sezione I civile; sentenza 26 febbraio 2002, n. 2776; Pres. Losavio, Est. Criscuolo, P.M. Uccella(concl. conf.); Soc. Simod e altri (Avv. Di Gravio, Tremonti, Mardegan) c. Proc. gen. Cass. ealtri. Dichiara inammissibile ricorso avverso App. Venezia 5 ottobre 1999Source: Il Foro Italiano, Vol. 125, No. 6 (GIUGNO 2002), pp. 1717/1718-1719/1720Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23198500 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
pretazione della legge nel paese di riferimento postulerebbe in
ogni caso l'attribuzione di un'efficacia vincolante al precedente nell'ambito di quell'ordinamento.
Legittimamente pertanto il decreto impugnato ha escluso la
necessità di acquisire i criteri seguiti in concreto nello Stato del Camerun nell'applicazione della disposizione in esame, corret tamente identificando i «criteri d'interpretazione e di applica zione nel tempo» della legge straniera cui l'art. 15 impone di far
riferimento nei principi interpretativi e nelle regole temporali che caratterizzano detta legge nel suo ordinamento di apparte nenza.
Né può indurre a diverse conclusioni l'erroneità del richiamo
formulato nel decreto stesso ad un onere della parte interessata
di fornire la prova della diversa portata della norma dalla mede
sima prospettata: ed invero l'improprietà del denunciato pas
saggio argomentativo — stante la mancanza di un onere proba
torio della parte in relazione ad un accertamento riservato al
l'ufficio del giudice — non incide sulla correttezza della deci
sione, avendo comunque la corte territoriale proceduto ad
un'interpretazione della legge nazionale straniera del tutto con
forme al dato testuale, non contrastata da profili d'illogicità o
arbitrarietà e ritenuta la più rispondente ai principi di ordine pubblico internazionale ed interno.
Considerato peraltro che, come già rilevato nell'esposizione in fatto che precede, la corte d'appello ha ravvisato un termine
di decadenza solo con riferimento alla prima fattispecie conside
rata nella legge camerunese, e non anche alla seconda, relativa
alla cessazione della prestazione di «alimenti», prendendo in
esame la tesi diretta ad estendere l'operatività del termine anche
in relazione a detta ipotesi solo per esigenze di completezza
espositiva («anche a voler accedere all'interpretazione prospet tata dal reclamante»), e ritenuto che l'interpretazione assunta in
via principale non è stata espressamente censurata dal ricorren
te, che non ha formulato specifici rilievi critici al riguardo, ap paiono chiaramente non conferenti le ulteriori doglianze volte a
sostenere in linea generale la compatibilità di termini di deca
denza per la proposizione dell'azione in discorso con i principi di ordine pubblico internazionale ed interno.
Con il quarto motivo, denunciando violazione dell'art. 46
della legge camerunese (ordinanza 29 giugno 1981, n. 81-02), dell'art. 443 c.c. e dell'art. 12 disp. sulla legge in generale, in
relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c., si sostiene che la corte territo
riale ha erroneamente ritenuto, ravvisando l'impossibilità d'in
dividuare i criteri interpretativi della legge straniera sul punto, che il termine «alimenti» in essa adottato sia comprensivo di
qualsiasi anche minima prestazione erogata in favore del mino
re: si osserva al riguardo che se tale concetto non può essere de
finito secondo la normativa locale non può che farsi riferimento
a quello recepito nella legislazione italiana, la quale identifica
come alimenti una prestazione che rivesta i caratteri della perio dicità e della sufficienza a soddisfare le esigenze di vita del be
neficiario. Il motivo è infondato. Correttamente invero la corte d'appello
ha ritenuto che il termine «alimenti», indicato nella legge came
runese senza alcun riferimento ad elementi volti a definirne
l'entità ed a fissarne la consistenza, sia da intendere come com
prensivo di qualsiasi prestazione periodica, in natura o in dena
ro, effettuata dal presunto genitore in favore del minore, tenuto
conto che elargizioni siffatte, ispirate a totale spontaneità e po ste in essere in assenza di un accertamento legale della paternità e di un provvedimento del giudice, restano logicamente svinco
late da qualsiasi criterio di adeguatezza a soddisfare i bisogni esistenziali del destinatario e rilevano ai fini della norma consi
derata unicamente come elementi sintomatici di un rapporto da
accertare in via giudiziaria. Con il quinto motivo, denunciando violazione dell'art. 46
della legge camerunese (ordinanza 29 giugno 1981, n. 81-02) in relazione all'art. 360, nn. 3 e 4, c.p.c., si denuncia l'errore del
decreto impugnato per aver affermato che le prestazioni in favo
re della bambina si erano protratte per un periodo tale da non far
scattare la decadenza biennale, risultando in atti al contrario che
esse avevano avuto luogo soltanto per qualche mese dopo la na
scita. Si aggiunge che il decreto stesso ha erroneamente affer
mato che il Regoli non aveva contestato le circostanze dedotte
dalla parte istante al riguardo. Il motivo è inammissibile. Ed invero la già rilevata mancanza di censure al decreto im
pugnato nella parte in cui ha ritenuto non operante il termine di
Il Foro Italiano — 2002.
