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sezione I civile; sentenza 26 gennaio 2006, n. 1525; Pres. Criscuolo, Est. Marziale, P.M. Ciccolo...

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sezione I civile; sentenza 26 gennaio 2006, n. 1525; Pres. Criscuolo, Est. Marziale, P.M. Ciccolo (concl. conf.); Camozzi e altro (Avv. Fauceglia, Torre) c. Soc. Pastorelli ceramiche (Avv. Stella Richter, Bione). Conferma App. Milano 25 giugno 2002 Source: Il Foro Italiano, Vol. 129, No. 10 (OTTOBRE 2006), pp. 2829/2830-2835/2836 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23202042 . Accessed: 24/06/2014 21:40 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.34.79.208 on Tue, 24 Jun 2014 21:40:05 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione I civile; sentenza 26 gennaio 2006, n. 1525; Pres. Criscuolo, Est. Marziale, P.M. Ciccolo(concl. conf.); Camozzi e altro (Avv. Fauceglia, Torre) c. Soc. Pastorelli ceramiche (Avv. StellaRichter, Bione). Conferma App. Milano 25 giugno 2002Source: Il Foro Italiano, Vol. 129, No. 10 (OTTOBRE 2006), pp. 2829/2830-2835/2836Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23202042 .

Accessed: 24/06/2014 21:40

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

La formulazione della prima infatti che richiede la formalità

di cui si tratta «non oltre la prima udienza di trattazione», con

chiarezza indica un ventaglio di attività giudiziarie realizzabili

da parte del soggetto nei cui confronti viene avanzata una prete sa che giungono fino, appunto, alla prima udienza di trattazione.

Dunque l'eccezione che non viene sollevata nella comparsa di

costituzione può ancora essere avanzata fino al predetto mo

mento.

La norma dell'art. 4 1. n. 215 del 1998, invece fa riferimento

al ben più ampio concetto di comparsa nel processo che si rea

lizza nel primo atto difensivo, e dunque non anche in atti che a

tale comparsa seguono. Ciò tuttavia non comporta il fondamento della doglianza del

ricorrente principale giacché la norma dell'art. 669 quater, 5°

comma, c.p.c., la quale stabilisce che quando la causa penda da

vanti ad un giudice straniero e quello italiano non ha competen za sul merito si applica la norma dell'art. 669 ter c.p.c., ovvero

il principio per il quale quando, appunto, il giudice italiano non è competente sul merito della causa la domanda cautelare si

propone a quello «che sarebbe competente per materia o valore, del luogo in cui deve essere eseguito il provvedimento cautela

re», dimostra che può ben aversi una giurisdizione in fase cau

telare scissa da quella del merito della causa.

La giurisprudenza della Corte di cassazione peraltro ha da

tempo affermato siffatta scindibilità sulla base dell'autonomia

del giudizio cautelare rispetto a quello di merito. Il giudizio cautelare, ancorché legato da un nesso di strumentalità a quello di merito, rimane distinto per la diversità degli obiettivi proces suali perseguiti, ovvero una tutela provvisoria ed anticipata in

un caso, basata sull'apprezzamento di circostanze e criteri pe culiari, ed una definitiva basata sulla individuazione delle situa

zioni sostanziali in conflitto (Cass. n. 10822 del 2004, Foro it.,

Rep. 2004, voce Procedimento civile, n. 93; n. 12288 del 2004,

ibid., voce Straniero, n. 9; n. 16094 del 2003, ibid., voce Proce

dimento civile, n. 94; n. 10363 del 1997, id., Rep. 1997, voce Provvedimenti di urgenza, n. 37).

Consegue, come ha concluso la corte fiorentina, che la man

cata proposizione nella fase sommaria della questione di giuris dizione non ha dato luogo ad accettazione della giurisdizione in

questione quanto al diverso ed autonomo giudizio di merito.

I due motivi sono infondati.

3. - Con il terzo motivo di ricorso la Siam line lamenta la

motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria su di un

punto decisivo della controversia. Sostiene che la corte fiorenti

na, che ha rilevato a sostegno ulteriore della statuizione sulla

giurisdizione, che il danno da contraffazione di cui si tratta era

stato prodotto in paesi diversi dall'Italia, che nella specie si do

veva aver riguardo al danno prodotto in Italia. Ciò avrebbe do

vuto far concludere per l'esistenza di una facoltà di scelta in ca

po ad essa danneggiata tra più giurisdizioni concorrenti, inclusa

quella italiana.

3.a. - Con il quarto motivo la ricorrente lamenta la violazione

e la falsa applicazione dell'art. 2598 c.c. e art. 112 c.p.c. Sostie

ne che la corte di merito ha omesso ogni pronuncia sulla sua

doglianza avverso la pronuncia del primo giudice che non aveva

ritenuto applicabile la disciplina, della imitazione servile di cui

all'art. 2598, n. 3, c.c. Da tale errore la corte di merito avrebbe

tratto quello ulteriore di dare rilievo alla norma di diritto inter

nazionale privato, che invece non doveva venire in questione

giacché la fattispecie da regolare non presentava estraneità ri

spetto all'ordinamento italiano.

