sezione I civile; sentenza 27 febbraio 2004, n. 3984; Pres. Vitrone, Est. Giuliani, P.M. Apice(concl. conf.); Soc. Diana (Avv. Sassani, Franzosi, Gostner, Biglia) c. Soc. Diana de Silvacosmétiques (Avv. Persichelli, Guglielmetti). Conferma App. Milano 28 gennaio 2000Source: Il Foro Italiano, Vol. 127, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 2004), pp. 2117/2118-2125/2126Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23199557 .
Accessed: 25/06/2014 00:42
Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp
.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].
.
Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.
http://www.jstor.org
This content downloaded from 91.229.229.162 on Wed, 25 Jun 2014 00:42:02 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
azionato la cintura di sicurezza, in quanto detta prova poteva es sere fornita solo con testimoni, documenti o confessioni e non con consulenza tecnica, anche essa è infondata.
Va, anzitutto, osservato che la consulenza tecnica non è sol
tanto strumento di valutazione tecnica, ma anche di accerta
mento e di ricostruzione dei fatti storici, prospettati dalle parti, senza peraltro costituire un mezzo sostitutivo àtWonus proban di gravante su di esse (cfr. Cass. 30 maggio 1983, n. 3734, id.,
Rep. 1983, voce Consulente tecnico, n. 20; 7 novembre 1987, n.
8256, id.. Rep. 1987, voce cit., n. 14). 12.3. - Nella fattispecie, in ogni, caso, la ricostruzione del
l'incidente, per la parte che riguardava la cintura di sicurezza, è
stata effettuata dal consulente tecnico sulla base del dato incon
testato tra le parti che la Leggio era stata sbalzata — a seguito dell'urto contro il muro dell'auto — fuori dall'abitacolo e ad al
cuni metri di distanza dall'auto stessa, battendo il capo contro
l'asfalto.
Sulla base di questo dato storico certo, che è pacifico tra le
parti, il consulente ha effettuato la valutazione tecnica che non
era allacciata la cintura ed ha quindi accertato quale fosse stata
l'incidenza eziologica della mancanza della cintura nella produ zione dell'evento dannoso.
Il giudice ha ritenuto di dover condividere detta conclusione
del c.t.u. Peraltro i ricorrenti incidentali non danno alcuna altra
spiegazione al fatto che la trasportata fosse stata sbalzata fuori
dalla vettura, fatto certo ed incompatibile con l'ipotesi che la
cintura fosse allacciata.
La ricostruzione di un incidente stradale, attenendo ad un ac
certamento fattuale, rientra nei poteri del giudice di merito e
non è censurabile in sede di legittimità, se non per vizio motiva
zionale, che nella specie non si ravvisa, avendo il giudice rite
nuto che la Leggio non avesse la cintura sulla base delle risul
tanze della consulenza tecnica d'ufficio.
13. - In definitiva i ricorsi vanno rigettati.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 27 feb
braio 2004, n. 3984; Pres. Vitrone, Est. Giuliani, P.M. Apice
(conci, conf.); Soc. Diana (Avv. Sassani, Franzosi, Gostner,
Biglia) c. Soc. Diana de Silva cosmétiques (Avv. Persichel
li, Guglielmetti). Conferma App. Milano 28 gennaio 2000.
Marchio — Marchi forti — Rischio di confusione — Nucleo
ideologico dei segni — Differenziazione — Rilevanza —
Fattispecie (R.d. 21 giugno 1942 n. 929, testo delle disposi zioni legislative in materia di brevetti per marchi d'impresa, art. 1).
La valutazione del rischio di confusione tra marchi forti pre scinde dalla ricerca di varianti ed aggiunte isolate, mentre va
condotta con riferimento al contesto generale dei segni, sic
ché il rischio in parola va escluso allorché i marchi in esame —
pur se coincidenti per qualche elemento — si differenziano con riferimento al loro «nucleo ideologico» (nella specie, la
Suprema corte ha ritenuto immune da vizi logico-giuridici,
perciò non censurabile, la motivazione del giudice di merito, che aveva escluso il rischio di confusione tra i marchi com
plessi, figurativi e denominativi, «Diana» e «Diana de Silva», entrambi per prodotti di pelletteria ed accessori di moda, ri
levando che si tratta di segni sufficientemente differenziati, in
quanto nel primo il nome «Diana», sovrapposto al disegno di
un 'antilope che salta sullo sfondo di una pezza di cuoio, evo
ca la dea della caccia, ed esprime quindi un legame con gli animali di cui si lavorano le pelli, mentre il secondo marchio
è costituito da una composizione grafica formata da un qua
II Foro Italiano — 2004.
dro all'interno del quale si trova la sigla stilizzata «DdS» e
sotto, in caratteri più piccoli, il patronimico «Diana de Sil
va», privo di qualsiasi connotato di fantasia, in quanto indica
il nome ed il cognome di una donna precisa, legata alla casa
produttrice). (1)
( 1 ) I. - La Cassazione pone termine, con la sentenza in rassegna, al caso «Diana», confermando, anche nell'iter motivazionale, App. Mila no 28 gennaio 2000, Foro it., Rep. 2002, voce Marchio, nn. 142, 160, e, per esteso, Giur. dir. ind., 2000, 718, che a sua volta aveva rigettato il gravame proposto avverso Trib. Milano 23 gennaio 1997, Foro it.,
Rep. 1999, voce cit., n. 123, e, per esteso, Giur. dir. ind., 1997, 584, ove sono anche riprodotti i marchi in contestazione.
Le sentenze di merito si erano occupate anche di ulteriori profili, non
oggetto di ricorso per cassazione. In particolare, Trib. Milano 23 gen naio 1997, cit., si è pronunciata sul giudizio di confondibilità tra ditte
(affermando che deve applicarsi un criterio meno rigoroso che nel giu dizio di confondibilità tra marchi); ha poi rilevato che il marchio costi tuito — nella sua componente denominativa — da nome e cognome trova il suo elemento semantico fornito di prevalente capacità «infor mativa» non nel prenome ma nel cognome. In termini, su quest'ultimo aspetto, v. Cass. 22 aprile 2003, n. 6424, Foro it., 2004, I, 205, con
ampia nota di richiami di Casaburi. II. - Cass. 3984/04 affronta, ellitticamente, un profilo cruciale del di
ritto (non solo italiano) dei marchi, dibattuto in giurisprudenza come in
dottrina, vale a dire l'individuazione dei parametri del giudizio di con fusione, o piuttosto di confondibilità tra i marchi: quello di cui è chiesto la tutela e quello (o quelli) di cui si afferma il carattere contraffattorio.