decadenza nell'ipotesi in esame priva il ricorrente di interesse a
dolersi — peraltro formulando censure non riconducibili al vi
zio di «violazione di legge» di cui all'art. 111 Cost. — dell'ac
certamento svolto nel decreto stesso per mere esigenze di com
pletezza espositiva circa la protrazione delle prestazioni in natu
ra o in denaro effettuate in favore della bambina sino ad una data successiva ai due anni precedenti la proposizione dell'a
zione.
Il ricorso deve essere in conclusione rigettato.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 26 feb braio 2002, n. 2776; Pres. Losavio, Est. Criscuolo, P.M. Uc
cella (conci, conf.); Soc. Simod e altri (Avv. Di Gravio,
Tremonti, Mardegan) c. Proc. gen. Cass. e altri. Dichiara
inammissibile ricorso avverso App. Venezia 5 ottobre 1999.
Società — Società di capitali — Controllo giudiziario — De creto delia corte d'appello
— Ricorso straordinario per cassazione — Inammissibilità (Cost., art. Ill; cod. civ., art.
2409).
Non è ammesso ricorso per cassazione avverso il decreto con
cui la corte d'appello abbia dichiarato inammissibile il re
clamo proposto nei confronti di un provvedimento di ispezio ne della società disposto dal tribunale nell 'ambito del proce dimento ex art. 2409 c.c. (1)
(1) Ancora una volta la Cassazione è chiamata a pronunciarsi su un
provvedimento emesso nell'ambito del procedimento di controllo giu diziario derivante dalla denuncia di gravi irregolarità di gestione ex art. 2409 c.c. (a testimonianza di quanta litigiosità si celi dietro la rassicu rante etichetta di giurisdizione volontaria con cui tali procedimenti so no catalogati) e ne trae occasione per consolidare e ribadire il proprio orientamento negativo in ordine all'ammissibilità, in siffatto procedi mento, del ricorso straordinario previsto dall'art. 111 Cost. Inammissi bilità che discende proprio dal carattere non contenzioso attribuito ai
provvedimenti che il giudice emette all'esito del procedimento in que stione: idonei sì ad incidere anche su diritti soggettivi (come tipica mente accade in quei più gravi casi in cui si perviene alla revoca di amministratori e sindaci) ma non per questo destinati a risolvere un conflitto tra contrapposte posizioni soggettive né ad assumere il caratte re di definitività proprio del giudicato. In tal senso, da ultimo, Cass. 16
giugno 2000, n. 8226, Foro it., Rep. 2000, voce Società, n. 770; 18
aprile 2000, n. 5001, ibid., n. 771, e 26 giugno 1998, n. 6315, id., Rep. 1998, voce cit., n. 692.
