sezione I civile; sentenza 27 settembre 1999, n. 10685; Pres. Sgroi, Est. Nappi, P.M. Russo(concl. diff.); Fall. soc. Omega (Avv. Staffa, Rizzo) c. Banca commerciale italiana; Bancacommerciale italiana (Avv. Ciccotti, Sala) c. Fall. soc. Omega. Conferma App. Milano 7 febbraio1997Source: Il Foro Italiano, Vol. 123, No. 2 (FEBBRAIO 2000), pp. 527/528-531/532Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23195461 .
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PARTE PRIMA
mento a giudizio disciplinare e produrre le proprie controdedu
zioni scritte»). Orbene, la corte, nel considerare possibile una lettura del
l'art. 56, 2° comma, 1. n. 69 del 1963 conforme a Costituzione,
ha osservato: «... è possibile concludere interpretando la nor
ma impugnata nel senso che, ove il consiglio regionale dell'or
dine si limiti a preliminari 'sommarie informazioni', devono ri tenersi sufficienti la comunicazione dell'inizio del procedimento e l'invito all'interessato a 'comparire'. Ma quando l'istruttoria
prosegua in quella sede per l'accertamento dei 'fatti' attraverso
la raccolta di prove, la norma, pur non prevedendo la presenza dell'interessato o del suo difensore nel momento dell'assunzio
ne delle prove a carico, contempla tuttavia per T'incolpato' for
me di contraddittorio e di difesa, stabilendo che i fatti gli siano
specificamente 'addebitati' e riconoscendo all'incolpato stesso
un congruo termine, non solo per essere sentito, ma soprattutto
per provvedere alla sua 'discolpa', come previsto dalla norma
impugnata. Affinché tale facoltà possa efficacemente realizzarsi
'è necessario sul piano logico-giuridico che essa comprenda la
confutabilità delle prove su cui si fondano i pretesi illeciti, pre via possibilità di visione dei verbali e di utilizzo di ogni stru mento di difesa, non solo attraverso memorie illustrative ma
anche con la presentazione di nuovi documenti o con la dedu
zione di altre prove (compresa la richiesta di risentire testimoni
su fatti e circostanze specifiche rilevanti ed attinenti alle conte
stazioni), che non possono considerarsi precluse. L'organo di
sciplinare sarà tenuto a pronunciarsi motivando sulle richieste
probatorie, in modo da rendere possibile, nella successiva even
tuale fase giurisdizionale, una verifica della completezza e suffi
cienza dell'istruttoria disciplinare e sul rispetto dei principi in
materia di partecipazione e difesa dell'incolpato». Non diversa interpretazione, dunque, può e deve darsi all'art.
39 d.p.r. n. 221 del 1950.
6.2.2. - Alla stregua di quanto si è appena affermato, il moti
vo di ricorso non è fondato, già in linea di principio, là dove
postula che il provvedimento disciplinare sia illegittimo quante volte l'accertamento dei fatti è stato compiuto dall'organo am
ministrativo competente in base a prove non assunte nel con
traddittorio del sanitario.
6.2.3. - Come si è veduto, il ricorrente ha però anche soste
nuto d'aver dedotte delle prove e che, da un lato, la commissio
ne odontoiatri ne ha negato l'ammissione senza alcuna motiva
zione e, dall'altro, la commissione centrale si è limitata a ri
spondere che la prima non aveva l'onere di ammetterle.
Orbene, come si è prima detto, il professionista ha il potere di chiedere che l'organo amministrativo competente raccolga le
prove che esso deduce. Spetta però all'organo decidente valu
tarne la rilevanza e, se esso ritiene di provvedere sulla base delle
sole prove raccolte in precedenza, è onere della parte, nell'im
pugnare il provvedimento, denunciare l'illegittimità consistente
nel fatto che si è deciso a seguito di un'istruzione incompleta
perché non estesa a fatti invece decisivi e perciò con eccesso
di potere. Solo in presenza di un motivo di impugnazione così formula
to, la commissione centrale ha il dovere, dopo aver accertato
che le prove erano state dedotte, di valutare se la loro mancata
ammissione configuri nel caso concreto un vizio di istruzione
e quindi se il provvedimento è viziato per eccesso di potere.
