sezione I civile; sentenza 26 marzo 1986, n. 2138; Pres. La Torre, Est. Cantillo, P. M. Minetti(concl. conf.); Soc. Latticini (Avv. Gallerano) c. Min. finanze (Avv. dello Stato Braguglia).Conferma App. Venezia 26 giugno 1982Source: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 6 (GIUGNO 1986), pp. 1547/1548-1549/1550Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23180393 .
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1547 PARTE PRIMA 1548
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 26 marzo
1986, n. 2138; Pres. La Torre, Est. Cantillo, P. M. Minetti
(conci, conf.); Soc. Latticini <Aw. Gallerano) c. Min. finanze
(Avv. dello Stato Braguglia). Conferma App. Venezia 26
giugno 1982.
Dogana — Inquadramento tariffario — Correzione — Prescrizio ne (L. 25 settembre 1940 n. 1424, legge doganale, art. 27, 29;
d.p.r. 23 gennaio 1973 n. 43, t.u. delle disposizioni legislative in materia doganale, art. 74, 84).
La correzione della classificazione tariffaria, ossia dell'inqua dramento delle merci importate in una od altra voce della
tariffa doganale — ferme restando le valutazioni e la qualifica zione del prodotto —, è consentita sino a quando non sia intervenuta la prescrizione dei relativi diritti doganali. (1)
Motivi della decisione. — 1. - Con il primo motivo —
denunziando la violazione degli art. 23, 24, 27, lett. d), e 29 1. 25
settembre 1940 n. 1424, 73 r.d. 13 febbraio 1896 n. 65, 1 t.u. 9
aprile 1911 n. 330 — la società ricorrente sostiene che nella
disciplina di detta legge un errore nell'applicazione della tariffa, suscettibile di essere corretto anche dopo l'asportazione della merce dagli spazi doganali, si configurava solo quando fosse stato
applicato « un diritto diverso da quello fissato in tariffa per la
merce descritta nel risultato di visita » <art. 29 cit.), con la
conseguenza che potevano essere corretti, fino alla prescrizione del diritto, gli errori commessi nella liquidazione del tributo in base alla classificazione data al prodotto in sede di visita, non
quelli provocati da un'errata valutazione della qualità dello stes
so; e nella specie, a tutto concedere, si poteva ravvisare un'ipote si di quest'ultimo tipo, sicché illegittimamente l'amministrazione aveva inquadrato la merce in una voce della tariffa diversa da
quella originariamente individuata e aveva liquidato ex novo i
diritti doganali. La censura è infondata. Anzitutto, l'ipotesi che la ricorrente
prospetta in ordine alle ragioni della rettifica è stata positivamen te esclusa dalla sentenza impugnata, la quale ha accertato che
l'inquadramento della merce in una diversa voce della tariffa —
cioè nella 18.06 invece che nella 19.02, indicata dall'importatrice e all'epoca accettata dalla dogana — era avvenuto in base alle stesse « caratteristiche e componenti » del prodotto riscontrate in sede di visita, senza alcuna indagine tecnica sulla natura del
medesimo; e che la nuova classificazione aveva comportato,
quindi, soltanto la « soluzione di problemi giuridici attinenti alla voce tariffaria applicabile », avendo l'amministrazione ravvisato, alla stregua di quanto ritenuto dal giudice penale, un errore di
interpretazione riguardante l'ambito delle categorie tariffarie nelle
quali poteva essere astrattamente assunto il prodotto, in relazione alla sua composizione.
La corte, dunque, senza affatto occuparsi dall'esattezza, o
meno, della qualificazione merceologica accettata dalle parti in sede di « visita » del prodotto, si è limitata a stabilire che il nuovo inquadramento era avvenuto senza affatto modificare tale
qualificazione, cioè in base alle caratteristiche e qualità fissate al
tempo di sdogamento; e la società ricorrente non ha mosso critiche in ordine alla congruità della motivazione di questo accertamento di fatto, in relazione al quale deve essere perciò esaminato il profilo giuridico della sentenza impugnata.