La norma di riferimento — peraltro non richiamata espressamente —
è l'art. 1,1° comma, lett. b), 1. marchi, nel testo novellato dal d.leg. 480/92, di attuazione della direttiva Ce 89/104 del 21 dicembre 1988. secondo cui il titolare del marchio ha il diritto di vietare a terzi di usare «un segno identico o simile al marchio registrato, per prodotti o servizi identici o affini, se a causa dell'identità o somiglianza tra i segni e del l'identità o affinità tra i prodotti o servizi, possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico, che può consistere anche in un rischio di associazione tra i due segni», la norma — immodificata — costituisce l'art. 20, 1° comma, lett. b), del progetto di codice dei diritti di pro prietà intellettuale, nella bozza del 2 febbraio 2004.
Negli stessi termini è formulato, sostanzialmente, l'art. 9, 1° comma, lett. b), del regolamento Ce 40/94 del consiglio del 20 dicembre 1993, sul marchio comunitario. Così anche la legislazione degli altri Stati della Comunità europea: v. ad es. — per la Francia — l'art. 713-3 del Code de la propriété intellectuelle.
III. - La Cassazione muove dal carattere forte — la cui definizione è data per presupposta — di entrambi i marchi delle parti, «Diana» e «Diana de Silva», o meglio dal rilievo (così rigettando uno specifico motivo di ricorso) che il giudice d'appello aveva senz'altro ricono sciuto tale carattere, provvedendo di conseguenza.
Sulla distinzione pretoria tra marchi deboli e forti, v. i richiami con tenuti nella nota ad App. Torino 28 dicembre 2002, id., 2003, I, 1871, sub II.
Per la giurisprudenza sui marchi contenenti la denominazione «Dia
na», riferibili ad altri soggetti, cfr. App. Milano 10 febbraio 1995, id.,
Rep. 1996, voce cit., n. 154 (e, per esteso, Giur. dir. ind., 1995, 861), invocata — impropriamente — dal ricorrente nel caso di specie.
La corte territoriale aveva affermato, fra l'altro, che il marchio «Dia
na», adottato per prodotti di abbigliamento (biancheria personale, co stumi da bagno), è un marchio forte, contraffatto dal marchio «Diana
d'Este», adottato da altro imprenditore per i medesimi prodotti; ciò in riforma di Trib. Milano 21 ottobre 1991, Foro it., Rep. 1994, voce cit., n. 106, secondo cui «Il segno 'Diana', in quanto nome proprio femmi
nile, deve considerarsi marchio debole quando venga usato per con
traddistinguere prodotti destinati ad un pubblico femminile; esso per tanto non è contraffatto dal marchio successivo 'Diana d'Este', sia per ché sufficientemente differenziato dal precedente debole segno distinti
vo, sia perché tale differenziazione porta la mente del consumatore ad evocare personaggi di tipo diverso (mitologico-rinascimentale) e ad
istituire così automatiche debite differenziazioni tra i prodotti così ca ratterizzati».
IV. - La giurisprudenza è costante nell'affermare che il confronto tra due segni, al fine di accertarne la possibilità di confusione, va condotto in via sintetica, mediante uno sguardo d'insieme, e ciò in relazione alla normale percezione del pubblico; la sentenza in epigrafe — pur non
enunciandoli tutti — non si è discostata da tali criteri. Più precisamente, nel confronto tra marchi complessi, la valutazione
del giudice: a) con riferimento a ciascun marchio deve essere globale, in relazio
ne al complesso di insieme degli elementi costitutivi (grafici, simbolici,
figurativi, denominativi, fonetici . . .); b) deve fondarsi su un confronto — sempre d'insieme — di entram
This content downloaded from 91.229.229.162 on Wed, 25 Jun 2014 00:42:02 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
PARTE PRIMA
Svolgimento del processo. — Con atto di citazione notificato
il 25 maggio 1992, la Diana de Silva cosmétiques s.p.a. (DdS) conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Milano la Diana
s.r.l. e, premesso di essere una nota società (appartenente al
gruppo Bracco) che operava nel settore dei cosmetici appunto e
che, sin dalla fine degli anni settanta, aveva iniziato ad ampliare la propria attività estendendola anche al settore della pelletteria e degli accessori di moda, tanto da depositare per la relativa
classe 18, in data 11 aprile 1990, il proprio marchio, chiedeva
che lo stesso giudice procedesse all'accertamento negativo della
bi ì segni, che tenga conto degli elementi di somiglianza più che di
quelli di differenziazione; c) anche riguardo agli elementi denominativi/verbali deve tener
conto degli effetti grafici e/o fonetici delle espressioni adoperate; d) deve essere sintetica, di impressione, senza aver riguardo alla
possibilità di un attento esame comparativo di particolare competenza ed approfondimento;
e) deve pertanto essere parametrata alla normale diligenza ed avve dutezza del pubblico dei consumatori di quel genere di prodotti, tenuto conto quindi dell'effettivo contesto di mercato in cui si asserisce essere avvenuta l'attività illecita; il giudice deve quindi assumere, per quanto possibile, la stessa posizione valutativa del destinatario «tipo» dei se
gni; f) riguardo ai marchi forti, la tutela è riconosciuta contro tutte le
imitazioni che lascino persistere l'identità sostanziale del segno; gli elementi comuni non comportano confondibilità solo qualora siano uti lizzati come componente secondaria che concorre con altre a rappre sentare una certa idea espressiva, senza evocare il nucleo identificativo del primo marchio, di cui è chiesta la tutela; pertanto devono ritenersi
illegittime tutte le variazioni o modificazioni, anche se rilevanti od ori
ginali, che lascino persistere l'identità sostanziale del «cuore» del mar
chio, ovverosia del «nucleo ideologico» espressivo costituente l'idea fondamentale in cui esso si riassume, caratterizzando la sua spiccata azione individuante.
Cfr., in termini, relativamente alla giurisprudenza più significativa degli ultimi anni, Trib. Salerno 30 giugno 2000, id., Rep. 2002, voce
cit., n. 145; Trib. Roma 29 ottobre 2001, ibid., n. 156 (e, per esteso, Giur. it., 2002, 1445) che — adottando il metodo di giudizio sintetico e sul presupposto che il raffronto va eseguito tra un marchio che il con sumatore ha dinanzi agli occhi ed il mero ricordo mnemonico dell'al
tro, osserva che «la notevole complessità di un marchio fa venire meno la sua confondibilità — quanto a fonte di provenienza — con un altro, con il quale abbia in comune solo parzialmente la parte denominativa».
