle responsabilità altrui, quanto per il fatto di essere venuto meno al dovere, connaturale al munus

publicum che svolge, di accertare e rappresentare errori, omis

sioni, negligenze ed ogni condotta che integri cattiva gestione del curatore revocato, con riflessi pregiudizievoli per il ceto

creditorio, nell'atto in cui il giudice è chiamato ad approvarne il

conto.

Infondato è anche il secondo motivo.

Prende atto il ricorrente della possibilità che il controllo della

gestione, per l'accertamento della violazione eventuale dei do

veri di diligenza, possa essere compiuto in sede di esame del

conto, purché, però, sia effettuato attraverso le poste attive e

passive in esso esposte; controllo che invece era nella specie mancato, essendo stato piuttosto rivolto alle modalità di ammi

nistrazione del patrimonio fallimentare.

La tesi non ha fondamento giuridico, in quanto finisce per

negare la premessa da cui muove, che cioè la mala gestio pro duttiva di danno per i creditori possa essere verificata in sede di

rendiconto.

La limitazione proposta dal ricorrente alla sola verifica «se i

movimenti in entrata e in uscita effettivamente compiuti dal cu

ratore corrispondano a quelli indicati nel conto» priva di effetti

vità il controllo della gestione, giacché riduce il giudizio di ren

diconto ad una operazione meramente contabile, di cassa, che

non attiene all'operato dell'organo, in quanto deputato all'am

ministrazione del patrimonio, ma alla sola sua correttezza for

male nella registrazione delle poste attive e passive.

L'obbligo di rendere il conto della gestione ha, al contrario, natura soprattutto sostanziale, in quanto diretto a rappresentare tra l'altro «l'opera prestata, i risultati ottenuti, la sollecitudine

con cui sono state condotte le relative operazioni», criteri che

non a caso sono previsti dal d.m. 28 luglio 1992 n. 570, quanto

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

da quelli che prima di esso hanno regolato la materia dei com

pensi spettanti ai curatori fallimentari e ai commissari giudiziali delle procedure di concordato preventivo e di amministrazione

controllata.

E la circostanza che il rendiconto segua la liquidazione del

l'attivo e che la sua approvazione preceda quella del compenso è significativa della portata dei criteri predetti e della sede in cui

assumono rilevanza, che non può che essere quella prevista dal

l'art. 116 1. fall.

Né la condotta tenuta dal ricorrente e accertata dai giudici di

merito risulta inconferente rispetto ai risultati della gestione, avendo la corte territoriale analizzato la serie di omissioni, dalla

irregolare tenuta del libro giornale, privo persino della preventi va vidimazione del giudice delegato e comunque inattendibile

per via di alcune palesi discordanze in ordine alle operazioni re

gistrate, necessario strumento di riscontro rispetto alle eviden

ziazioni del rendiconto; all'assenza delle relazioni previste dal

l'art. 33 1. fall., da quella generale a quelle periodiche; al man

cato accertamento «dei fatti e delle responsabilità dei soggetti che hanno gestito la società in bonis», malgrado le rilevate

inattendibilità del bilancio fallimentare; alla omessa individua

zione dei conti bancari e alla mancata acquisizione delle movi

mentazioni relative a quelli conosciuti, omissioni che avevano

impedito la ricostruzione dell'attivo, precludendo, per decaden

za, l'esercizio delle azioni revocatorie; alla totale inattività nel

recupero dei crediti vantati dalla fallita per circa due miliardi e

mezzo di lire, esposti nel bilancio fallimentare, in ordine ai

quali era andata perduta la documentazione presente all'interno

dei capannoni, a causa di negligenze nella custodia, che avevano

riguardato anche i beni aziendali, lasciati incustoditi ed esposti a due furti a distanza di alcuni mesi dalla sentenza dichiarativa di

fallimento, tempo sufficiente a consentire al curatore di porre in

atto le misure necessarie alla loro tutela.

