sezione I civile; sentenza 25 giugno 1999, n. 6577; Pres. Grieco, Est. Verucci, P.M. Mele (concl.diff.); F. Lo Piccolo e altri (Avv. Giromini) c. G. Lo Piccolo (Avv. Dionisio, Mussi). Cassa senzarinvio Trib. La Spezia 21 novembre 1996Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 10 (OTTOBRE 1999), pp. 2849/2850-2853/2854Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23194898 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
degli enti pubblici economici non sono caratterizzati dall'auto
ritarietà degli atti amministrativi in senso proprio, ma si pongo no su un piano di parità con quelli dei soggetti con i quali essi
vengono in relazione.
La tesi della ricorrente non può condividersi.
Queste sezioni unite hanno effettivamente più volte enunciato
11 principio secondo cui le controversie concernenti l'aggiudica zione di appalti da parte di enti pubblici economici, che agisca no in posizione di parità con gli aspiranti alle gare, sono devo
lute alla cognizione del giudice ordinario, in quanto la procedu ra di scelta dell'aggiudicatario non inerisce all'organizzazione dell'ente ma costituisce esercizio di attività imprenditoriale la
quale è inidonea a degradare in interessi legittimi le posizioni
soggettive dei terzi (sent. n. 10616 del 1996, Foro it., 1997, I,
2213; n. 5973 del 1994, id., Rep. 1995, voce Opere pubbliche, n. 199; n. 716 del 1993, id., Rep. 1993, voce Istituto poligrafico dello Stato, n. 3). Con una recente sentenza (n. 64/SU del 1999,
id., 1999, I, 2275) le sezioni unite hanno però negato l'applica bilità di tale principio agli appalti c.d. di «soprassoglia comuni
taria» (appalti di parecchi miliardi) e ritenuto che essi siano,
invece, disciplinati dalle disposizioni legislative emanate in ese
cuzione delle direttive comunitarie c.d. processuali sugli appalti
(Ce del 21 dicembre 1989 n. 665, modificata dall'art. 41 della
direttiva 18 giugno 1992 n. 50; Ce del 25 febbraio 1992), le
quali hanno imposto agli Stati l'obbligo «di predisporre una
normativa atta a garantire, anche in via cautelare, che le deci
sioni delle commissioni aggiudicatrici siano oggetto di ricorsi
efficaci e quanto più possibile rapidi». Le disposizioni legislative che hanno dato attuazione alle men
zionate direttive sono costituite dall'art. 13 1. 19 febbraio 1992
n. 142 e dall'art. 11 1. 19 dicembre 1992 n. 489.
In base alla prima di tali norme (intitolata: «violazioni del
diritto comunitario in materia di appalti e forniture»), la quale stabilisce che: «la domanda di risarcimento è proponibile di
nanzi al giudice ordinario da chi ha ottenuto l'annullamento
dell'atto lesivo con sentenza del giudice amministrativo», si è
affermato che la giurisdizione per ottenere l'annullamento del
provvedimento compete al giudice amministrativo, presupponen do il ricorso all'a.g.o., previsto per il risarcimento del danno,
l'esaurimento con sentenza d'annullamento del procedimento am
ministrativo. E dall'altra norma (intitolata: appalti di cui alla
direttiva 90/531/Cee), la quale ha esteso l'operatività degli art.
12 e 13 1. n. 142 del 1992 «alle procedure di appalto degli enti
costituiti in forma di società per azioni di cui alla direttiva Cee
del 17 settembre 1990», si è tratta la regola secondo cui le con
troversie relative all'aggiudicazione degli appalti rientranti nella
disciplina comunitaria, appartengono alla giurisdizione esclusi
va del giudice amministrativo anche se gli enti che indicono le
gare di appalto sono pubblici economici, ovvero costituiti in
società per azioni o in aziende speciali. In applicazione di questi principi deve dichiararsi la giurisdi
zione esclusiva del giudice amministrativo avendo nella specie la causa come oggetto la questione della legittimità degli atti
inerenti alla gara di un appalto di «soprassoglia comunitaria»
(dall'aggiudicataria era stato offerto il prezzo di lire
13.366.109.282) indetta dal Consorzio di sviluppo industriale
della Valle del Biferno, ente pubblico economico.