Così anche Trib. Palermo 22 aprile 2002, Giur. dir. ind., 2002, 800, secondo cui i consumatori, non potendo fare un immediato raffronto dei due segni, evocano il ricordo visivo di quello imitato, non presente, in base all'impressione generale risultante dall'aspetto d'insieme, trascu rando i particolari.
In termini, Trib. Messina 20 giugno 2001, Foro it., 2001, I, 2975, con nota di Laghezza (con riferimento ad una testata giornalistica); Trib. Parma 22 maggio 2000, id., Rep. 2002, voce cit., n. 170; Trib. To rino 13 aprile 2000, ibid., n. 172; Trib. Napoli-Afragola 13 marzo
2000, ibid., n. 147; Trib. Milano 29 gennaio 2000, ibid., n. 148; Trib.
Napoli 5 novembre 1998, id., Rep. 1999, voce cit., n. 108 (e, per esteso. Dir. ind., 1999, 138; Riv. dir. ind., 1999, II, 243).
V. - In argomento, App. Milano 17 luglio 1998, Foro it.. Rep. 2001, voce cit., n. 191 (con riferimento alla tutela di un marchio che non
contrassegna individualmente i singoli prodotti, ma designa una loro
particolare tipologia, che è individuabile per esclusivo mezzo del cata
logo di produzione); 9 giugno 1998, ibid., n. 192 (che pone l'accento,
per la configurabilità del rischio di confusione, sulla sovrapponibilità della clientela).
Sulla rilevanza del contesto di collocazione del marchio, v. Trib. Vi cenza 12 gennaio 2000, ibid., n. 207, che assume che il simbolo ripro dotto su una confezione, per la peculiarità dell'accostamento col pro dotto, è in grado di produrre confusione nel pubblico, il quale, per indi viduare il prodotto come proveniente dall'una piuttosto che dall'altra casa produttrice, è costretto ad individuare il nome sulla confezione, con conseguente perdita di efficacia propria del marchio.
In termini, in riferimento alla fattispecie «confinante» della concor renza sleale confusoria, v. Cass. 23 febbraio 2000, n. 2072, id., 2000,1, 3555; Trib. Napoli 26 luglio 2001, id.. Rep. 2002, voce Concorrenza
(disciplina), n. 260. Per la giurisprudenza comunitaria, v. Corte giust. 22 giugno 1999,
causa C-342/97, id., Rep. 1999, voce Unione europea, n. 1239. VI. - Per una casistica dei provvedimenti di maggior rilievo degli ul
timi anni, v. anche Trib. Verona 19 marzo 2002, id., Rep. 2002, voce
Marchio, n. 138, che ha esaminato una fattispecie speculare a quella decisa dalla sentenza in rassegna; App. Milano 18 maggio 2001, ibid., n. 190, secondo cui il marchio «Enerbest» utilizzato per prodotti identi ci e non solo appartenenti alla stessa classe merceologica viola la sfera di protezione che viene riconosciuta al marchio «Enervit».
Il Foro Italiano — 2004.
contraffazione e della concorrenza sleale contro di essa pro
spettate nella diffida del 16 aprile 1992 dalla convenuta, la
quale, infatti, le aveva contestato che l'uso ad opera dell'attrice
della denominazione e del marchio nel settore dei prodotti di cui
alla classe merceologica sopra riferita provocava una lesione dei
diritti di esclusiva che nascevano, a suo favore, dal marchio (n.
39451), depositato il 31 agosto 1981, contraddistinto dalla pa rola «Diana», laddove i due marchi e le due denominazioni non
potevano collocarsi su un piano tale da poter essere confusi.
La convenuta medesima, costituendosi, eccepiva l'incompe
La decisione adottata per il caso «Diana» trova riscontro anche in
App. Milano 8 maggio 2001, Giur. dir. ind., 2002, 139, e in Trib. An cona 10 aprile 2002, inedita (che ha escluso la confondibilità del mar chio costituito dalla parola «Bridge», sormontata dalla figura di un
ponte levatoio, con il marchio «Bainbridge», parola sovrapposta ad una vela per imbarcazioni «in quanto sono caratterizzati da elementi distinti sul piano sia grafico che concettuale, e le parti denominative non assur
gono a dati individualizzanti»). Trib. Roma 29 ottobre 2001, cit., segnala che «l'importanza ed il ri
lievo della parte denominativa si affievoliscono nella valutazione d'in sieme del marchio ed essa non può, pertanto, assurgere a 'cuore' del marchio complesso, quando la sua forza evocativa sia neutralizzata dal l'uso diffuso che di tale denominazione si faccia per designare altri
operatori e soggetti economici (nella specie, non sono stati ritenuti con fondibili i marchi 'Yale' e 'Yale Sportswear')».
Di rilievo, pur se richiama la concorrenza sleale per imitazione ser
vile, Trib. Verona 30 giugno 1999, Foro it., Rep. 2001, voce Concor
renza (disciplina), n. 280 (che ha affermato la contraffazione del mar chio costituito dalla denominazione «Divani & Divani», rappresentata con la iniziale «D» e la finale «I» scritte in caratteri di dimensioni
maggiori degli altri, e con la lettera «&» ancora maggiore). Trib. Milano 14 dicembre 1995, id., Rep. 1997, voce Marchio, n.
168, ha escluso la confondibilità dei marchi «3D» e «Virtual dimen sion» sia per l'assenza di possibili rischi di confusione tra i termini sotto il profilo grafico e fonetico (e avuto riguardo anche alla loro rap presentazione cromatica), sia per la sostanziale inappropriabilità dell'i dea sottesa (il richiamo al concetto di tridimensionalità o a quello della realtà virtuale).
Cfr. anche Trib. Piacenza 12 agosto 2000, id.. Rep. 2002, voce cit., n. 162; Trib. Monza-Desio 13 gennaio 2000, ibid., voce Concorrenza
(disciplina), n. 237. VII. - Il rischio di confusione e quindi la contraffazione del marchio
sussiste indipendentemente dall'effettiva confondibilità fra i prodotti: v. Cass. 4 dicembre 1999, n. 13592, id.. Rep. 2001, voce Marchio, n. 148 (e, per esteso, Riv. dir. ind., 2001, II, 85, con nota di Sena).
App. Milano 19 dicembre 1997, Foro it., Rep. 2001, voce cit., n.
