sezione I civile; sentenza 27 gennaio 1993, n. 1017; Pres. Salafia, Est. Sensale, P.M. Tondi (concl.diff.); Gulino (Avv. Zangara) c. Min. finanze (Avv. dello Stato Lancia). Conferma Comm. trib.centrale 14 novembre 1988, n. 7598Source: Il Foro Italiano, Vol. 116, No. 5 (MAGGIO 1993), pp. 1475/1476-1479/1480Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23187942 .
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1475 PARTE PRIMA 1476
sentenza impugnata per avere liquidato i danni in favore della
Intermoda con riferimento all'intera mancata vendita delle cra
vatte Balmain per il periodo 1° luglio 1979-31 dicembre 1981, mentre avrebbe dovuto prendere in considerazione solo le man
cate vendite derivate dall'omessa estensione territoriale della li
cenza alla Francia e ad altri paesi europei inizialmente esclusi; l'Intermoda avrebbe potuto continuare la vendita nelle zone pre viste nel contratto originario, onde il mancato conseguimento
degli utili relativi è da attribuirsi ad unilaterale decisione della
Intermoda che ha assunto l'iniziativa di risolvere l'intero con
tratto. Tale deduzione era stata prospettata alla corte di appel
lo, che l'ha respinta richiamandosi alla sentenza non definitiva
passata in giudicato, che però nulla ha stabilito in ordine all'en
tità del danno conseguente alla risoluzione.
2. - Il motivo di ricorso è fondato nei limiti di seguito precisati. La sentenza non definitiva emessa in questo stesso processo
e passata in giudicato — sentenza che questa corte può diretta
mente conoscere, trattandosi di giudicato c.d. interno (v., ex
plurimis, Cass. 14 marzo 1986, n. 1758, Foro it., Rep. 1986,
voce Cosa giudicata civile, n. 37) — ha dichiarato risolto l'inte
ro contratto stipulato tra le parti alla data del 31 dicembre 1979
per effetto della clausola risolutiva espressa fatta valere dalla
società Intermoda ai sensi dell'art. 1456 c.c.
Poiché la risoluzione ha avuto per oggetto l'intero contratto
(e non soltanto la mancata estensione di esso a molti paesi ini
zialmente esclusi, che qui possono convenzionalmente sintetiz
zarsi nella espressione di «mercato francese»), il danno conse
guente a detta risoluzione (da risarcire ai sensi dell'art. 1453, 1° comma, c.c.) va riferito anche esso all'intero contratto.
Dato che la Intermoda ha chiesto il risarcimento del lucro
cessante, e cioè il guadagno che essa avrebbe ottenuto attraver
so il conseguimento della prestazione contrattuale (c.d. interes
se positivo), correttamente il giudice del merito ha identificato
tale prestazione in quella che sarebbe derivata dalla esecuzione
dell'intero contratto successivamente alla sua risoluzione e fino
alla scadenza pattuita (e quindi, nel caso di specie, dal 1° gen naio 1980 al 31 dicembre 1981).
Con riferimento al periodo successivo alla risoluzione (anni
1980-1981), non è fondata la tesi della parte ricorrente, che ri
tiene il danno limitato al mancato conseguimento della presta zione consistente nella estensione della licenza (per la fabbrica
zione e la vendita delle cravatte) al mercato francese, sulla base
del fatto che essa era disponibile a proseguire la esecuzione del
contratto per l'ambito territoriale inizialmente previsto (e nel
quale, come si è meglio precisato in narrativa, il mercato fran
cese non era incluso).
L'obbligazione della società Pierre Balmain di estendere la
concessione della licenza (a decorrere da una certa data futura) formava oggetto — secondo l'accertamento operato dal men
zionato giudicato — della clausola risolutiva espressa contenuta
nel contratto originario. Una volta che la società Intermoda si
è legittimamente avvalsa di tale clausola risolutiva, è venuto
meno l'intero contratto e il danno che ne deriva va correlato
anch'esso all'intero contratto.