3.b. - Osserva la corte anzitutto che le due questioni, da esa

minarsi insieme, in quanto, connesse, dalla comune, direzione a

censurare la statuizione sulla giurisdizione, sono avanzate per la

prima volta in questa sede. Infatti la corte di merito ha osservato

che in primo grado non era stato dedotto alcun illecito compiuto in Italia alla Ravel, tanto contrattuale che extracontrattuale, e

peraltro, innanzi a tale giudice non si è realizzato un amplia mento della originaria domanda. L'abile formulazione delle

censure in esame, tenta dietro lo schermo della omessa pronun

cia, di superare siffatta realtà processuale per introdurre in que sta sede una domanda nuova.

I due motivi debbono essere dichiarati inammissibili. 4. Il ricorso principale deve essere rigettato. Deve essere di

chiarata assorbita la trattazione del ricorso incidentale che è

condizionato all'accoglimento del principale. Deve essere di

chiarata la carenza di giurisdizione del giudice italiano.

Il Foro Italiano — 2006.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 26 gen naio 2006, n. 1525; Pres. Criscuolo, Est. Marziale, P.M.

Ciccolo (conci, conf.); Camozzi e altro (Avv. Fauceglia,

Torre) c. Soc. Pastorelli ceramiche (Avv. Stella Richter,

Bione). Conferma App. Milano 25 giugno 2002.

Società — Società per azioni — Amministratori — Potere di

rappresentanza — Limitazioni statutarie — Rilevanza

(Cod. civ., art. 1398, 1399, 2384; cod. civ. testo previgente, art. 2384 bis).

Società — Società per azioni — Amministratore — Conflitto di interessi — Fattispecie (Cod. civ., art. 1394, 1398, 1399, 2384; cod. civ. testo previgente, art. 2384 bis, 2391).

Tra le limitazioni del potere di rappresentanza contemplate dal

2° comma dell'art. 2384 c.c. rientrano anche quelle derivanti

dalla dissociazione tra potere gestorio e potere di rappre sentanza, quando esse trovino fondamento in una disposizione statutaria. (1)

L'incidenza del conflitto di interessi tra la società e il singolo

(1) I. - La pronuncia in epigrafe è riportata anche in Contratti, 2006,

437, con nota di Maffeis. Circa l'inopponibilità ai terzi degli atti compiuti dagli amministratori

in deroga alle limitazioni dei poteri rappresentativi in caso di dissocia zione tra tali poteri ed i poteri di gestione, v., in giurisprudenza, Cass. 7 febbraio 2000, n. 1325 (citata in motivazione), Foro it., Rep. 2000, vo ce Società, n. 705, e Società, 2000, 1336, con nota di Manzini, Disso

ciazione tra poteri di gestione e di rappresentanza ed efficacia dell 'art. 2384 c.c.', in dottrina, cfr. Bonelli, Gli amministratori di s.p.a. dopo la

riforma delle società, Milano. 2004, 80-82. Il Supremo collegio effettua un efficace riepilogo circa l'excursus

delle varie formulazioni dell'art. 2384 c.c. che, nella sua formulazione

originaria, richiamava l'art. 2298 c.c. così consentendo alle società per azioni di ottenere l'accertamento dell'inopponibilità ai terzi degli atti

compiuti in loro nome dagli amministratori in violazione dei limiti sta biliti dall'atto costitutivo o dalla procura se tali limiti fossero stati iscritti nel registro delle imprese o, in mancanza, se fosse stata fornita la prova che i terzi ne erano a conoscenza. A seguito della riformula

zione della norma per le modifiche introdotte dall'art. 5 d.p.r. 29 di cembre 1969 n. 1127 (in attuazione della direttiva Cee n. 151 del 9

marzo 1968, prima direttiva in tema di società), venne sancita l'inop ponibilità ai terzi delle limitazioni statutarie al potere di rappresentan za, anche se pubblicate, salva la prova che i terzi avessero agito inten zionalmente a danno della società. La riforma del diritto societario re centemente varata non ha mutato tale principio.

La mancanza di una previa deliberazione del consiglio di ammini

strazione, in presenza della clausola statutaria che attribuisca a que st'ultimo organo ia «gestione ordinaria e straordinaria della società»

(dando pertanto vita alla richiamata dissociazione tra potere di rappre sentanza e di gestione), rende invalido l'atto posto in essere dal legale

rappresentante della società.

Spiega la corte di legittimità che una simile clausola limita il potere di gestione, ma si presta ad incidere sull'esercizio del potere rappre sentativo come una qualsiasi limitazione «diretta» di tale potere: a so

stegno di questa interpretazione viene richiamato l'art. 9.2 della prima direttiva in tema di società, che si riferisce tout court alle «limitazioni dei poteri degli organi sociali». All'argomento letterale, Bonelli, op. loc. cit., aggiunge che: a) lo statuto può limitare proprio i poteri di ge stione, ancor più dei poteri di rappresentanza e dunque ritenere che l'art. 2384, 2° comma, c.c. si riferisca solo alle limitazioni dei poteri di

rappresentanza renderebbe la norma «praticamente inutilizzabile»; b) la ratio della disposizione, consistente nel garantire ai terzi la necessaria sicurezza in ordine alla validità degli atti compiuti dall'organo della so cietà che formalmente la rappresenta, suggerisce un'interpretazione estensiva o analogica della disposizione in questione.