Sicché, a configurare il vizio di violazione di legge nella deci
sione impugnata non basta l'allegazione contenuta nel motivo, che prove erano state dedotte e non erano state ammesse senza
alcuna motivazione.
Sarebbe stato inoltre necessario che, nel motivo di ricorso, la parte avesse allegato d'aver anche dedotto davanti alla com
missione centrale per quale ragione si configurava nel caso il
vizio di eccesso di potere per difetto di istruttoria o in altri
termini perché le circostanze che s'era richiesto di provare avreb
bero potuto risultare decisive.
7.1. - Il settimo ed ultimo motivo, per la parte non ancora
esaminata, denuncia vizi di difetto di motivazione (art. 360, n.
5, c.p.c., in relazione all'art. 80 del codice deontologico). 7.2. - Il motivo è inammissibile.
Fuori dei casi in cui, contro le decisioni della commissione
centrale per gli esercenti le professioni sanitarie, è ammesso ri
corso per motivi attinenti alla giurisdizione (art. 19 d.leg.c.p.s. 13 settembre 1946 n. 233), le stesse decisioni sono impugnabili con ricorso per cassazione, per violazione di legge, a norma
Il Foro Italiano — 2000.
dell'art. Ill Cost. (sez. un. 30 marzo 1967, n. 687, id., Rep.
1967, voce cit., n. 90).
Questo ricorso non consente un sindacato della decisione per difetti della motivazione (sez. un. 15 giugno 1994, n. 5789, id.,
Rep. 1994, voce cit., n. 121), fuori dei casi in cui la motivazio
ne manchi affatto o denunzi intrinseci vizi logici (sez. un. 8
giugno 1998, n. 5613, id., Rep. 1998, voce cit., n. 190, e 10
giugno 1998, n. 5760, ibid., n. 191), ciò che ridonda in vizio di violazione di legge, prescrivendo l'art. Ili, 1° comma, Cost,
che i provvedimenti giurisdizionali debbono essere motivati.
Il ricorso non denunzia alcun vizio di questo tipo ed anzi
neppure vizi di difetto di motivazione sindacabili alla stregua dell'art. 360, n. 5, c.p.c.
Esso consiste in una riesposizione di fatti secondo la valuta
zione che ne è data dal ricorrente e, dove lamenta che prove non siano state ammesse, fa riferimento a prove dedotte davan
ti alla commissione odontoiatri, di cui non è indicato il conte
nuto né spiegata la decisività.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 27 set
tembre 1999, n. 10685; Pres. Sgroi, Est. Nappi, P.M. Russo
(conci, diff.); Fall. soc. Omega (Avv. Staffa, Rizzo) c. Ban
ca commerciale italiana; Banca commerciale italiana (Aw. Cic
cotti, Sala) c. Fall. soc. Omega. Conferma App. Milano
7 febbraio 1997.
Pegno — Pegno rotativo — Nozione — Legittimità — Limita
zioni (Cod. civ., art. 1997, 2784, 2786, 2787).