Se è vero che il risarcimento del danno si riconduce, in ogni
caso, all'inadempimento del debitore (art. 1218 ss. c.c.), onde
il danno risarcibile è limitato a ciò che è conseguenza immedia
ta e diretta dell'inadempimento (art. 1223 c.c.), nell'ipotesi di
risoluzione tra l'inadempimento ed il danno risarcibile si inter
pone il venir meno del contratto, il quale però è pur sempre un effetto dell'inadempimento. Consegue che il nesso causale
tra l'inadempimento del debitore ed il danno risarcibile non è
escluso dall'iniziativa libera del creditore di chiedere la risolu
zione. Si è osservato in dottrina che la espressa menzione del
risarcimento del danno contenuta nell'art. 1453, 1° comma, c.c., ha proprio il significato di chiarire che la risoluzione è un even
to lesivo provocato dalla condotta del debitore inadempiente, il quale pertanto risponde delle sue conseguenze dannose, seb
bene il venir meno del contratto discenda dall'iniziativa del cre
ditore.
Tale iniziativa può essere giudiziaria e allora, a tutela dell'in
teresse del debitore, è prevista la valutazione del giudice sulla
non scarsa importanza dell'inadempimento (art. 1455 c.c.); ma
quando la risoluzione si verifica di diritto a seguito della dichia razione del creditore di volersi avvalere della clausola risolutiva
Il Foro Italiano — 1993.
espressa (art. 1456), la valutazione dell'incidenza dell'inadempi mento sull'intero contratto è stata già compiuta dalle parti, la
cui autonomia privata ha instaurato il collegamento tra singoli
inadempimenti considerati nella clausola espressa e risoluzione
dell'intero contratto. E tale collegamento non può più essere
contestato né ai fini dell'accertamento giudiziale sull'avvenuta
risoluzione, né agli effetti del risarcimento del danno, il quale ultimo va ricondotto al venir meno dell'intero contratto, e non
limitato al singolo inadempimento considerato nella clausola ri
solutiva espressa. Né per pervenire ad una riduzione dei danni risarcibili può
essere invocato l'art. 1227 c.c., che la società ricorrente richia
ma nella intestazione del motivo di ricorso (sviluppato poi con
pressoché esclusivo riferimento all'omessa motivazione della sen
tenza impugnata sulla censura formulata nei motivi di appello). È sufficiente, al riguardo, osservare che, poiché la legge ricono
sce al contraente adempiente il potere di provocare la risoluzio
ne di diritto del contratto (art. 1456 c.c.), non può nella stessa
condotta essere ravvisato un fatto colposo ovvero il mancato
impiego dell'ordinaria diligenza. In conclusione, limitatamente al mancato guadagno negli an
ni 1980 e 1981, è esatta la sentenza della corte di appello che
ha considerato tale danno come conseguente all'accertamento — passato in giudicato — dell'avvenuta risoluzione del contrat
to alla data del 31 dicembre 1979, affermando che la tesi della
società Pierre Balmain (la quale intendeva limitare tale danno
a quello derivante dalla mancata estensione del contratto) si po neva in contrasto con il precedente giudicato.
3. - La detta motivazione della sentenza impugnata non è,
invece, idonea a giustificare il risarcimento dei danni per il pe riodo anteriore alla risoluzione del contratto, e cioè per il se
condo semestre del 1979. Anche per quest'ultimo periodo la
corte di appello ha affermato che il danno è «conseguente alla
risoluzione e come tale liquidato». Chiaro è l'errore della corte di appello se si tiene presente
che la sentenza non definitiva ha dichiarato risolto il contratto
alla data del 31 dicembre 1979, onde nel secondo semestre del
1979 il rapporto contrattuale era ancora in vita, e può configu rarsi soltanto un danno da inadempimento della singola obbli
gazione, e non da risoluzione dell'intero contratto (danno limi
tato quindi alla mancata estensione del contratto).
Consegue che, per il periodo qui considerato, erronea è la
motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui ha re
spinto il motivo di appello della società Pierre Balmain (che
appunto sosteneva essere il danno limitato alla mancata esten
sione del contratto), per essere tale motivo in contrasto con il
precedente giudicato, il quale invece non rileva per la determi
nazione dell'entità del danno riferita al secondo semestre 1979.
(Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 27 gen naio 1993, n. 1017; Pres. Salafia, Est. Sensale, P.M. Tondi
(conci, diff.); Gulino (Avv. Zangara) c. Min. finanze (Avv. dello Stato Lancia). Conferma Comm. trib. centrale 14 no
vembre 1988, n. 7598.
Registro (imposta di) — Disciplina transitoria — Testo unico del 1986 — Applicazione retroattiva — Limiti (D.p.r. 26 aprile 1986 n. 131, approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro, art. 79).
Registro (imposta di) — Decadenza da benefici fiscali — Sog
getti tenuti al pagamento dell'imposta (R.d. 30 dicembre 1923
n. 3269, approvazione del testo di legge del registro, art. 93; 1. reg. sic. 4 aprile 1969 n. 6, norme concernenti le agevola zioni fiscali in favore degli stabilimenti industriali tecnicamente
organizzati, art. 1).
Ai sensi dell'art. 79 d.p.r. 26 aprile 1986 n. 131 (t.u. delle di
sposizioni concernenti l'imposta di registro) — a tenore del
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
quale le disposizioni dello stesso d.p.r., modificative, corret
tive e integrative di quelle anteriormente vigenti, hanno effet
to, se più favorevoli ai contribuenti, anche per gli atti scritti
e le denunce anteriori alla sua entrata in vigore, relativamente
ai quali sia pendente controversia o non sia ancora decorso
il termine di decadenza dell'azione della finanza — la norma di cui all'art. 57, 4° comma, di tale d.p.r. — a tenore del
quale l'imposta complementare dovuta per un fatto imputa bile soltanto ad una delle parti contraenti è a carico esclusivo
di questa — non trova applicazione agli atti formati nel vigo re del r.d. 30 dicembre 1923 n. 3269. (1)
Ai sensi dell'art. 93 r.d. 30 dicembre 1923 n. 3269 anche il ven
ditore è tenuto al pagamento dell'imposta di registro dovuta
a seguito di decadenza da un beneficio fiscale (nella specie, l'agevolazione prevista dalla l. reg. sic. 4 aprile 1969 n. 6), anche se la decadenza è imputabile al solo acquirente, senza
che rilevi la natura principale o complementare dell'imposta. (2)
Svolgimento del processo. — In sede di registrazione dell'atto
del 3 agosto 1972, con il quale Angelo e Rosaria Gulino vendet
tero un terreno alla soc. Liquichimica, furono concesse le age volazioni richiamate anche dalla 1. reg. sic. 6/69, avendo l'ac
quirente dichiarato che l'immobile era destinato ad iniziative
industriali da realizzare attraverso l'impianto di stabilimenti in
dustriali tecnicamente organizzati; ma, non essendo stata pro dotta nel termine l'attestazione dell'avvenuta realizzazione del
l'iniziativa industriale, l'ufficio chiese ai venditori il pagamento dell'imposta «principale» di registro.
Il loro ricorso fu accolto dalla commissione tributaria di pri mo grado con decisione confermata in secondo grado, che ri
tenne non sussistere la responsabilità solidale dei venditori nel
l'ipotesi di decadenza dai benefici dovuta a condotta omissiva
dell'acquirente. Il ricorso dell'ufficio è stato accolto dalla Commissione tri
butaria centrale, la quale ha osservato che, nella disciplina della
solidarietà fra debitori d'imposta, non sussiste alcuna deroga con riferimento alla ipotesi in esame e che trova applicazione il principio generale di cui all'art. 93 r.d. 30 dicembre 1923 n. 3269, unica norma applicabile nel caso concreto. D'altro canto — si è aggiunto — l'imposta dovuta a seguito di decadenza
da agevolazioni tributarie ha natura ordinaria e principale, e
non complementare, né la solidarietà poteva essere esclusa in
base al successivo art. 55, 4° comma, d.p.r. n. 634 del 1972,
che ha contenuto innovativo ed è inapplicabile ai casi ricadenti
sotto la disciplina anteriore.