Il Foro Italiano — 1999.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 25 giugno
1999, n. 6577; Pres. Grieco, Est. Verucci, P.M. Mele (conci,
diff.); F. Lo Piccolo e altri (Avv. Geromini) c. G. Lo Piccolo
(Avv. Dionisio, Mussi). Cassa senza rinvio Trib. La Spezia 21 novembre 1996.
Società — Società di capitali — Liquidazione — Contrasto tra
i soci circa l'avvenuto scioglimento — Nomina del liquidato re giudiziale — Provvedimento — Natura — Ricorso straor
dinario per cassazione — Ammissibilità (Cost., art. Ill; cod.
civ., art. 2448, 2450). Società — Società di capitali — Liquidazione — Nomina del
liquidatore giudiziale — Omesso accertamento dell'inesisten
za di contrasti tra i soci circa l'avvenuto scioglimento — Cas
sazione senza rinvio (Cod. civ., art. 2448, 2450; cod. proc.
civ., art. 382).
È ammissibile il ricorso straordinario per cassazione avverso il
decreto con cui il presidente del tribunale abbia nominato il
liquidatore di una società di capitali quando, essendovi con
trasto sull'esistenza di una causa di scioglimento della mede
sima società, detto decreto implicitamente risolve tale contro
versia e quindi assume carattere decisorio e natura sostanziale
di sentenza. (1) Deve essere cassato senza rinvio il decreto con cui il presidente
del tribunale abbia nominato il liquidatore di una società di
capitali, ai sensi dell'art. 2450, 3 ° comma, c.c., se non risulti
dalla motivazione che il giudice ha in qualche modo accertato
l'assenza di contestazioni in ordine allo scioglimento della
società. (2)
Svolgimento del processo. — Con ricorso depositato il 18 lu
glio 1996, Gaspare Lo Piccolo, amministratore del Centro nau
tico turistico Santarosa s.r.l., chiedeva al presidente del Tribu
nale di La Spezia la nomina di un liquidatore di detta società, deducendone l'impossibilità di funzionamento e la sostanziale
cessazione dell'attività.
Il presidente del tribunale, con decreto depositato il 21 no
vembre 1996, nominava liquidatore della società il rag. Massi
miliano Dadà.
Avverso tale decreto Filippo Lo Piccolo, Franco Menconi e
Sandro Talara hanno proposto ricorso per cassazione con un
unico motivo, illustrato anche con memoria.
(1-2) Il pendolo della Cassazione continua ad oscillare sull'incerto confine tra provvedimenti giurisdizionali volontari e contenziosi.
L'inammissibilità del ricorso per cassazione avverso il provvedimento di nomina del liquidatore da parte del presidente del tribunale ai sensi dell'art. 2450, 3° comma, c.c., in presenza di un contrasto tra i soci circa l'effettivo verificarsi di una causa di scioglimento della società
(e, dunque, circa un presupposto indispensabile per la nomina del liqui datore), era stata di recente affermata da Cass. 21 novembre 1998, n.
11798, Foro it., 1999, I, 92, con nota di P. Gallo, il quale concludeva invocando un intervento delle sezioni unite per dirimere il contrasto insorto al riguardo nella giurisprudenza della prima sezione della corte.
Non consta che le sezioni unite siano state chiamate a pronunciarsi in argomento. Si è invece per due volte di nuovo pronunciata la medesi ma prima sezione — con le sentenze 336/99 (id., Mass., 35) e 6577/99, in epigrafe — ripudiando il revirement operato da Cass. 11798/98, cit.
(e, prima ancora, da Cass. 10718/96, id., Rep. 1997, voce Società, n.