Omissioni tutte di attività, i cui risultati negativi sono evi

dentemente risultati dallo stesso conto di gestione, laddove nulla

ha potuto esporre in ordine ai crediti da recuperare, alle azioni

revocatorie da esercitare, alle responsabilità patrimoniali degli

organi societari da accertare e far valere, ai beni da liquidare e

non realizzati per essere andati perduti; sicché persino il dato

formale del prospetto contabile in cui il conto consiste, unita

mente alla relazione dettagliata dell'attività compiuta cui si ac

compagna, su quei punti carente, si appalesava idoneo alle con

testazioni e giustificativo della mancata approvazione. Le considerazioni che precedono giovano a disattendere an

che il terzo motivo.

Vero è che, essendo l'attore a dover fornire la prova dei fatti

costitutivi della domanda, nel giudizio di cui si tratta, che ha in

vestito il merito dell'attività, la prova del danno conseguito alla

mala gestio era a carico del curatore subentrato.

Ma erra il ricorrente allorché afferma che i giudici di merito

abbiano invece posto a carico suo la prova che dalla condotta

omissiva non fosse derivato alcun danno al patrimonio della so

cietà.

La censura coglie a pretesto un passaggio della sentenza im

pugnata, laddove afferma, con riguardo all'assunto dell'appel lante circa la mancata dimostrazione che il deterioramento dei

beni non fosse già presente alla data del fallimento, che avrebbe

dovuto il curatore surrogato fornire elementi di prova in merito

a quanto prospettato, dal momento che la mancata inventaria

zione dei beni, di cui si era reso responsabile, aveva impedito la

tempestiva valutazione dello stato in cui si trovavano e non con

sentito la vendita immediata, come prescritto per i beni deperi bili dalla legge fallimentare, essendo quelli acquisiti alla massa

attiva a rapida obsolescenza.

Un'affermazione dunque che muove da dati certi, quali la de

peribilità e il mancato inventario; sicché coerente con essi ri

sulta la conclusione che avrebbe dovuto l'appellante dimostrare

che, comunque, l'una e l'altro non avevano prodotto alcun dan

no, perché il deperimento era maturato anteriormente all'apertu ra del fallimento.

Ma al di là di tale considerazione, la doglianza è gratuita, a

fronte di quanto la corte territoriale ha osservato in ordine al

danno prodotto al ceto creditorio, oltreché per la mancata custo

dia e liquidazione dei beni, per tutte le inattività prima menzio

nate; sicché la mala gestio accertata ha trovato i necessari ri

scontri in termini di pregiudizio ai creditori, tanto da giustificare la mancata approvazione del conto.

Il Foro Italiano — 2005.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 25 febbraio 2005, n. 4059; Pres. Carbone, Est. Chiarini, P.M.

Uccella (conci, conf.); Velotti (Avv. Marotta) c. Regione

Campania (Avv. De Girolamo). Dichiara inammissibile ri

corso avverso App. Napoli 28 giugno 2000.

Impugnazioni civili in genere — Termine annuale — So

spensione feriale — Scadenza — Ulteriore proroga — Fat

tispecie (Cod. proc. civ., art. 327; 1. 7 ottobre 1969 n. 742, so

spensione dei termini processuali nel periodo feriale, art. 1).

Il termine annuale di decadenza dall 'impugnazione, che comin

cia a decorrere prima della sospensione feriale, prevista dal

l'art. 1 l. n. 742 del 1969, deve essere prolungato di quaran tasei giorni, che diventano novantadue ove l'ultimo di essi

cada nel corso del successivo periodo di sospensione feriale dell'anno seguente. (1)

Svolgimento del processo. — Con sentenza del 28 giugno

2000 la Corte d'appello di Napoli, in parziale accoglimento del

l'appello principale di Velotti Teresa, in proprio e rappresentata dalla s.p.a. Credifarma, e dell'appello incidentale della Asl Na

poli 3, riconosceva il danno da ritardo nel pagamento di alcune

distinte riepilogative di ricette inoltrate dalla Velotti per il pa

gamento e la legittimazione passiva della regione Campania. Avverso questa sentenza ricorre per cassazione Velotti Tere

sa, in proprio e rappresentata dalla s.p.a. Credifarma, per tre

motivi di ricorso, cui resiste la regione Campania. Motivi della decisione. — Va preliminarmente esaminata

l'eccezione della controricorrente di inammissibilità del ricorso

perché tardivo.