Contro tale decisione, Angelo e Rosaria Gulino hanno pro
posto ricorso per cassazione in base a due motivi, illustrati con
(1) Contra, Cass. 1° giugno 1992, n. 6615, Foro it., Mass., 577; 29
aprile 1992, n. 5156, Corriere trib., 1992, 1959; 13 novembre 1991, 12127, Foro it., Rep. 1991, voce Registro, n. 253; Comm. trib. centrale
5 maggio 1987, n. 3698, id., Rep. 1987, voce cit., n. 265; v. anche
Comm. trib. centrale 12 ottobre 1987, n. 7157, ibid., n. 307; 25 settem
bre 1987, n. 6364, ibid., n. 318 (entrambe in tema di termini decaden ziali e prescrizionali), che assumono l'applicabilità dell'art. 76, 1° com
ma, testo unico del 1986 anche alle controversie relative ad atti posti in essere nel vigore del r.d. 3269/23.
(2) L'art. 93 r.d. 30 dicembre 1923 n. 3269 affermava la responsabi lità solidale delle parti contraenti (di tutte le parti e, quindi, anche del
venditore) per il pagamento dell'imposta, indipendentemente dalla na
tura (principale o complementare) della tassa di registro (v. art. 7 r.d.
3269/23). L'art. 55, 4° comma, d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 634 (che ha
abrogato il r.d. 3269/23) ha, per contro, stabilito che l'imposta comple mentare di registro dovuta per un fatto imputabile soltanto ad una delle
parti contraenti è a carico esclusivo di questa (negli stessi termini, l'art.
57, 4° comma, d.p.r. 26 aprile 1986 n. 131 che ha sostituito il d.p.r.
634/72).
L'applicabilità dell'art. 93 r.d. 3269/23 alla fattispecie in contestazio
ne ha consentito alla corte di esimersi dall'individuare la natura dell'im
posta dovuta in caso di decadenza da benefici fiscali. Ritengono che
si tratti di imposta principale: Cass. 23 luglio 1981, n. 4730, Foro it.,
Rep. 1982, voce Registro, n. 329; 3 luglio 1980, n. 4227, id., Rep.
1980, voce cit., n. 345. Ravvisano invece la natura di imposta comple mentare Cass. 12127/91, cit. (che, quindi, esclude che la decadenza im
putabile all'acquirente possa rivolgersi a danno anche del venditore, ai sensi degli art. 55 d.p.r. 634/72 e 57 d.p.r. 131/86); 9 marzo 1982, n. 1478, id., Rep. 1982, voce cit., n. 79.
Il Foro Italiano — 1993.
memoria, cui l'amministrazione delle finanze ha resistito con
controricorso.
Motivi della decisione. — Con il primo motivo i ricorrenti
denunziano la violazione degli art. 7 e 93 r.d. 30 dicembre 1923
n. 3269, degli art. 40 e 55 d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 634 e degli art. 42, 57 e 79 d.p.r. 26 aprile 1986 n. 131. Essi sostengono che è illegittima ed infondata, ai sensi dell'art. 40, 2° comma,
d.p.r. 634/72 e dell'art. 40 t.u. 131/86, l'affemazione, a loro
dire apodittica, contenuta nella decisione impugnata, che l'im
posta dovuta successivamente alla registrazione dell'atto, per de
cadenza dai benefici fiscali, avrebbe natura d'imposta ordinaria
e principale, e non complementare; che l'imposta in contesta zione era stata chiesta, con avviso notificato nel 1978 (e quindi
vigente il d.p.r. 634/72) ed era in ogni caso applicabile la dispo sizione transitoria contenuta nell'art. 79 t.u. 131/86, in base
alla quale le norme più favorevoli dello stesso t.u. hanno effet
to anche per gli atti, scritture e denunzie, relativamente ai quali alla data della sua entrata in vigore sia pendente controversia;
che, per ciò, nel caso concreto doveva essere applicato l'art.
55, 4° comma, d.p.r. 634/72, ora riprodotto nell'art. 57 t.u.
131/86. Con il secondo motivo i ricorrenti denunziano la violazione
dell'art. 93 r.d. 30 dicembre 1923 n. 3269, dell'art. 1 1. reg. sic. 4 aprile 1967 n. 6 e dell'art. 109 t.u. 30 giugno 1967 n.