Anche sotto questo aspetto la critica non ha consistenza. Essa muove dall'opinione secondo cui, nel sistema della legge
doganale del 1940, una questione in ordine alla qualificazione fiscale delle merci poteva sorgere solo al momento della forma zione della bolletta doganale e dava luogo ad un subprocedimen to contenzioso, regolato dal t.u. 9 aprile 1911 n. 330, e succ.
modif., che aveva ad oggetto l'accertamento della qualità, quanti tà, origine e valore dei beni e della loro classificazione tariffaria; pertanto, una volta emessa la bolletta e asportata la merce dagli spazi doganali, era consentito alla dogana di correggere, sua
sponte o su istanza del contribuente, gli errori di calcolo e ogni
(1) Giurisprudenza costante: v. — in riferimento alla normativa del d.p.r. 43/73 — Cass. 12 gennaio 1984, nn. 236 e 235, Foro it., Rep. 1984, voce Dogana, nn. 50, 49; 6 luglio 1983, n. 4527, id., Rep. 1983, voce cit., n. 43; 11 agosto 1982, n. 4521, ibid., n. 50; 16 febbraio 1982, n. 957, id., 1983, I, 1707, con nota di richiami. La sentenza in epigrafe ha inoltre chiarito che il principio enunciato in massima era già insito nella disciplina dettata dalla previgeinte 1. 1424/40 (e v., già, per un ac cenno in tal senso, Cass. 957/82, cit.).
In dottrina v. Fiorenza, Note sulla revisione dell'accertamento doganale: fattispecie precluse e prescrizione del supplemento d'imposta, in Dir. e pratica trib., 1982, II, 1000.
Il Foro Italiano — 1986.
altro rilevabile icto oculi, in conseguenza dei quali fossero stati
applicati diritti inferiori o diversi da quelli stabiliti per la
categoria in cui era stata classificata la merce (art. 29 1. n. 1424
del 1940), mentre era preclusa la possibilità di rimediare ad
errori suscettibili di essere acclarati solo attraverso operazioni o
valutazioni di una certa complessità quale quella diretta a mo
dificare, per qualsiasi causa, la categoria della tariffa in cui la
merce era stata definitivamente inquadrata in sede di accertamen
to o di revisione.
Senonché questa tesi, accomunando nello stesso trattamento gli errori di attribuzione della categoria doganale cagionati da ine
satta o carente determinazione della qualità della merce e quelli dovuti soltanto ad un'errata determinazione della voce corrispon dente alla (incontestata) natura intrinseca della merce medesima,
è chiaramente contra legem, perché neglige la fondamentale
distinzione, presente nella vecchia e nella nuova normativa, fra
l'attività di qualificazione della materia imponibile, consistente
nell'accertamento della qualità, quantità, ecc. delle merci importa
te, e la successiva operazione di classificazione in una o in altra
voce della tariffa delle merci cosi come anteriormente qualificate.
Nella prima delle due ipotesi suddette, a torto ritenute equipol lenti dalla ricorrente, l'errore di inquadramento in tariffa non ha
rilievo autonomo, ma è conseguenziale a quello sulla qualità della
merce e perciò, per emendarlo, è necessaria un'indagine materiale
sulla merce medesima, attraverso nuove operazioni di descrizione
ed esame, giacché solo in tal modo è possibile rimuovere le
risultanze della dichiarazione dell'importatore, confermate o ri
scontrate dall'ufficio. E si configura, dunque, la fattispecie della
revisione dell'accertamento della materia imponibile, che nel pre cedente ordinamento non era più consentita dopo l'esportazione delle merci dagli spazi doganali (dovendosi risolvere le contesta
zioni al riguardo prima del rilascio della bolletta, secondo la
procedura di cui al t.u. n. 330 del 1911) e nel nuovo ordinamen to è regolata dall'art. 74 d.p.r. 23 gennaio 1973 n. 43, il quale assoggetta il potere di revisione dell'amministrazione ad un parti colare procedimento e ad un breve termine di decadenza (sei mesi).