841) e tornando ad affermare che il provvedimento con cui il presidente del tribunale nomina il liquidatore, in una situazione di contrasto tra i soci sull'effettivo scioglimento della società, ha solo la forma, ma
non anche la sostanza, di un provvedimento di giurisdizione volontaria,
giacché di fatto risolve una controversia in tema di diritti soggettivi: donde l'ammissibilità del ricorso per cassazione (apparendo rimedio astrat
to e poco efficace l'instaurazione di un giudizio ordinario) destinato
a produrre l'annullamento senza rinvio del provvedimento «atipico» di
nomina del liquidatore. Affermazione, questa, portata ora alle sue estreme
conseguenze, perché corredata dall'assunto (comune anche a Cass. 336/99) secondo cui il presidente del tribunale, nel decreto di nomina del liqui datore, deve specificamente motivare l'assenza di controversie sullo sta
to di scioglimento della società, venendo altrimenti il decreto medesimo
ad assumere implicitamente valore e funzione decisori e quindi ad esor
bitare dai limiti del citato art. 2450, 3° comma.
Qualunque opinione si abbia sull'argomento, una cosa sembra poter si dire con certezza: che d'ora in avanti solo un intervento delle sezioni unite giustificherebbe qualsiasi ulteriore mutamento d'indirizzo della Su
prema corte su un tema (magari minuto, ma) di così frequente applica zione. [R. Rordorf]
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2851 PARTE PRIMA 2852
Resiste Gaspare Lo Piccolo con controricorso.
Motivi della decisione. — Riveste carattere pregiudiziale l'e
same delle eccezioni sollevate dal controricorrente sotto i se
guenti profili: a) inesistenza della notifica del ricorso, avvenuta
presso lo studio dell'avv. M. Teresa Giannini di La Spezia, seb
bene fosse stato eletto domicilio presso l'avv. Antonio Benedet
to, procuratore e difensore nella fase di ricorso per la nomina
del liquidatore; b) inammissibilità del ricorso stesso, perché pro
posto fuori termine rispetto alla data del provvedimento impu
gnato; c) difetto di legittimazione a proporre ricorso per cas
sazione.
Le eccezioni sono infondate, atteso che: — il ricorso è stato notificato a Gaspare Lo Piccolo non sol
tanto presso lo studio dell'avv. M. Teresa Giannini (quale do
micilio eletto dallo stesso Lo Piccolo, previa nomina a difenso
re dell'avv. Guido Mussi, con la procura rilasciata a margine della comparsa di costituzione e risposta in data 8 maggio 1997,
nella fase introdotta dagli odierni ricorrenti dinanzi al Tribuna
le di La Spezia per la revoca del decreto di nomina del liquida
tore), ma anche al domicilio reale di via Botteghino n. 10 in
Amaglia-Fiumaretta (SP), come da relata dell'ufficiale giudizia rio in data 20 marzo 1997;
— tale notifica, effettuata a mani di familiare convivente —
v. avviso di ricevimento del 22 marzo 1997 — anziché al procu ratore avv. Benedetto (che tale restava, in virtù dell'autonomia
della prima fase rispetto a quella successiva per la revoca), non
è giuridicamente inesistente, ma soltanto nulla e tale nullità de
ve ritenersi sanata dalla costituzione dell'intimato, con effetto
ex tunc, anche quando la costituzione sia avvenuta al solo sco
po di eccepire la nullità medesima (ed ancorché solo in occasio
ne della discussione dinanzi a questa corte: per tutte, cfr. Cass.
5575/97, Foro it., Rep. 1997, voce Cassazione civile, n. 157); — il Lo Piccolo non ha fornito alcuna prova che il decreto
presidenziale di nomina del liquidatore, steso in calce al ricorso
ex art. 2450, 3° comma, c.p.c. e depositato il 21 novembre 1996, sia stato comunicato e/o notificato agli odierni ricorrenti, ovve
ro che costoro ne siano venuti comunque a conoscenza in data
anteriore al 23 gennaio 1997 (a seguito di comunicazione del
liquidatore nominato), mentre dagli atti — il cui esame è con
sentito a questa corte in ragione della natura del vizio denuncia
to — risulta che esso è stato comunicato soltanto all'avv. Bene
detto ed al rag. Massimiliano Dadà, nominato liquidatore della
società: da ciò deriva la tempestività del ricorso per cassazione, notificato il 20 marzo 1997;
— non possono sussistere dubbi circa la legittimazione a ri
correre per cassazione di Filippo Lo Piccolo, Franco Menconi
e Sandro Telara, nella loro qualità di soci del Centro nautico
turistico Santarosa s.r.l., come emerge chiaramente da quanto affermato dallo stesso controricorrente, secondo cui avevano
chiesto (ma non ottenuto) la revoca del decreto ora impugnato. Con l'unico motivo, denunciando violazione e falsa applica
zione dell'art. 2450, 3° comma, c.c., in relazione all'art. 2448
stesso codice, i ricorrenti, premesso che la nomina del liquida tore da parte del presidente del tribunale è atto di volontaria
giurisdizione, adottabile soltanto nell'ipotesi in cui risulti incon
troversa la sussistenza di una causa di scioglimento della socie
tà, lamentano che, nel caso di specie, la nomina sia avvenuta
in difetto di tale presupposto, onde la sua illegittimità, deduci
bile con ricorso straordinario per cassazione.