1523, nonché il vizio d'insufficienza di motivazione, sostenendo
che, in base alle citate norme, non sussisteva, nel caso concreto, alcuna loro responsabilità solidale, in quanto l'ufficio aveva re
vocato i benefici fiscali concessi in sede di registrazione non
sulla base della mancata realizzazione dello stabilimento indu
striale, ma per non avere prodotto, la società acquirente, la pre scritta certificazione.
Nella memoria i ricorrenti hanno citato la recente sentenza
13 novembre 1991, n. 12127 (Foro it., Rep. 1991, voce Regi
stro, n. 253) di questa corte, la quale, in una controversia iden
tica, ha affermato che l'imposta di registro dovuta a seguito della decadenza dall'agevolazione tributaria prevista per l'ac
quisto d'immobili destinati a stabilimento (secondo il combina to disposto degli art. 1 1. reg. sic. 6/69 e 109 t.u. 1523/67) ha natura complementare, e non principale, con la conseguenza
che, nel caso in cui la decadenza sia addebitabile al solo acqui
rente, tale imposta è ad esclusivo carico del medesimo, poiché la solidarietà stabilita dall'art. 93 della legge di registro del 1923
resta limitata dalla previsione contenuta nell'art. 55, 4° comma,
d.p.r. 634/72 e riprodotta nell'art. 57, 4° comma, del vigente
d.p.r. 26 aprile 1986 n. 131, atteso che quest'ultima norma,
quale disposizione più favorevole al contribuente, è applicabile, ai sensi dell'art. 79 del medesimo d.p.r. n. 131, anche agli atti
anteriori alla sua entrata in vigore, relativamente ai quali sia
pendente controversia.
Questa corte non ritiene di dover confermare il precedente indirizzo. Deve innanzi tutto premettersi che la legge che regola il regime tributario di un atto, ai fini dell'imposta di registro, è quello vigente alla data della registrazione (nel caso concreto,
la legge di registro del 1923, essendo pacifico che la registrazio ne dell'atto è avvenuta quando la riforma del 1972/73 non era
ancora vigente), indipendentemente dal momento successivo, in
cui si renda eventualmente esigibile l'imposta suppletiva o com
plementare.
Trova, conseguentemente, applicazione l'art. 93 del citato te
sto normativo, in base al quale (indipendentemente dalla natura
principale, suppletiva o complementare dell'imposta) sono soli
dalmente tenute al pagamento di essa tutte le parti contraenti;
e non l'art. 55, 4° comma, d.p.r. 634/72, che deroga alla soli
darietà, per la sola imposta complementare, se questa è dovuta
per fatto imputabile ad una soltanto di esse. Trattasi, invero,
di norma innovativa, come questa corte ha costantemente affer
mato (sent. 28 luglio 1977, n. 3369, id., Rep. 1977, voce cit., n. 299; 3 maggio 1979, n. 2552, id., Rep. 1979, voce cit., n. 249; 3 luglio 1980, n. 4227, id., Rep. 1980, voce cit., n. 345; 23 luglio 1981, n. 4730, id., Rep. 1982, voce cit., n. 329), preci sando che non si pone alcun problema di costituzionalità, né
sotto il profilo della disparità di trattamento con riguardo alla
diversità fra vecchia e nuova legge di registro, non essendo sin
dacabile il potere del legislatore ordinario di innovare l'ordina
mento e di modificare in conseguenza la disciplina di determi
nati rapporti giuridici; né, con riguardo all'art. 93 della vecchia
legge, sotto il profilo della disparità di trattamento in danno
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1479 PARTE PRIMA 1480
del venditore, il quale, come si giova di un beneficio accordato
in vista di un futuro comportamento dell'acquirente, cosi è te
nuto, in solido con lui, al pagamento dell'imposta in caso di
mancato verificarsi di quel comportamento. Da quanto precede risulta evidente che, dovendosi applicare
l'art. 93 della vecchia legge di registro (che pone la solidarietà
senza distinguere se si tratti d'imposta principale o d'imposta
complementare o suppletiva), non è rilevante stabilire se l'im
posta dovuta nel caso di decadenza dal beneficio imputabile
all'acquirente sia principale o complementare: problema, sul quale non vi sono orientamenti conformi nella giurisprudenza di que sta corte (v. sent. 3369/77, 4727/80 e 4730/81, nel senso della
prima tesi; e 9 marzo 1982, n. 1478, ibid., n. 79, seguita, in
controversia identica alla presente, dalla sentenza citata nella
memoria del ricorrente 12127/91 che dedica alla soluzione del
problema un'approfondita indagine, nel senso della natura com
plementare dell'imposta). Il problema potrebbe riemergere solo se, in virtù della dispo
sizione transitoria dettata dall'art. 79 d.p.r. 26 aprile 1986 n.
