sezione I civile; sentenza 25 giugno 2003, n. 10072; Pres. Saggio, Est. W. Celentano, P.M.Abbritti (concl. diff.); Soc. coop. Banca popolare di Novara (Avv. Contaldi, Grillo Brancati) c.Fall. soc. San Martino (Avv. Di Sabato). Cassa App. Napoli 29 maggio 2001Source: Il Foro Italiano, Vol. 126, No. 10 (OTTOBRE 2003), pp. 2623/2624-2627/2628Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23198687 .
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2623 PARTE PRIMA 2624
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 25 giu
gno 2003, n. 10072; Pres. Saggio, Est. W. Celentano, P.M.
Abbrutì (conci, diff.); Soc. coop. Banca popolare di Novara
(Avv. Contaldi, Grillo Brancati) c. Fall. soc. San Martino
(Avv. Di Sabato). Cassa App. Napoli 29 maggio 2001.
Fallimento — Titolare di ipoteca su beni del fallito — Accer
tamento del diritto sul prezzo ricavato dalla liquidazione — Procedimento di opposizione allo stato passivo — Do
manda di accertamento della validità ed efficacia della ga ranzia — Ammissibilità (R.d. 16 marzo 1942 n. 267, disci plina del fallimento, art. 52, 98, 108).
Fallimento — Revocatoria fallimentare — Ipoteca conte
stuale costituita a garanzia di debito altrui — Presunzione
di onerosità (Cod. civ., art. 2901; r.d. 16 marzo 1942 n. 267, art. 64, 67).
Colui che vanta un diritto di prelazione ipotecaria su beni del
fallito senza esserne creditore non può far accertare il pro
prio diritto presentando domanda di ammissione al passivo ma può far accertare preventivamente la validità ed efficacia della garanzia eventualmente nell'ambito del giudizio di op
posizione allo stato passivo radicato in esito al rigetto della
domanda da parte del giudice delegato. ( 1 ) La presunzione di onerosità della garanzia prestata, anche per
debito altrui, se contestuale al sorgere del credito garantito
prevista per la revocatoria ordinaria, è applicabile alla revo
catoria fallimentare in quanto nella disciplina fallimentare l'atto costitutivo di un diritto di prelazione per debiti conte
stualmente creati è equiparato ad ogni altro atto a titolo one
roso. (2)
Svolgimento del processo. — La Banca popolare di Novara,
con istanza proposta ai sensi dell'art. 93 1. fall, richiese di essere
ammessa al passivo del fallimento della s.r.l. San Martino con
prelazione ipotecaria; nella medesima istanza formulò una do
manda subordinata per essere ammessa a partecipare, sino alla
concorrenza della somma di lire 4.443.335.678, alla distribuzio
ne del prezzo che, in sede di liquidazione, si fosse ricavato dalla
vendita di quegli immobili della società fallita sui quali que st'ultima aveva costituito ipoteca in suo favore in relazione ad
un finanziamento concesso in favore della soc. Socofimm parte
cipazioni e a garanzia della restituzione da parte della mutuata
ria.
Il giudice delegato respinse tale istanza avendo ritenuto che la
garanzia ipotecaria fosse inefficace, secondo il disposto dell'art.
64 1. fall.