Nella seconda ipotesi, invece, non viene in discussione l'iden tificazione quantitativa e qualitativa del prodotto, nelle sue com
ponenti merceologiche fiscalmente rilevanti, bensì' l'errore che si vuole correggere attiene alla possibilità di ricondurre la merce, non diversamente qualificata, nella voce della tariffa ritenuta
applicabile al momento dello sdoganamento. E per risolvere siffatta
questione si richiede unicamente un'attività di interpretazione nel
disposto della tariffa e delle altre norme in materia, senza un'in
dagine diretta della merce, sicché si versa nella fattispecie dell'ac
certamento suppletivo, riguardante appunto la correzione, oltre che degli errori di calcolo nella liquidazione del tributo, di tutti
gli errori relativi all'applicazione della tariffa; la quale rettifica tanto secondo la normativa abrogata (art. 29 1. n. 1424 del 1940),
quanto secondo quella vigente (art. 84, lett. a) è consentita all'amministrazione fino a quando non sia intervenuta la prescri zione dei relativi diritti doganali (v., da ultimo, sent. nn. 235 e 236 del 1984, Foro it., Rep. 1984, voce Dogana, nn. 49, 50; n. 957 del 1982, id., 1983, I, 1707; n. 4521 del 1982, id., Rep. 1983, voce cit., n. 50; n. 4825 del 1981, id., Rep. 1981, voce cit., n. 22; n. 5951 del 1981, id., Rep. 1982, voce cit,, n. 39).
Nella specie, mentre non era più modificabile la valutazione e
qualificazione del prodotto, poteva essere corretta, invece, la classificazione tariffaria, cioè l'inquadramento del medesimo, cosi come qualificato, in una od altre voci della tariffa; e perciò è
ineccepibile la statuizione della corte di merito, che ha ritenuto
legittima l'ingiunzione di pagamento dei maggiori tributi liquidati dall'amministrazione nell'esercizio del suddetto potere di rettifica.
2. - Del pari deve essere disatteso il secondo mezzo, con cui si denunzia il vizio di omessa motivazione perché dalla sentenza
impugnata non emergono le ragioni in base alle quali i giudici di
appello hanno condiviso la nuova classificazione del prodotto nella voce 18.06 della tariffa.
In realtà, nella sentenza è detto che nessuna indagirte doveva essere compiuta al riguardo, non avendo la società latticini mosso alcuna contestazione sul merito della rettifica operata dalla doga na (basata, del resto, sulla pronunzia penale ricordata in prece denza); e l'affermazione è esatta, risultando dagli atti che questo profilo della controversia — relativo, cioè, alla correttezza del nuovo inquadramento e, dunque, alla legittimità sostanziale della variazione — non ha mai formato oggetto di dibattito nelle fasi di merito, nelle quali si è sempre discusso soltanto dell'esistenza del potere dell'amministrazione di procedere alla rettifica.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Pertanto i giudici d'appello non potevano che limitarsi, cosi come hanno fatto, a prendere atto dell'assenza di contestazione sul punto, che non dava luogo ad una questione sulla quale dovessero pronunziarsi; e conseguentemente la censura in esame, prima che infondata, è inammissibile.
In definitiva, il ricorso deve essere rigettato. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 22 marzo
1986, n. 2039; Pres. Grimaldi, Est. Nuovo, P. M. La Valva
(conci, conf.); Pella (Avv. Neri) c. Soc. Zucca Rabarzucca
(Avv. Gaiti, Andreini). Conferma Trib. Milano 15 dicembre 1982.
Lavoro (collocamento della mano d'opera) — Assunzioni obbliga torie — Compatibilità dell'invalidità con la sicurezza delle
persone e degli impianti — Accertamento — Fattispecie (L. 2
aprile 1968 n. 482, disciplina generale delle assunzioni obbliga torie presso le p.a. e le aziende private, art. 1, 10, 19, 20).
Ai fini di escludere dall'assunzione obbligatoria un minorato, in
quanto pericoloso per la salute e l'incolumità dei compagni di
lavoro e per la sicurezza degli impianti, si deve valutare non solo l'incapacità derivante dall'invalidità, ma anche l'intero
quadro patologico del soggetto e 'la sua influenza sull'esercizio
di attività particolarmente rischiose (nella specie, si trattava di
mansioni compatibili con l'invalidità, ma l'avviato era da anni
un tossicomane eroinico e lo stabilimento aziendale era esposto a continuo pericolo di incendi ed esplosioni per la presenza di alcool etilico). (1)
Motivi della decisione. — (Omissis). Non meno infondato è il
secondo profilo del ricorso.