149, è giunto ad affermare che l'uso non autorizzato del marchio su
prodotti dello stesso genere costituisce contraffazione indipendente mente dalla sussistenza di un effettivo pericolo di confusione fra i pro dotti; neanche rileva la differenza di prezzo dei prodotti delle parti, potendosi ritenere che il consumatore possa pensare che il prodotto di minor costo sia una produzione di minor pregio della stessa azienda
produttrice. La confondibilità non è esclusa dalla circostanza che il marchio del
convenuto non goda della stessa rinomanza di quello dell'attore; al contrario, la notevole fama di un marchio può facilitare la confusione, rendendo più probabile l'effetto di assimilazione dei due segni, sia sul
piano grafico che su quello della percezione sonora: v. App. Bologna 18 febbraio 1998, ibid., n. 246.
La giurisprudenza nega rilevanza alla confondibilità sull'origine im
prenditoriale dei prodotti specie a fronte di marchi di rinomanza: qui. ai fini della tutela, rileva piuttosto la distrazione dei valori di avviamento indotti dall'uso di un contrassegno che faccia leva sui valori suggestivi diffusi nel mercato: Trib. Monza 8 luglio 1999, ibid., n. 157.
Beninteso, anche la possibilità di confusione deve essere attuale, vale a dire si verifica quando il prodotto contrassegnato abusivamente viene immesso sul mercato e dunque può essere scambiato, proprio in forza
dell'usurpazione del marchio altrui, con il prodotto legittimamente contrassegnato. Qualora poi la concreta confusione fra i due segni di stintivi sia effettivamente avvenuta, il contraffattore dovrà rispondere dei danni cagionati: v. App. Milano 11 luglio 1997, id., Rep. 2000, vo ce cit., n. 109.
Va anche richiamata Trib. Napoli 26 febbraio 2002, id., Rep. 2002, voce cit., n. 134 (e, per esteso, Dir. informazione e informatica, 2002, 893; Giur. dir. ind., 2002, 4411), secondo cui in materia di contraffa zione del marchio e di suo sfruttamento in ambito telematico, il rischio di confusione/associazione si manifesta con modalità peculiari in Inter net; in questo campo, occorre fare riferimento alla c.d. pre-sale o initial
confusion, che consiste nella confusione del marchio tutelato al mo mento dell'approccio dell'utente, con un sito che richiama, come nome di dominio, lo stesso nome del marchio tutelato e propone servizi ana
loghi.
This content downloaded from 91.229.229.162 on Wed, 25 Jun 2014 00:42:02 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
tenza per territorio del tribunale adito e, nel merito, chiedeva il
rigetto della pretesa avversaria, spiegando altresì domanda ri
convenzionale per l'accertamento del comportamento dell'attri
ce che implicava contraffazione ed illecita concorrenza.
Detto giudice, con sentenza del 12 dicembre 1996 - 23 gen naio 1997 (Foro it., Rep. 1999, voce Marchio, n. 123), ritenuta
insussistente l'interferenza e la confusione tra i due marchi, in
accoglimento delle domande dell'istante principale, dichiarava
che l'utilizzo da parte di quest'ultima del marchio e della de
vili. - La difesa della parte ricorrente ha insistito sul carattere evo
cativo del marchio «Diana de Silva», che richiamerebbe, anche nel co
gnome, la foresta e la caccia, quindi il primo marchio.
Qui è palesemente sostenuta, pur se non esplicitamente, una conce
zione ampia del rischio di associazione tra marchi, figura prevista dallo
stesso art. 1,1° comma, lett. b), cit., alla stregua della quale tale rischio
non è ricompreso tout court in quello di confusione; il concetto di asso
ciazione, specie in presenza di marchi di rinomanza, sarebbe invece più
ampio, in quanto comprende ogni ipotesi di collegamento, anche poten ziale, anche meramente psicologico tra i due segni; ciò nel senso che la
clientela, indipendentemente da ogni confusione tra i prodotti e, prima ancora in ordine all'origine degli stessi, è indotta a collegare il marchio
originale al contraffatto, nel senso che tende ad attribuire ai prodotti cui
il secondo è apposto le caratteristiche — positive — di quelli contras
segnati dal primo. In tal senso è una parte minoritaria ma significativa della giurispru
denza di merito (ciò alla stregua anche del riconoscimento giuridico delle funzioni del marchio ulteriori rispetto a quella meramente distin
tiva, di provenienza, su cui, v. sub XI); v. Trib. Monza 17 ottobre 2000, Foro it., Rep. 2002, voce Concorrenza (disciplina), n. 249 (secondo
cui, quand'anche non si reputasse che l'utilizzo del segno «Adilia» ri
spetto al marchio registrato «Adidas» sia suscettibile di ingenerare con
fusione, sussisterebbe comunque la contraffazione sotto il profilo del
pericolo di associazione tra segni); Trib. Milano 24 febbraio 2000,
ibid., voce Marchio, n. 164 (con riferimento a testate giornalistiche); Trib. Napoli 5 novembre 1998, cit.; 13 luglio 1998, id., Rep. 1999, vo
ce cit., n. 94 (secondo cui la confusione ora comprende ogni ipotesi di
appropriazione, da parte del marchio contraffatto, delle qualità e in ge nerale dell'immagine complessiva trasmessa al pubblico dal marchio
originale); 26 giugno 1997, id.. Rep. 1997, voce cit., n. 131; 31 maggio 1997, ibid., n. 132; 13 maggio 1996, id., Rep. 1996, voce cit., n. 187 (e,
per esteso, Riv. dir. ind., 1996, II, 288, con nota adesiva di Franzosi, difensore della ricorrente nella vicenda decisa dalla sentenza in epigra
fe). Una interpretazione più restrittiva del rischio di associazione è stata
però espressa dal giudice comunitario: Corte giust. 11 novembre 1997, causa C-251/95, Foro it., Rep. 1998, voce Unione europea, n. 885 (e,
per esteso, Dir. ind., 1998, 132), nonché 22 giugno 2000, causa C
425/98, Foro it., Rep. 2001, voce cit., n. 1147, hanno affermato che la
nozione di rischio di associazione non è alternativa alla nozione di ri
schio di confusione bensì serve a precisarne la portata. Pertanto la mera associazione tra due marchi che possa essere ope
rata dal pubblico per effetto della concordanza del loro contenuto se
mantico non è di per sé sufficiente per ritenere che sussista un rischio
di confusione. In termini, nella giurisprudenza italiana, è Trib. Monza-Desio 9 giu
gno 2001, id., Rep. 2002, voce Marchio, n. 151; Trib. Monza 17 otto
bre 2000, ibid., n. 153; Trib. Napoli 13 settembre 2000, ibid., voce
Concorrenza (disciplina), n. 229, secondo cui il rischio di associazione
non costituisce altro che una specificazione del rischio di confusione tra
marchi e segni distintivi del produttore, sicché la mera associazione, senza confusione, non dà luogo a contraffazione; Trib. Torino 30 otto
bre 1996, id., Rep. 1997, voce Marchio, n. 133.