È legittimo il c.d. «pegno rotativo» che si realizza quando nella
convenzione costitutiva della garanzia — avente efficacia ob
bligatoria — le parti prevedano la possibilità di sostituire i
beni originariamente costituiti in garanzia, con la conseguen za che la sostituzione posta in essere non determina effetti novativi sul rapporto iniziale a condizione che le sostituzioni
risultino da atti scritti aventi data certa, che avvenga la con
segna del bene e che questo bene offerto in sostituzione abbia
un valore non superiore a quello sostituito. (1)
(1) La pronuncia della Cassazione si segnala in quanto dà continuità al precedente costituito da Cass. 28 maggio 1998, n. 5264, Foro it., 1998, I, 2405, in tema di ammissibilità del pegno assistito dal «patto di rotatività» che tanto interesse (e tanti contrasti, ora rappresentati nelle conclusioni difformi del p.g.) aveva suscitato in dottrina. Il giudi ce di legittimità ha confermato che la «cosa» data in pegno vale per la sua «componente di valore» e che la continuità del rapporto non è incompatibile con la realità del pegno. La prima sentenza della corte
regolatrice è stata annotata adesivamente da Panzani, Pegno rotativo ed opponibilità della prelazione, in Fallimento, 1999, 268; Maimeri, Pegno rotativo: la dottrina ispira la Cassazione. Prime osservazioni, in Giust. civ., 1998, I, 2162; Porraro, Pegno, garanzia rotativa e revo catoria fallimentare nel sistema delie garanzie mobiliari, in Corriere giur., 1998, 1320; Stingone, Il pegno rotativo nella teoria delle garanzie reali, in Dir. faliim., 1998, II, 609; C. Mancini, La riconosciuta normalità del pegno «rotativo», in Giur. comm., 1998, II, 678; Azzaro, Il pegno «rotativo» arriva in Cassazione: «ovvero come la dottrina diventa giu risprudenza», in Banca, borsa, ecc., 1998, II, 491, il quale, pur favore vole al decisum, mostra perplessità su alcuni passi della motivazione; nella stessa direzione, Gioia, Giudici e legislatore concordi sul pegno fluttuante: il consenso prevale sulla consegna, in Corriere giur., 1998, 1312, e Finardi, Orientamento antiformalistico della giurisprudenza di merito in tema di pegno rotativo, in Fallimento, 1998, 735, il quale rappresenta anche gli effetti conseguenti a tutta la normativa primaria e secondaria in tema di dematerializzazione dei titoli. Il convincimento fatto proprio dalla corte regolatrice trae spunto dall'ampia analisi che
sull'argomento ha compiuto da ormai lungo tempo E. Gabrielli, a
partire da II pegno «anomalo», Padova, 1990, 181, sino al più recente, Sulle garanzie rotative, Napoli, 1998. La querelle sull'efficacia del pat
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Svolgimento del processo. — 1. - Con sentenza resa il 10
giugno 1992 il Tribunale di Monza accolse la domanda che il
curatore del fallimento della Omega s.n.c., dichiarato il 21 di
cembre 1987, aveva proposto nei confronti della Banca com
merciale italiana (Comit) per la dichiarazione d'inefficacia degli atti del 3 aprile 1986 e del 4 luglio 1986 con i quali erano stati
costituiti in pegno titoli del debito pubblico, rispettivamente per lire venti milioni e per lire sessanta milioni, a garanzia di debiti
preesistenti e non scaduti della società poi fallita.
La sentenza fu appellata dalla Comit, che propose tre motivi
d'appello, deducendo con il primo motivo che un patto di rota
tività del pegno rendeva unitario e, quindi, non revocabile il
rapporto di garanzia costituito sin dal 1983; con il secondo mo
tivo che la curatela attrice aveva omesso di provare la preesi stenza e la non intervenuta scadenza del credito garantito; con
il terzo motivo che solo per un malinteso il tribunale aveva re
spinto l'eccezione di compensazione da lei proposta già in pri mo grado.
Con sentenza resa il 4 dicembre 1996, la Corte d'appello di
Milano, in accoglimento del primo motivo d'impugnazione, ri
tenuto assorbente, respinse la domanda della curatela falli
mentare.