Due sole brecce si sono aperte nel corso degli ultimi decenni in que sta massiccia giurisprudenza negativa dell'ammissibilità del ricorso. L'una riguarda (meglio si dovrebbe ormai dire: riguardava) il caso in cui il decreto emesso dalla corte d'appello, su reclamo avverso il prov vedimento di primo grado del tribunale, abbia ad oggetto questioni atti nenti al rito e tali, perciò, da mettere in gioco i diritti processuali di una delle parti; l'altra concerne le statuizioni del giudice di merito in tema di spese processuali. Mentre, però, la prima di tali brecce — anche per effetto della pronuncia in epigrafe — appare ormai del tutto turata, re sta aperta l'altra. La Cassazione, infatti, continua ad affermare l'am missibilità del ricorso straordinario avverso il capo della pronuncia eventualmente concernente le spese del procedimento, posto che questo tipo di statuizioni riguarderebbe comunque un contrasto tra le parti vertente su diritti soggettivi (cfr., da ultimo, Cass. 8 maggio 2001, n.
6365, id., 2002, I, 830, con osservazioni critiche di P. Gallo, La con danna alle spese nel procedimento camerale previsto dall'art. 2409
c.c. ed il regime d'impugnazione della pronuncia, cui si rinvia per ogni ulteriore riferimento di dottrina e di giurisprudenza).
Ad affermare l'ammissibilità del ricorso straordinario per cassazione
avverso la decisione della corte d'appello che, nel procedimento ex art.
2409 c.c., avesse violato il diritto processuale di una delle parti, era
stata invece, piuttosto inaspettatamente, Cass. 16 marzo 1993, n. 3127,
id., 1995, I, 975, con nota di A. Barone. Con quella pronuncia la Cas
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PARTE PRIMA
Svolgimento del processo. — Con decreto del 28-30 luglio
1999 il Tribunale di Padova, pronunziando in un procedimento
promosso dal p.m. ai sensi dell'art. 2409 c.c. a seguito di una
verifica della guardia di finanza, dispose l'ispezione dell'ammi
nistrazione della società Simod s.p.a. e nominò un ispettore giu diziario.
La società Simod, nonché Paolo Sinigaglia, Maria Angela Carrara, Ubaldo Gastaldi, Odino Bertin, Giovanni Busetto, Ed
gardo Francon e Gianfranco Giustozzi, quali amministratori e
sindaci della stessa Simod s.p.a., proposero reclamo alla Corte
d'appello di Venezia contro il suddetto provvedimento. Ma la
corte territoriale, con decreto depositato il 5 ottobre 1999, con
siderato che gli atti con finalità istruttorie adottati nell'ambito
del procedimento ex art. 2409 c.c. non hanno carattere definiti
vo e dunque non sono immediatamente impugnabili (salva la fa
coltà delle parti di chiederne la revoca allo stesso giudice che li
ha emessi), dichiarò inammissibile il reclamo. Contro il decreto ora indicato Simod s.p.a., nonché Paolo Si
nigaglia, Maria Angela Carrara, Ubaldo Gastaldi ed Odino Ber
tin (quali amministratori), e Giovanni Busetto, Edgardo Francon
e Gianfranco Giustozzi (quali sindaci della società medesima) hanno proposto ricorso straordinario per cassazione, ai sensi
dell'art. Ill Cost., affidato ad un unico articolato motivo illu
strato con memoria.
Gli intimati (procuratore generale della repubblica presso la
Corte d'appello di Venezia e procuratore della repubblica pres so il Tribunale di Padova) non hanno svolto attività difensiva.
Motivi della decisione. — Con l'unico mezzo di cassazione i
ricorrenti — richiamata, in punto di ammissibilità dell'impu gnazione, la pronunzia di questa corte n. 3127 del 16 marzo
1993 (Foro it., 1995, I, 975) — adducono violazione degli art.
2409 c.c., 103 disp. att. c.c., 738 c.p.c., 742 bis c.p.c., 739 c.p.c. Il provvedimento impugnato sarebbe viziato perché contra
stante tanto con l'interpretazione letterale, quanto con quella si
stematica delle norme citate.