La banca propose opposizione avverso il decreto di esecuti
vità dello stato passivo. Dedusse che la costituzione della garanzia ipotecaria in que
ll-2) Con la pronuncia in rassegna la corte di legittimità ritorna a breve distanza di tempo su due dei temi più controversi del diritto con corsuale. proponendo soluzioni che si distaccano in diversa misura dai
precedenti più recenti. Per quanto attiene alla questione dell'individuazione della sede nella
quale il titolare di un diritto di prelazione su beni di proprietà del fallito — ma creditore di un terzo — possa far accertare la validità ed effica cia della prelazione, con conseguente affermazione del diritto a parteci pare alla distribuzione del ricavato ottenuto dalla liquidazione del ce
spite gravato dalla garanzia, Cass. 10072/03 pur dichiarando di con formarsi a Cass. 24 novembre 2000, n. 15186 (redatta dallo stesso
estensore), Foro it., 2001, I, 910, alla cui nota di richiami si rinvia, in verità ne precisa i contorni, suggerendo una soluzione più elastica che evoca, ancorché implicitamente il principio della conservazione degli atti. I giudici di legittimità hanno infatti precisato che se è vero che il terzo non creditore titolare di diritti sui beni del fallito non deve parte cipare al procedimento di accertamento dei crediti, ciò non esclude che laddove sia stato instaurato il giudizio di opposizione allo stato passivo ex art. 98 1. fall., quel giudizio possa comunque rivelarsi un'adeguata sede processuale nella quale dibattere la domanda con la quale il terzo non creditore pretende di accertare preventivamente (rispetto alla fase delle ripartizioni) la validità e l'efficacia della garanzia, posto che un
processo ordinario di cognizione è il luogo nel quale è più semplice consentire un pieno dispiegamento del contraddittorio sulle eccezioni di revocabilità della garanzia, come puntualmente era accaduto nel caso scrutinato dalla corte.
Sulla seconda questione, invece, l'inversione di rotta operata è asso luta in quanto viene rinnegato il precedente costituito da Cass. 28 mag gio 1998, n. 5264, id., 1998, I, 2405, alla cui nota si rinvia, per dare continuità a Cass. 7 giugno 1999, n. 5562, id.. Rep. 2000. voce Revo
II Foro Italiano — 2003.
stione si sottraeva alla declaratoria di inefficacia ex art. 64 I.
fall, giacché, in quanto contestuale al sorgere del credito garan tito, era da presumersi come onerosa secondo il disposto del
l'art. 2901 c.c. applicabile in tema di revocatoria fallimentare, ed altresì che per l'onerosità della garanzia deponeva anche la
circostanza del collegamento delle due società, la San Martino
in veste di controllata dalla soc. Socofimm partecipazioni, bene
ficiaria del finanziamento.
Si costituì in giudizio il curatore chiedendo il rigetto dell'op
posizione e, in via subordinata, che l'ipoteca fosse revocata ai
sensi degli art. 66 e/o 67 1. fall.
Il Tribunale di Napoli (sentenza del 4 gennaio 1999, Foro it..
Rep. 1999, voce Fallimento, nn. 498, 501) rigettò l'opposizione. La corte d'appello territoriale, con sentenza emessa il 29
maggio 2001. ha rilevato d'ufficio l'inammissibilità della «do
manda di ammissione al passivo del fallimento della s.r.l. San
Martino» con la motivazione che tale domanda «non poteva tro
vare accoglimento» né nella sede di verifica dello stato passivo né in sede di giudizio di opposizione atteso che la banca non era
creditrice della società fallita, questa essendo soltanto terzo da
tore di ipoteca per il debito della finanziata soc. Socofimm par
tecipazioni. La corte ha ritenuto che tale rilievo fosse immediatamente e
da solo sufficiente per la pronuncia di rigetto del gravame, con
assorbimento degli altri motivi d'impugnazione attinenti all'i
nefficacia ex art. 64 1. fall, dell'iscrizione ipotecaria. Tali motivi la stessa corte ha tuttavia disaminato, ritenendoli
infondati.