L'eccezione è fondata.

Come già altre volte questa corte ha precisato (Cass. 4294/97, Foro it., Rep. 1997, voce Impugnazioni civili, n. 49), se il ter

mine annuale di decadenza dall'impugnazione inizia a decorrere

prima della sospensione durante il periodo feriale, a norma del

l'art. 1 1. 7 ottobre 1969 n. 742, deve prolungarsi di quarantasei

giorni per effetto della sospensione medesima (non dovendosi

tener conto del periodo compreso tra il 1° agosto ed il 15 set

tembre), ed è suscettibile di un ulteriore analogo prolungamento

quando l'ultimo giorno di detta proroga venga a cadere dopo l'inizio del nuovo periodo feriale dell'anno successivo.

La decisione impugnata, non notificata, è stata pubblicata, mediante deposito nella cancelleria del giudice che l'ha pronun ciata, in data 28 giugno 2000.

Il termine annuale di decadenza previsto dall'art. 327 c.p.c. ha dunque subito una prima interruzione, dopo il decorso di

trentatré giorni, in conseguenza della sospensione feriale pro trattasi dal 1° agosto al 15 settembre del 2000. Il medesimo ter

mine non ha quindi potuto completare il proprio decorso prima che si verificasse una seconda sospensione, per il sopravvenire dell'ulteriore periodo feriale compreso tra il 1° agosto ed il 15

settembre 2001. Pertanto, dal momento in cui il termine ha ri

preso a decorrere, dopo la conclusione di questo secondo perio do di sospensione, mancavano al suo definitivo spirare ancora

tredici giorni (un anno e quarantasei giorni, meno i trentatré

giorni già trascorsi all'inizio). Ne consegue che, avendo la Ve

lotti notificato il ricorso alla regione Campania I'll ottobre

2001 e alla Usi Napoli 3 il 12 ottobre 2001, e cioè ventuno gior ni dopo il 15 settembre di quello stesso anno, esso è tardivo e va

dichiarato inammissibile.

(1) In senso conforme, in motivazione, sez. un. 28 luglio 2004, n.

14170, Foro it., 2004,1, 3017, con osservazioni di S. Benini; 8 gennaio 2001, n. 200, id., Rep. 2001, voce Impugnazioni civili, n. 48; 20 marzo

1998, n. 2978, id., Rep. 1998, voce Termini processuali civili, n. 9; 15

maggio 1997, n. 4294, id.. Rep. 1997, voce Impugnazioni civili, n. 49, citata in motivazione; Cons. Stato, sez. VI, 8 luglio 1997, n. 1099, ibid., voce Termini processuali civili, n. 6; Cass. 11 aprile 1987, n. 3613, id.,

Rep. 1987, voce cit., n. 5. La duplicabilità del periodo di sospensione feriale dei termini pro

cessuali (che cessa a partire dal 16 e non dal 17 settembre: sez. un. 14

luglio 1983, n. 4814. id., 1983, I, 3051, con nota di richiami) in situa

zioni come quella esaminata dalla riportata sentenza è stata propugnata da Gaetani, in Corriere giur., 2001, 1180 ss., in nota critica a Cass., ord. 5 dicembre 2000, n. 1125, Foro it., Rep. 2001, voce cit., n. 9, im motivatamente contraria all'impostazione ribadita nella specie e, per ciò, rimasta giustamente isolata. [C.M. Barone]

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