Invero, l'art. 2409 c.c. non distinguerebbe tra provvedimenti istruttori e provvedimenti decisori. Per tutti l'art. 103 disp. att.
c.c. stabilirebbe l'adozione con la forma del decreto, onde do
vrebbe ritenersi che questo, in difetto di deroghe, segua la re
gola generale della reclamabilità immediata (ex art. 742 bis in
relazione all'art. 739 c.p.c.). Inoltre il provvedimento d'ispezione avrebbe carattere inqui
sitorio, e non già istruttorio in senso proprio, e sarebbe suscetti
bile di sacrificare direttamente diritti della società.
L'art. 738, 3° comma, c.p.c., poi, prevedendo la possibilità
per il giudice di assumere informazioni, contemplerebbe nei
sazione aveva colto il destro per tentare di risolvere (in senso positivo) anche l'annosa questione della reclamabilità in appello del decreto con cui il tribunale disponga l'ispezione della società designando all'uopo un ispettore e riservandosi di eventualmente procedere alla revoca di amministratori e sindaci, o all'emissione di altro provvedimento caute
lare, solo all'esito degli accertamenti ispettivi. Ma se quello era lo sco
po perseguito allora dai giudici della Suprema corte, non può dirsi dav vero che esso sia stato realizzato, perché la questione è rimasta aperta, ed anzi sembra da ultimo vada rafforzandosi tra le corti territoriali la tendenza a considerare irreclamabile in appello — per il suo contenuto meramente istruttorio — il decreto di ispezione della società emesso dal tribunale (in tal senso, oltre ad App. Venezia 5 ottobre 1999, che ha dato occasione al ricorso per cassazione dichiarato inammissibile con la
pronuncia in epigrafe, cfr. App. Roma 28 maggio 1998 e 16 gennaio 1999, id., Rep. 1999, voce cit„ nn. 898 e 899, e Giur. it., 1999, 1888). Quanto, invece, alla possibilità di ricorso in Cassazione per violazione di diritti processuali nell'ambito del medesimo citato procedimento ex art. 2409, l'indirizzo inaugurato da Cass. 3127/93 è stato successiva mente smentito da Cass. 24 novembre 2000, n. 15173, Foro it., Rep. 2000, voce cit., n. 769, e da Cass. 21 giugno 1999, n. 6241, id., 2000, I, 588, con nota di P. Gallo, Inammissibilità del reclamo avverso il prov vedimento di ispezione della società e ricorso straordinario per cassa zione (ove ulteriori, ampi richiami anche di dottrina sull'argomento), avendo la Suprema corte argomentato che con la pronuncia sull'osser vanza delle norme che regolano il processo si disciplinano i presuppo sti, i modi ed i tempi con i quali la domanda può essere portata all'esa me del giudice, sicché detta pronuncia necessariamente partecipa della stessa natura dell'atto giurisdizionale cui il processo è preordinato e ne condivide perciò anche la non ricorribilità in Cassazione. La sentenza in epigrafe, ponendosi dichiaratamente nel solco di queste ultime deci
sioni, ha l'aria di chiudere definitivamente su questo punto la partita. [R. Rordorf]
Il Foro Italiano — 2002.