Nella specie, pertanto, l'invalidità dell'atto non poteva essere oppo sta ai terzi se non nei limiti della situazione prefigurata dall'art. 2384. 2° comma, c.c.

Sul potere di rappresentanza degli amministratori di società di capi tali, cfr., da ultimo, Cass. 2 settembre 2004, n. 17678, Foro it., 2005, I,

1827, con nota di Silvetti, Amministratori di società e limiti del potere di rappresentanza, alla quale si rinvia per ulteriori riferimenti.

II. - Come accennato, la riforma del diritto societario non ha modifi

cato la disposizione dell'art. 2384, 2° comma, c.c., se non per l'elimi

nazione dell'inciso riferito ai poteri di rappresentanza, adeguandone così il contenuto a quanto stabilito dall'art. 9.2 della prima direttiva in

tema di società (cfr. la relazione governativa al d.leg. 6/03, par. 6.III.1). Tale modifica avvalora la correttezza della soluzione seguita dalla

Suprema corte nella pronuncia in epigrafe e, più in generale, le conclu

sioni a cui erano pervenute dottrina e giurisprudenza in ordine alle li

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PARTE PRIMA 283

amministratore sulla validità dell'atto concluso da quest'ul

timo, in mancanza di una previa delibera del consiglio di

amministrazione, è regolata sulla base dei principi fissati in

via generale dall'art. 1394 c.c., a nulla rilevando che l'atto

sia eventualmente ricompreso, sotto il profilo gestorio, nella

competenza del consiglio di amministrazione. (2)

Svolgimento del processo. — 1. - Con atto notificato il 5 feb

braio 1996, i sig. Mario Camozzi e Angelo Bonissoni conveni

vano in giudizio, innanzi al Tribunale di Milano, la s.p.a. cera

miche Pastorelli (d'ora innanzi: società), esponendo: — che, in data 16 marzo 1994, la società aveva loro conferito

l'incarico di procedere «ad un'analisi amministrativo-gestionale della società stessa, al fine di individuare eventuali punti di de

bolezza o manchevolezze, di carattere aziendale o fiscale, e di

procedere alla formalizzazione di proposte in ordine ad azioni

mitazioni statutarie del potere di rappresentanza derivanti dalla disso

ciazione tra tale potere ed il potere di gestione. Sul potere di rappresentanza degli amministratori di società di capi

tali a seguito della riforma, cfr. Silvetti, Amministratori dì società e

limiti del potere di rappresentanza, cit., anche per riferimenti bibliogra fici ai commenti sull'art. 2384 c.c. riformato, ai quali adde Morandi, in

Il nuovo diritto delle società a cura di Maffei Alberti, Padova, 2005,1, sub art. 2384 c.c., 693 ss.; Mosco, in Società di capitali. Commentario

a cura di Niccolini e Stagno d'Alcontres, Napoli, 2004, II, sub art.

2384 c.c., 612 ss.; Restaino, in La riforma delle società a cura di San

dulli e Santoro, Torino, 2003,1, sub art. 2384 c.c., 420.

(2) I. - Il Supremo collegio ribadisce l'applicabilità della disciplina

contemplata dall'art. 1394 c.c. (e non di quella ex art. 2391 c.c. testo

previgente) in caso di atto compiuto in conflitto di interessi dal singolo amministratore in mancanza di una previa delibera consiliare.

In particolare, l'art. 1394 c.c. si applica sia quando non sussista la

necessità di un intervento del consiglio di amministrazione, in quanto

l'operazione da compiere rientra nelle competenze di uno dei suoi

componenti; sia laddove il singolo amministratore ponga in essere un

atto che rientri nella competenza del consiglio ma manchi una delibera

zione del consiglio stesso.

Cfr., nello stesso senso, Cass. 10 aprile 2000, n. 4505, Foro it., Rep. 2001, voce Rappresentanza nei contratti, n. 10, e Giur. it., 2001, 477; 10 aprile 1999, n. 3514, Foro it., Rep. 1999, voce Società, n. 831, e

Giur. it., 1999, 2092; 5 dicembre 1998, n. 12325, Foro it., 2000, I, 2936, con nota di La Rocca; 1° febbraio 1992, n. 1089, id., 1992, I,

2139, con nota di Lenoci, alla quale si rinvia per ulteriori riferimenti

giurisprudenziali e dottrinali nonché per una lucida analisi del rapporto tra art. 1394 e 2391 c.c. testo previgente; v. anche Cass. 2 settembre

2004, n. 17678, cit. (in particolare per l'applicabilità all'amministra

zione di società degli art. 1398 e 1399 c.c., che prevedono la ratifica da

parte del rappresentato del negozio concluso dal rappresentante che ab

bia agito senza potere o eccedendo i limiti del proprio potere). Tra le pronunce di merito, v. Trib. Catania 9 settembre 1999, id.,

Rep. 2001, voce cit., n. 725, e Riv. dir. comm., 2001, II, 37, con nota di

Macrì, Rilevanza esterna del conflitto di interessi nelle società di ca

pitali; Trib. Napoli 1° luglio 1996, Foro it., Rep. 1997, voce cit., n.

