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sezione I civile; sentenza 26 gennaio 2000, n. 845; Pres. Sensale, Est. Losavio, P.M. Nardi (concl.conf.); Monterosso (Avv. Di Maio, Procaccini) c. Soc. Monterosso Vincenzo e altro. Dichiarainammissibile ricorso avverso Trib. Napoli 3 dicembre 1996Source: Il Foro Italiano, Vol. 123, No. 5 (MAGGIO 2000), pp. 1621/1622-1623/1624Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23194761 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
tesi di inammissibilità ed il richiamo, contenuto nell'art. 342
c.p.c., all'art. 163.
Gli argomenti addotti non appaiono convincenti.
Va innanzitutto rilevato che è puramente assiomatica l'affer
mazione della tassatività dell'applicazione delle conseguenze della
inammissibilità, con la conseguenza che ogni ipotesi di diffor
mità dell'atto d'impugnazione, rispetto al modello che lo preve
de, non espressamente sanzionata con l'inammissibilità, induca
la nullità dell'atto, con applicazione della relativa sanatoria, quan
do la difformità superi la mera irregolarità e non raggiunga
le soglie dell'inesistenza.
L'art. 163 c.p.c. indica il contenuto della citazione di primo
grado, mentre il successivo art. 164 c.p.c. [testo originario] ol
tre ad individuare le nullità di tale citazione conteneva una di
sposizione secondo cui «la costituzione del convenuto sana ogni
vizio della citazione, ma restano salvi i diritti anteriormente que
siti nei casi richiamati nel comma precedente» (2° comma).
L'art. 342 c.p.c. [testo originario] stabiliva che «l'appello si
propone con citazione contenente l'esposizione sommaria dei
fatti ed i motivi specifici dell'impugnazione, nonché le indica
zioni prescritte nell'art. 163».
Il problema che si pone è quello di stabilire se, in difetto
di qualsiasi richiamo all'art. 164, l'interprete possa, in tema di
vizi dell'atto di appello, ritenere applicabile questa norma e,
quindi, affermare la sanatoria di tali vizi attraverso la costitu
zione dell'appellato. Ritiene il collegio che questa disposizione non sia applicabile
in tema di appello in virtù del rinvio generale contenuto nel
l'art. 359 c.p.c., in quanto, al fine dell'applicabilità delle norme
dettate per il procedimento di primo grado, è necessario che
tali norme superino il giudizio di compatibilità con le disposi
zioni del capo II del libro II del codice di rito.
Questo giudizio di compatibilità non è superato dall'art. 164,
2° comma, c.p.c.
Scopo dell'atto di citazione di primo grado è quello di costi
tuire il rapporto giuridico processuale.
Scopi dell'atto di appello sono, oltre quello della costituzione
del rapporto giuridico processuale di impugnazione, quello di
evitare il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado,
attraverso la denuncia della sua pretesa ingiustizia.
La costituzione del convenuto, nel giudizio di primo grado,
sana i vizi dell'atto di citazione, perché consente il raggiungi
mento dello scopo dell'atto.
La costituzione dell'appellato, nel giudizio di appello, idoneo
a raggiungere uno dei suoi scopi (costituzione del rapporto giu
ridico processuale), è inidoneo a raggiungere l'altro (impedimento
del passaggio in giudicato della sentenza impugnata), che si con
segue solo con il comportamento dell'appellante conforme alle
previsioni di cui all'art. 342 c.p.c., senza alcuna possibilità per
l'appellato di rimuovere gli effetti che derivano dalla inosser
vanza di quest'ultima norma, attesa l'indisponibilità degli effet
ti stessi o per l'appellante di rimediare alla nullità attraverso
la specificazione dei motivi in corso di causa.
La rilevata inapplicabilità dell'art. 164, 2° comma, c.p.c. al
l'atto di appello, redatto in violazione dell'art. 342 c.p.c., non
esclude però che si sia in presenza di un atto nullo, perché lo
stesso è inidoneo a raggiungere uno dei suoi scopi (art. 156,
2° comma, c.p.c.) e siffatta nullità, non sanabile dall'appellato
con la sua costituzione e rilevabile d'ufficio dal giudice, trattan
dosi di accertare la formazione del giudicato interno — salvo
il potere dell'appellante di rinnovare l'atto privo dei vizi di cui
al citato art. 342 c.p.c., nel rispetto dei termini fissati dalla
legge e prima della dichiarazione d'inammissibilità (arg. ex art.