È vero che la legge ai fini dell'esclusione dall'assunzione
obbligatoria del minorato fa riferimento solo alla natura e al
grado della invalidità come fonte di pericolo per la salute e
l'incolumità dei compagni di lavoro e per la sicurezza degli
impianti, ma ciò non significa assolutamente che a questo effetto
si debbano valutare solo le incapacità derivanti dall'invalidità, e
non anche tutte le altre limitazioni derivanti dallo stato di salute
del lavoratore. A differenza della capacità lavorativa, che va determinata in
relazione al grado di invalidità, la compatibilità dell'idoneità fìsica
dell'invalido con la pericolosità delle lavorazioni e dell'ambiente
di lavoro va verificata tenendo conto dell'intero quadro patologi co del soggetto e della influenza che esso può avere sull'esercizio
di attività particolarmente rischiose.
Il diritto del datore di lavoro di rifiutare in casi del genere l'assunzione dell'invalido deriva, oltre che dalle norme già esami
nate, dall'obbligo, a lui incombente in forza dell'art. 2087 c.c. di
tutelare l'integrità fisica di tutti i prestatori di lavoro, ivi compre so lo stesso invalido da assumere, nei confronti del quale anzi
sarebbe responsabile delle conseguenze dannose per non avere
impedito la sua prestazione, nonostante la comprovata inidoneità
fisica a svolgere l'attività in quel determinato ambiente di lavoro
(vedi per l'affermazione di questi principi Cass. 26 ottobre 1961,
n. 2416, Foro it., Rep. 1961, voce Lavoro (rapporto), n. 596).
Non merita censura alcuna, dunque, la sentenza impugnata che
ha, conformemente alla conclusione della consulenza tecnica,
ritenuto che il Pella che, pure come invalido era in grado di
(1) Non si rinvengono precedenti in termini. La sentenza im
pugnata, Trib. Milano 15 dicembre 1982, è massimata in Foro it.,
Rep. 1983, voce Lavoro (collocamento), n. 119. Quella di primo grado, Pret. Milano 28 aprile 1982, id., Rep. 1982, voce cit., n. 189.
In tema di perdita della capacità di lavoro dell'invalido e della
dannosità del suo inserimento in azienda alla salute e incolumità dei
compagni di lavoro e alla sicurezza degli impianti (art. 1 1. 482 del
1968), cfr„ da ultimo, Cass. 8 marzo 1986, n. 1572, in questo
fascicolo, I, 1557, con nota di richiami. Circa la rilevanza della pretesa generica inesistenza in azienda di
posizioni di lavoro compatibili con la qualificazione professionale e le
menomazioni dell'invalido, cfr., da ultimo, Cass. 15 marzo 1986, n.
1789, che segue. Si segnala che nella sentenza in epigrafe è pure affermato il
principio, consolidato in giurisprudenza (da ultimo, cfr. Cass. 1572/86,
cit.), per il quale il responso, fornito dal collegio medico previsto dall'art. 20 legge cit., non è vincolante per il giudice investito delle
questioni relative alla mancata assunzione. Il passo della motivazione
relativa non è stato qui riportato per ragioni di spazio.
Il Foro Italiano — 1986.
svolgere mansioni non gravose, non poteva, quale tossicomane
eroinico da parecchi anni, trovare occupazione alcuna nello
stabilimento della Zucca, esposto a continuo pericolo di incendi
ed esplosioni per la presenza di alcool etilico.
Il ricorrente non contesta minimamente l'esattezza di tale
giudizio, ma si limita a ribadire l'argomento, già svolto nei gradi di merito, e cioè che la tossicodipendenza è reversibile. L'argo
mento, però, non ha alcun rilievo, perché, come ha osservato il
tribunale, lo stato fisico del Pella va valutato con riferimento al
momento dell'avviamento al lavoro e del rifiuto all'assunzione da
parte dell'azienda destinataria e, in quel momento, come è stato
accertato in fatto, lo stato di tossicomania sussisteva.