In relazione alla questione giuridica che detti motivi poneva no, i giudici dell'appello si sono richiamati alla pronuncia 5264/98 di questa corte (id., 1998, I, 2405) per il principio se
condo il quale «il criterio dettato dal 3° comma dell'art. 2901
c.c. per individuare la natura onerosa o gratuita di una presta zione di garanzia, ricollegandosi alla contestualità o meno con il
credito garantito, non è applicabile in sede fallimentare, ove, nell'assenza di analoghi criteri negli art. 64 e 67 1. fall., la gra tuità (o l'onerosità) va valutata caso per caso con esclusivo ri
guardo alla posizione del garante e agli effetti che l'atto, ovve
ro, eventualmente, altri ad esso funzionalmente collegati, abbia
no determinato nel suo patrimonio». Hanno poi ritenuto, con riferimento al dedotto collegamento
tra le due società, che «non era stato dimostrato alcun interesse
patrimoniale o uno specifico vantaggio economico per la fallita,
derivante dalla prestazione della garanzia ipotecaria, tale inte
resse o vantaggio economico non potendo configurarsi per la
sola appartenenza delle due società ad un gruppo nell'interesse
del quale la garanzia sarebbe stata concessa con vantaggio an
che della stessa società garante» — ed altresì che la banca non
aveva dimostrato l'esistenza di un fatto negoziale tra le due so
catoria (azione), n. 13, e alle più risalenti 2 settembre 1996, n. 7997, id., Rep. 1997, voce Fallimento, n. 430, e 20 maggio 1985, n. 3085, icl., 1986, I, 514. A tale orientamento si sono adeguate App. Milano 29
maggio 1998, id.. Rep. 1999, voce cit., n. 536, e Trib. Piacenza 9 luglio 2001, id., Rep. 2001, voce cit., n. 397, mentre a quello ora superato, Trib. Napoli 10 ottobre 2000. ibid., n. 398; Trib. Treviso 16 gennaio 1999, id., Rep. 1999, voce cit., n. 500; Trib. Napoli 4 gennaio 1999, ibid., n. 498; 8 luglio 1998, ibid., n. 499.
Nella motivazione si riconosce che molte delle argomentazioni invo cate dalla dottrina a conforto di Cass. 5264/98 sarebbero fondate, ma
poi si perviene alle conclusioni di cui alla massima sulla base di un
escamotage interpretativo che non pare del tutto convincente. I giudici di legittimità hanno ritenuto che il principio di cui all'art. 2901 c.c. sia
esportabile alla revocatoria fallimentare perché l'art. 67, 2° comma, 1. fall, riconoscerebbe sicuramente alla garanzia contestuale la natura di atto a titolo oneroso. Questa lettura non considera però che nel sistema fallimentare non è riportato l'inciso «anche per debiti altrui», ed è pro prio l'altruità del debito a far dubitare che nei confronti del fallito la
garanzia sia atto ineluttabilmente oneroso. Sul punto, cfr. S. Ambrosini, La revocatoria fallimentare delle garanzie, Milano, 2000, 44.
Un ulteriore aspetto interessante della motivazione è anche quello dal
quale sembra trasparire una certa condivisione del principio per il qua le, nei rapporti trilaterali, per valutare la gratuità od onerosità della pre stazione erogata dal fallito, ci si debba porre dall'angolo di prospettiva del patrimonio del solvens, sul punto si possono richiamare le riflessio ni di F.S. Costantino, Osservazioni in tema di adempimento di debito altrui e fallimento del «solvens» (nota a Cass. 7 dicembre 2001, n.
15515), in Foro it., 2002, I, 2455, e di D. Lambicchi, Inefficacia del
pagamento di debito altrui da parte de! fallito, in Fallimento, 2002, 1061. [M. Fabiani]
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
cietà dal quale si fosse potuto desumere l'onerosità della presta zione di garanzia «o comunque un vantaggio economicamente
valutabile per la fallita».
Ritenuta certa, dunque, la gratuità della garanzia prestata, sulla base della natura dell'atto e della sua collocazione tempo rale nel periodo indicato dalla norma di legge, e quindi la revo
cabilità dell'atto ai sensi dell'art. 64 1. fall., la corte di merito
non ha disaminato la costituzione della garanzia sotto l'ulterio
re, dedotto in via subordinata dalla curatela del fallimento, pro filo della sua revocabilità ai sensi degli art. 66 o 67 1. fall.
Avverso tale sentenza la Banca di Novara ha proposto ricorso
per cassazione, illustrato poi con memoria difensiva.