Preliminarmente, il collegio osserva che il ricorso è ammissibile.
L'art. 2450, 3° comma, c.c. stabilisce che, nel caso previsto dal n. 3 dell'art. 2448 o quando non è raggiunta la maggioranza
prescritta, la nomina del liquidatore è fatta con decreto del pre sidente del tribunale su istanza dei soci, degli amministratori
o dei sindaci: la disposizione si applica anche alle società a re
sponsabilità limitata, in virtù del richiamo contenuto nell'art.
2497, 1° comma, c.c. Con l'autorevole avallo del giudice delle
leggi e con il conforto della dottrina, questa corte ha sempre ricondotto il provvedimento in questione nell'ambito della giu risdizione volontaria, conseguentemente rilevando come il cor
retto esercizio del relativo potere sia configurabile soltanto in
situazione di già accertata, o non contestata, esistenza di una
causa di scioglimento della società, quando, cioè, non sussiste
contrasto tra i soci sulla ricorrenza dei presupposti di cui al
l'art. 2448, n. 3, c.c. o sull'impossibilità di raggiungere la pre scritta maggioranza. Ne deriva che il decreto di nomina del li
quidatore emesso in difetto di tali presupposti assume automa
li Foro Italiano — 1999.
ticamente la funzione di risolvere la controversia insorta
sull'esistenza di una causa di scioglimento della società, così
perdendo la sua natura di provvedimento di volontaria giurisdi zione e rivestendo natura sostanziale di sentenza, perché incide
e decide su diritti dei soci e della stessa società: non essendo
altrimenti impugnabile, esso ha carattere anche definitivo ed è,
pertanto, ricorribile per cassazione ex art. 111,2° comma, Cost.
(ex plurimis, Cass. 336/99, id., Mass., 35; 6308/98, id., Rep.
1998, voce Società, n. 849; 4979/98, id., 1998, I, 3214; 8303/97,
id., Rep. 1998, voce cit., n. 848; 9267/96, id., Rep. 1997, voce
cit., n. 839; 4137/95, id., Rep. 1995, voce cit., n. 911; 11109/93, id., Rep. 1994, voce cit., n. 898; 13096/92, id., Rep. 1992, voce
cit., n. 740). Si deve dare atto, tuttavia, di un diverso indirizzo giurispru
denziale, sia pure minoritario. La sentenza di questa corte
10718/96, id., Rep. 1997, voce cit., n. 841 (seguita, di recente, da Cass. 11798/98, id., 1999, I, 92), infatti, nell'affermare che
l'atto appartiene in ogni caso alla volontaria giurisdizione e nel
prospettare, ai fini della tutela del socio dissenziente, la diversa
ed alternativa soluzione della revocabilità ex art. 742 c.p.c. del
provvedimento «atipico» emesso dal presidente del tribunale, ovvero dell'estensione, in via analogica, del mezzo del reclamo
ex art. 742 bis davanti al presidente della corte d'appello, ha
escluso, comunque, la natura decisoria di tale decreto, richia
mando due precedenti: l'uno, costituito della sentenza delle se
zioni unite 1392/87 (id., Rep. 1987, voce cit., n. 712), secondo
cui la nomina del liquidatore, pur implicando che la società
sia sciolta, resta in ogni caso atto di volontaria giurisdizione, atteso che i contrasti sulla ricorrenza dei presupposti del prov vedimento non valgono ad attribuirgli un valore decisorio sulla
sussistenza della causa di scioglimento ed avendo il legislatore
implicitamente riservato ai soci dissenzienti la facoltà di pro
porre la questione dello scioglimento in sede contenziosa ordi
naria; l'altro, rappresentato da Corte cost. 77/68, id., 1968,
I, 2051 (che ha dichiarato non fondata la questione di legittimi tà costituzionale dell'art. 2450, 3° comma, c.c.), secondo cui
il presidente del tribunale nomina il liquidatore sul presupposto che la società si sia sciolta, ma non accerta né l'intervenuto
scioglimento, né le cause che lo avrebbero prodotto, tanto che, sulla questione, uno qualunque degli interessati può promuove re un giudizio ordinario per dimostrare l'insussistenza della causa
di scioglimento ed ottenere la rimozione degli effetti del decreto.