Argomentarono i giudici d'appello che, pur dovendo certa
mente considerarsi nuovi i contratti reali costitutivi dei pegni
controversi, dovesse cionondimeno escludersene la revocabilità, in quanto le parti, in adempimento di un precedente impegno
contrattuale, si erano limitate a sostituire, con altri dello stesso
tipo e valore, titoli che erano stati già costituiti in pegno con
atto del 23 agosto 1983 ed erano poi scaduti nel 1986; sicché
era rimasta immutata nel 1986 la situazione patrimoniale delle
parti, non essendovi stati esborsi ulteriori da parte del debitore
né miglioramenti nella posizione di garanzia della banca.
Ricorre per cassazione la curatela del fallimento, che propone tre motivi d'impugnazione, cui resiste con controricorso la Ban
ca commerciale italiana, proponendo altresì ricorso incidentale.
Entrambe le parti hanno presentato memorie.
Motivi della decisione. — 2. - Va preliminarmente disposta la riunione dei due ricorsi, quello principale e quello incidenta
le, in quanto hanno ad oggetto la medesima sentenza (art. 335
c.p.c.). 3.1. - Con il primo motivo del ricorso principale la curatela
fallimentare deduce violazione e/o falsa applicazione degli art.
1997, 2786 e 2787 c.c., lamentando che la corte d'appello abbia
contraddittoriamente escluso la revocabilità dei pegni, sebbene
abbia riconosciuto che, in ragione della natura reale della ga
ranzia, essi dovessero essere considerati costituiti ex novo nel
l'aprile e nel luglio del 1986. Afferma che la teoria della rotati
vità del pegno, sostenuta dalla Comit e accolta dalla corte mila
nese, è incompatibile con l'art. 1997 c.c. («il pegno, il sequestro, il pignoramento e ogni altro vincolo sul diritto menzionato in
un titolo di credito o sulle merci da esso rappresentate, non
hanno effetto se non si attuano sul titolo»), con l'art. 2786 c.c.
(«il pegno si costituisce con la consegna al creditore della cosa
o del documento che conferisce l'esclusiva disponibilità della
cosa») e con l'art. 2787, 2° comma, c.c. («la prelazione non
si può far valere se la cosa data in pegno non è rimasta in
possesso del creditore o presso il terzo designato dalle parti»).
to di rotatività sembra destinata ad essere assorbita dalle questioni in
terpretative che sorgeranno dall'esame della normativa più recente; in
fatti sul problema ha inciso il d.leg. 24 giugno 1998 n. 213, disposizioni per l'introduzione dell'euro nell'ordinamento nazionale (assetto norma
tivo comunque da raccordare anche al d.leg. 24 febbraio 1998 n. 58), laddove all'art. 34 si stabilisce che «1. I vincoli di ogni genere sugli strumenti finanziari disciplinati dal presente titolo V, ivi compresi quel li previsti dalla normativa speciale sui titoli di debito pubblico, si costi
tuiscono unicamente con le registrazioni in apposito conto tenuto dal
l'intermediario. 2. Possono essere accesi specifici conti destinati a con
sentire la costituzione di vincoli sull'insieme degli strumenti finanziari
in essi registrati; in tal caso l'intermediario è responsabile dell'osservan
za delle istruzioni ricevute all'atto di costituzione del vincolo in ordine
alla conservazione dell'integrità del valore del vincolo ed all'esercizio
dei diritti relativi agli strumenti finanziari. 3. Le registrazioni di cui
al presente articolo sono comunicate all'emittente nei casi e nei termini
previsti dalla legge»; nella relazione al d.leg. 213/98 si parla di pegno fluttuante. La nuova normativa è integrata dall'art. 27 del regolamento di attuazione 15 settembre 1998, n. 11600 e dal successivo regolamento Consob 23 dicembre 1998, n. 11768. [M. Fabiani]
Il Foro Italiano — 2000.