Resiste la curatela con controricorso.
Motivi della decisione. — La banca ricorrente ha formulato
tre motivi di ricorso.
Con il primo motivo ha denunciato la violazione dell'art. 342
c.p.c. La censura è svolta in questi termini: «né il giudice delegato
con il provvedimento di rigetto dell'istanza, né la curatela del
fallimento (quest'ultimo neanche in sede di opposizione e in se
de di appello) avevano rilevato l'inammissibilità della domanda
di ammissione al passivo, proposta in via principale, sotto
l'aspetto evidenziato dalla corte di merito, tant'è che il provve dimento di rigetto dell'istanza non conteneva alcun riferimento
a tale questione; dunque l'effetto devolutivo dell'appello entro i
limiti dei motivi d'impugnazione precludeva al giudice del gra vame di estendere le sue statuizioni a tale questione, non com
presa nel tema del dibattito esposto dalle parti; in definitiva la
domanda di ammissione avrebbe per ciò stesso essere ritenuta
proponibile». Il motivo è fondato, rendendosi, peraltro, immediatamente
evidente l'incongruenza logico-giuridica della statuizione di ri
getto dell'appello proposto dalla banca rispetto al rilievo, ope rato d'ufficio dalla corte di merito, della (presunta) inammissi
bilità dell'istanza di ammissione al passivo, che è atto di inizia
tiva dell'istante ex art. 93 1. fall, interno alla fase di verifica dei
crediti (salve le considerazioni di cui infra, in via generale la
mancanza, in capo all'opponente, della qualità di creditore (del
fallito) escluso o ammesso con riserva (art. 98 1. fall.) potrebbe dar luogo ancora in grado di appello
— quando un giudicato
interno sul punto non si fosse formato — ad un rilievo d'ufficio
dell'inammissibilità dell'opposizione per difetto di legittima zione dell'opponente).
Ma il «rigetto dell'appello» per l'inammissibilità dell'istanza
proposta dalla banca nella fase di accertamento dei crediti (art. 93 ss. 1. fall.) è statuizione erronea in diritto anche per altre ra
gioni. Un provvedimento di ammissione al passivo fallimentare di
un credito vantato nei confronti di una persona diversa dal fal
lito non risulterebbe conforme alla legge fallimentare (e sarebbe
dunque da ritenersi illegittimo) in quanto questa non lo prevede (v. la sentenza di questa corte n. 15186 del 2000, id., 2001, I,
910, in motivazione). Ciò non toglie che le ragioni ipotecarie del creditore iscritto
debbano essere «verificate» dagli organi del fallimento, se pur con la necessaria precisazione che l'oggetto di tale verifica non
è il credito che il suddetto creditore vanti nei confronti del suo
debitore (persona diversa dal fallito) bensì, e in sede diversa da
quella della formazione dello stato passivo, la garanzia ipoteca ria in relazione alla sua validità, attualità ed opponibilità (ad es.
con riferimento al disposto degli art. 2868, 2869 e 2870 c.c., se
gnatamente per le eccezioni relative all'ipoteca) e all'insussi
stenza di condizioni che la rendano revocabile ex art. 64 1. fall., ex art. 67 1. fall, e 2901 c.c.
Dalla necessità in ogni caso di tale verificazione (se pure non
nella fase del procedimento fallimentare destinata all'accerta
mento del passivo) discende che non è certamente precluso al
creditore ipotecario iscritto (al quale spetta di ricevere l'avviso
di cui all'art. 108, ultimo comma, 1. fall.) di richiedere al giudi ce delegato, anche in via preventiva, una pronuncia di accerta
mento della sua prelazione ipotecaria. Una questione giuridica solitamente è posta, infatti, nel senso del «se debba», non del
«se possa» tale creditore ipotecario, per l'accertamento e la rea
lizzazione del suo diritto, presentare istanza e passare attraverso
il procedimento c.d. di verificazione del passivo. L'istanza nel caso di specie presentata dalla Banca di Novara
aveva appunto tale contenuto, seppur formulato, in relazione ad
esso, in via subordinata e il giudice delegato (rigettata la richie
II Foro Italiano — 2003.