Anche volendo prescindere dalla considerazione che la giuris
prudenza di gran lunga maggioritaria di questa corte (con l'ade
sione della prevalente dottrina) è di segno diverso, essendosi
sostanzialmente consolidata nel senso dell'utilizzabilità del ri
corso straordinario per cassazione nell'ipotesi di provvedimento adottato in situazione di non accertato o controverso motivo
di scioglimento della società, il collegio ritiene di non poter co
munque seguire l'orientamento suindicato, sulla base delle con
siderazioni svolte dalla citata sentenza 336/99, cui integralmen te aderisce.
Non è dubbio, infatti, che il potere attribuito al presidente del tribunale dall'art. 2450, 3° comma, c.c., abbia funzione sup
pletiva (o surrogatoria) dell'inerzia o dell'impossibilità di fun
zionamento dell'assemblea: il suo esercizio, quindi, postula che
non siano in discussione non solo, e non tanto, i fatti oggettivi della mancata formazione della prescritta maggioranza, ovvero
della mancata partecipazione all'assemblea di un numero di so
ci tale da raggiungere il quorum costitutivo (quale condizione
primaria per dichiarare validamente sugli argomenti posti al
l'ordine del giorno), quanto — e soprattutto — la consistenza
e gli effetti di tali eventi, nel senso che ad essi deve essere paci ficamente ricollegabile l'inevitabile compromissione dello scopo
sociale, tant'è che la norma equipara l'ipotesi dell'impossibilità di funzionamento o di perdurante inattività dell'assemblea a quel la del mancato raggiungimento della maggioranza sulla scelta
della persona del liquidatore, ossia a fattispecie in cui la causa
di scioglimento è stata già accertata e valutata dall'assemblea
medesima.
Se così è, il presidente del tribunale deve necessariamente ac
certare la sussistenza di tale presupposto, avvalendosi, ove oc
corra (quando, cioè, la pacificità delle conseguenze dei casi in
dicati nell'art. 2450, 3° comma, c.c. non emerga direttamente
dagli atti), dei poteri inquisitori conferitigli dall'art. 738, 3° com ma, c.p.c.: né vale obiettare che trattasi di poteri il cui esercizio
è, di regola, facoltativo, perché il principio del contraddittorio,
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
dettato dall'art. 101 c.p.c., è applicabile — sia pure con i modi
del rito camerale, caratterizzato da particolare celerità e sempli cità di forme — anche nei procedimenti di volontaria giurisdi zione, tutte le volte che sia identificabile un controinteressato.
Al riguardo, la sentenza di questa corte 593/92 {id., Rep. 1992, voce cit., n. 737) ha posto in rilievo che l'accertamento
dei presupposti della nomina del liquidatore è idoneo ad incide
re su situazioni giuridiche dei soci che non possono non essere
qualificate come diritti soggettivi, quali il diritto alla prosecu zione dell'attività sociale e quello, alternativo, alla liquidazione della quota (nello stesso senso, da ultimo, Cass. 4979/98, cit.): non vi dev'essere, quindi, un dissenso sulla causa di scioglimen
to, perché «quando, invece, detto accordo sostanziale non emerga o non venga accertato, il tipo di accertamento relativo alla sus
sistenza della causa di scioglimento è idoneo di per sé ad incide
re sui diritti soggettivi inerenti al cambiamento dello scopo so
ciale e detti diritti viola in fatto quando il contrasto oggettiva mente vi sia, ancorché non emerso in fase processuale per mancata instaurazione di un contraddittorio, sia pure informale».