Infatti queste norme escludono che possa ipotizzarsi un qualsia si collegamento giuridicamente rilevante tra i pegni costituiti nel
1983 e quelli costituiti nel 1986, perché l'estinzione dei titoli
oggetto del primo atto costitutivo comportò l'estinzione anche
del relativo diritto di pegno, che non si estese ai nuovi titoli
acquistati nel 1986, ma fu sostituito da un nuovo diritto di ga ranzia. Potrebbe tutt'al più ipotizzarsi un'efficacia obbligatoria del c.d. patto di rotatività del pegno, che non eliminerebbe,
però, l'esigenza di fare riferimento all'autonoma efficacia reale
di ciascun atto costitutivo della garanzia sostitutiva di quella estinta.
3.2. - Con il secondo motivo la ricorrente principale decuce
violazione e/o falsa applicazione degli art. 1997, 2786 e 2787
c.c. e dell'art. 67 1. fall., lamentando che la corte d'appello abbia erroneamente ritenuto che gli atti del 1986, pur costitutivi
di nuovi pegni, non arrecassero pregiudizio ai creditori concor
suali, senza considerare che, grazie appunto alle garanzie costi
tuite ex novo suoi nuovi titoli, la Comit potè incamerarne il
valore in violazione delle par condicio creditorum.
3.3. - Con il terzo motivo la ricorrente principale deduce vio
lazione o, comunque, falsa applicazione degli art. 67 1. fall,
e 2784 c.c. Rileva che erroneamente la corte milanese abbia pro
spettato come iniqua conseguenza di un eventuale accoglimento della domanda revocatoria, proposta dalla curatela, la vanifica
zione del diritto di prelazione legittimamente acquisito dalla Co
mit. I giudici d'appello, infatti, hanno contraddittoriamente con
siderato sostitutiva la pur riconosciuta efficacia costitutiva degli atti di rinnovazione del pegno stipulati nel 1986.
4. - Con l'unico, incondizionato, motivo del ricorso inciden
tale la Comit deduce violazione degli art. 2786, 2742, 2803 e
2795 c.c. e insufficienza di motivazione su punto decisivo della
controversia, lamentando che erroneamente la corte d'appello abbia ritenuto costitutiva di nuovi diritti di garanzia la sostitu
zione dei titoli oggetto di pegno, pur avendo riconosciuto che
tale sostituzione non aveva comportato alcuna modificazione
né della situazione patrimoniale del debitore né della posizione di garanzia del creditore. In realtà, contrariamente a quanto la corte milanese afferma, rimase unitario il rapporto di affida
mento e di garanzia intercorso tra la banca e la società poi
fallita, perché la surrogazione reale dell'oggetto del pegno pre vista dal patto di rotatività non è incompatibile con il nostro
diritto positivo, che ammette la sostituzione dell'oggetto della
prelazione nei casi previsti dagli art. 2742, 2803 e 2795 c.c.
5. - Occorre innanzitutto rilevare l'inammissibilità del ricorso
incidentale, con il quale la Comit ha chiesto solo una correzio
ne della motivazione in diritto della sentenza impugnata. Infat
ti, secondo un'indiscussa giurisprudenza di questa corte, è inam
missibile il ricorso incidentale proposto dalla parte totalmente
vittoriosa all'unico scopo di ottenere il mutamento della moti
vazione della sentenza impugnata, lasciando immutato il dispo sitivo (Cass. 13 dicembre 1962, n. 3341, Foro it., Rep. 1962, voce Cassazione civile, n. 292; 16 giugno 1969, n. 2134, id.,
Rep. 1969, voce Impugnazioni civili, n. 124; 14 ottobre 1969, n. 3308, ibid., n. 125; 18 settembre 1970, n. 1571, id., Rep.
1971, voce Cassazione civile, n. 45; 13 giugno 1972, n. 1850,
id., Rep. 1972, voce Impugnazioni civili, n. 109; 10 aprile 1973, n. 1020, id., 1973, I, 2065; 6 ottobre 1976, n. 3289, id., Rep.