sta di ammissione al passivo), forte del principio secondo il
quale «nella fase di verifica dei crediti non è necessario, per escludere il credito o la garanzia, che venga proposta dal curato
re l'azione revocatoria, perché la legge consente al giudice de
legato l'indicata esclusione sulla semplice contestazione del cu
ratore medesimo» (Cass. n. 11029 del 2002, id., Rep. 2002, vo
ce cit., n. 475), pronunciò anche su tale istanza dichiarando che
«la garanzia ipotecaria era inefficace ai sensi dell'art. 64 1.
fall.». Conseguentemente, ben avrebbe dovuto la corte di merito ri
tenere che la domanda giudiziale proposta dalla medesima Ban
ca di Novara per contrastare l'inefficacia ex art. 64 1. fall, della
garanzia ipotecaria, ritenuta ed espressamente dichiarata dal
giudice delegato, aveva introdotto comunque, sia pure nella
forma processuale dell'opposizione ex art. 98 1. fall., un giudi zio di merito avente ad oggetto l'accertamento della validità ed
opponibilità della garanzia ipotecaria, invece esclusa dal giudice
delegato. In questo senso, del resto, e per tale contenuto, la do
manda giudiziale era stata disaminata nel merito dal tribunale, nel primo grado del giudizio.
Resta dunque cassata la sentenza ora impugnata relativamente
alla statuizione di rigetto dell'appello conseguente alla rilevata
inammissibilità dell'istanza suddetta, onde assumono rilievo le
ragioni ulteriori enunciate dalla corte napoletana sulla base delle
quali il gravame della banca è stato rigettato nel merito — fatte
oggetto, ora, del secondo e del terzo motivo di ricorso, che deb
bono essere disaminati.
11 secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 2901 c.c. e dell'art. 64 1. fall.
La censura proposta è che, sul presupposto non controverso
della contestualità della garanzia ipotecaria in questione rispetto al sorgere del credito garantito, la corte avrebbe dovuto ritenere
prestata «a titolo oneroso» la garanzia ipotecaria ed escluderne
l'inefficacia ex art. 64 1. fall., sulla base di un indirizzo giuris
prudenziale, che la ricorrente afferma consolidato, secondo il
quale anche nella sede fallimentare troverebbe applicazione il
disposto dell'art. 2901. 2° comma, c.c. circa la presunzione di
onerosità della garanzia conte'stuale al sorgere del credito pre stata anche per debito altrui.
Il motivo è fondato.
La corte di merito ha mostrato di ben conoscere i termini
della questione, diffusamente trattata nella sentenza ora impu
gnata così come in maniera altrettanto diffusa e completa era
stata esposta e trattata dalla richiamata sentenza del tribunale.
Tuttavia le conclusioni fatte proprie dalla stessa corte di me
rito, in adesione all'isolata pronuncia di questa corte n. 5264 del
1998, non possono essere tenute ferme.
Non può negarsi che. nella ricostruzione dell'una e dell'altra
sistemazione normativa della revoca degli atti pregiudizievoli ai
creditori, siano meritevoli di attenzione quelle posizioni dottri
nali alle quali implicitamente si è richiamata la sentenza n. 5264
del 1998; che anzi, alle stesse deve riconoscersi di aver corret
tamente individuato, nel confronto tra le due norme (l'art. 2901
c.c. e l'art. 64 1. fall.), sia la diversa direzione della tutela (cen
tralità, nel sistema codicistico, della posizione del creditore ga rantito, in relazione agli (alla revocatoria degli) atti costitutivi di
garanzia, in una valutazione equilibrata e di contemperamento
degli interessi (dei creditori) contrapposti — esclusività, nel si
stema fallimentare, della tutela degli interessi dei creditori del
fallito) sia la diversità del punto prospettico dal quale dovrebbe
essere necessariamente valutata l'onerosità o meno della garan zia (del creditore mutuante, nel sistema codicistico. del fallito
prestatore della garanzia per debito altrui, e nei termini di van
taggio che egli consegua dalla prestazione di garanzia, nel si
stema fallimentare).