A ciò si aggiunga che, anche indipendentemente dal rispetto del principio del contraddittorio, il provvedimento presidenziale di nomina del liquidatore non può non contenere una sia pur succinta motivazione in ordine alla pacificità della dedotta cau
sa di scioglimento della società, sì da evidenziare che tale pre
supposto dell'esercizio del potere attribuito dall'art. 2450, 3°
comma, c.c., emerge quantomeno dagli atti: in difetto di ciò, si deve ritenere che l'accertamento della sussistenza del presup
posto non sia stato effettuato in alcun modo.
Quanto alla possibilità, per il socio dissenziente, di promuo vere un separato giudizio ordinario, al fine di far valere l'insus
sistenza della causa di scioglimento e di ottenere la rimozione
degli effetti del decreto di nomina del liquidatore, va osservato,
per un verso, che, sebbene il presidente del tribunale non debba — né possa — accertare l'intervenuto scioglimento della società
e/o le cause che lo hanno prodotto, è comunque certo che non
possa emettere il provvedimento in caso di non accertata pacifi cità dell'esistenza di dette cause; per altro verso, che, nell'ipote si di provvedimento «atipico» di nomina del liquidatore ed a
fronte delle sue gravi ed immediate conseguenze non soltanto
per i soci dissenzienti, ma anche per la stessa società ed i terzi
(alla cui tutela è principalmente volto il legittimo esercizio del
potere previsto dall'art. 2450, 3° comma, c.c.), l'esperimento di un giudizio ordinario si configura come rimedio astratto, pri vo di tempestiva e reale efficacia.
Le considerazioni svolte in ordine all'ammissibilità del ricor
so valgono anche per ritenerne la fondatezza: dal provvedimen to impugnato, non preceduto da alcun tipo di indagine e/o di
contraddittorio e caratterizzato, in punto di motivazione, dal
mero richiamo dell'art. 2450 c.c., non risulta che l'organo adito
abbia accertato in qualche modo la pacificità della causa di scio
glimento della società (eventualmente riscontrabile sulla base degli atti prodotti), quale presupposto indefettibile per il legittimo esercizio dal potere di nomina del liquidatore. Ne deriva che
il provvedimento ha implicitamente assunto valore e funzione
decisori, in violazione del principio secondo cui la controversia
sull'esistenza o meno dei presupposti per l'emanazione del de
creto medesimo deve essere risolto mediante la proposizione di
un'azione in via ordinaria: la procedura prevista dall'art. 2450, 3° comma, c.c., quindi, non poteva nemmeno essere proposta,
onde, in accoglimento del ricorso, il provvedimento impugnato va cassato senza rinvio, ai sensi dell'art. 382, ultimo comma,
c.p.c.
Il Foro Italiano — 1999.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 23 giu
gno 1999, n. 6402; Pres. Vittoria, Est. Calabrese, P.M.
Golia (conci, diff.); Sangiorgi (Avv. D'Aura) c. Mercadante
(Avv. Montelione), Trizzino; Trizzino (Aw. D'Asaro) c.
Mercadante, Sangiorgi. Cassa App. Palermo 18 dicembre 1996.
Agricoltura — Preliminare di vendita comunicato a più affit
tuari — Indicazione di un prezzo unico — Esercizio della pre lazione da parte di un affittuario per la parte del fondo con
dotta — Ammissibilità (L. 26 maggio 1965 n. 590, disposizio ni per lo sviluppo della proprietà coltivatrice, art. 8).
Agricoltura — Prelazione — Mancata alienazione di fondi ru
stici nel biennio precedente — Prova (L. 26 maggio 1965 n.
590, art. 8).