131 (t.u. delle disposizioni concernenti l'imposta di registro), se ne dovesse applicare l'art. 57, 4° comma, il quale, con dispo sizione perfettamente identica a quella già contenuta nel 4° com
ma del d.p.r. 634/72, stabilisce che «l'imposta complementare dovuta per un fatto imputabile soltanto ad una delle parti con
traenti è a carico esclusivamente di questa»; ma la corte ritiene
che la norma transitoria non possa operare nel caso in esame.
Essa stabilisce che le disposizioni del t.u. modificative, cor
rettive o integrative di quelle anteriormente in vigore si applica no agli atti formati a decorrere dalla data di entrata in vigore del t.u. stesso, ma che tuttavia le disposizioni più favorevoli
ai contribuenti hanno effetto anche per gli atti anteriori, relati
vamente ai quali alla data di entrata in vigore del t.u. sia pen
dente controversia.
I presupposti per l'operatività della norma transitoria sono
dunque: a) che il t.u. modifichi, corregga o integri le disposizio ni ad esso anteriori; b) che la disciplina del t.u. sia più favore
vole al contribuente rispetto a quella precedente; c) che la con
troversia sia ancora pendente. Posto che si tratta di un testo unico, che tendendo per sua
natura al riordinamento della normativa vigente, non potrebbe richiamare in vita una disciplina definitivamente abrogata, deve
ritenersi che il raffronto tra le disposizioni in esso contenute
e quelle che ne possano rimanere modificate, corrette o integra
te, cosi come il raffronto circa l'individuazione della disciplina
più favorevole al contribuente tra quella del t.u. e quella ante
riore, non possa operarsi che con riguardo alla disciplina imme
diatamente precedente, ossia a quella che il t.u. era chiamato
a riordinare e sulla quale soltanto poteva operare retroattiva
mente, e dunque a quella emanata a partire dalla riforma del
1972/73. Diversamente opinando, si avrebbe l'inaccettabile con
seguenza che alcune disposizioni del testo unico, modificative,
correttive o integrative, che opererebbero a decorrere dalla data
di esso, ma che sono rese retroattive, se più favorevoli al contri
buente, dall'art. 79, acquisterebbero un'ulteriore retroattività, al di là di una disciplina, quella vigente alla data del t.u., che
non era, essa stessa, retroattiva. In altri termini, l'art. 79 rende
rebbe retroattive non solo le disposizioni del t.u., alle quali sol
tanto esso può riferirsi (come si addice ad una norma transito
ria che, come tale, ha lo scopo di risolvere problemi intertem
porali determinati dalla successione di una norma a quella immediatamente anteriore), ma anche quelle rispetto alle quali soltanto la retroattività è prevista; e consentirebbe, per saltum,
una valutazione di maggior favore per il contribuente tra le di
sposizioni del t.u. e (qualsiasi) normativa abrogata, anteriore
a quella del 1972/73. E che il confronto debba operarsi solo
tra la disciplina del t.u. e quella immediatamente precedente costituisce il presupposto di numerose sentenze di questa corte
(3198/88, id., Rep. 1988, voce cit., n. 173; 2416-32/89, id., Rep. 1989, voce cit., nn. 89-105; 11410-11/90, id., Rep. 1990, voce
cit., nn. 183, 184; 11451/90, ibid., n. 70) e della Corte costitu
zionale (20 e 785/88, id., Rep. 1988, voce cit., n. 164 e 31/89, id., Rep. 1989, voce cit., n. 344).
La conseguenza è che, poiché l'art. 57, 4° comma, t.u. e l'art.
55, 4° comma, decreto del 1972 sono perfettamente identici,
la norma transitoria non ha modo di operare, mancando il pre
1l Foro Italiano — 1993.
supposto che la norma del t.u. sia più favorevole al contribuen
te, e come non si applica l'art. 55 decreto del 1972, cosi non
si applica l'art. 57 t.u.
Resta da confutare il secondo motivo, secondo cui il benefi
cio sarebbe stato revocato non sulla base della mancata realiz
zazione dello stabilimento, ma per non essere stata prodotta dalla società acquirente la prescritta certificazione (mancata pro
va, si vuol evidentemente dire, non poteva essere fornita dal
venditore). È sufficiente rilevare al riguardo che, a norma della 1. 6 otto
bre 1971 n. 853, modificativa del 2° e 3° comma dell'art. 109
t.u. 30 giugno 1967 n. 1523, la prova del conseguimento del
fine dell'acquisto deve darsi con attestazione della camera di
commercio da presentarsi all'ufficio del registro e che l'attesta
zione è rilasciata dietro domanda dell'interessato, ossia di cia
scuna delle parti contraenti che può produrla in giudizio; si che
la mancata produzione induce a ritenere che il fine, per il quale
era stato concesso il beneficio, non è stato realizzato.
Pertanto, il ricorso dev'essere rigettato.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione i civile; sentenza 22 gen naio 1993, n. 779; Pres. Salafia, Est. Luccioli, P.M. Lo
Cascio (conci, conf.); Borgogelli (Avv. Guttieres) c. Visoc
chi (Avv. Martuccelli, Buonomo). Conferma App. Napoli
31 marzo 1990.
Separazione di coniugi — Separazione giudiziale — Procedi
mento — Appello proposto con citazione — Ammissibilità — Limiti (Cod. proc. civ., art. 342, 706, 737; 1. 6 marzo
1987 n. 74, nuove norme sulla disciplina dei casi di sciogli mento del matrimonio, art. 8, 23).
Nel processo di separazione giudiziale dei coniugi l'appello pro
posto con citazione anziché con ricorso è ammissibile solo
se l'atto di citazione viene depositato in cancellerìa nel termi
ne per appellare. (1)
Svolgimento del processo. — Con sentenza del 12 gennaio-11 marzo 1989 il Tribunale di S. Maria Capua Vetere, adito da
Patrizia Borgogelli, pronunciava la separazione personale tra
la predetta ed il coniuge Achille Visocchi, con addebito a que
st'ultimo, e dettava i provvedimenti relativi all'affidamento del
la figlia ancora minore, all'assegnazione della casa coniugale ed al mantenimento dell'istante e della figlia.
Avverso tale sentenza, notificata il 4 luglio 1989, la Borgogel li proponeva appello con atto di citazione notificato il 16 set
tembre 1989. La causa veniva iscritta a ruolo il 26 settembre
successivo.
Con sentenza del 31 marzo 1990 la Corte di appello di Napoli dichiarava inammissibile l'impugnazione, osservando che la pro
posizione del gravame con citazione, anziché con ricorso — co
me imposto dal richiamo al procedimento camerale contenuto
nell'art. 8, n. 12, 1. n. 74 del 1987 — non poteva considerarsi
idonea alla conservazione degli effetti dell'appello (in base al
principio generale della conversione degli atti nulli), in quan
(1) La Cassazione, in forza dell'art. 23 1. 6 marzo 1987 n. 74, applica con tutta coerenza anche al processo di separazione la propria giuris prudenza ormai costante sull'appello nel processo di divorzio. Nello
stesso senso, v., da ultimo, Cass. 23 febbraio 1992, n. 2317, Foro it., 1992, I, 1712, con nota di A. Proto Pisani, Violazione di norme pro cessuali, sanatoria «ex nunc» o «ex tunc» e rimessione in termini, cui
adde, citate in motivazione, Cass. 4 maggio 1991, n. 4924, id., Rep. 1991, voce Matrimonio, n. 259; 3 maggio 1991, n. 4876, id., 1992, I, 473; 8 febbraio 1991, n. 1310, id., Rep. 1991, voce cit., n. 257; 4 gennaio 1991, n. 37, id., 1991, I, 1119, con nota critica di Cipriani, La decisione dell'appello nel processo di divorzio.
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