procedimenti camerali una «fase istruttoria», la quale potrebbe assumere maggiore o minore carattere inquisitorio secondo il ti
po di procedimento. Quello ex art. 2409 c.c. sarebbe retto dal
principio dell'iniziativa di parte e del contraddittorio, onde il
relativo potere del giudice dovrebbe ritenersi «affievolito» e li
mitato alla disponibilità d'ufficio delle prove. Il detto potere, quindi, andrebbe esercitato prima dell'emissione di ogni prov
vedimento, compreso quello d'ispezione, che non farebbe parte della fase istruttoria del procedimento camerale de quo, ma sa
rebbe ad essa successivo ed andrebbe perciò adottato dopo tale
fase, essendo suscettibile di sacrificare direttamente importanti diritti (alla riservatezza e patrimoniali) della società.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Questa corte ha ripetutamente affermato che, in tema di prov vedimenti resi sulla denunzia d'irregolarità nella gestione di una
società (art. 2409 c.c.), i decreti pronunciati dalla corte d'ap
pello a seguito di reclamo avverso le statuizioni del tribunale
non possono formare oggetto di ricorso per cassazione, ancor
ché ai sensi dell'art. 111 Cost., perché essi sono atti di volonta
ria giurisdizione e non assumono carattere contenzioso, neppure
quando contengono la revoca degli amministratori e/o dei sin
daci. Si tratta di provvedimenti assunti nell'interesse della so
cietà ad una corretta amministrazione, che si esauriscono in mi
sure cautelari e provvisorie. Essi, pur coinvolgendo diritti sog
gettivi, non pronunciano al riguardo per definire un conflitto tra
parti contrapposte con attitudine ad acquistare autorità di giudi cato (tra le più recenti, cfr. Cass. 24 novembre 2000, n. 15173,
id., Rep. 2000, voce Società, n. 769; 16 giugno 2000, n. 8226,
ibid., n. 770; 18 aprile 2000, n. 5001, ibid., n. 771; 26 giugno 1998, n. 6315, id., Rep. 1998, voce cit., n. 692; 2 ottobre 1997, n. 9636, id., 1998,1, 3634).
Il collegio condivide questo orientamento, al quale intende
dare continuità. Né esso è infirmato dal richiamo alla sentenza
di questa corte n. 3127 del 1993, superata dalla giurisprudenza successiva.
Infatti, con indirizzo ormai costante, si è precisato che l'i
nammissibilità del ricorso per cassazione sussiste anche nell'i
potesi in cui il giudice di secondo grado si sia pronunziato per l'inammissibilità del proposto reclamo, in quanto le censure re
lative ad asserite inosservanze di norme regolanti la procedura non possono fruire di strumenti processuali diversi da quelli
previsti per le doglianze relative al merito del giudizio, avuto ri
guardo alla funzione strumentale (rispetto alla definizione del
procedimento) svolta dalle norme processuali, dirette a discipli nare i presupposti, i tempi ed i modi con i quali la domanda può essere portata all'esame del giudice (così, Cass. 24 novembre
2000, n. 15173, in motivazione, e giurisprudenza ivi richiama
ta). E si è chiarito che, se i provvedimenti adottati ai sensi del
l'art. 2409 c.c. non hanno il carattere della decisorietà (necessa rio affinché possa essere proposto il ricorso straordinario ex art.
111 Cost.), tale carattere non diventa ravvisabile soltanto perché il decreto abbia pronunziato sulla sussistenza dei «diritti proces suali» coinvolti (Cass. n. 11729 del 1998, id., Rep. 1998, voce
cit., n. 691, e giurisprudenza ivi richiamata). La tesi secondo cui la negazione in via pregiudiziale del re
clamo (in quanto sia pronunciata in violazione di legge) costi
tuirebbe provvedimento definitivo, perché non soggetto a sua
volta a reclamo, e tale provvedimento sarebbe lesivo in via de
finitiva di situazione giuridica processuale, qualificabile come
diritto, non persuade. Infatti, il provvedimento d'inammissibi
lità del reclamo avverso un atto (peraltro non conclusivo) del
procedimento non può acquisire caratteri di definitività e deci
sorietà che vengono negati agli atti terminali del procedimento stesso (la medesima sentenza n. 3127 del 1993 li definisce «atti
di volontaria giurisdizione, privi del carattere contenzioso per ché diretti ad assicurare una corretta amministrazione nell'inte
resse della società», come tali inidonei ad incidere su posizioni di diritto soggettivo e quindi insuscettibili di ricorso per cassa
zione ex art. 111 Cost.). Né sembra che si possa pervenire a di
versa conclusione sul rilievo che la lesione sarebbe arrecata ad
una situazione giuridica processuale, dovendosi replicare che
quella (asserita) lesione riguarda una situazione giuridica stru
mentale rispetto ai procedimento al quale inerisce, dalle cui ca
ratteristiche è qualificata. Dalle conclusioni esposte consegue l'inammissibilità del ri
corso.
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