Nel caso di preliminare di vendita di fondo non indivisibile con
dotto da più affittuari e con l'indicazione del prezzo globale del fondo stesso, l'affittuario che esercita il diritto di prela zione della quota condotta non decade dal diritto per omesso
pagamento del prezzo nel termine di tre mesi dalla notifica zione del preliminare (art. 8, 6° comma, l. 590/65), non po tendosi fargli carico di individuare il prezzo della porzione condotta e costituendo la specificazione del prezzo un obbli
go posto dalla legge a carico del proprietario. (1) Al fine della prova della mancata alienazione di fondi rustici
nel biennio precedente all'esercizio della prelazione, sono suf
ficienti le certificazioni notarili dell'affittuario relative alle vi sure effettuate presso la conservatoria dei registri immobiliari
dell'ambito territoriale della residenza dello stesso affittuario, che si presume essere il centro di interessi del soggetto, spet tando alla controparte di estendere l'indagine oltre tale limite
territoriale. (2)
Svolgimento del processo. — Con raccomandata del 12 luglio 1988 Furitano Giulio comunicava a Sangiorgi Nicolò di avere
stipulato in data 7 luglio 1988 con Mercadante Giuseppe un
preliminare di vendita del proprio terreno sito in contrada Serra
Acqua dei Comuni, Canalotto e Parchi, in parte in comune
di Vicari e in parte in quello di Lercara Friddi, suddiviso in
più appezzamenti ed esteso complessivamente ha 19.47.96, per il prezzo globale di lire 140 milioni, invitando il Sangiorgi e
Mavaro Domenico e Pietro, affittuari degli appezzamenti di ter
reno, ad esercitare il diritto di prelazione. Con raccomandata del 4 agosto 1988, ricevuta il successivo
5 agosto 1988, il Sangiorgi comunicava di volere esercitare il
diritto di prelazione, precisando che il diritto veniva esercitato
per quella porzione del fondo da lui condotta in affitto, offren
do in pagamento la somma di lire 11.516.000 quale quota della
(1-2) Il principio di cui alla prima massima è stato giustificato con la considerazione che l'indicazione del prezzo di vendita risponde all'e
sigenza di porre il coltivatore nella condizione di valutare l'opportunità di esercizio del diritto di prelazione, e che nel caso in cui il fondo non indivisibile sia condotto da più affittuari con l'indicazione del prezzo globale di tutto il fondo, l'affittuario che esercita la prelazione per la sua quota non decade dall'esercizio per il mancato pagamento del prez zo entro tre mesi dalla notifica del preliminare come disposto dall'art.
8, 6° comma, 1. 590/65 (Cass. 15 aprile 1986, n. 2649, Foro it., Rep. 1986, voce Agricoltura, n. 153; 9 agosto 1991, n. 8669, id., Rep. 1991, voce cit., n. 190; 3 agosto 1995, n. 8488, id., Rep. 1995, voce cit., n. 152).
Sulla seconda massima (per cui v. Cass. 25 febbraio 1994, n. 1932, id.. Rep. 1994, voce cit., n. 104), si osserva che sarebbe a dire poco assurdo che chi esercita il diritto di prelazione debba fornire la certifi cazione tratta dalle conservatorie dei registri immobiliari di tutta l'Italia.
Il requisito in questione ha dato luogo a varie pronunce giurispruden ziali: Cass. 8 novembre 1991, n. 11900, id., Rep. 1991, voce cit., n.
143, ha ritenuto che il requisito pur essendo previsto espressamente con riferimento alla prelazione del coltivatore insediato, va esteso al pro prietario confinante non potendosi favorire chi, avendo venduto fondi
propri nel biennio precedente, ha mostrato con tale suo comportamen to di non avere di mira la coltivazione diretta della terra come fonte
principale del proprio reddito. In tema di prova del requisito è stato ritenuto che questa spetta a chi esercita la prelazione, a nulla rilevando che si tratti di un fatto negativo, comportando ciò non già l'inversione dell'onere della prova, ma soltanto che essa debba essere fornita me diante fatti positivi contrari (anche con testimoni, o con presunzioni quale ad es. la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà) (Cass. 25
gennaio 1991, n. 756, ibid., n. 128; 4 maggio 1989, n. 2064, id., Rep. 1989, voce cit., n. 121; 11 giugno 1987, n. 5095, id., Rep. 1987, voce
cit., n. 131). [D. Bellantuono]
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