Il ricorso va dunque respinto. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 15 mar
zo 1986, n. 1789; Pres. Antoci, Est. M. De Luca, P. M. Zema (conci, conf.); Soc. Telettra (Avv. Benedetti,
Nicoletti) c. Graziani (Avv. Nappi, G. Rossi). Cassa Trib.
Rieti 3 luglio 1982.
Lavoro (collocamento della mano d'opera) — Assunzioni obbliga torie — Pretesa inesistenza di posizioni di lavoro compatibili con la qualifica professionale e le menomazioni dell'invalido —
Irrilevanza (L. 2 aprile 1968 n. 482, disciplina generale delle
assunzioni obbligatorie presso le p.a. e le aziende private, art.
10, 11, 13, 16; d.l. 29 gennaio 1983 n. 17, misure per il
contenimento del costo del lavoro e per favorire l'occupazione, art. 9; 1. 25 marzo 1983 n. 79, conversione in legge, con
modificazioni, del d.l. 29 gennaio 1983 n. 17, art. unico). Lavoro (collocamento della mano d'opera) — Assunzioni obbliga
torie — Obbligo derivante dall'atto di avviamento — Inosser
vanza — Inseguibilità in forma specifica — Risarcimento (Cod. civ., art. 1223, 1227, 1338, 2932).
La pretesa generica inesistenza in azienda di posizioni di lavoro
compatibili con la qualificazione professionale e le menomazio ni dell'invalido non legittima il rifiuto di assunzione da parte del datore. (1)
L'obbligo di assunzione di lavoratore protetto non è suscettibile di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c., ma il suo
inadempimento comporta la risarcibilità del danno da respon sabilità contrattuale. (2)
Motivi della decisione. — 1. - Con il primo motivo, denuncian do difetto di motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all'art. 360, n. 5, c.p.c., la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere omesso di esaminare la propria eccezione di deduzioni probatorie — in ordine alla inesistenza in azienda di posizioni di lavoro compatibili con la qualificazione professionale e le menomazioni dell'invalido avviato ed alla
conseguente impossibilità di utilizzarne le residue capacità lavora tive — sebbene la legge imponga al datore di lavoro « la sola
riserva di determinate posizioni » e non anche l'obbligo di « realizzare tipologie di mansioni inesistenti » o di « mutare l'orientamento della struttura organizzativa » dell'azienda, al solo fine di creare mansioni compatibili con l'invalidità a capacità
(1-2) La pronuncia, che si segnala per la lettura sistematica della 1. 482 del 1968 e per la particolare attenzione alla cornice costituzionale d'inquadramento della disciplina delle assunzioni obbligatorie, conferma principi già enunciati in giurisprudenza, ampiamente documentati in motivazione. Ai richiami contenuti in sentenza, adde, in senso confor me, quanto alla prima massima, da ultimo, indirettamente, Cass. 16 ottobre 1985, n. 5095, Foro it., Mass., 941; Pret. Milano 6 settembre e 7 maggio 1984, Orient, giur. lav., 1984, 1026 e 1024. Per l'affermazio ne dell'obbligo di reperire un posto compatibile allo stato dell'invalido tra quelli esistenti, ma per la negazione dell'obbligo di crearne uno
nuovo, cfr., con alcune sfumature, Trib. Milano 19 ottobre 1984 e 6 settembre 1983, id., 1985, 89, e, rispettivamente, Foro it., Rep. 1984, voce Lavoro (collocamento), n. 84. Cfr., inoltre, Pret. Milano 9 novembre-23 marzo 1983, Orient, giur. lav., 1983, 856 (s.m.); Trib. Lodi 21 marzo 1983, ibid. Cfr., inoltre, i richiami contenuti in G. Pera, La
giurisprudenza in materia di lavoro nel 1984, in Giornale dir. lav. rela zioni ind., 1985, 610.
Circa il principio sub 2, cfr., da ultimo, Cass. 27 settembre 1985, n. 4719 e 4 giugno 1985, n. 3330, Foro it., 1986, I, 999, con nota di richiami. Su quest'ultimo aspetto, cfr., in senso contrario, ma come obiter dictum soltanto enunciato, da ultimo, Trib. Lucca 12 novembre
1985, che sarà riportata in un prossimo fascicolo.
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