674, e Società, 1997, 291, con nota di Tassi, Conflitto di interessi del

l'amministratore: rapporto tra art. 1394 e art. 2391 c.c. Ne consegue che l'opponibilità dell'atto invalido per la sussistenza

di un conflitto di interessi tra il legale rappresentante e la società rap presentata non è subordinata ai presupposti stabiliti dall'art. 2384, 2°

comma, c.c. testo previgente — non applicandosi tale disposizione alle

limitazioni dei poteri di rappresentanza che abbiano la propria fonte

nella legge — ma è regolata dall'art. 1394 c.c., secondo cui l'annulla

mento del negozio può essere pronunciato a condizione che il conflitto

tra amministratore e società sia conosciuto o riconoscibile dal terzo

(Bonelli, op. cit., 85). II. - L'art. 2391 c.c. è stato significativamente modificato dalla ri

forma del diritto societario. In ogni caso, le pur importanti novità non

incidono sulla questione dell'applicabilità dell'art. 1394 c.c. in caso di

atto compiuto in conflitto di interessi dal singolo amministratore in mancanza di previa delibera consiliare.

In tal senso, cfr., diffusamente, Enriques-Pomelli, in II nuovo diritto delle società a cura di Maffei Alberti, cit., sub art. 2391 c.c., 774-776.

Cfr., altresì, con generale riferimento all'art. 2391 c.c., Nazzicone e

Providenti, Società per azioni. Amministrazione e controlli, in La ri

forma del diritto societario a cura di Lo Cascio, Milano, 2003, 147 ss.; Magno, in Codice commentato delle nuove società a cura di Bonfante, Corapi, Marziale, Rordorf e Salafia, Vicenza, 2004, sub art. 2391

c.c., 435 ss.; Minervini, Gli interessi degli amministratori di s.p.a., in Giur. comm., 2006,1, 147. [M. Silvetti]

11 Foro Italiano — 2006.

tese al miglioramento dell'efficienza e della redditività azien

dale»; — che l'incarico era stato puntualmente eseguito; — che, tuttavia, le richieste di pagamento del compenso era

no rimaste senza esito.

Tanto premesso, gli attori chiedevano la condanna della so

cietà al pagamento della somma di lire 48.000.000, oltre acces

sori, corrispondente alla somma indicata nel progetto di parcella inviata fin dal 30 settembre 1994.

1.1. - La società si opponeva all'accoglimento della domanda,

deducendo: — che, all'epoca dei fatti di causa, le azioni rappresentative

del proprio capitale appartenevano, nella misura del 50 per

cento, alla Ceramica Enne 80 s.r.l., la quale era anche socia,

nella misura del 40,5 per cento, della Italiana pavimenti s.p.a.; — che il capitale della Ceramica Enne 80 s.r.l. era suddiviso,

in pari misura, tra i sig. Alberto e Adriana Pastorelli; — che l'incarico professionale agli attori era stato conferito

dal sig. Alberto Pastorelli, agendo quale suo legale rappresen

tante, pochi giorni prima che la «quasi totalità» delle quote della

Ceramica Enne 80 s.r.l., fosse ceduta ad altra società (la Con

sultinvest s.p.a.); — che nell'atto di cessione si era stabilito che l'esatto am

montare del corrispettivo della cessione sarebbe stato determi

nato in base ad una relazione di stima commissionata dagli stes

si attori; -— che era quindi evidente che l'incarico professionale confe

rito a suo nome dal Pastorelli «altra finalità e funzione non ave

va se non quelle di determinare il corrispettivo della cessione

delle quote della Ceramica Enne 80 ed era stato conferito nel

personale interesse del rappresentante, anziché in quello della

società rappresentata»; — che l'atto era, inoltre, «del tutto estraneo» al proprio og

getto sociale e non era stato né autorizzato né ratificato dal con

siglio di amministrazione; — che tale atto era quindi annullabile e, comunque, inoppo

nibile ad essa esponente. 1.2. - La domanda era accolta dal tribunale che condannava la

società al pagamento della somma di lire 40.000.000, oltre inte

ressi, e alla rifusione delle spese legali. 1.3. - La sentenza veniva però riformata dalla corte territo

riale che, facendo proprie le deduzioni contenute nell'appello

proposto dalla società, respingeva la domanda di pagamento del

corrispettivo, sul rilievo: — che l'incarico professionale conferito ai due professionisti

trovava quale unica razionale giustificazione l'interesse ad otte

nere gli elementi necessari per la determinazione del prezzo di

cessione delle quote della s.r.l. Ceramica Enne 80, ponendone l'onere economico a carico della società da lui rappresentata;

— che il contratto era stato pertanto stipulato in palese (e

quindi riconoscibile) conflitto d'interessi, oltre che senza previa delibera da parte del consiglio di amministrazione;

— che il contratto era da ritenersi pertanto invalido e, come

tale, non opponibile alla società.