Trib. Milano 29 gennaio 2000, id., Rep. 2002, voce cit., n. 155, af
ferma così che il rischio di associazione sussiste quando il pubblico —
pur non riconducendo al titolare del marchio imitato anche la prove nienza dei prodotti contraddistinti dal marchio imitante — sia portato a
ritenere sussistenti rapporti tra le imprese di natura contrattuale (quale ad esempio un rapporto di licenza di marchio in base al quale venga consentita la produzione e la commercializzazione di uno stesso pro dotto di minor costo rivolto ad un consumatore con più ridotte capacità di spesa); in termini, v. ancora Trib. Torino 22 aprile 1999, id., Rep.
2001, voce cit., n. 229; Trib. Bologna 15 aprile 1999, ibid., n. 198.
IX. - La sentenza in rassegna non si è occupata di ulteriori aspetti si
gnificativi nella valutazione del rischio di confusione tra marchi, in
quanto non rilevanti nel caso di specie. Si è già fatto cenno alla possibilità di interferenza confusoria tra
marchi di prodotto e di servizio, su cui v. Cass. 17 luglio 2003, n.
11179. id., 2004,1, 530. La giurisprudenza, specie di legittimità, tende ad affermare che il
giudizio di confondibilità va condotto accertando anzitutto la confondi
bilità tra i segni in sé, e solo successivamente la confondibilità tra pro
li. Foro Italiano — 2004.
nominazione «Diana de Silva» non costituiva contraffazione del
marchio e della denominazione della convenuta Diana s.r.l.
Contro tale decisione, proponeva appello la Diana s.p.a. (già Diana s.r.l.), deducendo molteplici censure.
Resisteva nel grado l'appellata, la quale chiedeva il rigetto del mezzo sottolineando l'infondatezza dei relativi motivi.
La Corte d'appello di Milano, con sentenza del 16 novembre
1999 - 28 gennaio 2000 (id., Rep. 2002, voce cit., nn. 142, 160), respingeva il gravame, assumendo:
dotti sulla base quanto meno della loro affinità: v. Cass. 17 maggio 2000, n. 6393, id., Rep. 2002, voce cit., n. 141, nonché 9 febbraio 2000, n. 1424, id., 2001,1, 641; quest'ultima sentenza ha precisato che l'affi
nità tra prodotti similmente marcati ricorre quando, per le caratteristi
che intrinseche di ognuno, sussista l'attitudine a soddisfare le medesi
me esigenze di mercato, cagionando al concorrente confuso un danno
per sviamento di clientela.
Beninteso, il requisito dell'affinità, espressione del principio di spe cialità della tutela del marchio, riguardo ai marchi notori o rinomati de
ve essere formulato «secondo un criterio più largo di quello adoperato
per i marchi comuni; in relazione ai marchi c.d. 'celebri', infatti, deve
accogliersi una nozione più ampia di 'affinità' la quale tenga conto del
pericolo di confusione in cui il consumatore medio può cadere attri
buendo al titolare del marchio celebre la fabbricazione anche di altri
prodotti non rilevantemente distanti sotto il piano merceologico e non
caratterizzati — di per sé — da alta specializzazione»; v. anche Cass.
20 dicembre 1999, n. 14315, id., Rep. 2000, voce cit., n. 174.
La tutela allargata, ultramerceologica dei marchi rinomati è volta ad
evitarne l'indebito sfruttamento del valore attrattivo: v. Trib. Milano 23
dicembre 1999, id., Rep. 2002, voce cit., n. 99 (secondo cui il marchio
«Nike sport fragrance» per profumi, è confondibile con il marchio
«Nike» per articoli sportivi). X. - Ci si chiede poi se il giudizio di confusione vada condotto in
astratto, sulla base dei soli elementi risaltanti dalla registrazione, o in
concreto, con riferimento alle modalità d'uso del segno e al verificarsi
di un effettivo rischio di confusione.
Per la confondibilità in concreto, v. Trib. Palermo 4 dicembre 2001,
ibid., voce Concorrenza (disciplina), n. 235 (con riferimento ad un no
me di dominio Internet interferente con un marchio registrato); Trib.
Milano 11 ottobre 2001, ibid., n. 263; 16 marzo 2000, ibid., voce Mar
chio, n. 159. Così Trib. Napoli 5 novembre 1998, cit., id., Rep. 1999, voce cit., n.
109: «Nel valutare il rischio di confusione occorre tenere conto del li
mite derivante dal significato che il marchio assume in concreto agli occhi del pubblico dato che l'uso, come è determinante ai fini della tu
tela della funzione di collettore della clientela del marchio nel caso
specifico per salvaguardarne il valore economico acquisito, così è de
terminante anche con riferimento alla interferenza tra i marchi e quindi in relazione al giudizio di contraffazione».
In senso contrario, per la confondibilità in astratto, v. Trib. Milano 3
giugno 2002, Giur. dir. ind., 2002, 993; Trib. Vicenza 29 giugno 2000,
Foro it., Rep. 2002 , voce cit., n. 144.
Ancora discussa, infine, la questione della cumulabilità nello stesso
giudizio dell'azione a tutela del marchio con quella personale di con
correnza sleale; tra i provvedimenti più recenti, v., a favore del cumulo, Trib. Vicenza 14 ottobre 1999, ibid., n. 123; Trib. Catania 10 luglio
1998, id., Rep. 2000, voce Concorrenza (disciplina), n. 249; contra,
App. Milano 8 gennaio 2002, id., Rep. 2002, voce Marchio, n. 126 (se condo cui la confondibilità dei prodotti oggetto di causa, ingenerata dall'essere i medesimi identici e dotati di uguale marchio, non configu ra un caso di concorrenza sleale, essendo la fattispecie interamente ri
compresa nella ritenuta violazione di marchio). Trib. Torino 22 febbraio 1999, id.. Rep. 2001, voce cit., n. 175, pre
cisa che la tutela secondo la legge marchi prescinde dalla necessità di
una valutazione del prodotto nel suo complesso, valutazione che costi
tuisce, invece, parametro indispensabile di giudizio per l'accertamento
dell'illecito concorrenziale pertinente all'imitazione servile dei prodotti di un concorrente.
XI. - II rischio di confusione dei marchi è stato particolarmente ap
profondito anche in dottrina, in quanto si tratta di uno snodo di cruciale
rilievo, pratico-teorico, e che incide sulla stessa configurazione della
funzione del marchio, successivamente alle riforme degli anni novanta.