1976, voce Cassazione civile, n. 178; 6 settembre 1982, n. 4836,
id., Rep. 1982, voce cit., n. 37; 6 giugno 1990, n. 5396, id.,
Rep. 1990, voce cit., n. 20). Cionondimeno va dato atto della correttezza delle argomen
tazioni esposte nel ricorso incidentale, che valgono a giustifica re non solo l'auspicata correzione della motivazione in diritto
della sentenza impugnata, in applicazione dell'art. 384, 2° com
ma, c.p.c., bensì anche il rigetto del ricorso principale. In una recente sentenza di questa corte, invero, si è ricono
sciuto che il c.d. patto di rotatività, in virtù del quale si preveda fin dall'origine la sostituzione totale o parziale dei beni oggetto della garanzia, considerati non nella loro individualità ma per il loro valore economico, sia idoneo a salvaguardare la conti
nuità del rapporto e faccia risalire alla consegna dei beni origi nariamente costituiti in garanzia gli effetti della loro surroga
zione, purché la sostituzione risulti da atto scritto avente data
certa e la consegna sostitutiva sia effettiva e non superi i limiti
di valore dei beni originariamente dati in pegno (Cass. 28 mag
gio 1998, n. 5264, id., 1998, I, 2405). Nel caso in esame tutti i motivi del ricorso principale sono
fondati sull'assunto dell'inderogabile natura reale del contratto
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PARTE PRIMA
di pegno, cui conseguirebbe l'impossibilità di considerare unita
riamente le garanzie costituite nel 1983 e nel 1986. Ma la conti
nuità del rapporto non è incompatibile con la realità del pegno,
perché deriva dalla convenzione con la quale le parti previdero la possibilità di sostituirne l'oggetto senza estinzione del prece dente rapporto di garanzia. E, come già rilevato nella citata
sentenza n. 5264 del 1998 e ribadito dalla resistente, questa pos sibilità di surrogazione reale dell'oggetto del pegno non è in
compatibile con il diritto positivo, che prevede la riferibilità della
garanzia a un valore economico piuttosto che al bene di volta
in volta utilizzato per concretizzarlo.
Certo, come sostiene la ricorrente, il patto di rotatività non
può avere che effetti meramente obbligatori rispetto alla futura
sostituzione del bene oggetto del pegno. Ma la consegna del
bene sostitutivo, con il conseguente effetto traslativo del diritto
reale su di esso, può essere riguardata come elemento di una
fattispecie a formazione progressiva, che trae origine dall'ac
cordo stipulato dalle parti con il patto di rotatività.
La giurisprudenza e la dottrina prevalenti, invero, costruisco
no il pegno di cosa futura appunto come una fattispecie a for
mazione progressiva, che trae origine dall'accordo delle parti
(accordo in base al quale vanno determinate la certezza della
data e la sufficiente specificazione del credito garantito) avente
meri effetti obbligatori e si perfeziona con la venuta a esistenza
della cosa e con la consegna di essa al creditore, precisando che «in tale fattispecie la volontà delle parti è già perfetta nel
momento in cui nell'accordo sono determinati sia il credito da
garantire che il pegno da offrire in garanzia, mentre l'elemento
che deve verificarsi in futuro, per il completamento della fatti
specie, è meramente materiale, consistendo esso (oltre che nella
venuta ad esistenza della cosa) nella consegna di questa al credi
tore» (Cass. 27 agosto 1998, n. 8517, id., Rep. 1998, voce Pe
gno, n. 36; 1° agosto 1996, n. 6969, id., 1997, I, 183). Analogamente deve ritenersi che, quando in particolare, co
me nel caso in esame, il pegno abbia a oggetto titoli di credito
con scadenza più ravvicinata della prevedibile durata del rap
porto di garanzia, le parti possano obbligarsi a sostituirne l'og
getto senza necessità di ulteriori stipulazioni e, quindi, nella con
tinuità del rapporto originario. E in tal caso, quando rimango no immutati natura e valore dell'oggetto costituito in pegno, deve ritenersi che, ai fini dell'esperibilità dell'azione revocato
ria, la genesi del diritto reale di garanzia debba farsi risalire
al momento della stipulazione originaria. Sicché correttamente, anche se con motivazione non del tutto adeguata, la Corte d'ap
pello di Milano respinse la domanda proposta con l'azione re
vocatoria esercitata dalla curatela ricorrente, che, oltre tutto, aveva con quell'azione richiesto la dichiarazione d'inefficacia
dell'atto costitutivo della garanzia, non anche della successiva
estinzione del credito garantito. Si deve, pertanto, concludere con il rigetto del ricorso prin
cipale.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione i civile; sentenza 10 set tembre 1999, n. 9640; Pres. Sgroi, Est. Marziale, P.M. Go
lia (conci, conf.); Guzzardo (Avv. Pecoraro) c. Banca com
merciale italiana (Aw. Ciccotti, Messina, Brugnatelli, Cat
taneo). Cassa App. Palermo 2 aprile 1996.
Contratti bancari — Cassette di sicurezza — Furto — Risarci
mento del danno — Clausola limitativa del valore degli og
getti custoditi — Nullità (Cod. civ., art. 1229, 1839). Contratti bancari — Cassette di sicurezza — Furto — Respon
sabilità della banca (Cod. civ., art. 1839). Prova testimoniale — Attendibilità del teste — Valutazione pre
ventiva — Esclusione — Fattispecie (Cod. proc. civ., art. 116,
184, 245, 246, 247, 248).
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Devono considerarsi nulle, per contrarietà all'art. 1229 c.c., le
clausole che, nel contratto per l'utilizzazione di cassette di
sicurezza, vietano di depositare cose che abbiano un valore
superiore ad una cifra prestabilita e limitano a tale cifra la
responsabilità della banca anche in caso di dolo o colpa
grave. (1) Sussiste la colpa grave della banca che, pur avendo adottato
sofisticati sistemi di sicurezza, non abbia predisposto un ser
vizio di vigilanza che impedisse ai ladri di trattenersi a lungo nei locali dell'istituto e di svaligiare cinquecentoquarantacin
que cassette di sicurezza. (2) Deve essere ammessa la prova testimoniale diretta ad accertare
il contenuto ed il valore degli oggetti depositati in una casset
ta di sicurezza anche se appaia probabile che l'esito di tale
prova sarà negativo o si ritenga che il teste sia inidoneo a
fare un resoconto preciso dei fatti allegati. (3)
(1-2) Continua ad aumentare il numero delle pronunce di legittimità che, sulla scia delle sezioni unite (Cass. 1° luglio 1994, n. 6225, Foro
it., 1994, I, 3422, con osservazioni di Catalano, nonché la sentenza
gemella n. 6226, id., Rep. 1994, voce Contratti bancari, n. 19, e, per esteso, Giust. civ., 1994, I, 2444), dichiara la nullità delle norme banca rie uniformi relative alla fissazione di un limite di valore per gli oggetti depositabili nelle cassette di sicurezza. Sull'episodio criminoso che ha dato origine alla pronuncia in epigrafe si era già pronunciata negli stessi termini Cass. 10 gennaio 1998, n. 158, Foro it., Rep. 1998, voce cit., n. 24, e, per esteso, Giur. it., 1998, 499. V., inoltre, Cass. 10 febbraio
1998, n. 1355, Foro it., 1998, I, 2180, con nota di richiami (riportata anche in Danno e resp., 1998, 554, con nota di Macario, e in Impresa, 1998, 777, con nota di Petrini), cui adde, Cass. 4 febbraio 1995, n.
1339, Foro it., Rep. 1995, voce cit., n. 32, e 11 agosto 1995, n. 8820, ibid., n. 31.
Anche sul piano dei presupposti di responsabilità della banca i giudi ci di legittimità confermano l'orientamento che esclude il furto dalla nozione di caso fortuito. In questo senso, v., oltre a Cass. 158/98, cit., Cass. 27 agosto 1997, n. 8065, id., Rep. 1997, voce cit., n. 17, e 24 gennaio 1997, n. 750, ibid., n. 18, e, per esteso, Contratti, 1997, 255, con nota di Delfini, e Danno e resp., 1997, 461, con nota di Montaruli. Un'interpretazione più favorevole alla banca è seguita da Trib. Roma 25 maggio 1994, Foro it., Rep. 1996, voce cit., n. 23, e,
per esteso, Danno e resp., 1996, 238, con nota di Macario, che esclude 11 caso fortuito, ma ritiene che la presenza di sistemi di sorveglianza adeguati e largamente utilizzati non consenta di imputare una colpa grave alla banca.
In dottrina, da ultimo, cfr. Pardolesi, Analisi economica del diritto, in Bessone (a cura di), Casi e questioni di diritto privato, Milano, 1998, 12 ss.; Ambanelli, Orientamenti giurisprudenziali in tema di responsa bilità da cassette di sicurezza, in Resp. civ., 1998, 622; Papanti
Pellettier, Le condizioni generali di contratto e le cassette di sicurez
za, in Diritto privato 1996-Condizioni generali e clausole vessatorie, Pa
dova, 1997, II, 427.
(3) Com'era prevedibile, il consolidamento dell'interpretazione adot tata dalle sezioni unite ha finito per spostare la dialettica processuale dalla validità delle clausole che limitano il valore degli oggetti deposita bili alla prova del danno subito dall'utente. Anche su questo terreno, peraltro, gli orientamenti dei giudici di legittimità tendono a penalizza re le banche. Se si eccettua Cass. 4 marzo 1998, n. 2393, Foro it., 1998, I, 2179, con nota di richiami, e Danno e resp., 1998, 553, con nota di Macario, che non ritiene possa provarsi per mezzo di presun zioni il numero e la qualità dei preziosi depositati nella cassetta, i giudi ci di legittimità e di merito ammettono solitamente la prova per testi, integrata dal giuramento suppletorio quanto all 'an e da quello estima torio per la quantificazione del risarcimento (v., da ultimo, Cass. 1355/98 e 158/98, cit., nonché Trib. Roma 8 novembre e 12 giugno 1995, Foro
it., Rep. 1996, voce Contratti bancari, nn. 25, 26, e, per esteso, Danno e resp., 1996, 234, con nota di Macario). Con riferimento alla prova testimoniale, la pronuncia in rassegna si allinea al consolidato orienta mento che la considera rilevante e ammissibile anche quando i fatti da provare appaiano inverosimili o sia probabile un esito negativo. In
questo senso, oltre a Cass. 29 maggio 1998, n. 5313, Foro it., Rep. 1998, voce Interrogatorio civile, n. 1, e 28 ottobre 1983, n. 6382, id., Rep. 1984, voce Prova testimoniale, n. 12, e, per esteso, Giur. it., 1984, I, 1, 1477, entrambe citate in motivazione, v. Cass. 29 agosto 1995, n. 9117, Foro it., Rep. 1998, voce cit., n. 9, e, per esteso, Riv. infortu ni, 1995, II, 158; 23 marzo 1995, n. 3380, Foro it., Rep. 1995, voce
cit., n. 19; 13 maggio 1993, n. 5458, id., Rep. 1993, voce Prova civile in genere, n. 32; 16 dicembre 1983, n. 7421, id., Rep. 1983, voce Prova
testimoniale, n. 15; 1° luglio 1982, n. 3952, id., Rep. 1982, voce cit., n. 32; 30 marzo 1979, n. 1843, id., 1979, I, 1910, in motivazione; Pret. Genova 14 giugno 1977, id., 1978, I, 2361, con nota di richiami.
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