1.4. - I ricorrenti chiedono la cassazione di tale sentenza con

due motivi. La società resiste.

Sono state depositate memorie illustrative.

Motivi della decisione. — 2. - Il rigetto della domanda è stato

fondato dalla corte territoriale sulla duplice considerazione: a) che l'incarico professionale era stato affidato ai ricorrenti dal

legale rappresentante della società in assenza di una delibera del

consiglio di amministrazione; b) che il legale rappresentante aveva inoltre agito in conflitto di interessi con la società da lui

rappresentata e che l'esistenza di tale situazione di conflitto era

riconoscibile dai terzi (retro, par. 1.3). 3. - Con i due motivi di ricorso che, per la loro connessione,

possono essere esaminati congiuntamente, il Camozzi e il Bo

nissoni — denunciando violazione e falsa applicazione degli art.

1394 c.c. e 2384 c.c. testo previgente, nonché vizio di motiva

zione — censurano la sentenza impugnata per aver ritenuto non

meritevole di accoglimento la domanda da essi avanzata senza

dar conto, in modo congruo, delle ragioni poste a fondamento

della decisione adottata e senza considerare:

a) che il limite ai poteri del legale rappresentante della socie

tà, derivante dalla necessità che l'affidamento dell'incarico pro

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

fessionale doveva essere deliberato previamente dal consiglio di

amministrazione, era fondato su una previsione statutaria ed era

quindi opponibile ai terzi solo entro i limiti stabiliti dall'art. 2384, 2° comma, c.c. testo previgente;

b) che l'art. 1394 c.c., secondo cui il contratto concluso dal

rappresentante in conflitto di interessi può essere annullato su

domanda del rappresentato (nella specie della società), è inap

plicabile quando, come nel caso di specie, il potere gestorio è ri

servato al consiglio di amministrazione;

c) che, nell'ipotesi considerata, anche il conflitto d'interessi

tra rappresentante e rappresentato è opponibile ai terzi solo en

tro i limiti stabiliti dal citato art. 2384, 2° comma, c.c. testo pre

vigente. 4. - Si afferma chiaramente nella sentenza impugnata, e non è

comunque contestato, che il consiglio di amministrazione era

stato investito da una disposizione statutaria della gestione «or

dinaria e straordinaria» della società. Il potere di rappresentanza era quindi dissociato dal potere di amministrazione e non vi è

dubbio, pertanto, che il conferimento dell'incarico professiona

le, della cui legittimità si controverte nel presente giudizio, do

vesse essere previamente deliberato dal consiglio di ammini

strazione.

Tale prescrizione non fu invece osservata, in quanto, come è

stato accertato dal giudice del merito, ed è comunque pacifico, l'affidamento dell'incarico non era stato deliberato dal consiglio di amministrazione della società.

Il comportamento del legale rappresentante era stato quindi certamente illegittimo. Ma tale illegittimità, contrariamente a

quel che mostra di ritenere la corte territoriale, non era di per sé

rilevante nei confronti dei terzi.

4.1. - È bensì vero che l'art. 2384 c.c. testo previgente, ri

chiamava la disciplina dettata dall'art. 2298 c.c. per le società in

nome collettivo, il quale stabilisce che l'amministratore fornito

di poteri di rappresentanza ha il potere di compiere «tutti gli atti

che rientrano nell'oggetto sociale, salve le limitazioni che ri

sultano dall'atto costitutivo o dalla procura», precisando che tali

limitazioni sono opponibili ai terzi una volta iscritte nel registro delle imprese e, in mancanza di tale adempimento, se viene for

nita la prova che essi ne erano a conoscenza. E che, pertanto, ri

correndo tali condizioni, anche le società per azioni avevano la

possibilità di ottenere l'accertamento dell'inopponibilità degli atti compiuti in loro nome dagli amministratori in violazione dei

limiti posti dallo statuto.

4.2. - Tale disciplina fu però radicalmente modificata dall'art.

5 d.p.r. 29 dicembre 1969 n. 1127, con il quale venne data at

tuazione alla direttiva Cee n. 151 del 9 marzo 1968 (c.d. prima direttiva Cee in tema di società) che tra le sue finalità aveva

proprio quella di escludere l'opponibilità ai terzi delle limita zioni dei poteri degli organi sociali risultanti dallo statuto o da

una decisione degli organi competenti «anche se pubblicate»

(art. 9.2). Il citato art. 2384 c.c. testo previgente fu infatti integral

mente riformulato, sancendo, nel 2° comma, l'inopponibilità ai

terzi delle limitazioni al potere di rappresentanza risultanti dal

l'atto costitutivo o dallo statuto «anche se pubblicate», salvo

che si fosse provato che tali soggetti avevano «intenzionalmente

agito a danno della società». Eccezion fatta per quest'ultima

ipotesi, il rischio delle violazioni commesse dagli amministrato

ri, mediante il compimento di atti estranei all'oggetto sociale o

comunque eccedenti i poteri loro conferiti, fu così trasferito

sulla società, offrendo ai terzi la sicurezza che essa avrebbe

fatto fronte agli atti posti in essere, nel suo nome, dagli ammini

stratori, anche se in violazione dei limiti posti dallo statuto. E

tale principio (che, come non si è mancato di rilevare, lungi dal

penalizzare le società, consente una più intensa valorizzazione

delle loro potenzialità, eliminando una possibile remora alla in

staurazione di rapporti con esse) è stato tenuto fermo dal nuovo

testo dell'art. 2384 c.c., introdotto dall'art. 1, 1° comma, d.leg. 17 gennaio 2003 n. 6.

4.3. - Non vi è dubbio che tra le «limitazioni» del potere di

rappresentanza contemplate dal 2° comma dell'art. 2384 c.c. te

sto previgente rientrano anche quelle derivanti dalla dissocia

zione tra potere gestorio e potere di rappresentanza, quando, come nel caso di specie, esse trovino fondamento in una dispo

II Foro Italiano — 2006.

sizione statutaria (Cass. 7 febbraio 2000, n. 1325, Foro it., Rep.

2000, voce Società, n. 705). Non varrebbe obiettare che la limitazione, in questo caso,

colpisce il potere di «gestione», anziché quello di «rappresen tanza». È agevole replicare, infatti, che anche tali limitazioni si

riflettono sull'esercizio del potere rappresentativo, che viene ad

essere corrispondentemente ristretto. La situazione che in tal ca

so si determina è quindi affine a quella prodotta dalle limitazio

ni che vengono ad incidere, in via immediata, sul potere di rap

presentanza. E non vi è, pertanto, ragione di escluderla dall'am

bito di applicazione della norma appena ricordata. Specie consi

derando l'art. 9.2 della direttiva comunitaria, ai cui contenuti il

legislatore nazionale era tenuto ad adeguarsi (art. 189, ora art.

249 del trattato Ce), faceva generico riferimento alle «limitazio

ni dei poteri degli organi sociali», senza distinguere tra poteri di

rappresentanza e poteri di gestione. 4.3.1. - È quindi evidente che la mancanza della delibera del

consiglio di amministrazione poteva essere opposta ai ricorrenti

solo in presenza della situazione prefigurata dal 2° comma del

citato art. 2384 c.c. e, cioè, solo se la società avesse fornito la

prova che essi avevano agito «intenzionalmente» a suo danno.

Ma la ricorrenza di tale situazione non è stata in alcun modo ac

certata dalla corte territoriale.

I rilievi mossi sotto tale profilo alla sentenza impugnata sono

pertanto fondati. Tale constatazione non giustifica, tuttavia,

l'accoglimento del gravame. La decisione adottata dalla corte territoriale poggia, infatti, su

una ratio decidendi ulteriore, riferita all'esistenza di un conflitto

di interessi tra il legale rappresentante e la società riconoscibile

dai terzi, la quale resiste alle censure formulate dai ricorrenti.

4.4. - Le doglianze rivolte sotto tale riguardo alla sentenza

impugnata si compendiano nel duplice assunto: — che l'art. 1394 c.c., il quale dispone che il contratto con

cluso dal rappresentante in conflitto di interessi col rappresen tato può essere annullato su domanda del rappresentato, se il

conflitto era conosciuto o riconoscibile dal terzo, non sarebbe

applicabile tutte le volte che, come nel caso di specie, il potere

gestorio è riservato al consiglio di amministrazione, essendo

tale ipotesi specificamente disciplinata dall'art. 2391 c.c. (retro,

par. 2.b)\ — che il limite all'esercizio del potere rappresentativo, deri

vante dal divieto di agire in conflitto di interessi con il rappre

sentato, rientrerebbe pur sempre nell'ambito di applicazione dell'art. 2384, 2° comma, c.c. testo previgente e sarebbe quindi

opponibile ai terzi che abbiano agito intenzionalmente a danno

della società (retro, par. 2.c). Né l'una né l'altra affermazione può essere condivisa. E, an

zitutto, la prima. 4.4.1. - Si è ormai chiarito che l'esistenza di una pluralità di

amministratori non è di ostacolo all'applicazione della discipli na dettata dall'art. 1394 c.c., ponendo in evidenza che quest'ul tima norma è certamente applicabile nel caso in cui, pur essen

dovi il consiglio di amministrazione, l'operazione da compiere sia devoluta alla specifica competenza di uno soltanto dei suoi

componenti (l'amministratore delegato) che abbia il potere di

agire con gli stessi poteri che competono all'amministratore

unico e, quindi, senza necessità di un intervento del consiglio

(Cass. 1° febbraio 1992, n. 1089, id., 1992,1, 2139). Ma a conclusioni non diverse deve pervenirsi quando, come

nel caso di specie, il singolo amministratore ponga in essere, in

mancanza di una delibera del consiglio di amministrazione, un

atto che rientri, invece, nella competenza di tale organo. Invero,

nell'ipotesi prefigurata dall'art. 2391 c.c. testo previgente il

conflitto emerge in sede deliberativa e, quindi, in un momento

anteriore a quello in cui l'atto viene posto in essere, in nome

della società, nei confronti del terzo. Esso tocca, pertanto, l'esercizio (non già del potere rappresentativo, che si puntualiz za nella spendita del nome della società verso i terzi) ma del

potere di gestione, il cui esercizio, data la struttura dell'organo

amministrativo, si estrinseca in deliberazioni collegiali: l'an

nullamento del negozio stipulato con il terzo costituisce, il ri

flesso dell'invalidità della delibera dell'organo di amministra

zione ed è quindi subordinato al suo accertamento.

È pertanto evidente che, se il compimento dell'atto posto in

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Page 5: sezione I civile; sentenza 26 gennaio 2006, n. 1525; Pres. Criscuolo, Est. Marziale, P.M. Ciccolo (concl. conf.); Camozzi e altro (Avv. Fauceglia, Torre) c. Soc. Pastorelli ceramiche

2835 PARTE PRIMA 2836

essere dal singolo amministratore con il terzo non è stato prece duto da una fase procedimentale concretatasi nell'adozione di

una delibera consiliare, tale disposizione non può ricevere ap

plicazione, a nulla rilevando che l'atto sia eventualmente ri

compreso, sotto il profilo gestorio, nella competenza del consi

glio di amministrazione.

Non essendo quindi ravvisabili le condizioni per il ricorso

alla disciplina dettata dal citato art. 2391 c.c. testo previgente, l'incidenza del conflitto d'interessi sulla validità del negozio

posto in essere con il terzo deve essere quindi regolata sulla ba

se di principi diversi che, in mancanza di altri indici normativi, vanno identificati in quelli fissati, in via generale, dall'art. 1394.

4.4.2. - Ma a non diverse conclusioni deve giungersi per l'al

tra affermazione, specificata alla lett. c) del par. 2, relativa al

l'individuazione dei presupposti per l'opponibilità ai terzi del

limite derivante dal divieto di agire in conflitto di interessi con

la società rappresentata. E sufficiente rilevare, a tale riguardo, che trattandosi di un limite derivante da una norma di legge (art. 1394 c.c.) la sua rilevanza esterna non può essere subordinata ai

presupposti stabiliti dal 2° comma dell'art. 2384 c.c. testo pre

vigente, il cui ambito di applicazione è riferito alle limitazioni del potere di rappresentanza derivanti «dall'atto costitutivo o

dallo statuto», che abbiano cioè la propria fonte (non nella leg

ge, ma) nell'autonomia privata. 4.4.3. - Anche l'opponibilità ai terzi del vizio dell'atto com

piuto, nell'ipotesi considerata, dall'amministratore in conflitto

di interessi con la società è quindi regolata dall'art. 1394 c.c. te

sto previgente, il quale — dettando la disciplina generale dell'i

stituto — stabilisce che il negozio può essere annullato dalla so

cietà «se il conflitto era conosciuto o riconoscibile dal terzo».

La ricorrenza di tale presupposto è stata affermata esplicita mente dalla sentenza impugnata, con apprezzamento di fatto la

cui esattezza non può essere riconsiderata in questa sede di le

gittimità. Le critiche mosse dai ricorrenti a tale assunto sono, per un

verso, giuridicamente inesatti (nella parte in cui prospettano la

tesi che la rilevanza esterna del vizio è ammessa entro i limiti

stabiliti dall'art. 2384, 2° comma, c.c. testo previgente) e per altro verso inammissibili, nella parte in cui si limitano ad una

censura del tutto generica della congruità della motivazione, senza dedurre l'esistenza di contraddizioni, lacune o altri vizi

logici rilevanti ai fini dell'applicazione dell'art. 360, n. 5, c.p.c. (ex pluribus, Cass. 6 ottobre 1999, n. 11121, id., Rep. 1999, vo

ce Cassazione civile, n. 117; 8 settembre 2000, n. 11854, id.,

Rep. 2000, voce cit., n. 204). 5. - Per quanto attiene alla seconda delle due rationes deci

dendi che sorreggono la sua motivazione, la sentenza impugnata resiste, quindi, alle censure dei ricorrenti (retro, par. 4.3.1). E

tanto basta a giustificare la reiezione del ricorso.

ii- Foro Italiano — 2006.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione tributaria; sentenza 11

gennaio 2006, n. 345; Pres. Favara, Est. Magno, P.M. Pi

vetti (conci, diff.); Min. economia e finanze (Avv. dello

Stato) c. Lionello e altri (Avv. Pigato, Sanino). Dichiara

inammissibile ricorso avverso Comm. trib. centrale 8 settem

bre 1999, n. 5287.

Tributi in genere — Commissione tributaria centrale — De

cisione — Ricorso per cassazione — Termine — Decor

renza (Cod. proc. civ., art. 325, 326; r.d. 30 ottobre 1933 n.

1611, approvazione del t.u. delle leggi e delle norme giuridi che sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato e sul

l'ordinamento dell'avvocatura dello Stato, art. 11; d.leg. 31

dicembre 1992 n. 546, disposizioni sul processo tributario in

attuazione della delega al governo contenuta nell'art. 30 1. 30

dicembre 1991 n. 413, art. 38, 75; 1. 13 maggio 1999 n. 133,

disposizioni in materia di perequazione, razionalizzazione e

federalismo fiscale, art. 21).

Allorquando l'ufficio finanziario stia in giudizio come parte di

nanzi la Commissione tributaria centrale, le relative decisioni

ai fini del decorso del termine breve per ricorrere in Cassa

zione vanno notificate direttamente all'ufficio e non all'avvo

catura generale dello Stato. (1)

(1) In termini, v. Cass. 6 febbraio 2001, n. 1674, Foro it., Rep. 2001, voce Tributi in genere, n. 1683, cit. in motivazione.

In precedenza, nella giurisprudenza della Suprema corte era preva lente l'orientamento per il quale ai fini della decorrenza del termine breve di cui all'art. 325, 2° comma, c.p.c., la notificazione della deci sione della Commissione tributaria centrale dovesse avvenire con con

segna di copia dell'atto all'avvocatura generale dello Stato ai sensi del l'art. 11 r.d. 30 ottobre 1933 n. 1611: v., ex pturimis, Cass. 5 febbraio 1996, n. 948, id.. Rep. 1996, voce cit., n. 1662; 1° aprile 1994, n. 3200, id.. Rep. 1994, voce cit., n. 1261; sez. un. 20 gennaio 1992, n. 669, id., 1992,1, 337, con nota di richiami, e Giur. it., 1992, I, 1, 1272, con nota di Consolo; Fisco, 1992, 3709, con nota di Thomas.

La sentenza in epigrafe non sembra collimare con Cass. 15 febbraio

1999, n. 1228, Foro it., Rep. 1999, voce cit., n. 1481, per la quale nella

ipotesi in cui il procedimento di merito è stato celebrato e si è concluso nel vigore del d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 636 non sono invocabili le nor me del d.leg. 31 dicembre 1992 n. 546, sull'attribuzione della qualità di

parte dinanzi alle commissioni tributarie provinciali e regionali agli uf fici del ministero delle finanze che hanno emesso gli atti impugnati (art. 10 e 11); pertanto, nel vigore del d.p.r. 636/72 — mancando in detta di

sciplina disposizioni derogative dei principi generali sull'identificazio ne della controparte del contribuente — la notificazione della decisione della Commissione tributaria centrale non può far decorrere il termine breve per proporre ricorso per cassazione se effettuata all'ufficio, anzi ché all'amministrazione finanziaria presso l'avvocatura generale dello

Stato, in base alle comuni regole poste dall'art. 326 c.p.c., in relazione

agli art. 170 e 285 c.p.c., e dalla normativa sulla rappresentanza e dife sa in giudizio dello Stato.

Ad avviso della Suprema corte la regula iuris enunciata in massima

segue un principio di carattere generale, applicabile a tutte le ipotesi non specificamente e positivamente escluse, in virtù del quale gli uffici della pubblica amministrazione legittimati ad agire direttamente in giu dizio, con o senza l'assistenza dell'avvocatura, sono destinatari della notifica della sentenza che conclude il giudizio — idonea, in ogni caso, a far scattare il termine breve per l'impugnazione —, che deve essere

eseguita nella propria sede, o in quella dell'avvocatura distrettuale se da questa sono stati rappresentati in giudizio.

Per i giudici della quinta sezione, questo principio generale si desu me sia dal fatto che esso è stato costantemente applicato non solo al contenzioso tributario, ma anche a quello sorgente dall'opposizione a

provvedimenti irrogativi di sanzioni amministrative, così da creare le

gittimo affidamento e certezza delle corrispondenti situazioni giuridi che, sia dal fatto che l'art. 21,1° comma, 1. 13 maggio 1999 n. 133, che ha interpretato autenticamente l'art. 38 d.leg. n. 546 del 1992, lo ha scalfito per un periodo di tempo limitato (dal 18 maggio 1999 al 1°

gennaio 2001, quando è stata poi tacitamente abrogata dalla nuova normativa sulle agenzie fiscali di cui al d.leg. 30 luglio 1999 n. 300): quella norma interpretativa, introducendo una deroga al detto principio, non può essere estesa oltre i limiti della disposizione autenticamente

interpretata, rendendosi quindi applicabile, come espressamente previ sto, alle solo sentenze pronunciate dalle commissioni tributarie regio nali e dalle commissioni tributarie di secondo grado delle province au tonome di Trento e Bolzano, e non anche alle decisioni emesse dalla Commissione tributaria centrale.

Sull'analoga problematica in tema di ricorso per cassazione avverso sentenze rese in tema di irrogazione di sanzioni amministrative, v. Cass. 1° marzo 1988, n. 2174, id., 1988, I, 1536 (e Corriere giur.,

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