Va segnalato che — oltre al diritto comunitario — sul sistema nor
mativo italiano ha inciso fortemente anche l'accordo GATT-TRIPs,
sottoscritto a Marrakech il 15 aprile 1995, recepito in Italia dal d.leg. 19 marzo 1996 n. 198.
In particolare è entrata in crisi la tradizionale concezione del marchio
come «indicatore di provenienza» dei prodotti e servizi che contraddi
stingue. Di contro il marchio — quantomeno in un'ottica economica e di
marketing — ha assunto sempre più un valore autonomo, pubblicitario, di comunicazione e di investimento (per le imprese e per il pubblico),
This content downloaded from 91.229.229.162 on Wed, 25 Jun 2014 00:42:02 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
PARTE PRIMA
a) che i marchi in questione avessero ciascuno un proprio nucleo ideologico, caratterizzato da elementi plurimi e tra loro
diversi, che ne componevano l'insieme ed erano, rispetto a que sto, non separabili e distintamente apprezzabili;
b) che il nome «Diana» riportato nel marchio più recente (per i prodotti classe 18) della società Diana de Silva si inserisse in
una composizione grafica del tutto diversa rispetto a quella della
società Diana ed avesse una valenza evocativa differente, non
denotando alcuna caratteristica che gli attribuisse rilievo auto
nomo ed essendo inserito nel contesto degli altri elementi che
componevano il marchio complesso, rispetto ai quali non si evi
denziava in alcun modo particolare;
c) che la comunanza, quindi, del nome «Diana» nei due mar
chi, in ragione della diversità concettuale ivi rispettivamente as
sunta, non ne compromettesse la diversità, trattandosi di un
elemento non sufficiente a determinare interferenze in seno alla
funzione distintiva propria di ciascuno e non apparendo la de
nunciata sovrapposizione in alcun modo idonea a provocare nel
consumatore medio, e tanto meno negli operatori del settore, ri
schi di confusione, né a creare l'impressione che i prodotti con
trassegnati da tali marchi provenissero da un'unica fonte pro duttiva o che comunque tra le due imprese produttrici potesse sussistere un qualche collegamento.
Avverso tale sentenza, propone ricorso per cassazione la Dia
na s.p.a., deducendo tre motivi di gravame, illustrati da memo
ria, cui resiste con controricorso la Diana de Silva cosmétiques
s.p.a., la quale, a propria volta, spiega ricorso incidentale condi
zionato del pari affidato a tre motivi, ugualmente illustrando
l'uno e l'altro con memoria.
ampiamente svincolato dai prodotti e servizi cui inerisce (il che non è
privo di profili negativi: si pensi alla pratica del c.d. «marchio di ri
chiamo»). In altri termini il marchio tende a divenire sempre più il compendio
di un insieme di informazioni e di suggestioni positive, che dal marchio si estendono al prodotto o al servizio contraddistinto (che, in un certo
senso, finisce per avere una posizione di «secondo piano»). E però discusso se, e fino a che punto, tutto ciò abbia assunto rile
vanza giuridica, vale dire se il marchio, oltre alla funzione distintiva
tradizionale, ha assunto — per il diritto — anche la funzione comuni
cativa/pubblicitaria che sicuramente ha nella realtà economica. E proprio il rischio di confusione la chiave di comprensione della
penetrazione, nel diritto dei marchi, di tale nuova e ulteriore dimensio ne.
Cfr., per una prima ricognizione, Ubertazzi (a cura di), Commenta rio breve al diritto della concorrenza, Padova, 2004, 344 ss. (sub art. 1 1. marchi).
Per un'impostazione tradizionale, ma attenta agli sviluppi della dot trina e della giurisprudenza più recenti, v. Sena, Il nuovo diritto dei
marchi, Milano, 2001, 66 ss.
Maggiore apertura al riconoscimento delle nuove funzioni del mar chio è invece manifestata da Vanzetti-Galli, La nuova legge marchi, Milano, 2001, 21 ss.; v. anche Vanzetti, I marchi nel mercato globale, e Galli, L'allargamento della tutela del marchio e i problemi di Inter
net, entrambi in Riv. dir. ind., 2002,1, rispettivamente 91 e 103; del se condo a., v. anche Funzione del marchio e ampiezza della tutela, Mila
no, 1996. Viene segnalata, a favore dell'ampliamento della sfera di tutela del
marchio, la riscrittura (ad opera del d.leg. 480/92 cit.), dell'art. 15 1.
marchi; capovolgendo l'originaria previsione, è ora prevista la libera trasferibilità del marchio, che può anche essere oggetto di licenza non esclusiva. Da qui il notevole allentamento (se non rottura, per i marchi di rinomanza) del nesso tra il marchio e l'impresa che ne fa uso per contraddistinguere la propria produzione; neanche è più richiesto che il titolare del diritto sul marchio sia un imprenditore.
Il rischio di confusione, specie nell'ottica del rischio di associazione, è individuato allora proprio nell'appropriazione, indebita, da parte del marchio in contraffazione, della carica di informazioni, se non di sug gestioni, del marchio imitato. Sul rischio di associazione, v. Casaburi, Rischio di associazione: tutela avanzata del marchio, in AA.VV., Segni e forme distintive, Milano, 2001, 48 ss.
Per il diritto comunitario, v. Sandri, Valutazione del momento per cettivo del marchio, in Riv. dir. ind., 2002,1, 526.
Per i profili economici, è di grande interesse Kapferer, Les marques, capital de l'entreprise, Paris, 1999.
Il test di contraffazione, infine, si pone in termini profondamente di versi per i modelli (ex) ornamentali, pur se gli stessi sono stati in una certa misura avvicinati ai marchi dal d.leg. 2 febbraio 2001 n. 95: v.
Casaburi, La nova disciplina dei disegni e modelli e la disciplina dei marchi: interferenze e parallelismi, in Dir. ind., 2003, 100 ss. [G. Ca
saburi]
Il Foro Italiano — 2004.