358 c.p.c.) — va sanzionata, ove non si verifichi quest'ultima
evenienza, con la pronuncia d'inammissibilità dell'appello pro
posto, proprio perché il giudice, rilevato il vizio dell'atto, indu
cente il passaggio in giudicato della sentenza, non può non rile
vare che il giudizio d'impugnazione non può giungere alla sua
naturale conclusione e cioè al giudizio sulla denunciata ingiusti
zia della pronuncia impugnata.
Seppure il codice di rito si limita, in tema di appello e di ricorso per cassazione, a prevedere l'inammissibilità come con
seguenza di determinati atti o comportamenti e a dettare le con
seguenze della stessa (art. 358 e 387 c.p.c.), ritiene il collegio
che tale sanzione deve ritenersi applicabile ogniqualvolta si sia
in presenza di un atto di appello che, per il momento in cui
è compiuto (si pensi, tanto per fare un esempio, all'impugna
li. Foro Italiano — 2000.
zione proposta oltre i termini fissati dalla legge) o perché con
trario ad atti o comportamenti precedenti o contemporanei alla
proposizione dell'atto (acquiescenza parziale o totale: art. 329
c.p.c.) o per la sua difformità rispetto al modello che lo preve
de (violazione dell'art. 342 c.p.c.) non consentono al giudice di accedere all'esame, nel merito, della revisio prioris instantiae
richiesta, qualora questi vizi non possano venire meno né attra
verso la cooperazione dell'appellato, né attraverso il comporta
mento dell'appellante. La nullità della citazione, come è stato acutamente osservato
in dottrina, se è veramente tale — e tale è l'appello proposto
sulla base di motivi non specifici — rende inammissibile l'ap
pello, perché citazione d'appello nulla e appello ammissibile,
sono una vera contraddizione in termini, senza alcuna possibili
tà di sanatoria con salvezza dei diritti quesiti, perché se la cita
zione è nulla il diritto quesito è la decadenza dall'impugnazione
e, quindi, il passaggio in giudicato della sentenza impugnata,
senza che acquisti rilievo ostativo a tale passaggio in giudicato,
già verificatosi, la specificazione, in successiva difesa, dei moti
vi esposti nell'atto di appello in maniera vaga e indeterminata.
Concludendo, si deve quindi ritenere che, attesa l'inapplica
bilità all'atto di citazione di appello dell'art. 164 c.p.c., incom
patibile con il disposto dell'art. 359 c.p.c., l'inosservanza del
l'onere di specificazione dei motivi, imposto dall'art. 342 c.p.c.
integra una nullità che determina l'inammissibilità dell'impu
gnazione, con conseguente effetto del passaggio in giudicato della
sentenza impugnata, senza alcuna possibilità di sanatoria del
l'atto a seguito della costituzione dell'appellato — in qualunque
momento essa avvenga — e senza che tale effetto possa essere
rimosso dalla specificazione dei motivi avvenuta in corso di causa.
La sentenza impugnata, che di tali principi ha fatto corretta
applicazione, non merita quindi censura.
Il ricorso va, pertanto, rigettato.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 26 gen
naio 2000, n. 845; Pres. Sensale, Est. Losavio, P.M. Nardi
(conci, conf.); Monterosso (Aw. Di Maio, Procaccini) c.
Soc. Monterosso Vincenzo e altro. Dichiara inammissibile ri
corso avverso Trib. Napoli 3 dicembre 1996.
Società — Società a responsabilità limitata — Liquidatore —
Nomina del presidente del tribunale — Ricorso per cassazio
ne — Inammissibilità (Cost., art. Ill; cod. civ., art. 2448,
2449, 2450).
È inammissibile il ricorso per cassazione avverso il provvedi
mento del presidente del tribunale che, senza previa convoca
zione dei soci, accolga la richiesta di nomina del liquidatore
su ricorso dell'amministratore unico di una società a respon
sabilità limitata il quale deduca l'impossibilità di funziona
mento dell'assemblea che, convocata tre volte di seguito, non
aveva potuto deliberare per mancanza del quorum costi
tutivo. (1)
(1) 1 suggerimenti di Gallo (in Foro it., 1999, I, 92) e di Rordorf
(ibid., 2850) sull'opportunità di rimettere la questione alle sezioni unite,
sono rimasti inascoltati e, puntualmente, si è riproposto il già segnalato
contrasto nell'ambito della stessa prima sezione.
In senso conforme alla sentenza sopra riportata, Cass. 21 novembre
1998, n. 11798, ibid., 92, con le ricordate osservazioni di Gallo (da
ultimo, sempre conforme, cfr. Trib. Como 22 gennaio 2000, Società,
2000, 598, con nota di Funari); contra, Cass. 14 gennaio 1999, n. 336,
Foro it., Mass., 35, e, con identica motivazione, 25 giugno 1999, n.
6577, id., 1999, I, 2850, con il ricordato commento di Rordorf (la
sentenza è annotata da Barbuto, Se la causa di scioglimento è contro
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1623 PARTE PRIMA 1624
Svolgimento del processo. — Accogliendo il ricorso di Luigia
Rioda, amministratore unico della società a r.l. Monterosso Vin
cenzo, il presidente del Tribunale di Napoli, con decreto 3 di
cembre 1996, dichiarava lo stato di scioglimento della società
per la continuata inattività e la impossibilità di funzionamento
dell'assemblea e nominava il liquidatore. Sul fondamento della
documentazione prodotta dall'amministratore dava atto che al
le assemblee convocate per il 10 luglio, il 23 luglio e il 10 set
tembre 1996 non aveva inteso partecipare il socio di maggioran za (sicché non era stato raggiunto il quorum costitutivo) e che
lo stesso socio con lettera del 16 settembre consecutivo aveva
dichiarato il proposito di non partecipare ad ulteriori assemblee
eventualmente riconvocate: sicché sussistevano le condizioni di
cui all'art. 2448, n. 3, c.c. per la nomina del liquidatore ex
art. 2450, 3° comma, c.c.
Contro questo decreto ha proposto ricorso per cassazione Gio
vanna Monterosso socia di minoranza, con un unico motivo
illustrato con memoria. Gli intimati amministratore unico e li
quidatore della società a r.l. Monterosso Vincenzo non hanno
inteso contraddire al ricorso.
Motivi della decisione. — 1. - Con l'unico motivo di impu
gnazione Giovanna Monterosso, deducendo «violazione e falsa
applicazione degli art. 2448 e 2450 c.c.» nonché «omessa, in
sufficiente e contraddittoria motivazione», lamenta che nella spe cie il presidente del tribunale abbia provveduto nel difetto di
quella situazione di già accertato o comunque indiscusso scio
glimento della società che avrebbe legittimato il suo intervento, senza neppur procedere alla convocazione dei soci e quindi in
difetto del necessario contraddittorio, quando dallo stesso ri
corso dell'amministratrice risultava l'esistenza di un «conflitto
intersoggettivo tra i soci». Il provvedimento impugnato non
avrebbe potuto essere pronunciato che in contraddittorio della
socia attuale ricorrente, giacché la situazione di fatto esposta dall'amministratrice è riferibile esclusivamente al comportamento
illegittimo del socio di maggioranza e dunque lo stesso decreto
presidenziale avrebbe leso il diritto soggettivo del socio di mi
noranza e gli interessi della società e come pronuncia definitiva
risolutrice di una controversia in materia di diritti, assimilabile
alla sentenza, sarebbe censurabile attraverso il ricorso straordi
nario per cassazione ex art. Ili, 2° comma, Cost.
2. - Il ricorso è inammissibile.
La ricorrente, benché prospetti una situazione di aspro con
trasto tra i soci, non constatata affatto l'esistenza nella specie di quelle condizioni di «continuata inattività dell'assemblea» e
di comprovata impossibilità di suo funzionamento (per la con
statata volontà del socio di maggioranza di disertare le assem
blee che fossero state nuovamente convocate dall'amministrato
re, impedendo così con la sua assenza il raggiungimento del
quorum costitutivo previsto dallo statuto) che integrano la cau
sa di scioglimento della società prevista dal n. 3 dell'art. 2448
c.c., rappresentata dall'amministratore che perciò aveva fatto ricorso al presidente del tribunale perché, compiuto l'accerta mento al riguardo (art. 2449, 6° comma, c.c.) sul fondamento dei prodotti documenti, provvedesse, in luogo della inattiva as
semblea, alla nomina dei liquidatori. Il «conflitto intersoggettivo» evocato dalla ricorrente Monte
rosso non ha dunque, né può avere, ad oggetto la ricorrenza dell'obiettiva e incontrovertibile causa di scioglimento, vero es sendo invece che proprio quella situazione di incomponibile con
trasto tra i soci (sulla quale il presidente del tribunale non ha
pronunciato) ha generato la paralisi della società con l'impossi bilità di attivare l'assemblea, ha operato cioè come causa dello
scioglimento della società e soltanto l'intervento surrogatorio del presidente del tribunale poteva valere ad aprire la fase ne
cessaria della liquidazione. Il decreto qui impugnato non ha quindi, in contrasto con
versa il procedimento deve seguire il rito ordinario, in Guida al dir., 1999, fase. 30, 53).
Utili riferimenti nella nota di Gallo, Inammissibilità del reclamo av verso il provvedimento di ispezione della società e ricorso straordinario per cassazione, in Foro it., 2000, I, 588, cui adde, Montesano, Giudizi camerali e tutela giurisdizionale di diritti e di interessi, in Riv. trim, dir. e proc. civ., 1999, 819.
Sui contrasti interpretativi all'interno delle sezioni e sui possibili ri medi, Lupo, Il funzionamento della Cassazione civile, in Foro it., 1999, V, 193, spec. 205.
Il Foro Italiano — 2000.
lo schema normativo dell'art. 2450, 3° comma, c.c., contenuto
decisorio come pronuncia su una controversia in materia di di
ritti, non ha inteso cioè risolvere il conflitto tra i soci (che non
attiene alla sussistenza della specifica causa di scioglimento), ma si è limitato a prender atto di un obiettivo effetto di esso,
l'incapacità dell'assemblea di attivarsi sia pure soltanto per dare
avvio alla fase della liquidazione. E se allora il contrasto tra i soci non riguardava le condizioni
per lo scioglimento della società (ma le aveva invece realizzate), non v'era neppure ragione di istituire il contraddittorio tra i
soci in funzione di un provvedimento pronunciato per certo nel
corretto esercizio della giurisdizione volontaria e perciò non sog
getto a sindacato neppure nelle forme del ricorso straordinario
per cassazione ex art. Ili, 2° comma, Cost.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; ordinanza 21 gen naio 2000, n. 28; Pres. Cantillo, Rei. Celentano, P.M. Scm
rò; Pesce (Aw. Serrao, Barnaba, Piccini) c. Fall. Impresa costruzioni Alpet. Rimessione alle sezioni unite.
Fallimento — Dichiarazione di fallimento dell'ex socio illimita
tamente responsabile — Termine annuale — Sentenza della
Corte costituzionale — Applicabilità ai giudizi in corso —
Limiti (Cost., art. 3; r.d. 16 marzo 1942 n. 267, disciplina del fallimento, art. 10, 11, 147).
Va rimessa alle sezioni unite per la particolare importanza della
questione, la scelta se recepire integralmente la sentenza 66/99
della Corte costituzionale — con la quale è stata dichiarata
l'infondatezza della questione di legittimità costituzionale del
l'art. 1471. fall., nella parte in cui non prevede che la senten
za dichiarativa di fallimento in estensione del socio illimitata
mente responsabile possa essere pronunciata entro un periodo
predeterminato come accade per l'imprenditore individuale, in quanto la norma di cui all'art. 147 l. fall, andrebbe inter
pretata nel senso che il fallimento del socio può essere dichia
rato ai sensi degli art. 10 e 11 I. fall, solo entro un anno
dallo scioglimento del rapporto sociale — ovvero se rimettere nuovamente la questione alla corte stessa per una riconsidera
zione della fattispecie alla luce della complessità degli effetti prodotti sull'intero sistema fallimentare. (1)
(1-3) È assai infrequente che una sentenza della Corte costituzionale che non affronta i problemi del processo penale o comunque questioni da prime pagine giornalistiche, desti così tanto scalpore nella comunità dei giuristi come è accaduto per la decisione 12 marzo 1999, n. 66, Foro it., 1999, I, 1381 (cfr. Genovese, Le sentenze di rigetto e l'auto nomia dei giudici ordinari, in Fallimento, 2000, 217).
Come si era accennato nella breve nota di commento, la pronuncia, pur sorprendente per gli addetti ai lavori, non esprimeva una eresia
giuridica posto che era pur sempre aderente all'opinione, forse preva lente, formatasi in letteratura (nel senso della piena applicazione degli art. 10 e 11 1. fall, al caso del socio escluso, receduto o defunto, Pizzi
cati, Fallimento del socio e tutela dei creditori, Padova, 1996, 179; Gatfuri, Fallimento e scioglimento del rapporto sociale limitatamente ad un socio, in Fallimento, 1995, 899; Ricci, Lezioni sul fallimento, Milano, 1992, 110; Di Sabato, Sull'estensione del fallimento al socio già illimitatamente responsabile, in Dir. fallim., 1990, I, 389; Ferrara, Il fallimento, Milano, 1989, 678; Galgano, Il fallimento delle società, Padova, 1988, 74; Nigro, Il fallimento del socio illimitatamente re
sponsabile, Milano, 1974, 590; Buonocore, Fallimento e impresa, Na poli, 1969, 289).
Corte cost. 66/99 ha raccolto commenti contrastanti fra gli autori. In senso adesivo, Di Gravio, L'arma dell'estensione del fallimento so ciale ai soci receduti o deceduti ha fatto cilecca: la Corte costituzionale ne ha calibrato la gittata a! termine di un anno (prima o dopo?), in
i
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