Sennonché, come la pronuncia di questa corte n. 3985 del
1985, id., 1986, I, 514 (dalla quale sono riprese le parti qui di
seguito virgolettate), che già interveniva a consolidare un
orientamento giurisprudenziale, e le successive n. 7997 del 1996
(id.. Rep. 1997, voce cit., n. 430) e n. 5562 del 1999 {id., Rep. 2000, voce Revocatoria (azione), n. 13) hanno posto in eviden
za, attraverso un rilievo decisivo che toglie fondamento alla pur
(in astratto) coerente ricostruzione dogmatica dinanzi ricordata,
l'onerosità della garanzia contestuale è comune ad entrambe le
discipline, del codice civile e della legge fallimentare, e costi
tuisce un dato comune all'uno e all'altro sistema revocatorio e
del sistema stesso unitariamente considerato. La norma dell'art.
67, 2° comma, 1. fall., che equipara ad ogni altro atto a titolo
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2627 PARTE PRIMA 2628
oneroso quelli «costitutivi di un diritto di prelazione per debiti
contestualmente creati», ripropone, infatti, nel sistema falli
mentare, il precetto contenuto nell'art. 2901, 2° comma, c.c.,
per il quale «le prestazioni di garanzia, anche per debito altrui, sono considerate atti a titolo oneroso, quando sono contestuali al
credito garantito». Ne discende che quel carattere di onerosità, «proprio del rap
porto obbligatorio principale» che la norma codicistica ha im
presso alla prestazione di garanzia contestuale al credito garan tito «indipendentemente dalle vicende che attengono al rapporto interno garante-debitore (nel caso di garanzia per debito altrui)» risulta riservato nella revocatoria fallimentare sul fondamento
dell'identità di quella ragione che «ha indotto il legislatore a
ravvisare l'onerosità dell'atto di garanzia nella disciplina della
revocatoria ordinaria».
Nel sistema fallimentare è riproposto, dunque, quello stesso
nesso di corrispettività tra la prestazione di garanzìa e la con
cessione del credito che la norma codicistica ha tenuto in consi
derazione con riferimento all'intera fattispecie composita, nella
quale «al rapporto terzo-creditore si aggiunge il rapporto terzo
debitore», senza che assuma una qualche rilevanza, come possi bile sostegno alla tesi contraria, la formulazione della norma
dell'art. 67 1. fall, nell'omessa riproposizione dell'inciso anche
per debiti altrui, che anzi, proprio in considerazione dell'am
piezza e della generalità di tale formulazione non appaiono tro
vare spazio interpretazioni restrittive (in questi termini, la sen
tenza n. 7997 del 1996). Di qui, a fronte del dato normativo, l'infondatezza della tesi
secondo la quale la qualificazione come onerosa della presta zione di garanzia dovrebbe essere compiuta esclusivamente dal
punto di vista del fallito (garante), con la conseguenza ulteriore
che restano del tutto irrilevanti sia una indagine del rapporto tra
il garante (fallito) e il debitore, sia un accertamento volto a sta
bilire se. al momento in cui prestava la garanzia ipotecaria e
quale corrispettivo per la prestazione stessa, il fallito (nel caso
di specie, la soc. San Martino) avesse conseguito o meno un
corrispettivo, o un vantaggio economico, da parte del debitore
principale (la soc. Socofimm partecipazioni, mutuataria della
Banca popolare di Novara, e debitrice principale di quest'ulti ma).
Perdono conseguentemente ogni rilievo, nel caso di specie, le
considerazioni svolte dai giudici di merito sul tema specifico della possibile onerosità della garanzia prestata dal fallito per debito altrui nell'ipotesi in cui tra il garante fallito e il mutuata
rio sussista quel particolare rapporto di collegamento societario
(sul quale intervenne la sentenza n. 9532 del 1997, id., Rep. 1998, voce Fallimento, n. 402, che la banca ora ricorrente ha ri
chiamato). Accolto dunque tale motivo, la sentenza resta cassata con rin
vio, anche in funzione della decisione sulla revocabilità della
garanzia ipotecaria di che trattasi ai sensi degli art. 66 e 67 1.
fall., che la curatela ha prospettato in via subordinata.
Riguardo alla contestazione dell'inefficacia della garanzia medesima, come ritenuta dal giudice delegato ai sensi dell'art.
64 1. fall., il giudice del rinvio si atterrà al seguente principio di
diritto «con riguardo ad un atto costitutivo di garanzia prestato dal terzo contestualmente all'erogazione di un credito in favore
di altro soggetto, il principio stabilito per l'azione revocatoria
ordinaria dall'art. 2901, 2° comma, c.c. — secondo il quale le
prestazioni di garanzia, anche per debiti altrui, sono considerate
atti a titolo oneroso quando sono contestuali al sorgere del cre
dito garantito — è estensibile anche al sistema revocatorio fal
limentare, essendo tale principio coerente con la natura intrinse
ca dell'atto (di prestazione di garanzia), il quale nei confronti
del soggetto erogatore del finanziamento non può essere consi
derato gratuito — con conseguente inapplicabilità dell'art. 64 1.
fall, (salva la revoca ex art. 67, 2° comma, 1. fall.) — perché
viene a porsi in relazione di corrispettività con la contestuale
erogazione del credito».
Resta assorbito il terzo motivo del ricorso che censurava la
sentenza per l'automatica — immediatamente fatta derivare
dall'inapplicabilità al caso di specie della norma dell'art. 2901 c.c. —
qualificazione di gratuità (erroneamente data dalla corte
di merito atteso che, quand'anche si seguisse la ricostruzione
operata dalla richiamata dottrina e dalla sentenza n. 5264 del
1998, il curatore resterebbe pur sempre onerato della prova circa
la gratuità, come anche quella dottrina riconosce) della presta zione di garanzia ipotecaria in questione.
Il Foro Italiano — 2003.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 17 giu
gno 2003, n. 9683; Pres. Mileo, Est. Stile, P.M. Gialanella
(conci, conf.); Luzietti (Avv. Valentini) c. Giangiuliani (Avv. Pettinar!). Conferma Trib. Civitavecchia 28 luglio 2000.
Famiglia (regime patrimoniale della) — Impresa familiare
— Utili — Partecipazione — Misura — Predeterminazio
ne delle quote ai fini fiscali — Utilizzabilità in sede civile — Limiti (Cod. civ., art. 230 bis).
Nelle controversie relative alla misura della partecipazione agli utili di un 'impresa familiare può essere utilizzato, con valore
di elemento presuntivo, l'atto di predeterminazione delle
quote formato ai fini fiscali. (1)
Motivi della decisione. — (Omissis). Va premesso che la fat
tispecie costitutiva dell'impresa familiare (art. 230 bis c.c.) è
l'esercizio continuativo di attività economica — in funzione di
imprenditore oppure di «partecipante» — da parte di un gruppo
familiare, mentre sembra prescindere da qualsiasi dichiarazione
di volontà, anche per «fatti concludenti».
Tale principio è tuttavia da intendersi in senso meramente ne
gativo, nel senso, cioè, di escludere che — per integrare l'im
presa familiare — debba necessariamente concorrere una di
chiarazione di volontà (o addirittura, un negozio giuridico), ma
non nel senso che una dichiarazione siffatta sia incompatibile con la configurazione di un'impresa familiare, sempre che non
sia in contrasto con norme imperative (v., per tutte, Cass. 16
aprile 1992, n. 4650, Foro it., Rep. 1993, voce Famiglia (regi me patrimoniale), n. 44).
In tale prospettiva, quindi, deve essere interpretata — tra
l'altro — anche la disposizione (art. 9 1. 576/75, integrativo del
l'art. 5 d.p.r. 597/73, recante istituzione e disciplina dell'impo sta sul reddito delle persone fisiche -
Irpef), che subordina la
prevista imputazione, pro quota, del reddito dell'impresa fami
(1) Gli art. 5 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 597, 9 1. 2 dicembre 1975 n. 576 e 3 d.l. 19 dicembre 1984 n. 853, convertito con 1. 17 febbraio 1985 n. 17, che dettavano la disciplina del trattamento tributario dei redditi di impresa familiare (poi sostituita da quella contenuta nell'art. 5 d.p.r. 22 dicembre 1986 n. 917, attualmente vigente), nel consentire la loro imputazione a ciascuno dei partecipanti, la subordinavano tra l'altro alla condizione che la relativa quota fosse stata fissata, prima dell'inizio dell'anno finanziario, con atto pubblico o scrittura privata autenticata. Alle risultanze di tale documento, sebbene prescritto esclu sivamente a fini fiscali, la sentenza in rassegna ha riconosciuto rilevan za anche civilistica, ritenendole idonee di per sé a dimostrare in via
presuntiva, in difetto di prova contraria, l'entità della partecipazione al
l'impresa familiare e quindi del diritto agli utili, di cui sia controversa tra gli interessati la misura. La stessa efficacia probatoria era stata attri buita all'atto di predeterminazione delle quote da Cass. 16 aprile 1992, n. 4650, Foro it.. Rep. 1993, voce Famiglia (regime patrimoniale), n.
44, citata in motivazione; 25 luglio 1992, n. 8959, id.. Rep. 1992, voce cit., n. 71; 4 agosto 1998, n. 7655, id.. Rep. 1998, voce cit., n. 57.
Non constano precedenti relativi alla nuova regolamentazione della materia, con la quale si è stabilito che prima dell'inizio del periodo d'imposta, con atto pubblico o scrittura privata autenticata, debbono es sere indicati nominativamente i familiari partecipanti all'impresa, mentre le rispettive quote vanno specificate nella dichiarazione dei red diti dell'imprenditore, con l'attestazione che esse corrispondono alla
qualità e quantità del lavoro effettivamente prestato. In tema di distribuzione degli utili derivanti dall'esercizio di un'im
presa familiare, v. Cass. 2 aprile 1992, n. 4057, id.. Rep. 1992, voce cit., n. 67 (secondo cui essi vanno calcolati al netto delle spese affron tate per il mantenimento dell'avente diritto, poiché queste incidono sul reddito aziendale e ne costituiscono un elemento negativo); 6 marzo
1999, n. 1917, id., Rep. 1999, voce cit.. n. 95 (con cui si è deciso che nella quantificazione degli apporti lavorativi possono essere differen ziati quelli del titolare e del partecipante, ove il primo risulti più gravo so per le maggiori responsabilità assunte); 9 ottobre 1999, n. 11332, id., 2000, I. 514 (circa la non utilizzabilità, come criterio di liquidazione, del parametro della retribuzione spettante a un lavoratore subordinato che svolga la stessa attività, in quanto il suo ammontare prescinde dai risultati conseguiti, ai quali invece va commisurato il diritto di cui si
tratta); 22 ottobre 1999, n. 11921. id.. Rep. 1999, voce cit., n. 101 (re lativa al tempo della maturazione del diritto alla percezione, che deve essere individuato, salvo diversa pattuizione, nel momento della cessa zione del rapporto, da cui decorrono anche gli interessi e la rivalutazio ne monetaria, essendo gli utili normalmente destinati al reimpiego nel l'azienda e all'acquisto di beni).
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