Motivi della decisione. — (Omissis). Con il primo motivo
d'impugnazione, lamenta la ricorrente principale omessa moti
vazione su un punto decisivo della controversia, deducendo:
a) che la corte territoriale non si è pronunciata sul preceden
te, praticamente identico, dove erano coinvolti il marchio «Dia
na» ed il marchio «Diana d'Este», usati per biancheria e costu
mi da bagno;
b) che detta corte, infatti, in una antecedente pronuncia (10 febbraio 1995, id., Rep. 1996, voce cit., n. 171) aveva deciso
che il marchio «Diana» è marchio forte e che il marchio «Diana
d'Este» è confondibile con il marchio «Diana»;
c) che la sentenza impugnata non fa, invece, alcun riferi
mento a questa pronuncia, precedentemente emessa dalla mede
sima corte territoriale;
d) che un contrasto così palese avrebbe avuto logicamente
bisogno di una qualche motivazione, la cui mancanza, come pu re il difetto di ogni giustificazione rispetto ad una decisione
diametralmente opposta su una fattispecie pressoché identica,
soggiace a tutte quelle critiche che vengono solitamente solle
vate nell'ipotesi di decisioni contrastanti;
e) che nella sentenza impugnata non è neppure detto che il
precedente in esame è errato o inconferente o pronunciato su
una fattispecie completamente diversa;
f) che la corte territoriale non ha notato che le parti, nei loro
scritti, hanno discusso proprio di un'ipotesi ove uno dei due
marchi era il marchio «Diana» (come nel caso in oggetto) e
l'altro era il marchio «Diana d'Este», ovvero un marchio molto
simile a quello «Diana de Silva».
Il motivo non è fondato.
Premesso, infatti, che non è configurabile il vizio di violazio
ne di legge se il giudice, come nella specie, non spiega perché la
sua decisione si discosta dai precedenti giurisprudenziali, là do
ve essa sia giuridicamente corretta (cosa che non è di per sé in
questione con riguardo al motivo in esame), giova notare che la
pronuncia della corte territoriale non può essere sindacata nep
pure sotto il profilo del difetto di motivazione, ai sensi dell'art.
360, 1° comma, n. 5, c.p.c., atteso che un simile vizio postula
che, nel ragionamento sviluppato nella sentenza impugnata, sia
mancato l'esame di punti decisivi della controversia, mentre
non è evidentemente tale una difforme decisione resa in una di
versa causa, tra diverse parti e per diversi fatti.
Con il secondo motivo d'impugnazione, lamenta la ricorrente
principale omessa motivazione su un punto decisivo della con
troversia, deducendo:
a) che la corte territoriale non ha voluto prendere in esame la
distinzione tra marchio forte e marchio debole, la quale costitui
sce l'indispensabile presupposto per valutare la confondibilità
tra due marchi, così da poter determinare la capacità distintiva
ed il grado di tutela dell'uno rispetto all'altro;
b) che detta corte non ha così neppure ricollegato conseguen ze ad una distinzione che non è stata affatto apprezzata;
c) che il giudice del merito, peraltro, non sembra negare del
tutto che il marchio «Diana» sia appunto un marchio forte, là
dove riconosce una valenza concettuale a tale segno, il quale, secondo la sentenza impugnata, sarebbe probabilmente (e giu
stamente) indicativo della dea della caccia;
d) che lo stesso giudice, tuttavia, non ha esplicitato l'argo mento e non ha tratto dalla forza del segno medesimo le conse
guenze che si dovrebbero legare ad un marchio descritto come
se fosse forte e, cioè, in grado di esprimere un concetto non de
scrittivo;
e) che il segno in questione, infatti, ha ricevuto nella senten
za impugnata una tutela pari a quella di un marchio debole, sen
za cioè che la corte territoriale si sia preoccupata di valutare se
il marchio anzidetto non si ricolleghi per caso al concetto ri
chiamato ed esattamene individuato.
Il motivo non è fondato.
Al riguardo, è noto che la distinzione fra i due tipi di marchio, «debole» e «forte», si riverbera sulla loro tutela nel senso che,
per il marchio debole, anche lievi modificazioni o aggiunte sono
sufficienti ad escludere la confondibilità, mentre, al contrario,
per il marchio forte, devono ritenersi illegittime tutte le varia
zioni e modificazioni, anche se rilevanti ed originali, che lascino
sussistere l'identità sostanziale del «cuore» del marchio, ovvero
il nucleo ideologico espressivo che costituisce l'idea fonda
mentale in cui si riassume caratterizzando la sua spiccata attitu
This content downloaded from 91.229.229.162 on Wed, 25 Jun 2014 00:42:02 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
dine individualizzante (Cass. 30 gennaio 1985, n. 573, id., Rep. 1986, voce cit., n. 80; 22 gennaio 1993, n. 782, id., Rep. 1995, voce cit., n. 198; 9 febbraio 1995, n. 1473, id., Rep. 1996, voce
cit., n. 167; 26 giugno 1996, n. 5924, id., 1997,1, 217; 4 dicem bre 1999, n. 13592, id., Rep. 2001, voce cit., n. 147).
Tanto premesso, si osserva che la corte territoriale, con incen
surato (quanto meno con riguardo al motivo in esame) apprez zamento, ha ritenuto;
a) che «in realtà i marchi in questione hanno ciascuno un
proprio nucleo ideologico caratterizzato da elementi plurimi e
tra loro diversi, che ne compongono l'insieme e sono, rispetto a
questo, non separabili e distintamente apprezzabili. Il nome
'Diana' è solo uno di tali elementi e, pur essendo comune, non è
tale da comportare confondibilità o interferenza»;
b) che stante dunque (la) «chiara ed evidente ... diversità
concettuale che assume il nome 'Diana' nell'ambito dei marchi
complessi in oggetto ... la comunanza di tale nome nei due
marchi non ne compromette ... l'assoluta diversità, che se è
immediatamente percepibile sulla base di un contestuale con
fronto visivo, neppure può sfuggire al raffronto tra uno dei due
segni ed il ricordo dell'altro».
