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Sezione I civile; sentenza 27 giugno 1983, n. 4404; Pres. Falcone, Est. Zappulli, P. M. Ferraiuolo...

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Sezione I civile; sentenza 27 giugno 1983, n. 4404; Pres. Falcone, Est. Zappulli, P. M. Ferraiuolo (concl. conf.); Gozzini (Avv. Di Roberto, Sciagrà) c. Min. per i beni culturali (Avv. dello Stato Ferri) e altro. Conferma Pret. Firenze 12 aprile 1980 Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 10 (OTTOBRE 1983), pp. 2443/2444-2445/2446 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23175220 . Accessed: 24/06/2014 23:42 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.2.32.36 on Tue, 24 Jun 2014 23:42:17 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sezione I civile; sentenza 27 giugno 1983, n. 4404; Pres. Falcone, Est. Zappulli, P. M. Ferraiuolo(concl. conf.); Gozzini (Avv. Di Roberto, Sciagrà) c. Min. per i beni culturali (Avv. dello StatoFerri) e altro. Conferma Pret. Firenze 12 aprile 1980Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 10 (OTTOBRE 1983), pp. 2443/2444-2445/2446Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23175220 .

Accessed: 24/06/2014 23:42

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2443 PARTE PRIMA 2444

monio. Conclude, quindi, per l'affermazione della competenza del

Tribunale di Napoli. Nella sua requisitoria scritta, il p.m. presso questa Suprema

corte rileva anzitutto che nei provvedimenti non contenziosi non è

ravvisabile un contenuto in senso tecnico, onde non è applicabile la norma generale dell'art. 18 c.p.c., e deve tenersi conto, invece, dell'elemento determinante costituito dal soggetto nel cui interesse è prevista e richiesta la particolare tutela giurisdizionale; ciò al fine di assicurare la migliore e più efficace indagine e valutazione da parte dell'ufficio giudiziario territorialmente più idoneo.

In particolare, il criterio di collegamento va ravvisato nella residenza del minore, il cui interesse è in questione.

Pur riconoscendo il p.m. che la competenza del tribunale della

separazione in ordine all'affidamento della prole viene meno

quando sopravvenga l'annullamento del matrimonio, il p.m. os

serva che ciò non significa che vengano travolte anche le deci sioni in precedenza adottate dal giudice competente in tema di affidamento. Nella specie, quindi, la residenza della minore era ancora quella del genitore cui risultava affidata, non potendo l'unilaterale iniziativa del padre modificare tale situazione giuridi ca.

Questo Supremo collegio ritiene di dover seguire la tesi del

p.m. Non si disconosce il principio, altre volte affermato da questa corte (sent. 259/81, Foro it., 1981, I, 695; 1762/75, id., Rep. 1975, voce Separazione dei coniugi, n. 47; 1173/55, id., 1955, I, 1166), secondo cui, qualora nel corso del giudizio di separazione personale sopravvenga l'annullamento del matrimonio, con la

seguente cessazione della materia del contendere in ordine alla

domanda di separazione, la competenza del tribunale ordinario circa l'affidamento della prole rimane travolta, venendo meno le

ragioni per una eccezionale deroga alla competenza per materia

disposta in considerazione della conseguenzialità ed accessorietà

della pronuncia sull'affidamento dei figli rispetto alla pronuncia sulla separazione personale dei loro genitori.

Ma questo principio va integrato con le ulteriori affermazioni

che, se per effetto della sopravvenuta pronuncia definitiva di

nullità del matrimonio viene meno la competenza del giudice della separazione a provvedere sull'affidamento della prole, deve

farsi ricorso alla competenza generale del tribunale perché prov veda per la prima volta a detto affidamento o per modificare i

provvedimenti precedenti.

Questi provvedimenti, tuttavia, non vengono automaticamente

caducati soltanto per il venir meno della competenza del tribuna le ordinario che li aveva emessi.

La legge, infatti, non consente pericolosi vuoti nella regolamen tazione dell'affidamento della prole; ed in questa logica si colloca

la disposizione dell'art. 189 disp. att. c.p.c., che prevede l'ultratti

vità dei provvedimenti emessi ai sensi dell'art. 708 codice di rito, anche dopo l'estinzione del processo di separazione personale, finché non vengano sostituiti da altri provvedimenti.

Se allora, l'affidamento della minore alla madre, disposto dal

Tribunale ordinario di Torino e non sostituito da altro provve dimento, conservava ancora la sua efficacia, la residenza della bambina doveva ancora individuarsi in quella del genitore cui

era affidato e col quale doveva convivere. Né la norma (art. 45 c.c.) che fa riferimento a tale convivenza,

può essere intesa nel senso di dare rilevanza a qualsiasi situazio ne in cui il minore si trovi con uno dei genitori, ancorché essa

sia del tutto precaria o illegittima. Risolta la questione in ordine alla competenza per territorio,

questa corte deve porsi di ufficio il quesito sull'esatta determina

zione del giudice competente per materia o per altro titolo

inderogabile. E, invero, va riaffermato il principio, secondo cui, in sede di regolamento di competenza, la Corte di cassazione

esercita il proprio sindacato con piena potestà ed autonomia di

giudizio rispetto alla pronuncia impugnata, alla stregua degli elementi di fatto già acquisiti, e può, quindi, rilevare di ufficio le

ragioni che determinano la competenza o l'incompetenza del

giudice adito, pur se queste non siano state oggetto d'esame nella

sentenza denunziata.

Non può ritenersi quindi incontestabile la competenza del

giudice indicata nella sentenza quando il regolamento di compe tenza non abbia avuto ad oggetto anche i profili della competen za per materia o per altro titolo inderogabile (art. 44 c.p.c.).

Ora, in tema di affidamento dei figli minori di coniugi separati, o di coniugi il cui matrimonio sia stato annullato o sciolto, la

recente sentenza delle sez. un. n. 1552 del 1983 (id., 1983, I, 896) ha

ritenuto che i provvedimenti relativi rientrano nella competenza del

tribunale per i minorenni nei soli casi in cui come causa della loro

revisione si richieda un intervento ablativo o limitativo della

potestà genitoriale sulla prole, a norma degli art. 330 e 333 c.c.,

mentre in ogni altro caso sono devoluti alla competenza del

tribunale ordinario.

Volendosi ormai tener fermo quest'ultimo orientamento giuris

prudenziale, nella presente controversia va rilevato che si versa

nella ipotesi prevista dall'art. 317 c.c. e non in quelle degli art.

330 e 333 c.c., per cui competente a giudicare sulla questione insorta fra le parti è il Tribunale ordinario di Torino.

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione I civile; sentenza 27 giu

gno 1983, n. 4404; Pres. Falcone, Est. Zappulli, P. M. Ter

raiuolo (conci, conf.); Gozzini (Aw. Di Roberto, Sciagrà)

c. Min. per i beni culturali (Avv. dello Stato Ferri) e altro.

Conferma Pret. Firenze 12 aprile 1980.

Antichità e belle arti — Commercianti di mobili ed oggetti an

tichi — Denunzia relativa alla propria attività — Condizioni

(L. 1° giugno 1939 n. 1089, tutela delle cose d'interesse artisti

co e storico, art. 1; 1. 1° marzo 1975 n. 44, misure intese alla

protezione del patrimonio archeologico, artistico e storico na

zionale, art. 10).

I commercianti di mobili ed oggetti antichi sono tenuti a presen tare la denuncia dei dati relativi alla propria attività anche se

questa non abbia ad oggetto cose di « particolare interesse »

archeologico, artistico e storico. (1)

Svolgimento del processo. — Il sovraintendente archeologico

per la Toscana emise ordinanza in data 29 giugno 1978, ai sensi

della 1. 24 dicembre 1975 n. 706, con la quale ingiunse a

Torquato Gozzini, commerciante di mobili e oggetti antichi, il

pagamento della sanzione amministrativa di lire 1.000.000 per

avere, nell'esercizio del suo commercio, in via dei Fossi 41 in

Firenze, omesso di fare la denunzia, prescritta dall'art. 10, 1°

comma, 1. 1° marzo 1975 n. 44, dei dati relativi alla propria attività di vendita di cose di interesse archeologico, artistico e

storico sebbene nel sopralluogo effettuato dal sopraintendente

aggiunto fosse stato accertato che gli oggetti esposti nel suo

negozio rientravano in quella categoria. Il Gozzini propose ricòrso innanzi il Pretore di Firenze, con

venendo il sovraintendente archeologico per la Toscana con ricorso 29 maggio 1978, e dedusse che gli oggetti rientranti nella sua attività commerciale non erano tra i « beni mobili di interes se artistico, storico, archeologico e etnografico » previsti dalla 1. 1° giugno 1939 n. 1089.

Il sovraintendente suddetto, costituitosi, chiese il rigetto del ricorso. Il pretore adito, con sentenza 12 aprile 1980, respinse l'opposizione del Gozzini, affermando che dalla relazione tecnica del funzionario incaricato risultava che nel negozio erano con

servati numerosi oggetti antichi di varie epoche, manifattura e

materia di livello artistico, storico e artigianale corrente e medio rientranti nella prescrizione di cui al citato art. 10 1. n. 44 del

1975, senza che la disciplina stabilita dall'art. 1 1. 1° giugno 1939 n. 1089 si riferisse solo alle cose che presentassero, come dedotto

dall'opponente, « eccezionali » ragioni di interesse. Rilevò, inoltre, che la motivazione del provvedimento era congrua ed escludeva il preteso vizio di eccesso di potere.

Il Gozzini ha proposto ricorso per cassazione con due motivi, notificandolo al ministero per i beni culturali e al sovraintendente

archeologico. L'amministrazione convenuta ha resistito con con troricorso.

(1) Questione nuova. A dire della corte, una tale soluzione si impone in forza della ratio

scaturente dall'art. 10 1. 44/75 che prevede l'obbligo della denunzia relativa alla propria attività per i commercianti di cose d'arte al fine di « favorire il controllo e le indagini successive dell'amministrazione interessata, oltre che per altri fini, per la ricerca di quelle cose che abbiano l'interesse particolarmente importante, tale da legittimare la successiva e conseguente eventuale notifica »; dello stesso avviso Alibrandi (e Ferri), I beni culturali ed ambientali, Milano, 1978, 474 s., che individua nel sistema di denunzia dell'attività commerciale un mezzo di raccolta di notizie ed informazioni assimilabile ad « una sorta di banca dati che (...) adempie ad una mera funzione informa tiva al fine di agevolare il controllo amministrativo sugli esercenti il commercio di cose d'arte » (ed un'ulteriore conferma — sottolinea l'a. — proviene dalla disciplina del 2° comma della norma citata, concer nente l'obbligo di mantenere il registro degli oggetti in entrata ed in uscita, con la relativa descrizione, che manifesta l'attitudine di questi strumenti al 1 controllo ' sulla circolazione e destinazione delle cose d'arte).

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Motivi della decisione. — 1) Il ricorrente Gozzini, con il

primo motivo del ricorso, ha lamentato la violazione dell'art. 10

1. 1° marzo 1975 n. 44 e dell'art. 1 1. 1° giugno 1939 n. 1089.

Egli ha sostenuto che, pur secondo la relazione tecnica del

funzionario della sovraintendenza richiamata nella sentenza, non

risultava che le cose oggetto del suo commercio rientrassero tra

quelle previste dalla citata 1. del 1939 e, come tali, soggette all'art. 10 della suddetta 1. del 1975. Secondo il ricorrente,

essendo stato precisato in quella relazione che gli oggetti com

merciati nel negozio erano di « livello storico, artistico e artigia nale corrente e medio », non vi erano elementi per ritenerli « di

particolare interesse », e cioè superiori alla media e alla normali

tà, cosi da dover essere tutelati per la collettività.

Il motivo è infondato. Invero, in primo luogo il citato art. 10

1. del 1975, nello stabilire l'obbligo della denunzia per « tutti

coloro che esercitano il commercio di cose di interesse archeolo

gico, artistico e storico » ha sostanzialmente ripetuto, con inequi voco riferimento, per quanto riguarda le cose mobili, la categoria

generale indicata, con la sola aggiunta dell'aggettivo « etno

grafico » delle « cose ... che presentano interesse artistico, storico,

archeologico e etnografico » assoggettate, ai sensi della norma

fondamentale dell'art. 1 1. 1° giugno 1939 n. 1089, alla disciplina di detta legge.

Ciò premesso, va posto in rilievo che il successivo art. 3 della

stessa attribuisce al ministro per l'istruzione pubblica il potere di

eseguire una speciale notifica ai rispettivi proprietari, possessori e

detentori, per quelle indicate nell'art. 1 « che siano di interesse

particolarmente importante ». Conseguenza di tale notifica, ed

esclusivamente per le cose per le quali sia stata effettuata, è,

oltre che l'inclusione in speciali elenchi, l'assoggettamento, ai

sensi del successivo art. 12, al divieto di demolizione, rimozione,

modifica o restauro senza l'autorizzazione del ministero stesso,

come stabilito dal precedente art. 11.

Si evincono chiaramente da queste norme la distinzione e la

contrapposizione tra il generico « interesse artistico, storico, ar

cheologico e etnografico » di cui al citato art. 1 e quelle « parti colarmente importanti » di cui all'art. 2 e alle altre norme citate,

per il cui riconoscimento è imposto il più rigoroso vincolo.

Questa medesima distinzione conferma che l'interesse archeolo

gico, artistico e storico di cui all'art. 10 1. del 1975, indicato con

formula generica e priva di particolare rigore, corrisponde a

quello ugualmente generico, di cui all'art. 1 1. del 1939, senza

che sia richiesto quel maggior grado dell'interesse particolare, per il quale sono legittimate la notifica e la speciale disciplina di cui

alle altre norme riportate.

Conseguentemente, il riferimento nella motivazione della sen

tenza impugnata, al « livello corrente medio » accertato nella

relazione tecnica, è ben sufficiente a indicare le ragioni per le

quali il giudice ha ritenuto, in conformità alla suddetta ordinan

za, che gli oggetti del commercio esercitato dal Gozzini rientrano

nella categoria prevista dal menzionato art. 10.

Tale distinzione è stata riconosciuta pur da questa Suprema

corte, la quale ha affermato che i beni di interesse artistico e

storico sono soggetti, sia pure in misura limitata, alla disciplina di cui alla 1. 1° giugno 1939 n. 1089, anche in mancanza dello

speciale provvedimento di notifica previsto da tale legge, poiché

questo provvedimento, richiesto per le sole cose che posseggano il suddetto interesse in misura rilevante, è necessario esclusiva

mente ai fini dell'integrale applicazione della legge medesima

(sez. un. 24 maggio 1975, n. 2102, Foro it., 1976, I, 119).

Sulla base di tale distinzione e della sostanziale corrispondenza tra la categoria prevista dall'art. 10 1. del 1975 e quella di cui

all'art. 1 1. del 1939, va considerato pure che il suddetto art. 10

ha manifestamente carattere strumentale, essendo diretto, attra

verso la imposizione della denunzia ai commercianti di quel ramo a favorire il controllo e le indagini successive dell'ammi

nistrazione interessata, oltre che per altri fini, per la ricerca di

quelle cose che abbiano l'interesse particolarmente importante, tale

da legittimare la successiva e conseguente eventuale notifica, rimes

sa al potere discrezionale degli uffici competenti, per la costituzione

del vincolo previsto per quella meno estesa categoria rientrante,

come specie, nel più ampio genere indicato dall'art. 1.

Pertanto, è perfettamente giustificato e conforme a legge che la

valutazione possa essere fatta con riferimento a quel livello

minore, ma comunque corrispondente alla media, e non sulla

base dei requisiti di carattere più elevato. Non è dubbio, perciò,

che il riferimento alle valutazioni della menzionata relazione

tecnica ha dato luogo ad una motivazione adeguata e sufficiente,

dovendosi tener conto anche della discrezionalità in tal materia

della p.a. per l'imposizione di quei successivi e maggiori vincoli.

(Omissis) ■

CORTE DI CASSAZIONE; Sezioni unite civili; sentenza 27

giugno 1983, n. 4388; Pres. F. Greco, Est. Chiavelli, P. M.

Corasaniti (conci, parz. diff.); Blasi e altro (Avv. Donzelli) c. Istituto poligrafico dello Stato; Istituto poligrafico dello Stato

(Avv. dello Stato Zotta) c. Blasi e altro. Cassa Trib. Roma 24

settembre 1976.

Lavoro e previdenza (controversie in materia di) — Appello —

Tempestività — Deposito in termini del ricorso in cancelleria — Nullità della notifica o mancato rispetto dei termini a com

parire — Irrilevanza — Sanatoria (Cod. proc. civ., art. 291,

327, 434, 435).

Nel rito del lavoro, ove l'appello sia tempestivamente depositato in cancelleria nel termine breve di cui al 2° comma dell'art.

434 o in quello lungo di cui all'art. 327 c.p.c., la nullità della

notifica (ipotesi verificatasi nel caso di specie) o il mancato

rispetto dei termini minimi a comparire non determina l'inam

missibilità dell'appello ma applicazione dell'art. 291 c.p.c. (1)

Svolgimento del processo. — (Omissis). L'Istituto poligrafico dello Stato proponeva appello avverso la sentenza con tre succes

sivi ricorsi, il primo nei confronti del solo Blasi, rispettivamente

depositati il 9 gennaio 1976, 18 marzo 1976 ed il 23 aprile 1976

ed iscritti sotto distinti numeri di ruolo, dei quali solamente il

terzo veniva notificato agli appellati. Gli appellati si costituivano in tale giudizio con il procuratore

domiciliatario avv. Grazia Pirisi preliminarmente eccependo la

preclusione dell'appello e la sua inammissibilità, in dipendenza della verificatasi perenzione, sia del primo che del secondo

appello non ritualmente coltivati, e contestando nel merito la

fondatezza del gravame. All'udienza del 25 maggio 1976, fissata per la relativa discus

sione, gli stessi appellati si costituivano inoltre, con il procuratore domicilitario dott. Roberto Ulivi, ai soli fini processuali di ecce

pire l'inefficacia e quindi Pimprocedibilità dei ricorsi, nelle altre due cause.

Con la sentenza impugnata il Tribunale di Roma, riunite le tre

impugnazioni separatamente proposte contro la stessa sentenza, in totale riforma della sentenza impugnata, respingeva le domande

proposte da Crescenzi Pericle e Blasi Davide e condannava gli appellati a rifondere all'istituto le spese del doppio grado di

giudizio. Osservava il tribunale che certamente inammissibili erano le

impugnazioni proposte dall'Istituto poligrafico dello Stato con i ricorsi depositati sotto le date del 9 gennaio 1976 e del 18 marzo

(1) Le sezioni unite della Cassazione si pronunciano per la prima volta sulla questione della tempestività o no dell'appello tempestiva mente depositato in cancelleria ma notificato in modo nullo o, soprattutto, notificato in modo tale da non consentire il rispetto dei termini minimi a comparire di cui all'art. 435, 3° e 4° comma, c.p.c.; questione — quest'ultima — su cui le sezioni semplici si erano pronunciate in modo difforme seppure in senso prevalente all'orienta mento accolto dalla sentenza riportata (v., oltre alle decisioni richiama te in motivazione, le note di richiami a Cass. 8 giugno 1981, nn. 3695 e 3693 e Cass. 2 giugno 1981, n. 3566, in Foro it., 1981, I, 1874, e a Cass. 22 giugno 1982, n. 3822, id., 1982, I, 2466).

È però da notare che il caso concreto su cui le sezioni unite si sono pronunciate era relativo ad una ipotesi di mera nullità della notificazione (il ricorso d'appello era stato notificato presso il procura tore domiciliatario costituito nel giudizio di primo grado successiva mente alla notificazione della sentenza con la quale era stato indicato il nuovo procuratore e la nuova elezione di domicilio), cosi che l'ammissibilità dell'appello e l'applicabilità dell'art. 291 c.p.c. era fuori discussione. Poiché però le sezioni unite considerano nella motivazione esplicitamente anche l'ipotesi di notificazione effettuata in modo da non consentire il rispetto dei termini minimi a comparire ex art. 435, la massima è stata formulata in modo più generale.

Il valore di precedente della decisione in epigrafe è inoltre note volmente sminuito dal fatto che la motivazione omette di inquadrare la soluzione accolta in una pili vasta rilettura di tutto il meccanismo di introduzione del giudizio di appello e del giudizio di primo grado nel rito del lavoro e di prendere posizione sui molti problemi sorti al

riguardo, problemi su cui v. oltre alla cit. nota di richiami in Foro it., 1981, I, 1874, la nota di richiami a Cass., sez. un., 18 ottobre 1982, n. 5395, id., 1982, I, 3019, nonché in dottrina da ultimo A. Proto

Pisani, Lavoro (controversie individuali di), voce del Novissimo dige sto, appendice, 1983, IV, nn. 23, 24, 44, ed ivi ulteriori indicazioni.

'Per quanto concerne la valutazione delle conseguenze della inattività delle parti nel processo del lavoro, v. in senso parzialmente difforme dalla motivazione della decisione in epigrafe, Cass., sez. un., 26 marzo

1982, n. 1884, Foro it., 1982, I, 1280, in tema di mancata comparizio ne dell'appellante all'udienza di discussione, nonché l'ampia nota di richiami a Trib. Cagliari 28 febbraio 1983, che sarà riportata in uno dei prossimi fascicoli.

A. Proto Pisani

Il Foro Italiano — 1983 — Parte I-157.

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