Ne consegue che la sentenza impugnata va esente dalle cen
sure dedotte con il motivo anzidetto, dal momento che la corte
territoriale si è riferita, per escludere la confondibilità, non certo
alla mera presenza di «lievi modifiche o aggiunte» nei due mar
chi in esame, ma, all'opposto, al contesto ed al significato di
stintivo (il c.d. «nucleo ideologico») dei riferiti segni, che ha
ritenuto essere affatto differenziati, onde è palese come il giudi ce del merito abbia compiuto il relativo giudizio (di confondibi
lità appunto) sulla base dei criteri che sono propri dei marchi
forti (ricercandone cioè e confrontandone esattamente il suindi
cato «nucleo ideologico»), non già dei marchi deboli (arrestan
dosi, cioè, al già richiamato profilo che attiene alle «lievi va
rianti ed aggiunte»). Con il terzo motivo d'impugnazione, lamenta la ricorrente
principale contraddittoria motivazione su un punto decisivo
della controversia, deducendo:
a) che, secondo la corte territoriale, il marchio «Diana de
Silva» evocherebbe, agli occhi del consumatore, il nome di una
persona reale, mentre il marchio «Diana», indicando la dea della
caccia, assumerebbe una diversità concettuale nell'ambito dei
due marchi complessi in oggetto; b) che la sentenza impugnata, sul punto, è sbagliata e con
traddittoria, non avendo riflettuto sul fatto che il cognome «de
Silva» richiama invece proprio la selva, cioè la foresta, regni di
Diana e della càccia;
c) che l'espressione «de Silva», la si voglia intendere come
un'espressione latina o come un'espressione in lingua spagnola, ha indubbiamente un significato che non allontana affatto il
nome «Diana» da quello della dea della caccia, ma, al contrario,
10 avvicina richiamando il concetto di foresta o di caccia anche
nel c.d. cognome; d) che la sentenza impugnata incentra sull'esistenza di un
cognome la diversità tra i due marchi, tralasciando completa mente, però, di valutare che cognome sia questo cognome, es
sendo evidente che «Diana de Silva» non è la stessa cosa che
«Diana Diotallevi» o altro cognome qualsiasi, in quanto, nel
primo caso, il cognome riporta ancora alla selva, alla foresta, alla caccia il nome di Diana, dea appunto della caccia.
Il motivo non è fondato.
La corte territoriale, infatti, ha ritenuto:
a) che «il nome Diana» del marchio dell'appellante non è di
per sé indicativo di una persona ma evoca, unito al complesso
dell'immagine grafica sulla quale si sovrappone (una pezza di
cuoio che fa da sfondo ad un'antilope che salta), qualcosa di at
tinente alla caccia e, quindi, a Diana, la dea della caccia (onde) non esprime, in sostanza, alcun legame soggettivo con una per sona legata alla casa produttrice ma piuttosto un legame ogget tivo con gli animali le cui pelli vengono lavorate per confezio
nare i prodotti dell'appellata»; b) che, per contro, «il nome 'Diana' riportato nel marchio
più recente (per i prodotti della classe 18) della società Diana de
Silva si inserisce in una composizione grafica del tutto diversa
rispetto a quella della società Diana ed ha una valenza evocativa
all'evidenza differente. Rappresenta infatti una componente della parte patronimica del marchio, indicando chiaramente un
11 Foro Italiano — 2004.
nome proprio di donna al quale si accompagna in modo necessa
riamente congiunto il cognome (de Silva, appunto), ed è a que sto strettamente rapportato; è privo di qualsiasi connotato legato alla fantasia, ma informa che la casa produttrice è legata ad una
persona precisa. Non ha, inoltre, una particolare accentuazione
grafica, essendo anzi scritto in caratteri minuscoli e sotto la si
gla 'DdS', di decisa preminenza dal punto di vista grafico; non
ha alcuna caratteristica che gli attribuisca rilievo autonomo, ma
è inserito nel contesto degli altri elementi che compongono il
marchio complesso e rispetto ai quali non si evidenzia in alcun
modo particolare». Sotto quest'ultimo profilo, in particolare, l'apprezzamento
della corte territoriale, legato peraltro ad un'interpretazione
«complessiva» del marchio in oggetto («Diana de Silva»), tale
cioè da includere la considerazione altresì «degli altri elementi
che (lo) compongono» (segnatamente dal punto di vista grafico, come «la sigla 'DdS', di decisa preminenza»), costituisce, all'e
videnza, un apprezzamento di fatto il quale, di per sé, si sottrae
al sindacato di legittimità, risultando il frutto di un'adeguata e
congrua motivazione, immune da vizi logico-giuridici, che va
perciò esente dalle censure dedotte a quest'ultimo riguardo con
il motivo in esame.
Il ricorso principale, pertanto, deve essere rigettato. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 27 feb braio 2004, n. 3983; Pres. Olla, Est. Ragonesi, P.M. Finoc
chi Ghersi (conci, conf.); Fall. soc. Bonalumi (Avv. Gaito,
Algani) c. Soc. Bonalzoo (Avv. Falcolini, Coppola Lodi). Cassa App. Brescia 15 marzo 2000.
Fallimento — Contratto di locazione — Pagamento di cano
ni — Subentro del curatore nel contratto — Revocabilità — Esclusione (R.d. 16 marzo 1942 n. 267, disciplina del fal limento, art. 67, 72).
Non possono essere revocati i pagamenti dei canoni di locazio ne effettuati nel periodo sospetto se il curatore è subentrato
nel contratto. (1)
(1) I rapporti fra contratto di locazione e fallimento con specifico ri
guardo all'azione revocatoria sono oggetto di continue tensioni, come è dimostrato dal fatto che negli ultimi dieci anni è aumentato in modo
geometrico il numero delle decisioni (edite) che si sono occupate del
l'argomento. Il primo tassello del mosaico è costituito dall'affermazione per la
quale il contratto di locazione, da qualificare come un normale atto a titolo oneroso, non si sottrae all'azione revocatoria (Cass. 30 marzo
2000, n. 3878, Foro it.. Rep. 2001, voce Fallimento, n. 407). Da questo primo postulato comune, conseguono due derivazioni: a)
la revocatoria non è (più) esperibile se il bene oggetto del contratto viene alienato nel corso della procedura fallimentare, in quanto soprav viene il difetto d'interesse ad agire (Cass. 21 giugno 2000. n. 8419, id., 2001, 1, 1666, con nota di Gio. Tarzia); b) la revocatoria è esperibile anche se il curatore è subentrato nel contratto, in quanto un conto è la
regola dettata dall'art. 80 1. fall, in tema di rapporti pendenti, mentre altro conto è la posizione di terzietà del curatore rispetto agli atti pre giudizievoli (Cass. 4 maggio 1996, n. 4143, id., Rep. 1997, voce cit., n.
439; 17 gennaio 1996, n. 366, id., 1996, I, 3175, con nota di richiami;
App. Firenze 31 marzo 1998, id., Rep. 1999, voce cit., n. 652; Trib.
Napoli 20 gennaio 1998, id., Rep. 1998, voce cit., n. 489). Scendendo progressivamente dalla revocatoria del contratto, alla re
vocatoria dei pagamenti di canoni di locazione, nella sentenza in rasse
gna si esclude che in presenza di subentro nel contratto i pagamenti dei canoni possano essere revocati. Questa pronuncia fa leva su argomenti correlati ad altre tipologie negoziali (vendita, somministrazione, assicu
This content downloaded from 91.229.229.162 on Wed, 25 Jun 2014 00:42:02 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions