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sezione I civile; sentenza 28 agosto 2000, n. 11228; Pres. Reale, Est. Di Amato, P.M. Apice (concl.parz. diff.); Fall. soc. Mecnavi (Avv. Mesiano, Rondelli, Formiggini) c. Soc. Fondiariaassicurazioni e altre; Soc. Cispa gas transport (Avv. Volli, Coen) c. Fall. soc. Mecnavi e altre;Soc. Fondiaria assicurazioni e altre (Avv. Romanelli, Afferni, Schiano di Pepe, Zunarelli) c. Fall.soc. Mecnavi e altra. Cassa App. Bologn ...Source: Il Foro Italiano, Vol. 124, No. 4 (APRILE 2001), pp. 1239/1240-1259/1260Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23196994 .
Accessed: 25/06/2014 10:04
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1239 PARTE PRIMA 1240
certo essendo che i principi che si sono riferiti all'inizio (sul l'ammissibilità di sentenze di condanna condizionate) si appli cano indiscriminatamente nei confronti di tutti i «cittadini», a
prescindere dalla provincia in cui risiedono e dalla circostanza
che siano, o meno, coltivatori diretti.
3. - Risultato infondato in ogni sua parte il proposto ricorso, in conclusione, deve rigettarsi.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione II civile; sentenza 25 settembre 2000, n. 12656; Pres. Baldassarre, Est. Elefante, P.M. Russo (conci, conf.); Cernoia (Avv. Beltrame) c. Gu
sola (Avv. De Arcangelis, Gottardis). Confermai Trib. Udi
ne 9 dicembre 1996.
Avvocato — Previdenza forense — Contributo integrativo — Ripetibilità dal soccombente (Cod. proc. civ., art. 91; 1. 20 settembre 1980 n. 576, riforma del sistema previdenziale forense, art. 10, 11).
E ammessa la ripetizione, nei confronti delle parti in causa, del
contributo integrativo che va ricompreso nelle spese a cui
viene condannato il soccombente. (1)
Motivi della decisione. — (Omissis). 2. - Col secondo motivo, deducendo violazione dell'art. 91 c.p.c., il ricorrente censura
l'impugnata sentenza laddove ha posto a carico degli attori il
pagamento del Cnap, facendo presente che tale contributo co
stituisce obbligo diretto e personale del cliente nei confronti del
proprio difensore in virtù del rapporto professionale e come tale
non ripetibile dalla parte soccombente.
2.1. - Il motivo è infondato.
È da premettere che la 1. 20 settembre 1980 n. 576, sulla ri
forma del sistema previdenziale forense, prevede un contributo
soggettivo obbligatorio a carico di ogni iscritto alla cassa e di
ogni iscritto agli albi professionali, commisurato al reddito pro fessionale netto prodotto nell'anno (e nella misura minima di
lire seicentomila), nonché, all'art. 11, che tutti gli iscritti agli albi o alla cassa applichino una maggiorazione percentuale su
tutti i corrispettivi rientranti nel volume annuale di affari ai fini dell'Iva e ne versino l'ammontare alla cassa, quale contributo
(1) Conf. Cass. 1° aprile 1995, n. 3843, Foro it., Rep. 1996, voce Av
vocato, n. 102, in cui si afferma che il contributo integrativo va ricom
preso fra le spese a cui viene condannato il soccombente. In dottrina, L.
Carbone, La nuova tariffa forense in materia civile, penale e stragiudi ziale, Rimini, 1994, 144.
Contra, Pret. Milano 14 novembre 1988, Foro it., 1990, I, 735, con nota di richiami, in cui si afferma che la parte soccombente non è te nuta a rimborsare alla parte vittoriosa la somma da questa pagata al
proprio difensore a titolo di contributo integrativo non liquidato in sentenza (e ciò perché l'art. 111. 576/80 attribuisce all'avvocato il di ritto di ripetere il contributo integrativo nei confronti del debitore — e tale è solo il cliente — e non anche del soccombente).
Per la ripetibilità dell'Iva che la parte assume di avere versato al
proprio difensore, anche se non liquidata nella sentenza di condanna,
giurisprudenza (e dottrina) pacifica: fra le tante, Cass. 4 marzo 1998, n.
2387, id., Rep. 1998, voce Spese giudiziali civili, n. 65; 12 febbraio
1988, n. 1514, id., Rep. 1988, voce cit., n. 23. Per la manifesta infondatezza della questione di legittimità costitu
zionale dell'art. 111. 576/80, che impone una maggiorazione percen tuale sulle entrate dell'avvocato in favore della cassa di previdenza ca
tegoriale, Trib. Lecce 20 gennaio 1999, id., Rep. 1999, voce Avvocato, n. 268.
Sull'obbligazione contributiva nella previdenza dei liberi professio nisti, L. Carbone, La tutela previdenziale dei liberi professionisti, To
rino, 1998, 112.
Il Foro Italiano — 2001.
integrativo, indipendentemente dall'effettivo pagamento che ne
abbia eseguito il debitore, nei cui confronti detta maggiorazione è ripetibile. Pertanto, mentre non è ammessa la ripetizione, nei
confronti delle parti in causa, del contributo soggettivo, è invece
ammessa la ripetizione del contributo integrativo, che va ricom
preso fra le spese a cui viene condannato il soccombente (Cass. 1° aprile 1995, n. 3843, Foro it., Rep. 1996, voce Avvocato, n.
102). Ora, poiché nel caso specifico non risulta che la condanna al
pagamento del Cnap abbia riguardato anche il contributo sog
gettivo è da ritenere che, conformemente a legge, sia stata limi
tata al solo contributo integrativo che va ricompreso fra le spese
ripetibili. In base alle considerazioni svolte, il ricorso va rigettato.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 28 ago sto 2000, n. 11228; Pres. Reale, Est. Di Amato, P.M. Apice
(conci, parz. diff.); Fall. soc. Mecnavi (Avv. Mesiano, Ron
della Formiggini) c. Soc. Fondiaria assicurazioni e altre; Soc. Cispa gas transport (Avv. Volli, Coen) c. Fall. soc.
Mecnavi e altre; Soc. Fondiaria assicurazioni e altre (Avv.
Romanelli, Afferni, Schiano di Pepe, Zunarelli) c. Fall,
soc. Mecnavi e altra. Cassa App. Bologna 15 novembre 1997
e decide nel merito.
Fallimento — Assicurazione della responsabilità civile — Diritto del danneggiante fallito verso l'assicuratore — In
clusione nella massa attiva (Cod. civ., art. 1917; r.d. 16 mar
zo 1942 n. 267, disciplina del fallimento, art. 42). Fallimento — Assicurazione della responsabilità civile —
Fallimento dell'assicurato — Facoltà di pagamento diret
to al danneggiato — Esclusione (Cod. civ., art. 1917; r.d. 16
marzo 1942 n. 267, art. 42).
In tema di assicurazione della responsabilità civile, il diritto
dell'assicurato ad essere tenuto indenne dalle conseguenze dei danni cagionati sorge con la stipulazione del contratto di
assicurazione (divenendo attuale e concreto con la richiesta
di risarcimento avanzata dal danneggiato), e sin da tale mo
mento costituisce situazione giuridica soggettiva suscettibile
di spossessamento in caso di suo fallimento. (1) In caso di fallimento dell' assicurato contro i rischi della re
sponsabilità civile, dichiarato dopo il verificarsi del sinistro, l'indennità che l'assicuratore è tenuto a pagare entra a far
parte della massa fallimentare, e non può essere versata dal
l'assicuratore direttamente al danneggiato. (2)
(1-4) I. - Le tre decisioni qui riportate affrontano altrettante fattispe cie relative alla tematica dell'estensione dello «spossessamento» previ sto dall'art. 42 1. fall.: le prime due sotto il profilo dell'esistenza di
particolari rapporti posti in essere dall'imprenditore poi fallito in grado di escludere determinate situazioni giuridiche dalla massa attiva del
fallimento; la terza, dal lato delle esenzioni previste dall'art. 46 1. fall. II. - La prima sentenza si occupa della posizione dell'assicurato con
tro i danni dichiarato fallito dopo il verificarsi dell'evento pregiudizie vole, anzitutto nella prospettiva di individuare il momento in cui sorge, verso l'assicuratore, il diritto ad essere tenuti indenni dalle conseguen ze dei danni cagionati, nella prospettiva dell'eventuale inclusione di tale diritto nella massa attiva del fallimento. La corte chiarisce, anzi
tutto, la portata del suo orientamento secondo cui il debito dell'assicu ratore sorge quando sia divenuto liquido ed esigibile il debito dell'assi curato nei confronti del danneggiato (v. Cass. 6 marzo 1996, n. 1785, Foro it., Rep. 1997, voce Assicurazione (contratto), n. 163; 24 febbraio
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 26 giu gno 2000, n. 8676; Pres. Senofonte, Est. Plenteda, P.M.
Uccella (conci, diff.); Montefusco (Avv. Rapanà) c. Fall.
Montefusco. Conferma Trib. Latina, ord. 23 luglio 1998.
Fallimento — Assicurazione sulla vita — Riscatto della po lizza — Fallimento dell'assicurato — Conseguenze (Cod.
civ., art. 1923; r.d. 16 marzo 1942 n. 267, art. 46).
Le somme dovute dall'assicuratore a seguito del riscatto della
polizza assicurativa sulla vita sono avocabili alla massa atti
va del fallimento dell'assicurato, non rientrando nell'esen
zione di cui al combinato disposto degli art. 1923 c.c. e 46, n.
5,1. fall. (3)
III
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 13 giu gno 2000, n. 8022; Pres. ed est. Losavio, P.M. Schirò (conci,
diff.); Soc. Uap assicurazioni (Avv. Bertuetti) c. Zaniboni e altri. Cassa App. Brescia 16 maggio 1997.
Fallimento — Risarcimento di danno biologico e morale — Fallimento del danneggiato — Acquisizione alla massa — Esclusione (R.d. 16 marzo 1942 n. 267, art. 46).
Le somme spettanti o liquidate a titolo di risarcimento del dan
no biologico o morale rientrano nella categoria dei beni e di
ritti di natura strettamente personale, e non sono avocabili
alla massa attiva del fallimento del danneggiato. (4)
1995, n. 2103, id., Rep. 1995, voce cit., n. 142; 14 ottobre 1993, n.
10170, id., Rep. 1994, voce cit., n. 149; 3 marzo 1989, n. 1193, id.,
Rep. 1989, voce cit., n. 100; 18 luglio 1987, n. 6341, id., Rep. 1987, voce cit., n. 152; 25 ottobre 1984, n. 5442, id., Rep. 1985, voce cit., n.
150; 5 maggio 1980, n. 2937, id., 1980, I, 1895, con nota di Princigal
li, in motivazione), precisando che quel principio attiene alla quantifi cazione del debito dell'assicuratore e alla definizione della sua natura, ma non al momento genetico del diritto dell'assicurato ad essere tenuto
indenne dalle conseguenze dei danni cagionati, che coincide con la sti
pulazione del contratto. Per giungere poi, da questa premessa, alla con
seguenza che quel diritto forma parte del «patrimonio» latamente inteso del debitore, ed entra dunque a far parte della massa attiva del falli
mento del danneggiarne, formando anch'esso oggetto di spossessa mento.
Su queste basi i giudici di legittimità pervengono al principio espres so nella seconda massima, che, sui medesimi presupposti, si rinviene fra i giudici di legittimità nella lontana Cass. 4 luglio 1969, n. 2465, id., 1970, I, 555, con nota di richiami; nella giurisprudenza di merito, v.
App. Bologna 15 novembre 1997, id., Rep. 1999, voce cit., n. 159, che è la sentenza impugnata nel giudizio di legittimità da cui è scaturita la
decisione in epigrafe; Trib. Monza 22 giugno 1997, Fallimento, 1997, 1241 (m); Trib. Ravenna 30 giugno 1995, id., 1998, 208 (m); Trib. Vi cenza 20 febbraio 1985, Foro it., Rep. 1985, voce Fallimento, n. 259; Trib. Ancona 28 ottobre 1980, id., Rep. 1980, voce Assicurazione
(contratto), n. 187. Contra, v. Trib. Roma 14 novembre 1975, id., Rep. 1977, voce Fallimento, n. 371, secondo la quale gli organi fallimentari non potrebbero pretendere il pagamento dell'indennità, che spetterebbe al danneggiato.
In dottrina, nel senso della giurisprudenza dominante, v. Tedeschi, Assicurazione e fallimento, Padova, 1969, 67 ss.; Pajardi, Manuale di
diritto fallimentare, Milano, 1998, 215; De Ferra, Effetti del fallimento per il fallito, in Commentario Scialoja-Branca, Legge fallimentare, Bologna-Roma, 1986, 19; Volpe Putzolu, Assicurazione della respon sabilità civile e fallimento dell'assicurato, in Giur. comm., 1977, II, 409 ss. In senso contrario, v. Ferrara-Borgioli, Il fallimento, Milano,
1995, 219. III. - La seconda decisione affronta invece la tematica dell'apparte
nenza alla massa attiva delle somme dovute dall'assicuratore all'assicu
rato fallito in conseguenza del riscatto della polizza assicurativa sulla
vita, e a questo riguardo si riscontrano diversi orientamenti.
Un primo orientamento, rappresentato dalla decisione in rassegna, è
quello che include tali somme nel patrimonio fallimentare, distinguen do l'indennità assicurativa, che assolve alla funzione previdenziale e di
risparmio, dalle somme dovute dall'assicuratore ad altro titolo, fra le
quali quella relativa al riscatto della polizza, trovando solo nel primo caso applicazione l'esenzione prevista dall'art. 1923 c.c. In questo sen
so, v. Trib. Verbania 17 giugno 1970, Foro it., Rep. 1971, voce cit., n.
243, a quanto consta unico precedente conforme.
Il Foro Italiano — 2001.
I
Svolgimento del processo. — La controversia trae origine
dall'incendio che il 13 marzo 1987 si sviluppò a bordo della motonave Elisabetta Montanari, che apparteneva alla s.p.a. Ci
spa gas transport e si trovava in riparazione a Ravenna, presso il
cantiere della s.r.l. Mecnavi. Nell'occorso trovarono la morte
tredici operai e si verificarono ingenti danni alle cose. Il giudi zio in esame prese l'avvio davanti al Tribunale di Ravenna e si
articolò originariamente in due tronconi separati, di cui uno co
stituito dall'azione esercitata dal fallimento della società Mec
navi, dichiarato con sentenza del 4 dicembre 1987, nei confronti
delle compagnie (Italia assicurazioni s.p.a., Compagnia navale
assicurazioni s.p.a. e Ras - Riunione adriatica di sicurtà s.p.a.)
presso cui la Mecnavi era assicurata per la responsabilità civile, e l'altro costituito dall'opposizione allo stato passivo, promossa dalla Cispa gas transport per ottenere l'insinuazione del suo
credito per danni.
In particolare, il fallimento della Mecnavi, con atto del 18
agosto 1989, conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Ra
venna le nominate società assicuratrici, che avevano stipulato
Con l'adesione a tale impostazione la pronuncia in epigrafe si collo ca in consapevole contrasto con l'orientamento maggioritario, che ri
tiene che l'esenzione disposta dall'art. 1923 c.c. operi con riguardo a tutte le somme dovute dall'assicuratore sulla vita, a qualunque titolo;
principio che si rinviene in Cass. 25 ottobre 1999, n. 11975, id., Rep. 1999, voce cit., n. 469; 2 ottobre 1972, n. 2802, id., Rep. 1973, voce
cit., n. 240; 28 luglio 1965,, n. 1811, id., 1965,1, 1859, con nota di ri
chiami; nella giurisprudenza di merito, v. Trib. Vicenza 25 marzo 1986, id., Rep. 1986, voce cit., n. 309, in motivazione; Trib. Ascoli Piceno 4
novembre 1985, ibid., n. 311.
Un'impostazione in parte diversa caratterizza invece il terzo indiriz
zo, che, pur condividendo il principio della generalizzata applicabilità dell'art. 1923 c.c., ne ravvisa l'operatività nei casi in cui le somme sia no «dovute», mentre qualora siano state riscosse rientrerebbero nel pa trimonio del fallito oggetto di spossessamento; in tal senso, v. Cass. 3
dicembre 1988, n. 6548, id., Rep. 1989, voce cit., n. 324.
Infine, Trib. Bologna 27 novembre 1994, Fallimento, 1995, 323 (m), sembrerebbe aver ritenuto che le somme dovute dall'assicuratore siano in ogni caso acquisibili al fallimento; ma va dato atto che il riscontro è costituito da una massima.
La dottrina è anch'essa divisa: mentre non si rinvengono opinioni concordi con l'odierna decisione, nel senso della giurisprudenza pre valente, v. Satta, Diritto fallimentare, Padova, 1996, 144; Gugliel
mucci, Effetti del fallimento per il fallito, in Commentario Scialoja Branca, Legge fallimentare, Bologna-Roma, 1986, 139, che, in senso
contrario alla sentenza in epigrafe, espressamente esclude dallo spos sessamento anche le somme relative al riscatto della polizza; Tedeschi, Assicurazione e fallimento, cit., 146 ss., nello stesso senso. Escludono
invece in ogni caso l'operatività dell'art. 1923 c.c., Pajardi, Manuale
di diritto fallimentare, cit., 214; Ferrara-Borgioli, Il fallimento, cit., 340; Anni, in Diritto fallimentare coordinato da Lo Cascio, Milano, 1996, 523; Finardi, Assicurazioni sulla vita: un «puzzle», in Fallimen
to, 2001, 69. IV. - La terza sentenza, da ultimo, tratta della sorte delle somme do
vute o pagate al fallito a titolo di risarcimento del danno biologico o
morale. In questa materia la giurisprudenza ha recentemente mutato orienta
mento, pronunciandosi nel senso che le somme in discorso sarebbero in
ogni caso escluse dal fallimento, in applicazione del disposto dell'art.
46, n. 1, 1. fall. (v. Cass. 20 giugno 1997, n. 5539, Foro it., Rep. 1998, voce cit., n. 369; 20 aprile 1994, Stefanelli, id., Rep. 1995, voce Parte
civile, n. 36), mentre, in precedenza, aveva distinto il diritto personale al risarcimento del danno, sempre escluso dalla massa attiva del falli
mento del danneggiato, da quello patrimoniale avente ad oggetto l'in
dennizzo, scaturente dalla transazione sul risarcimento del danno o
dalla sentenza di condanna nei confronti del danneggiarne, che invece
ne avrebbe fatto parte (v. Cass. 4 febbraio 1992, n. 1210, id., Rep. 1992, voce Fallimento, n. 351; 7 maggio 1963, n. 1123, id., 1963, I,
1705, con nota di richiami. Cfr. inoltre, in motivazione, Cass. 31 mag
gio 1971, n. 1652, id., 1971,1, 2801, che evoca quest'ultimo indirizzo). In dottrina, nel senso dell'odierna decisione, v. Satta, Diritto falli
mentare, cit., 254; Pajardi, Manuale di diritto fallimentare, cit., 230;
Guglielmucci, Effetti del fallimento per il fallito, cit., 87 ss.; Napoleo
ni, Nuove prospettive in tema di risarcimento danni alla persona del
fallito, in Fallimento, 1998, 366; D'Orazio, Il risarcimento del danno
da lesioni e l'art. 46, n. I, I. fall., id., 2001, 59; Anni, in Diritto falli mentare coordinato da Lo Cascio, cit., 538. Contra, v. Ferrara, Il fal limento, Milano, 1974, 302; Costa, in II fallimento, trattato diretto da
Ragusa Maggiore e Costa, Torino, 1997, 10; De Ferra, Manuale di
diritto fallimentare, Milano, 1989, 109.
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PARTE PRIMA 1244
con la società fallita alcune polizze per la «responsabilità legale cantiere»; assumendo che il credito per l'indennizzo assicurati
vo facesse parte dell'attivo della massa fallimentare, la curatela
chiedeva al tribunale di dichiararne l'esclusiva spettanza al fal
limento e di condannare conseguentemente le compagnie, in so
lido ovvero pro quota, al pagamento in suo favore della somma
di lire 3.500.000.000 (o di quella diversa realmente dovuta), maggiorata della rivalutazione monetaria e degli interessi legali maturati fino al saldo. Le società assicuratrici resistevano alla
pretesa. Successivamente la Cispa gas transport, che si era vista
respingere dal giudice delegato al fallimento Mecnavi l'istanza
di ammissione al passivo di un credito di lire 3.020.000.000 (al netto di un suo debito nei confronti della Mecnavi, maturato
prima del fallimento), proponeva opposizione, insistendo per l'insinuazione della somma richiesta. I due giudizi venivano ri
uniti e, all'esito dell'istruttoria, decisi con unica sentenza del 6
aprile 1995. Con essa il tribunale condannava le società assicu
ratrici al pagamento dell'indennizzo in favore del fallimento,
quantificandolo — sulla scorta della consulenza tecnica d'uffi
cio disposta in corso di causa — in lire 3.612.266.748, oltre alla
rivalutazione monetaria e agli interessi legali cumulati dalla
data dell'evento dannoso. Contestualmente accoglieva l'opposi zione della Cispa gas transport, ammettendola al passivo falli
mentare per la somma richiesta di lire 3.020.000.00.
Avverso la decisione la Fondiaria assicurazioni s.p.a., succe
duta all'Italia assicurazioni s.p.a., la Compagnia navale assicu
razioni s.p.a. e la Ras - Riunione adriatica di sicurtà s.p.a. pro
ponevano appello, eccependo preliminarmente che il credito
vantato nei confronti della Ras e della Compagnia navale si era
pre- scritto ai sensi dell'art. 2952 c.c.; con gli altri motivi soste
nevano che: a) nell'assicurazione della responsabilità civile, la
nascita del credito dell'assicurato nei confronti dell'assicuratore
è subordinato all'accertamento (negoziale o giudiziale) del cre
dito del danneggiato nei confronti del danneggiante assicurato;
b) nel caso di specie, pertanto, il fallimento non poteva util
mente esercitare alcuna pretesa nei confronti delle assicuratrici
fino al passaggio in giudicato della pronuncia di accertamento e
quantificazione del danno; c) da ciò discendevano, come ulterio
ri conseguenze, la piena validità del pagamento dell'indennizzo
che nelle more era stato eseguito direttamente a favore della
danneggiata ed il superamento di ogni questione circa l'applica bilità dell'art. 1917 c.c. in caso di fallimento dell'assicurato. In
via subordinata deducevano che: a) avendo corrisposto lire
1.636.827.538 alla Cispa gas transport, a saldo di ogni suo avere
per il titolo in discussione, la loro condanna non avrebbe potuto eccedere tale cifra; b) l'indennizzo era stato comunque liquidato in maniera eccessiva sia perché erano state comprese la franchi
gia contrattuale di lire 40.000.000 e voci di danno (quelle con
seguenti al fermo della nave per sequestro penale) escluse dalla
copertura assicurativa, sia perché non si era tenuto conto del
fatto che la danneggiata era stata ammessa al passivo fallimen
tare per somma sensibilmente inferiore; c) dall'ammontare del l'indennizzo dovuto si doveva detrarre, per compensazione, la
somma di lire 137.756.475, corrispondente ad un debito della
Mecnavi per premi non pagati; d) poiché l'obbligazione dell'as sicuratore costituisce debito di valuta, aveva errato il tribunale nel concedere la rivalutazione monetaria e gli interessi legali sull'importo rivalutato; e) aveva comunque errato nel cumularli
dalla data dell'evento dannoso.
In relazione al giudizio di opposizione allo stato passivo, si
costituiva il fallimento della società Mecnavi, proponendo ap
pello incidentale subordinato col quale chiedeva che, in caso di
rigetto della domanda di indennizzo della curatela, fosse riget tata anche la domanda di ammissione allo stato passivo proposta dalla Cispa gas transport.
Si costituiva pure quest'ultima società, rilevando pregiudi zialmente la tardività dell'appello sul capo riguardante l'ammis
sione del suo credito allo stato passivo e, comunque, la nullità della costituzione del fallimento per mancanza di mandato al
procuratore. Nel merito si associava alle tesi delle appellanti, sostenendone la fondatezza con proprie argomentazioni, e pro poneva appello incidentale, chiedendo la riforma della decisione del tribunale nel punto in cui aveva affermato l'inapplicabilità alla fattispecie del 2° comma dell'art. 1917 c.c.
In relazione al giudizio relativo al pagamento dell'indenniz
zo, il fallimento della società Mecnavi si costituiva eccependo pregiudizialmente l'inammissibilità delle eccezioni delle appel lanti in quanto nuove; nel merito chiedeva il rigetto dell'appello
Il Foro Italiano — 2001.
principale deducendo che esattamente la sentenza impugnata aveva ritenuto che il diritto della Mecnavi all'indennizzo era
sorto con quello della danneggiata al risarcimento ovvero, al più tardi, con la richiesta di ristoro del danno e che, con la dichiara
zione di fallimento, il credito di indennizzo si sarebbe cristalliz
zato, rendendo inapplicabile l'art. 1917, 2° comma, c.c., che
abilita l'assicuratore a pagare direttamente al danneggiato.
Infine, in relazione all'opposizione allo stato passivo, si co
stituiva nuovamente il fallimento della Mecnavi, che riconosce
va la fondatezza dell'eccezione di nullità della sua precedente costituzione per difetto di mandato, sostenendo la superfluità del suo appello incidentale condizionato perché l'accoglimento del gravame principale avrebbe dovuto travolgere anche l'insi
nuazione al passivo. La Corte d'appello di Bologna, con sentenza del 15 novembre
1997 (Foro it., Rep. 1999, voce Assicurazione (contratto), nn.
153, 156, 158, e voce Prescrizione e decadenza, n. 71), in par ziale riforma della decisione di primo grado, dichiarava estinto
per prescrizione il diritto all'indennizzo nei confronti della Ras - Riunione adriatica di sicurtà s.p.a. e della Compagnia navale
di assicurazioni s.p.a. e condannava la Fondiaria assicurazioni
s.p.a. al pagamento, in favore del fallimento della s.r.l. Mecnavi, nei limiti della quota del sessanta per cento a suo carico, dell'in
dennizzo di complessive lire 1.735.094.186, oltre agli interessi legali moratori dal 1° ottobre 1995 al saldo.
In particolare, la corte d'appello, per quanto ancora interessa, osservava che: a) l'art. 345 c.p.c., nel testo anteriore alla 1.
353/90, consentiva la deduzione in appello di nuove eccezioni, con conseguente ammissibilità sia della eccezione di difetto di
legittimazione attiva della curatela rispetto alla domanda di in
dennizzo, sia della eccezione di prescrizione; b) quanto alla
prima eccezione, fondata sull'asserita cessione del credito di in
dennizzo da parte della s.r.l. Mecnavi ancora in bonis al Banco
di Sicilia, non vi era alcuna prova della cessione e la stessa non
poteva trarsi dall'azione revocatoria fallimentare proposta dal
fallimento, considerato che nel relativo atto di citazione, la vali
dità e l'efficacia della cessione era prospettata in via meramente
eventuale e che l'azione tendeva in via principale all'accerta
mento dell'inefficacia del negozio ai sensi dell'art. 1398 c.c.; c) i contratti stipulati erano contratti di coassicurazione per quote determinate, con clausola di delega alla Italia assicurazioni, che,
tuttavia, non era deputata ad intrattenere i rapporti inerenti al
contratto direttamente con l'assicurato, ma per il tramite di un
terzo, onerato del compito di avvisare le coassicuratrici dele
ganti; per tale ragione, oltre che in generale per la non estensi
bilità al coassicuratore delegante degli effetti della costituzione
in mora del coassicuratore delegato, doveva escludersi che le
diffide trasmesse all'Italia assicurazioni in proprio, direttamente
e senza menzione del rapporto di delega, fossero valse a costi
tuire in mora le coassicuratrici Ras e Navale assicurazioni; d) verificatosi l'evento dannoso in pregiudizio del terzo, sorge il
diritto di questi al risarcimento del danno e nello stesso mo mento nasce l'obbligo dell'assicuratore della responsabilità ci
vile di indennizzare il danneggiante assicurato, indipendente mente dal momento, rilevante al diverso fine della decorrenza
degli effetti della mora, in cui il credito dell'assicurato diventa
liquido ed esigibile; pertanto, se l'evento dannoso si è già veri
ficato al momento della dichiarazione di fallimento, il credito di
indennizzo, anche se non ancora liquido ed esigibile, viene ac
quisito alla massa attiva; e) con l'acquisizione del credito alla
massa fallimentare viene meno, per incompatibilità con la re
gola della par condicio creditorum, la possibilità accordata al
l'assicuratore dall'art. 1917, 2° comma, c.c. di pagare diretta
mente al danneggiato l'indennità dovuta;/) la copertura assicu
rativa non si estendeva a tutte le ipotesi di responsabilità na
scente dall'attività di riparazione di navi, essendo espressa mente esclusa la responsabilità per morte o lesioni personali o
malattia di qualunque lavoratore o persona impiegata con qua
lunque mansione dall'assicurato, i suoi agenti o subcontraenti;
pertanto, i danni derivanti da sosta tecnica, in dipendenza del
sequestro penale della nave disposto in relazione ad eventi non
assicurati con le polizze in questione (morte o infortunio dei la
voratori), costituivano conseguenze escluse dalla garanzia e do vevano essere espunti dall'ammontare complessivo del danno
indennizzabile, che, pertanto, sulla base della non contestata
consulenza tecnica svoltasi nel giudizio di primo grado, doveva ridursi dell'importo di lire 1.817.171.562, oltre che dell'importo di lire 40.000.000, corrispondente alla franchigia contrattual
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
mente prevista; il credito di indennizzo spettante all'assicurato
doveva ritenersi credito di valore, essendo della stessa natura
del credito del danneggiato, sul quale, nei limiti del massimale, si deve conformare il credito di indennizzo, e ciò sino alla defi
nitiva liquidazione del pregiudizio sofferto dal terzo danneg
giato, momento in cui il credito di valore si cristallizza in cre
dito di valuta, con applicabilità del disposto dell'art. 1224 c.c.; in particolare, con il passaggio in giudicato della sentenza di
primo grado resa sulla opposizione allo stato passivo del falli
mento, proposta dalla Cispa gas transport, il credito del danneg
giato era stato definitivamente accertato, in data 1° ottobre
1995, nell'importo di lire 3.020.000.000 (tenuto conto, tuttavia, di un credito opposto in compensazione e non rilevante ai fini
della quantificazione del danno); pertanto, da tale data doveva
no computarsi gli interessi legali moratori, mentre non poteva riconoscersi alcunché a titolo di maggiore danno conseguente alla svalutazione monetaria, poiché il fallimento non aveva dato
prova di tale preteso maggiore danno.
Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione il fal
limento della s.r.l. Mecnavi, deducendo tre motivi; la Cispa gas
transport resiste con controricorso e propone ricorso incidentale, deducendo quattro motivi; le imprese di assicurazione Fondiaria
assicurazioni s.p.a. (già Italia assicurazioni s.p.a.), la Compa gnia navale di assicurazioni s.p.a. e la Ras - Riunione adriatica
di sicurtà s.p.a. resistono con controricorso e propongono ricor
so incidentale deducendo due motivi. Il fallimento della s.r.l.
Mecnavi resiste con controricorso ai ricorsi incidentali. Tutte le
parti hanno depositato memorie.
Motivi della decisione. — 1. - I ricorsi, opposti avverso la
stessa sentenza, devono essere riuniti, ai sensi dell'art. 335
c.p.c. Si deve anzitutto esaminare il primo motivo del ricorso inci
dentale delle società Fondiaria assicurazioni, Compagnia navale
di assicurazioni e Ras - Riunione adriatica di sicurtà in quanto attiene ad una questione preliminare (v., da ultimo, Cass. 23
aprile 1999, n. 4056, ibid., voce Cassazione civile, n. 264; 15 dicembre 1998, n. 12559, ibid., n. 263). Con detto motivo le predette società hanno dedotto violazione e falsa applicazione dell'art. 100 c.p.c., in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c. In
particolare, le ricorrenti si dolgono che la corte di merito abbia
respinto la loro eccezione di difetto di legittimazione attiva del
fallimento, in relazione alla cessione del credito di indennizzo
dalla s.r.l. Mecnavi al Banco di Sicilia, sulla base del solo rilie
vo che secondo il fallimento, il quale aveva promosso un giudi zio innanzi al Tribunale di Ravenna, la cessione era inefficace
perché stipulata da rappresentante senza potere. Il motivo è in
fondato. Esattamente la corte di merito ha posto a carico delle
odierne ricorrenti incidentali l'onere della prova della cessione, in quanto fatto costitutivo della pretesa perdita della legittima zione da parte della Mecnavi s.r.l. e, conseguentemente, del cu
ratore del suo fallimento; inoltre, la corte di merito ha ritenuto
insufficiente a provare la predetta cessione una citazione nella
quale «la validità e l'efficacia della cessione erano prospettate come meramente eventuali»; invero, le dichiarazioni contenute
nell'atto di citazione diretto ad un terzo sono liberamente ap
prezzate dal giudice, che nella specie, evidenziando il tenore
cautelativo della citazione, ha escluso con motivazione congrua, immune da vizi logici e giuridici, le condizioni per ritenere pro vata la cessione.
2. - Ciò premesso, passando all'esame del ricorso principale, il fallimento della s.r.l. Mecnavi, con il primo motivo, ha la
mentato la violazione degli art. 2909, 2944 c.c., 345 c.p.c. e 100
1. fall. In particolare, il fallimento si duole che l'eccezione di
prescrizione, accolta dalla corte d'appello in relazione al credito
nei confronti della Compagnia navale di assicurazioni e della
Ras - Riunione adriatica di sicurtà, non sia stata ritenuta preclu sa in grado di appello. Così opinando, la corte aveva omesso di
considerare sia che l'eccezione era stata ivi formulata per la
prima volta, introducendo una materia del contendere diversa da
quella di primo grado, per ampliamento del petitum e della cau
sa petendi, sia che l'eccezione era, in ogni caso, preclusa dal
giudicato intervenuto nel giudizio di opposizione allo stato pas sivo circa l'esistenza e l'importo del credito della Cispa gas
transport, proprietaria della nave e danneggiata dal verificarsi
del rischio assicurato. Sotto altro profilo il fallimento deduce
che, comunque, erroneamente la corte di appello aveva escluso
l'interruzione della prescrizione, tenuto conto non solo della
messa in mora della Italia assicurazioni s.p.a., impresa delegata
Il Foro Italiano — 2001.
alla gestione del contratto, ma anche del fatto che, dopo la di
chiarazione di fallimento, era avvenuto il pagamento diretto del
danneggiato, e del fatto che anche le imprese di assicurazione
che avevano eccepito la prescrizione avevano partecipato al
l'accertamento tecnico preventivo promosso dalla Cispa gas
transport. Il motivo è infondato nei suoi primi due profili. Per ciò che
concerne la pretesa preclusione in appello di una nuova ecce
zione di prescrizione, è del tutto pacifico che l'eccezione di pre scrizione è una eccezione in senso proprio, che, nel vigore del
l'art. 345 c.p.c. nel testo anteriore alla novella 353/90, ben pote va essere sollevata in grado di appello (v., da ultimo, Cass. 3 lu
glio 1996, n. 6086, id., 1997, I, 1925; 7 febbraio 1998, n. 1298, id., Rep. 1998, voce Appello civile, n. 65). Per ciò che concerne
la pretesa preclusione conseguente al giudicato sull'esistenza e
sull'importo del danno, formatosi nel giudizio di opposizione allo stato passivo, svoltosi nel contraddittorio di tutte le parti,
appare evidente la distinzione ed autonomia del rapporto tra as
sicuratore ed assicurato rispetto al rapporto tra assicurato e dan
neggiato. Da ciò consegue che l'accertamento del credito del
danneggiato, sia pure in un giudizio svoltosi anche alla presenza dell'assicuratore, non esclude per ciò solo la possibilità che il
credito dell'assicurato sia prescritto. Il motivo è, invece, fondato sotto il profilo della dedotta inter
ruzione della prescrizione. Come già riferito in narrativa, la de
cisione impugnata ha premesso alle proprie conclusioni il rilie
vo che nella specie erano stati stipulati contratti di coassicura
zione per quote determinate, con clausola di delega alla Italia
assicurazioni, che, tuttavia, non era deputata ad intrattenere i
rapporti inerenti al contratto direttamente con l'assicurato, ma
per il tramite di un terzo, onerato del compito di avvisare le
coassicuratrici deleganti. Su tale rilievo la corte di merito ha
escluso che le diffide trasmesse all'Italia assicurazioni in pro
prio, direttamente e senza menzione del rapporto di delega, fos
sero valse a costituire in mora le coassicuratrici Ras e Navale
assicurazioni. A sostegno della decisione la sentenza impugnata ha anche richiamato un orientamento di questa Suprema corte,
espresso dalla decisione 20 aprile 1990, n. 3302 (id., Rep. 1990, voce Assicurazione (contratto), n. 79), affermando che secondo
tale orientamento la clausola di delega «in via ordinaria non
comporta l'estensione al coassicuratore delegante degli effetti
della costituzione in mora rivolta al coassicuratore delegato». Si deve anzitutto precisare che l'invocato precedente di que
sta corte, lungi dall'affermare il principio enucleato dalla corte
di merito, ha collegato l'efficacia interruttiva della richiesta di
indennizzo inviata all'impresa delegataria alla circostanza che
detta impresa abbia il potere di rappresentanza dell'impresa de
legante e, nel caso specifico da essa esaminato, ha affermato che
correttamente l'esistenza di tale potere poteva essere desunto
dal conferimento all'impresa delegata dell'incarico di pagare l'intero importo dell'indennità. Il principio, in tali termini, deve
essere ribadito poiché la costituzione in mora del debitore, me
diante intimazione o richiesta fatta per iscritto, è idonea ad in
terrompere la prescrizione in quanto sia rivolta e comunicata al
debitore o al suo rappresentante; da ciò consegue che la costitu
zione in mora del delegatario in tanto può essere idonea ad in
terrompere la prescrizione del diritto alla indennità anche nei
confronti del coassicuratore delegante in quanto quest'ultimo, con l'atto di delega, gli abbia conferito il potere di rappresen tarlo.
Sotto tale profilo la corte di merito ha accertato che, ai sensi
dell'art. 4 delle condizioni particolari di polizza, «tutti i rapporti inerenti al contratto» sarebbero stati «svolti dall'assicurata uni
camente nei confronti della compagnia delegataria» e che «le
altre coassicuratrici» sarebbero state tenute a «riconoscere come
validi ed efficaci nei propri confronti tutti gli atti di ordinaria gestione compiuti dalla compagnia delegataria per conto comu
ne fatta soltanto eccezione per l'incasso dei premi di polizza». Solo l'impresa delegata era, quindi, abilitata a rappresentare le
deleganti nella gestione del rapporto, anche se essa era domici
liata presso un terzo, onerato del compito di avvisare le coassi
curatrici deleganti. Una volta accertato il potere di rappresentanza in capo al
l'impresa delegata, erroneamente la corte di merito ha dato ri
lievo al fatto che l'assicurato, con gli atti di costituzione in mo
ra, abbia chiesto all'impresa delegataria il pagamento dell'intera
indennità senza indicare che la richiesta e la messa in mora do
vevano intendersi riferite espressamente anche nei confronti de
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1247 PARTE PRIMA 1248
gli altri debitori (deleganti). Infatti, poiché «tutti i rapporti ine renti al contratto» dovevano essere «svolti dall'assicurata uni
camente nei confronti della compagnia delegataria», ogni co
municazione si doveva intendere fatta o ricevuta dalla delegata ria nel nome e per conto di tutte le coassicuratrici e anche le
lettere interruttive della prescrizione dovevano intendersi in
viate alla delegataria e dalla stessa ricevute anche in nome e per conto delle coassicuratrici (Cass. 3302/90, cit.). L'atto scritto, con cui l'assicurato dà notizia del verificarsi dell'evento asser
tivamente coperto dalla garanzia e reclama il pagamento del
l'indennità (con le conseguenze di cui all'art. 1219 c.c.), è ri
conducibile ai «rapporti inerenti al contratto» ed agli atti di or
dinaria gestione della polizza, atteso che si esaurisce nella fi
siologica manifestazione della volontà di esercitare i diritti pre visti dal contratto stesso, sul presupposto del determinarsi delle
relative condizioni (cfr., in tal senso, Cass. 5 agosto 1993, n.
8551, id., Rep. 1994, voce cit., n. 115). In conclusione, la clausola di delega inserita nei contratti di
coassicurazione, con la quale i coassicuratori conferiscono ad
uno solo di essi l'incarico di compiere gli atti relativi allo svol
gimento del rapporto assicurativo, abilita l'impresa delegata,
quando sia previsto che soltanto con essa l'assicurato debba
svolgere i rapporti inerenti al contratto, a ricevere l'atto con cui
10 stesso assicurato dà notizia del verificarsi dell'evento coperto dalla garanzia e reclama il pagamento dell'indennità, con la
conseguenza che l'atto medesimo interrompe la prescrizione pu re con riferimento alla quota dell'indennizzo a carico dei coas
sicuratori deleganti. Dall'efficacia dell'atto interruttivo anche nei confronti delle
imprese deleganti discendono l'assorbimento dei profili del
motivo attinenti ad altri pretesi atti interruttivi della prescrizione nonché l'erroneità della declaratoria di estinzione del diritto al
l'indennizzo nei confronti della Ras - Riunione adriatica di si
curtà s.p.a. e della Compagnia navale di assicurazioni s.p.a. La
sentenza impugnata deve essere, pertanto, cassata sul punto. 3. - Secondo ordine logico si deve ora esaminare il primo mo
tivo del ricorso incidentale, con cui la Cispa gas transport dedu
ce violazione dell'art. 1917 c.c. nonché vizio di motivazione, lamentando che la sentenza impugnata
— ponendo così il pre
supposto per l'acquisizione dell'indennizzo al fallimento e per la conseguente affermazione dell'inapplicabilità della facoltà
concessa all'assicuratore dal 2° comma dell'art. 1917 c.c. —
abbia ritenuto che il diritto dell'assicurato danneggiante nei
confronti dell'assicuratore sorga nel medesimo momento in cui
l'assicurato provoca il danno e nasce così il diritto del danneg
giato nei confronti del danneggiante. In particolare, il credito
del danneggiante verso l'assicuratore avrebbe, secondo la ricor
rente, un diverso momento genetico collegato al completarsi della fattispecie giuridica con la certezza, liquidità ed esigibilità dell'obbligo del danneggiante verso il danneggiato; a tal fine,
perché possa sorgere il debito dell'assicuratore di pagare l'in
dennità, è necessaria quanto meno una richiesta del danneggiato nei confronti dell'assicurato. Tale conclusione troverebbe con
ferma, secondo la ricorrente, sia letterale, nell'utilizzazione del
l'espressione «l'assicuratore è obbligato a tenere indenne l'assi
curato di quanto questi ... deve pagare», sia logica, perché al
trimenti l'assicuratore si troverebbe esposto al pagamento del
l'indennità anche nel caso in cui l'assicurato-danneggiante nulla
mai corrisponda o debba corrispondere al danneggiato. Il motivo è infondato. Nella giurisprudenza di questa corte si
rinviene spesso l'affermazione che il debito dell'assicuratore
sorge quando sia divenuto liquido ed esigibile il debito dell'as sicurato nei confronti del danneggiato (cfr., ex pluribus, Cass.
24 febbraio 1995, n. 2103, id., Rep. 1995, voce cit., n. 142, e 5 maggio 1980, n. 2937, id., 1980, I, 1895). Tale affermazione, peraltro, si inserisce in un contesto diretto a quantificare il de
bito dell'assicuratore ed a definirne la natura attraverso il rife
rimento non al danno cagionato dall'assicurato al terzo danneg
giato, danno che genera un debito di valore, ma all'ammontare
di tale debito nel momento in cui lo stesso diviene liquido ed
esigibile. Tale momento, tuttavia, come ha esattamente ritenuto
la sentenza impugnata, attiene più propriamente alla liquidità ed
esigibilità del debito dell'assicuratore, la cui obbligazione di te
nere indenne l'assicurato, assunta con lo stesso contratto di as
sicurazione, si specifica in relazione ai sinistri che si verificano
durante il tempo dell'assicurazione, e diviene attuale e concreta
quando il danneggiato manifesta comunque l'intenzione di esse
re risarcito del danno subito (cfr. Cass. 20 luglio 1974, n. 2196,
11 Foro Italiano — 2001.
id., Rep. 1974, voce cit., n. 172). La situazione giuridica attiva, come è evidente, sussiste sin dal momento della stipula del
contratto di assicurazione prima come diritto dell'assicurato ad
essere tenuto indenne rispetto alle conseguenze patrimoniali di
eventuali sinistri e, poi, come diritto dello stesso assicurato ad
essere tenuto indenne rispetto ai sinistri in concreto verificatisi
nel periodo assicurativo e, infine, come diritto ad essere tenuto
indenne rispetto alle richieste avanzate dai danneggiati dai sini stri in concreto verificatisi. Ciò che conta è che sin dalla stipula del contratto di assicurazione sussiste una situazione giuridica
soggettiva suscettibile di spossessamento per effetto del falli
mento dell'assicurato. Lo spossessamento, infatti, come osserva
unanime la dottrina, «colpisce tutto il patrimonio del debitore, anche quelle entità che non hanno autonomia, o di per sé non
presentano un valore economico, o non ne presentano uno im
mediato: diritti, poteri, facoltà, potestà, aspettative, situazioni di
diritto o di fatto anche complesse come quelle contrattuali,
azioni, e quant'altro la nomenclatura giuridica abbia coniato per classificare i fattori del patrimonio».
4. - Con il secondo motivo di ricorso incidentale la Fondiaria
assicurazioni s.p.a. (già Italia assicurazioni s.p.a.), la Compa
gnia navale di assicurazioni s.p.a. e la Ras - Riunione adriatica
di sicurtà s.p.a. deducono violazione dell'art. 1917, 2° comma,
c.c.; in particolare, le imprese di assicurazione si dolgono che la
sentenza impugnata abbia escluso, in considerazione del so
pravvenuto fallimento dell'assicurato, il loro diritto di corri
spondere l'indennizzo direttamente al danneggiato. In contrario, rilevano che tale diritto sussiste anche dopo il fallimento del
l'assicurato poiché si tratta di un diritto che spetta all'assicura
tore per espressa disposizione di legge ed il cui esercizio esula
da ogni potere degli organi fallimentari; pertanto, l'assicuratore
può soddisfare direttamente il danneggiato e l'indennità non
entra nel patrimonio del danneggiante assicurato.
Con il secondo motivo di ricorso incidentale la Cispa gas
transport ha dedotto violazione dell'art. 1917 c.c., lamentando
che la sentenza impugnata abbia erroneamente affermato che
con il fallimento dell'assicurato viene meno la possibilità degli assicuratori di pagare l'indennizzo direttamente all'assicurato.
Invero, l'obbligazione dell'assicuratore è una obbligazione con
facoltà alternativa di soluzione e nessuna disposizione né della
legge ordinaria né della legge fallimentare depenna tale facoltà.
In particolare, la facoltà in questione non potrebbe venire meno
per effetto del «pignoramento generale» conseguente al falli
mento e, quindi, per effetto del pignoramento del credito inden
nitario, ciò perché: a) il curatore che agisce per il pagamento del
credito di indennizzo non ha la posizione di terzo, in quanto su
bentrato nel contratto, e quindi non può beneficiare del pigno ramento generale; b) il credito indennitario non era accertato al
momento del fallimento e non era suscettibile di pignoramento, considerato che il fallimento negava l'esistenza di un credito a
titolo di risarcimento dei danni in capo alla Cispa gas tran sport; c) il credito indennitario era, comunque, impignorabile ed
insuscettibile di spossessamento poiché al momento della di
chiarazione di fallimento non era completa la relativa fattispecie costitutiva; d) il curatore che chiede l'adempimento di un con
tratto stipulato dal fallito esercita un'azione contrattuale ed as
sume la posizione di avente causa del fallito, con la conseguen za di essere esposto alle medesime eccezioni che sarebbero state
opponibili al fallito. I motivi sopra esposti sono strettamente connessi e devono,
per tale ragione, essere esaminati congiuntamente.
Quanto alla possibilità di estendere il cosiddetto spossessa mento fallimentare al credito dell'assicurato, corrispondente al
l'obbligazione dell'assicuratore della sua responsabilità civile di
tenerlo indenne da quanto deve pagare al danneggiato, si deve
rinviare a quanto già detto nell'esame del primo motivo sub
n. 3.
È del tutto erronea, poi, l'argomentazione della difesa della
ricorrente incidentale Cispa gas transport secondo cui la posi zione non di terzo del curatore, che agisca per il pagamento del
credito di indennizzo, non consentirebbe al curatore di benefi
ciare del «pignoramento generale» conseguente al fallimento.
Infatti, la posizione del curatore, di parte o terzo, rileva su un
piano del tutto diverso rispetto a quello dell'estensione dello
spossessamento fallimentare e cioè sul piano delle eccezioni
opponibili al curatore. Ed anzi la stessa questione delle eccezio
ni opponibili al curatore che agisce per il pagamento di un ere
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
dito del fallito presuppone che il credito sia stato acquisito al
l'attivo fallimentare.
Quanto alla applicabilità del disposto dell'art. 1917, 2° com ma, nell'ipotesi di fallimento dell'assicurato, questa corte, con
sentenza 4 luglio 1969, n. 2465, id., 1970,1, 555, ha affermato il principio che in caso di fallimento dell'assicurato contro i rischi
della responsabilità civile, dichiarato dopo il verificarsi del sini stro, l'indennità che, nei limiti del massimale, l'assicuratore è
tenuto a pagare entra a fare parte, nell'intero suo ammontare, della massa attiva fallimentare. L'orientamento deve essere con
fermato. La corte, nella ricordata risalente decisione, prese le
mosse dal principio, rimasto fermo (v., ex pluribus, Cass. 3 ot
tobre 1996, n. 8650, id., Rep. 1998, voce cit., n. 108), secondo cui l'obbligazione dell'assicuratore, avente ad oggetto il paga mento dell'indennizzo all'assicurato, è distinta ed autonoma
dall'obbligazione di risarcimento dell'assicurato responsabile nei confronti del danneggiato. Tale autonomia e distinzione non
è posta, poi, in discussione dalla previsione della facoltà del
l'assicuratore di pagare direttamente al danneggiato o dell'ob
bligo dell'assicuratore di provvedere a tale diretto pagamento ove sia l'assicurato a richiederlo. Ciò, infatti, non attiene alla
individuazione dei soggetti del rapporto assicurativo, bensì alle
modalità di esecuzione della prestazione dell'assicuratore (v., da
ultimo, Cass. 8 gennaio 1999, n. 103, id., Rep. 1999, voce cit., n. 142), una volta verificatosi l'evento che rende attuale e con
creta la sua obbligazione. Ne consegue che, effettuando il pa
gamento diretto al danneggiato, l'assicuratore, che non è diret
tamente obbligato nei confronti del danneggiato, estingue la sua
obbligazione nei confronti dell'assicurato. Proprio questa consi
derazione consente di escludere che la facoltà dell'assicuratore
di pagare ed il diritto dell'assicurato di richiedere il pagamento diretto nelle mani del terzo sopravvivano alla dichiarazione di
fallimento dell'assicurato. Con il fallimento, infatti, su tutti i
beni dell'assicurato, ivi compreso il suo credito nei confronti
dell'assicuratore, si apre il concorso dei creditori con il rispetto delle legittime cause di prelazione. Proprio in relazione alla
ipotesi del concorso di altri creditori la legge attribuisce, del re
sto, al danneggiato un privilegio, che, nell'assetto successivo
alla riforma del 1975, viene a trovarsi all'undicesimo posto nel
l'ordine dei privilegi ex art 2778 c.c. Orbene, apertosi il concor
so sui beni del fallito ed acquisito all'attivo fallimentare il cre
dito dell'assicurato verso l'assicuratore, non è compatibile con
l'apertura del concorso la facoltà dell'assicuratore di pagare di
rettamente il danneggiato (eventualmente anche giovandosi di
una più favorevole determinazione del suo credito in considera
zione del presumibile interesse del danneggiato ad essere pagato in moneta «buona» per un importo inferiore, piuttosto che in
moneta fallimentare per un importo superiore). Con il falli
mento dell'assicurato, né più né meno che con il pignoramento del suo credito presso l'assicuratore in caso di esecuzione sin
golare, viene pertanto meno la facoltà di pagamento diretto, non
potendosi ipotizzare un'alterazione, rimessa alla decisione del
l'assicuratore, delle regole del concorso che il legislatore ha
presupposto, dettando l'art. 2767 c.c.
5. - Con il terzo motivo di ricorso incidentale la Cispa gas
transport ha dedotto violazione degli art. 1917 c.c., 72 ss. 1. fall,
e 82 1. fall, nonché vizio di motivazione. In particolare, secondo
la ricorrente, il fallimento del danneggiante assicurato era ini
doneo a produrre uno spossessamento del credito indennitario, considerato che questo non era ancora sorto, e determinava uni
camente il subentro del fallimento nella posizione dell'assicu
rato, senza che la disciplina del rapporto assicurativo, alla stre
gua di quanto disposto dall'art. 82 1. fall., fosse in qualche modo
modificata da detto subentro, che comporta una mera modifica
zione soggettiva del rapporto già in essere, con la duplice con
seguenza che, da un lato, non veniva meno la facoltà di paga mento diretto prevista dall'art. 1917 c.c. e che, d'altro canto, il
curatore non aveva legittimazione ad agire prima che, con l'ac
certamento del credito del danneggiato, venisse ad esistenza il
credito dell'assicurato verso l'assicuratore.
Non ha fondamento l'affermazione secondo cui nella fatti
specie sarebbe applicabile la disciplina relativa ai rapporti pen denti (art. 72 ss. 1. fall.) in virtù del subentro del curatore nel
contratto di assicurazione, implicitamente (ed asseritamente) ritenuto dalla corte di merito nel momento in cui ha affermato
che il credito di indennizzo era stato acquisito dal fallimento.
L'applicazione della disciplina dettata dalla legge fallimentare
per i rapporti pendenti presuppone, infatti, che i contratti (nella
Il Foro Italiano — 2001.
specie il contratto di assicurazione) non siano stati ancora ese
guiti o compiutamente eseguiti da nessuna delle parti. Quando,
invece, una delle parti ha già adempiuto la propria prestazione
prima del fallimento residuano soltanto delle obbligazioni, og
getto di crediti della massa o di crediti concorsuali, a seconda
che adempiente sia il fallimento o la parte in bonis. Al riguardo, la dottrina che si è occupata dell'argomento ha precisato che il
contratto di assicurazione deve intendersi totalmente eseguito da
parte dell'assicurato, quando, al momento della dichiarazione di
fallimento, sia stato pagato il premio unico o sia stata eseguita l'ultima prestazione nell'ipotesi di premio periodico. Nella spe cie, secondo la prospettazione implicita nella posizione di tutte
le parti, la società fallita, in relazione al periodo assicurativo
anteriore alla dichiarazione di fallimento, aveva adempiuto
l'obbligo di pagare il premio all'assicuratore e, d'altro canto, nel periodo assicurativo coperto dal premio ed anteriore alla di
chiarazione di fallimento si era verificato l'evento dannoso. È
chiaro, pertanto, che il tema dei rapporti pendenti è estraneo alla
fattispecie in esame (cfr., in relazione alla vendita, Cass. 4
aprile 1973, n. 934, id., Rep. 1973, voce Fallimento, n. 344; 30 maggio 1983, n. 3708, id., Rep. 1983, voce cit., n. 283).
6. - Con il quarto motivo di ricorso incidentale la Cispa gas
transport deduce vizio di motivazione in relazione all'afferma
zione che il credito indennitario dell'assicurato nasce nel mo
mento stesso del verificarsi dell'evento dannoso; in relazione
alla ritenuta estensione dello spossessamento generale ad un
credito ancora non sorto; in relazione alla contraddizione tra
l'affermazione che il credito del danneggiato era divenuto certo
soltanto alla data del passaggio in giudicato della sentenza resa
sulla opposizione allo stato passivo e l'affermazione che lo
spossessamento era esteso al credito indennitario, divenuto certo
soltanto in un momento successivo; in relazione, infine, alla af
fermata esclusione, in caso di fallimento dell'assicurato, della
facoltà dell'assicuratore di pagare direttamente il danneggiato. Tali doglianze, come è evidente, non prospettano un autono
mo vizio della motivazione attinente alla ricostruzione della
fattispecie concreta, ma ripropongono le stesse censure già de
dotte come violazioni di legge. Al riguardo questa corte ha chia
rito più volte (cfr., ex pluribus, Cass. 20 febbraio 1999, n. 1430,
id., Rep. 1999, voce Cassazione civile, n. 109; 3 aprile 1998, n.
3464, id., Rep. 1998, voce cit., n. 91; 10 gennaio 1995, n. 228, id., Rep. 1995, voce cit., n. 83; 14 marzo 1986, n. 1760, id., Rep. 1986, voce cit., n. 48) che il difetto di motivazione della
sentenza può formare oggetto di ricorso per cassazione solo per
quanto attiene all'accertamento ed alla valutazione dei fatti rile
vanti per la decisione, e non anche per quanto concerne l'inter
pretazione e l'applicazione di norme di diritto e la soluzione di
questioni giuridiche, in relazione alle quali il sindacato di legit timità si esaurisce nel controllo della conformità a diritto della
pronuncia impugnata. Infatti, se tale pronuncia è giuridicamente esatta, l'erronea o carente motivazione in diritto è modificata o
integrata dalla Corte di cassazione in applicazione dell'art. 384, 2° comma, c.p.c. mentre, se è inesatta, essa deve essere cassata
per violazione o falsa applicazione di norme giuridiche, indi
pendentemente dalla motivazione che della decisione errata ab
bia dato il giudice del merito. Da ciò consegue che le censure si
risolvono in critiche inammissibili se considerate sotto il profilo del vizio di motivazione.
7. - Con il secondo motivo di ricorso il fallimento della s.r.l.
Mecnavi, ricorrente principale, deduce violazione degli art.
1340, 1341, 1362 ss., 1372, 1904 e 2909 c.c. nonché dell'art.
100 1. fall. In particolare, il fallimento si duole che la decisione
impugnata abbia escluso dal danno risarcibile i danni derivanti
dalla sosta tecnica connessa al sequestro penale della nave di
sposto in relazione ad eventi non assicurati con le polizze in
questione (morte o infortunio dei lavoratori). La doglianza si
articola nei seguenti profili: a) l'affermazione era in contrasto
con il giudicato sull'ammontare del danno formatosi in sede di
opposizione allo stato passivo proposta dalla danneggiata so
cietà Cispa gas transport; b) l'art. 5 delle condizioni generali della polizza individuava i rischi esclusi dalla garanzia assicu
rativa e tra i rischi esclusi non era compreso il rischio in rela
zione al quale la sentenza aveva operato la riduzione del danno
risarcibile, con conseguente violazione dei canoni interpretativi dettati dagli art. 1362 ss. c.c., alla cui stregua doveva tenersi
conto, per la determinazione dell'oggetto del contratto, non solo
della positiva individuazione del rischio assicurato, ma anche
dei rischi esclusi; c) in ogni caso la clausola posta a base della
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PARTE PRIMA 1252
riduzione del danno era nulla perché non era stata specifica mente approvata per iscritto, come sarebbe stato necessario, trattandosi di clausola limitativa della responsabilità; d) erro
neamente, in ogni caso, era stata esclusa la garanzia in relazione
alla sosta tecnica conseguita al sequestro penale, poiché il danno
in questione era riconducibile al rischio assicurato e cioè all'in
cendio, poiché la morte di alcune persone e le lesioni subite da
altre non avevano determinato una serie causale autonoma ri
spetto all'incendio, il quale costituiva causa unica ed adeguata anche della sosta tecnica conseguita al sequestro penale.
I primi tre profili del motivo sono infondati. Quanto al primo, è evidente che il giudicato formatosi sull'ammontare del danno
nel rapporto tra assicurato e danneggiato non ha alcun rilievo ri
spetto alla individuazione del rischio assicurato nel rapporto tra
lo stesso assicurato e l'assicuratore. Quanto al secondo profilo, 10 stesso, senza censurare la motivazione della sentenza impu
gnata, indica la disciplina negoziale che individua il rischio as sicurato in clausole diverse da quelle indicate dalla sentenza
impugnata ed introduce così una censura di fatto non consentita
in sede di legittimità; appare, comunque, opportuno evidenziare
che le clausole riportate nel ricorso sono inconferenti rispetto
all'oggetto del giudizio poiché attengono ai rischi di perdita o danni alla nave assicurata, nell'ambito di una assicurazione
contro i danni subiti nell'esercizio di un'attività armatoriale, e
non attengono, invece, ai rischi di danni alla nave cagionati da
un cantiere nel corso e per effetto di attività di riparazione. Quanto al terzo profilo, si tratta, come eccepito dalla difesa
delle controricorrenti, di questione nuova sollevata per la prima volta in sede di legittimità e che, quindi, non può trovarvi in
gresso. Fondato è, invece, il quarto profilo del motivo. Invero, la
corte di merito ha limitato l'ammontare del danno indennizza
bile sull'assunto che la limitazione della garanzia in relazione
ad alcuni eventi (nella specie morte e lesioni personali) com
portasse identica limitazione della garanzia in relazione ad altri
eventi (nella specie sosta della nave conseguente al sequestro
penale) che di quelli esclusi erano conseguenza immediata, e ciò
malgrado tali altri eventi fossero legati da un nesso di causalità
mediata con l'evento assunto come rischio assicurato (nella
specie fatti generatori di responsabilità nell'attività cantieristica
svolta dalla s.r.l. Mecnavi). In proposito, questa corte ha chia
rito che, ai fini del risarcimento del danno, e quindi anche ai fini
dell'individuazione del danno indennizzabile nella assicurazio
ne della responsabilità civile, il nesso di causalità tra fatto ille
cito ed evento dannoso può essere anche indiretto e mediato, es
sendo all'uopo sufficiente che il primo abbia posto in essere uno
stato di cose senza il quale il secondo non si sarebbe prodotto e
che il danno si trovi con tale antecedente necessario in un rap
porto eziologico normale e non fuori dall'ordinario (Cass. 11
gennaio 1989, n. 65, id., Rep. 1989, voce Responsabilità civile, n. 81; 6 marzo 1997, n. 2009, id., Rep. 1997, voce Contratto in
genere, n. 523). Nell'assicurazione della responsabilità civile il rischio assicu
rato è quello, cui è esposto l'assicurato, di diventare responsa bile civile e di essere perciò obbligato a risarcire i danni cagio nati. Tale rischio è, quindi, più precisamente quello del verifi carsi di fatti colposi generatori di responsabilità civile verso i
terzi e viene determinato, come è noto, in relazione all'attività
dell'assicurato, all'individuazione dei possibili danneggiati ed alle categorie di danno indennizzabile. Ai fini, peraltro, della valutazione del rapporto di causalità, per l'individuazione del
danno indennizzabile, si deve avere riguardo solo ai fatti gene ratori della responsabilità descritti nella polizza, mentre le
eventuali delimitazioni conseguenti alla individuazione del ri
schio non incidono, salva diversa volontà delle parti, sul rap porto causale. In altre parole, e con riferimento all'eventuale
esclusione di una categoria di danni dal novero di quelli inden
nizzabili, tale esclusione opera solo rispetto a tali danni e non
anche su quelli, riconducibili alla categoria di danno indenniz
zabile, che nel normale sviluppo della catena causale si produ cessero in conseguenza di quelli esclusi; anche tali fatti, per quanto sopra detto, sono riconducibili al fatto generatore di re
sponsabilità, oggetto della garanzia assicurativa. Pertanto, nella
assicurazione della responsabilità civile la clausola che esclude dal danno indennizzabile il danno alle persone non è idoneo ad
escludere ulteriori diverse voci di danno non alle persone, con
seguenti al danno escluso.
Da quanto detto discende che erroneamente la corte di merito,
11 Foro Italiano — 2001.
sulla base dell'accertata esclusione convenzionale del danno
(«la presente assicurazione non coprirà alcuna responsabilità per morte o lesioni»), ha escluso la garanzia assicurativa anche per i
danni derivanti da sosta tecnica in dipendenza del sequestro pe nale disposto in relazione ai reati connessi ai danni alle persone, trattandosi di danno non appartenente alla categoria esclusa e ri
conducibile al rischio assicurato, come accertato dalla corte di
merito («responsabilità nascente dall'attività di riparazione di
navi per perdite o danni a qualsiasi nave o natante affidato in
custodia o sotto il controllo dell'assicurato per l'esecuzione dei
lavori»). La sentenza impugnata deve essere, quindi, cassata sul punto
della individuazione del danno indennizzabile. 8. - Con il terzo motivo il fallimento della s.r.l. Mecnavi de
duce violazione degli art. 1224 e 1882 c.c., nonché vizio di mo
tivazione. In particolare, il ricorrente si duole che la sentenza
impugnata abbia affermato che il debito dell'assicuratore ha
natura di debito di valuta ed abbia fatto decorrere i relativi inte
ressi dal giorno del passaggio in giudicato della sentenza che
aveva pronunziato sulla opposizione allo stato passivo proposta dalla danneggiata società Cispa gas transport. Secondo il ricor
rente, viceversa, opera anche per gli assicuratori il principio dettato dall'art. 1224 c.c., in virtù del quale i danni sono dovuti
non solo per l'inadempimento, ma anche per il ritardo nel
l'adempimento, e ciò con riguardo sia alla rivalutazione che agli interessi.
Al riguardo occorre anzitutto precisare che la sentenza impu
gnata ha definito impropriamente il debito dell'assicurato come
debito di valore; la stessa sentenza, tuttavia, ha precisato che la
definizione aveva il solo scopo di chiarire che, sia pure entro il
limite del massimale, il debito dell'assicuratore corrisponde
nell'importo, a quello liquidato a carico dell'assicurato. Tanto
premesso, si osserva che, secondo giurisprudenza consolidata di
questa corte (v., ex pluribus, Cass. 2 dicembre 1998, n. 12239,
id., Rep. 1999, voce Assicurazione (contratto), n. 264; 6 feb
braio 1998, n. 1285, ibid., n. 267; 6 ottobre 1997, n. 9706, id., Rep. 1998, voce cit., n. 192), l'obbligo indennitario dell'assicu ratore della responsabilità civile ha natura di obbligazione di
valuta; da ciò consegue che l'assicuratore è tenuto al pagamento
degli interessi legali sull'indennizzo liquidato ovvero, ove sus
sistente, del maggior danno ex art. 1224 c.c.
La sentenza impugnata ha richiamato tali principi ed ha anco
rato la liquidazione del debito dell'assicuratore a quella del de
bito dell'assicurato, avvenuta in sede di opposizione allo stato
passivo proposta dalla danneggiata, escludendo sino alla data
del passaggio in giudicato della relativa sentenza, il decorso de
gli interessi. Tale ultima statuizione è, tuttavia, erronea.
La correlazione, economica e giuridica, tra il debito dell'assi
curatore ed il debito dell'assicurato verso il danneggiato, esat
tamente posta in evidenza nella sentenza impugnata, assume
connotazioni peculiari in caso di fallimento dell'assicurato. In
sede fallimentare, infatti, il credito del danneggiato, in virtù del principio di cristallizzazione della massa passiva (cfr., sul pun to, Cass. 29 luglio 1992, n. 9066, id., Rep. 1993, voce Falli
mento, n. 422, e 28 gennaio 1997, n. 835, id., Rep. 1997, voce
cit., n. 559, entrambe in relazione a crediti risarcitori), viene ac
certato con riferimento alla data della dichiarazione di falli
mento; di conseguenza deve essere espresso in termini monetari
riferiti, anche per ciò che concerne la svalutazione monetaria, alla data della dichiarazione di fallimento. Tale criterio, tuttavia, non può essere seguito per la liquidazione del debito dell'assi
curatore, poiché la cristallizzazione del debito risponde esclusi
vamente alle esigenze di attuazione della par condicio credito
rum (cfr. Cass. 9066/92, cit.) e non comporta una cristallizza
zione del debito nei confronti dell'assicurato, colui il cui patri monio deve essere tenuto indenne e che, una volta tornato in
bonis, è tenuto al pagamento quanto meno degli interessi, il cui
corso è sopeso dall'art. 55 1. fall, soltanto agli effetti del concor
so. Dalla data della dichiarazione di fallimento, alla quale si ri
feriva la liquidazione del danno in favore del danneggiato, de
vono essere, pertanto, computati gli interessi sul debito dell'as
sicuratore.
Il motivo è, invece, infondato quanto al preteso maggiore danno, escluso esattamente dalla sentenza impugnata, in rela
zione al periodo successivo alla liquidazione, effettuata con rife
rimento alla data di dichiarazione del fallimento, in assenza
della prova di un danno da svalutazione monetaria. 9. - La cassazione della sentenza impugnata, in relazione ai
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
motivi accolti, deve avvenire senza rinvio, ai sensi dell'art. 384
c.p.c., poiché non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto.
Pertanto, la corte, decidendo nel merito, condanna la Fondiaria
assicurazioni s.p.a., la Compagnia navale di assicurazioni s.p.a. e la Ras s.p.a. al pagamento pro quota, in favore del fallimento
ricorrente ed oltre interessi dal 4 dicembre 1987, della somma di
lire 3.572.266.748 (lire 3.612.266.748, quale ammontare com
plessivo dei danni risultante dalle sentenze di merito sulla base
di una non contestata consulenza tecnica, detratta la franchigia di lire 40.000.000, accertata dalla corte di merito) così ripartita: lire 2.143.360.048 a carico della Fondiaria assicurazioni s.p.a.; lire 1.071.680.024 a carico della Compagnia navale assicurazio
ni s.p.a e lire 357.226.748 a carico della Ras - Riunione adriati ca di sicurtà s.p.a.
II
Svolgimento del processo. — Il Tribunale di Latina con de
creto 9 luglio 1998 respinse il reclamo di Montefusco Luigi —
dichiarato fallito da quel tribunale — avverso il decreto del giu dice delegato del fallimento, che aveva disposto l'acquisizione all'attivo fallimentare delle somme versate o da versare da parte di una compagnia di assicurazioni, per una polizza vita — sti
pulata dal fallito in proprio favore, in caso di sua sopravvivenza, e in favore degli eredi in caso di morte — autorizzando il cura
tore al riscatto. Ritenne il tribunale che il curatore avesse titolo
a subentrare nel contratto di assicurazione; che fosse acquisibile alla massa qualunque utilità, comprese quelle retraibili dalla
pendenza di tale contratto; che l'impignorabilità stabilita dal
l'art. 1923 c.c. non sia opponibile al curatore, subentrato al fal
lito, ma ai terzi; che, infine, non trovi applicazione l'art. 46, n.
2, 1. fall, giacché le finalità previdenziali considerate dalla nor
ma, concepite in favore degli eredi, non si erano realizzate e
trattavasi, pertanto, di un mero accumulo di esborsi recuperabili alla massa.
Ha proposto ricorso per cassazione, ai sensi dell'art. Ili
Cost., Montefusco Luigi, con due motivi; non si è costituito il
curatore del fallimento.
Motivi della decisione. — Con il primo motivo il ricorrente
denunzia l'erronea e falsa applicazione degli art. 46 1. fall, e
1923 c.c.; deduce che ai sensi dell'art. 1923 non possono essere
acquisite all'attivo fallimentare le somme dovute dall'assicura
tore al contraente o ai beneficiari di una polizza assicurativa
sulla vita o sugli infortuni, quand'anche possano esserlo quelle riscosse all'assicurato e quindi entrare nel suo patrimonio. Pre
varrebbe nel primo caso, tanto da giovare alla esenzione della
acquisizione, la funzione previdenziale dell'assicurazione, mentre nel secondo la confusione tra tutte le risorse patrimoniali del fallito, operata dall'avvenuta riscossione delle somme, non
osterebbe alla loro acquisizione all'attivo fallimentare, pur se la
identità del fine, in entrambi i casi, dovrebbe lasciare tali risorse
sempre fuori dell'attivo fallimentare.
Con il secondo motivo deduce la violazione dell'art. 46, n. 2, e ultimo comma, 1. fall., contestando l'assunto del provvedi mento impugnato, secondo cui mancherebbero le finalità previ denziali giustificatrici dell'applicazione di tale norma e si tratte rebbe di mero accumulo di somme; mentre invece la possibilità di convertire, alla scadenza del contratto, la liquidazione assicu
rativa in una pensione vitalizia porterebbe ad assimilare la fatti
specie alle categorie reddituali contemplate da quella norma, al
punto da condurre allo spossessamento solo parziale, nella mi
sura cioè stabilita dal giudice delegato. Il ricorso non merita di essere accolto.
I motivi della proposta censura possono essere trattati unita
riamente, giacché prospettano, sotto una diversa base normativa, la ragione della sottrazione all'acquisizione all'attivo fallimen
tare delle risorse del riscatto della polizza assicurativa sulla vita; la quale troverebbe il fondamento dell'esclusione sia nell'art.
46, n. 5 — coordinato con l'art. 1923 c.c. — che nell'art. 46, n.
2,1. fall. Dispone tale norma del codice civile, al 1° comma, che «le
somme dovute dall'assicuratore al contraente o al beneficiario, non possono essere sottoposte ad azione esecutiva o cautelare»
e la rilevanza di tale disposizione nel fallimento è da tempo controversa in dottrina, essendosene negata l'applicazione, in
via generale, in tale procedura, giacché l'impignorabilità non
potrebbe impedire l'attrazione nella massa attiva di quelle risor
II Foro Italiano — 2001.
se, a vantaggio dei creditori, a nulla giovando il richiamo del
l'art. 46, n. 5, cit., in quanto esso farebbe sostanziale riferi
mento all'impignorabilità assoluta, prevista dall'art. 514 c.p.c., alla cui ratio legis non sarebbe riconducibile l'indennità assicu
rativa; ovvero evidenziandosi l'incongruenza di assimilare nello
stesso regime dello spossessamento diritti di natura alimentare,
quali quelli previsti dall'art. 46, n. 2, peraltro nei soli limiti rite
nuti dal giudice delegato sufficienti al mantenimento del fallito e della sua famiglia, e diritti che tale natura non hanno e che
verrebbero sottratti persino illimitatamente allo spossessamento. Tuttavia la prevalente opinione dottrinaria e la giurisprudenza
di legittimità (Cass. 11975/99, Foro it., Rep. 1999, voce Falli mento, n. 469; 6548/88, id., Rep. 1989, voce cit., n. 324; 2802/72, id., Rep. 1973, voce cit., n. 240; 1811/65, id., 1965, I, 1859) sono nel senso dell'applicabilità dell'art. 1923 c.c. al fal
limento, con l'ulteriore specificazione (compiuta da Cass.
6548/88, ma non condivisa dalla più recente delle richiamate
decisioni), che a tale disciplina si sottrae l'ipotesi delle somme
già liquidate ed acquisite dal contraente poi fallito, siano esse
individuabili o meno all'interno della massa attiva del fallito; sicché la portata della norma verrebbe a riguardare solo le
somme ancora da corrispondere, in linea con il suo tenore lette
rale, che fa esclusivo riferimento alle somme «dovute».
Il problema che la fattispecie in esame propone è se per le
somme dovute debbano intendersi quelle che l'assicuratore deve
al contraente, a qualunque titolo, ovvero quelle, e solo quelle, che ordinariamente sono a suo carico, in relazione alla funzione
tipica del contratto e al momento della naturale cessazione del
rapporto, consistenti nella indennità assicurativa, oggetto della
previsione negoziale. Ritiene il collegio che quest'ultima inter
pretazione sia preferibile, in contrario avviso alle conclusioni
raggiunte da questa corte nell'unico e risalente precedente sul
punto (Cass. 1811/65). Seppur ribadita in termini ampi e gene rali dalla recente decisione 11975/99. Se, infatti, fondamento
dell'art. 1923 c.c. è la tutela dell'assicuratore, alla luce dei pre cedenti normativi — art. 453 c. comm. del 1882; art. 19 1. 4
aprile 1912 n. 305, istitutiva dell'Ina; art. 5 r.d.l. 29 aprile 1923 n. 966, sulle imprese di assicurazione — in forza dei quali l'im
pignorabilità e l'insequestrabilità dei crediti vantati verso quegli enti derivavano dalla qualità del soggetto debitore dell'inden
nità assicurativa ed erano concepite a suo vantaggio, allo scopo di evitare che fosse assoggettato a procedure esecutive presso terzi e a contestazioni sulla legittimità e validità dei pagamenti
eseguiti all'assicurato, al beneficiario o ai loro aventi causa, non
può, tuttavia, trascurarsi che tale tutela è strettamente dipen dente dalla funzione di previdenza e risparmio
— e più preci samente del risparmio finalizzato alla previdenza
— dell'assicu
razione sulla vita, che si riflette, come è stato osservato in dot
trina, in tutela degli assicuratori e dei beneficiari, a causa della
economia di spese, che altrimenti la partecipazione degli assicu
ratori alle controversie giudiziarie comporterebbe, con ricaduta
finale su di loro; della esigenza che il rapporto contrattuale ab
bia un regolare svolgimento; della necessità che non sia turbato
il processo di raccolta e di capitalizzazione dei risparmi, alla ba
se di tale assicurazione. Tanto può essere affermato, ove si con
sideri che mentre l'art. 453 c. comm. escludeva dal fallimento
del contraente solo le somme destinate al beneficiario e l'art. 19 1. 305/12 accordava all'Ina il privilegio dell'impignorabilità dei
crediti vantati verso quell'istituto, con una tutela palesemente ratione subiecti, l'art. 5 r.d.l. 966/23 — dal quale l'art. 1923
c.c. ripete il dettato normativo — considerò specificamente i
contratti di assicurazione sulla vita e riferì l'impignorabilità an
che alle somme dovute all'assicurato e suoi eredi, oltre a quelle da corrispondere al beneficiario terzo, così modificando l'asse
della tutela.
Ciò posto, va considerato che la finalità previdenziale è rav
visabile solo nel caso in cui il contratto abbia raggiunto il suo
scopo, in relazione all'interesse garantito — che nell'assicura
zione sulla vita consiste nella reintegrazione del danno provo cato da evento morte o/e sopravvivenza, attraverso la prestazio ne dell'assicuratore preventivamente stimata idonea a soddisfa
re l'interesse leso da tale evento — giacché in tale forma assicu
rativa obiettivo dell'assicurato è di coprire il rischio del «caso morte» e del «caso vita» o sopravvivenza ad una data epoca; per cui è solo l'indennità, nella quale si traduce la prestazione finale
dell'assicuratore, ad essere preservata dall'esecuzione o dalle
misure cautelari e a sottrarsi quindi al fallimento, perché è que sta il mezzo con cui si realizza la previdenza, alla quale mira il
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1255 PARTE PRIMA 1256
risparmio formatosi attraverso l'accantonamento periodico dei
premi versati.
Ne consegue che nell'ipotesi del riscatto, per via dell'antici
pato recesso ad nutum dell'assicurato o di chi risulti legittimato ad esercitarlo —
previsto nelle assicurazioni per il caso morte e
in quelle miste, in cui il debito dell'assicuratore è certus an —
seppur venga a realizzarsi la funzione di risparmio, totalizzando
il recedente risorse monetarie recuperate dai premi versati, non
si raggiunge il fine previdenziale, poiché non è più in discussio ne né il contraente beneficia della copertura dall'evento, assunto
ad oggetto del rischio. In siffatta ipotesi viene meno la ragione di escludere dall'attivo fallimentare le risorse recuperate; né può
giovare in senso contrario l'assunto che esse erano comunque destinate al fine previdenziale, posto che è solo il risultato ad
essere apprezzato dalla norma in esame e cioè il raggiungimento dello scopo, che si concretizza nella esecuzione di una presta zione di dare, quale è quella promessa dall'assicuratore all'atto
del perfezionamento del negozio; come non giova il dato lette
rale che la norma consideri le «somme dovute» da lui, senza al
cuna distinzione del titolo, poiché essa ha riguardo alla obbliga zione principale dedotta nel contratto — così identificata, attra
verso la prerogativa che le risorse monetarie in cui si sostanzia
acquistano, allorché si sottraggono alle azioni esecutive e cau
telari — corrispettiva di quella del pagamento dei premi ed en
trambe funzionali a mantenere in vigore il contratto, per tutta la
sua durata; mentre il versamento dell'importo del riscatto sup
pone una situazione esattamente contraria e cioè la cessazione
anticipata del rapporto. Ancor meno può condividersi la tesi che è il rapporto assicu
rativo sulla vita, nella sua interezza, a sottrarsi allo spossessa mento, operato in via generale dalla dichiarazione di fallimento;
esso, infatti, si scioglie con la sentenza dichiarativa, a norma
dell'art. 82 1. fall. — secondo cui a proseguire, nonostante il
fallimento, è, tra i contratti di assicurazione, solo quello contro i
danni — non essendo nemmeno suscettibile di rientrare nella
categoria dei «beni e diritti di natura strettamente personale»,
prevista dal n. 1 dell'art. 46 1. fall., in quanto il fine previden ziale non è sufficiente a caratterizzare in tal modo rapporti pa trimoniali, come quello in esame, privo com'è del connotato
della intima connessione con la persona del fallito e con la sua
identità. Ne deriva che, operandosi lo scioglimento ipso iure, le
risorse patrimoniali conseguenti non possano che ridondare a
vantaggio della massa dei creditori, beneficiaria unica di quelle attività al pari di ogni altra, esclusi i beni considerati dall'art.
46.
Né diversa sarebbe la conclusione, ove si ritenesse che il rap
porto contrattuale non sia suscettibile di scioglimento, suben
trando in tal caso al fallito il curatore — proprio a cagione della
natura non strettamente personale del contratto — per tale verso
legittimato al riscatto e all'apprensione delle relative utilità.
Esclusa, pertanto, la riconducibilità della fattispecie alle di sposizioni dei nn. 1 e 5 dell'art. 46, resta da esaminare l'ulterio re profilo dei nn. 3 e 4. La circostanza che la finalità previden ziale è frustrata, come si è visto, dall'interruzione del rapporto
priva del suo indispensabile presupposto la tesi proposta, che fa
leva su quella finalità per sottrarre al fallimento l'oggetto del ri
scatto, mentre l'esclusione dello spossessamento fallimentare,
specificamente considerata dalla norma citata (in misura peral tro limitata), riguardando assegni con carattere alimentare, sti
pendi, pensioni, salari e quanto il fallito guadagna con la sua at
tività, non giustifica la proposta assimilazione, non avendo l'as
sicurazione sulla vita la funzione di provvedere ai bisogni di
soggetti privi di assistenza o di inabili al lavoro senza mezzi di sostentamento ed essendo, invece, potenzialmente in grado di
procurare elevate risorse, che è irragionevole sottrarre al soddi
sfacimento dei creditori. Peraltro la norma richiamata non trove
rebbe possibilità concrete di essere applicata, essa supponendo
erogazioni periodiche e non somme versate una tantum, come
quelle oggetto del riscatto, sulle quali nessuna influenza eserci
ta, per il fatto stesso che non può verificarsi, l'eventualità che
alla scadenza naturale del contratto assicurativo l'indennità avrebbe potuto trasformarsi in pensione vitalizia e a fronte delle
quali, ove fossero in discussione bisogni primari insoddisfatti
del fallito e della sua famiglia, potrebbe sopperire, con l'attribu
zione di sussidio a carico dell'attivo fallimentare, l'art. 47 1. fall.
Il ricorso va dunque respinto.
Il Foro Italiano — 2001.
Ill
Svolgimento del processo. — La Corte d'appello di Brescia,
con sentenza pubblicata il 16 maggio 1997, rigettando l'appello
proposto dalla s.p.a. L'Abeille — Compagnia italiana di assicu
razioni — contro la sentenza del Tribunale di Crema (7 febbraio
1992) pronunciata nei confronti della stessa società — conve
nuta — e del fallimento della s.n.c. Bertoli fratelli di Bertoli
Giorgio C. e del socio Bertoli Sergio —, confermava la condan
na della s.p.a. L'Abeille a pagare al fallimento la somma di lire
181.000.000 pari all'importo di quella da essa corrisposta al
Bertoli il 23 ottobre 1987 (e perciò dopo la dichiarazione di fal limento) in esecuzione della transazione con lui conclusa sul
l'ammontare dei danni da lesioni personali sofferte in incidente
stradale e cagionate da un conducente assicurato dalla società
convenuta.
Con riguardo al primo motivo dell'appello — con il quale era
stata prospettata l'intangibilità del diritto personalissimo al ri
sarcimento del danno alla integrità fisica — la corte di merito, aderendo esplicitamente all'indirizzo della giurisprudenza di le
gittimità di cui è più recente espressione Cass. 1210/92 (Foro
it., Rep. 1992, voce Fallimento, n. 351), affermava che con la
transazione sulla riparazione dei danni da lesioni personali si era
determinata la concretizzazione patrimoniale della lesione e la
trasformazione del diritto personale alla integrità fìsica in diritto
patrimoniale sulla somma così quantificata, con la conseguenza che la somma stessa, non ancora percepita al momento della di
chiarazione di fallimento del danneggiato, costituisce un bene
compreso nella massa fallimentare e il pagamento che la s.p.a. L'Abeille aveva eseguito in attuazione della transazione a favo
re del Bartoli, dopo la sentenza dichiarativa del suo fallimento, doveva ritenersi inefficace a norma dell'art. 44, 2° comma, 1.
fall. Rigettando anche il secondo motivo dall'appello, la corte di
merito affermava che lo stesso principio doveva valere pure per la parte dell'indennizzo relativa allo specifico risarcimento del
danno biologico e alla salute e negava infine la praticabilità del
l'accertamento incidentale del danno patrimoniale da inabilità
temporanea e permanente ai fini della esclusione dalla massa
attiva della quota —
liquidata a quel titolo — da considerarsi
corrispondente al fabbisogno familiare di Giorgio Bertoli, a
norma dell'art. 46, 1° comma, n. 2, 1. fall., e ciò per la ragione che lo stesso Bertoli, convenuto nel giudizio, non aveva chiesto
l'attribuzione di alcuna somma sul fondamento di tale disposto e la società di assicurazione, sostituendosi all'avente diritto, non
può invocare — essa — le condizioni di necessità di vita del
fallito per opporre alla pretesa del curatore l'efficacia del paga mento della parte dell'indennizzo necessaria — in ipotesi
— per
soddisfare quelle necessità.
Contro questa decisione ha proposto ricorso per cassazione la
s.p.a. Uap italiana succeduta per incorporazione alla s.p.a. L'A
beille, con tre motivi di impugnazione. Il fallimento della s.n.c. Bertoli fratelli di Bertoli Giorgio e C.
non ha controdedotto al ricorso.
Motivi della decisione. — 1. - Con il primo motivo del ricor
so la s.p.a. Uap assicurazioni deduce «violazione ed erronea in
terpretazione degli art. 42, 46, n. 1, 44 e 43 1. fall, «anche in re
lazione agli art. 2043 e 2056 c.c.» e afferma che l'argomento della «diversità ontologica della obbligazione sostitutiva» del
diritto primario, personale e indisponibile, alla integrità fisica
costituisce violazione della norma costituzionale immediata
mente precettiva diretta a tutelare il bene salute e integra una
motivazione soltanto apparente poiché non spiega la ragione per cui il regime giuridico dell'obbligazione sostitutiva debba esse re indipendente da quello dell'obbligazione originaria e debba considerarsi irrilevante la causa dell'obbligazione e cioè la fi
nalità reintegrativa del bene oggetto di lesione.
La decisione impugnata — afferma la ricorrente — elude il
problema giuridico posto dall'art. 46, n. 1,1. fall., e cioè se tale
disposto, considerando i «beni e diritti strettamente personali», abbia inteso ricomprendervi non soltanto i diritti originari ma
anche l'equivalente pecuniario necessario a riparare la lesione
ad essi recata, e se la diversità dell'oggetto valga a interrompere il collegamento indissolubile con la finalità di reintegrazione del
bene primario leso, così da giustificare un regime diverso.
La soluzione adottata al riguardo dalla corte di merito è infi
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
ciata da una intrinseca contraddizione poiché priva in realtà di
tutela il bene primario, sottraendo al titolare di esso lo stru
mento della reintegrazione; si riconosce, da un lato, il diritto di
azione personalissimo per la tutela giurisdizionale del bene pri mario oggetto della lesione (l'integrità fisica), negandosi che il curatore sia facoltizzato a sostituirsi al fallito nella iniziativa al
riguardo, ma si depriva il titolare dell'equivalente economico in
ipotesi da lui conseguito nel giudizio o attraverso la transazione
con l'obbligato. Sicché deve concludersi che «la finalità reinte
grativa vincolata dalla causa della obbligazione» «implica la
non disponibilità del diritto a beneficio dei terzi creditori del ti tolare».
Con il secondo motivo la ricorrente deduce «violazione e fal
sa applicazione» delle medesime disposizioni di legge, la cui
interpretazione (nel senso argomentato con la prima censura) è
vincolata dal combinato disposto con gli art. 3, 4, 32 e 36 Cost.,
secondo l'«argomento della rilettura codicistica in chiave co
stituzionale» (degli art. 2043 e 2056 c.c.) enunciato dalla sen
tenza n. 184 del 1986 della Corte costituzionale (id., 1986, I,
2053), che impone di dare prevalenza alla norma primaria e pre cettiva di grado superiore (art. 32, 1° comma, Cost.).
Con il terzo motivo in subordine la ricorrente deduce viola
zione dei medesimi disposti di legge e prospetta l'errore della
decisione impugnata per non avere la corte di merito discrimi
nato, all'interno dell'indennizzo oggetto della transazione, la
imputazione alla riparazione dei distinti pregiudizi al fine di li mitare l'acquisizione alla massa attiva degli importi che costi
tuiscono il risarcimento del lucro cessante da incapacità lavora
tiva temporanea per il periodo successivo al fallimento (rima
nendo in ogni caso intangibili dal fallimento le somme riparatri ci del danno morale e alla salute nonché del danno patrimoniale come menomazione della capacità lavorativa in proiezione futu
ra). 2. - L'unitaria censura, argomentata nei tre motivi formal
mente distinti (dei quali il terzo prospetta una difesa subordina
ta), è fondata nei limiti qui di seguito indicati. 2.1. - Sulla «natura strettamente personale» (art. 46, 1° com
ma, n. 1, 1. fall.) del diritto del fallito al risarcimento del danno
patrimoniale conseguente alla lesione della integrità fisica della
persona aveva convenuto la giurisprudenza di legittimità (con le
conformi decisioni n. 709 del 1960, id., 1960, I, 958; n. 1119 del 1963, id., 1963, I, 1705; n. 1210 del 1992, cit.), che tuttavia
giustificò l'acquisizione alla massa attiva del fallimento delle
somme liquidate a quel titolo sia in sede giudiziaria sia in sede
transattiva, ma non ancora percepite dal danneggiato al momen
to della dichiarazione del suo fallimento, con l'argomento che
«la relativa quantificazione dell'ammontare determina la tra
sformazione del diritto personale alla integrità fisica della per sona in diritto patrimoniale sulla somma». Le tre decisioni ora
richiamate attenevano per certo a fattispecie di liquidazione del
danno patrimoniale da lesione personale (risarcibile a norma
dell'art. 1223 c.c.), essendo perciò rimasto estraneo a quelle contro-versie il tema della sorte dei diritti — essenzialmente di
versi —al risarcimento dei danni non patrimoniali (art. 2059
c.c.), come il diritto al risarcimento del danno c.d. morale da re
ato (art. 185, 2° comma, c.p.) e il risarcimento del danno alla sa
lute, c.d. biologico, riconosciuto nella elaborazione giuri
sprudenziale ispirata al principio dell'art. 32 Cost. Ammetteva
per altro quella stessa giurisprudenza che qualora la somma li
quidata rappresenti, in tutto o in parte, il corrispettivo di quanto il danneggiato avrebbe potuto guadagnare esplicando la propria normale attività di lavoro, il giudice delegato, attraverso la va
lutazione di tutti gli elementi in concreto influenti sulla deci
sione, ben può attribuire quelle somme al fallito — dietro sua i
stanza — «nei limiti di quanto occorre per il mantenimento suo
e della famiglia» (art. 46, 1° comma, n. 2, e 2° comma, 1. fall.).
2.2. - Il tema della sorte nel fallimento del diritto al risarci
mento del danno non patrimoniale («morale e biologico») patito dal debitore fallito fu affrontato più di recente da Cass., sez. Ili,
20 giugno 1997, n. 5539 (id., Rep. 1998, voce cit., n. 369) che, pur condividendo la statuizione, in rapporto alle concrete relati
ve fattispecie, delle precedenti decisioni della stessa corte (se
condo cui le somme liquidate a risarcimento del danno patrimo
niale, patito dal fallito come conseguenza della lesione alla in
tegrità fisica della sua persona, sono acquisite alla massa attiva),
rimise espressamente in discussione l'argomento sul quale
quelle decisioni si erano fondate e che, nella sua formulazione
Il Foro Italiano — 2001.
generale, avrebbe trovato applicazione pure con riguardo a di
ritti — essenzialmente diversi — «non patrimoniali», nel mo
mento in cui, con la liquidazione, di essi può dirsi conseguita la
realizzazione (e paradossalmente sarebbe così vanificata, in
pratica, ogni tutela giurisdizionale dal titolare). Si deve convenire con Cass. 5539/97 là dove ha fondato la af
fermata discriminazione della disciplina sulla considerazione
della natura essenzialmente diversa del diritto al risarcimento
delle conseguenze patrimoniali pregiudizievoli — «come la
perdita subita» e «come il mancato guadagno», nei sensi del
l'art. 1223 c.c. — della lesione personale, del diritto alla reinte
grazione, cioè, di un «concreto valore economico effettivamente
posseduto», che costituisce elemento integrante del patrimonio come oggetto della generica garanzia di creditori, a fronte del
diritto alla riparazione della menomazione alla integrità psico fisica della persona, della lesione, in sé considerata, alla salute
quale «fondamentale diritto dell'individuo» (art. 32 Cost.),
quindi personalissimo, che, se pur necessariamente liquidato —
a riparazione della subita lesione — nell'equivalente economi
co, mantiene la propria «natura strettamente personale» e, come
il diritto al risarcimento del danno morale soggettivo — che in
cide sulla integrità della persona, come sofferenza fisica e psi chica —, non può che essere sottratto alla funzione di garanzia
patrimoniale per i creditori (finché la somma di denaro in cui sia stato liquidato non sia rimasta confusa nell'indistinto patrimo
nio) e dunque non può essere compreso nel fallimento, partecipe essendo della categoria di cui al n. 1 dell'art. 46 1. fall.
Come la stessa sentenza Cass. 5539/97 ha dimostrato in con
formità alla riflessione di autorevole dottrina, il diritto alla sa
lute perché risarcibile attraverso il suo equivalente economico
non per questo può essere escluso dalla categoria dei beni e dei
diritti di cui al n. 1 dell'art. 46 1. fall., giacché si deve riconosce re che l'art. 46 necessariamente considera beni e diritti suscetti
bili di valutazione patrimoniale che sarebbero quindi (idonei e) destinati a confluire nell'attivo fallimentare e a formare oggetto della liquidazione in funzione della esecuzione collettiva se non
rientrassero nelle categorie specificamente previste in ragione della loro inerenza alla persona del fallito o alla sua famiglia, rimettendo la disposizione residuale del n. 1 dello stesso art. 46
all'interprete di accertare quali altri beni e diritti, in considera
zione del carattere di stretta personalità, debbano essere sottratti
alla procedura di liquidazione concorsuale.
3. - La censura della società ricorrente è dunque fondata nei
limiti in cui essa contesta che al fallimento siano dovute le
somme liquidate a favore del fallito a titolo di risarcimento del
danno non patrimoniale (art. 2059 c.c.), «morale» e «biologi
co», dovendo invece essere corrisposte alla procedura le somme
liquidate al diverso titolo della riparazione del danno patrimo niale come conseguenza delle patite lesioni in termini di «per dita subita» e «mancato guadagno», a norma dell'art. 1223 c.c.
Né può, con riguardo a quella parte della somma liquidata come
«equivalente» di quanto il danneggiato avrebbe potuto guada
gnare esplicando la propria normale attività di lavoro, trovare in
questa sede (in cui il curatore ha fatto valere l'inefficacia del
pagamento ricevuto dal fallito a norma dell'art. 44 1. fall.) ap
plicazione il disposto dell'art. 46, n. 2, 1. fall., giacché l'ultimo
comma dello stesso articolo dispone al riguardo la competenza funzionale del giudice delegato, attivato dalla necessaria istanza
del fallito (e per altro nella specie il Bertoli, costituitosi nel giu dizio di primo grado, aveva condiviso la difesa principale della
società convenuta, attestandosi sull'affermazione della integrale «esclusione dal fallimento» dell'indennizzo a lui corrisposto
dall'impresa assicuratrice). Non può dunque porsi in questa sede la questione prospettata
e discussa dalla ricorrente sul se e sul come il provvedimento del giudice delegato ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 46 1.
fall, possa operare con riguardo alla parte della somma nella
quale sia stato in ipotesi capitalizzato il danno patrimoniale da
riduzione permanente della capacità di produzione del reddito.
4. - Accolto dunque il ricorso nei limiti così definiti e conse
guentemente cassata la sentenza impugnata, il giudice di rinvio,
designato in altra sezione della stessa Corte d'appello di Bre
scia, si adeguerà al principio secondo cui il diritto al risarci mento dei danni non patrimoniali («morali» da reato e alla sa
lute, c.d. «biologici») non è «compreso nel fallimento» a norma
dell'art. 46, 1° comma, n. 1,1. fall, e valuterà, previ gli opportu ni accertamenti (eventualmente disponendo ispezione docu
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1259 PARTE PRIMA
mentale e facendosi assistere da consulente tecnico), se una por zione — e nella ipotesi affermativa quale porzione
— della
somma liquidata dalla società assicuratrice a seguito dell'accor
do transattivo intervenuto tra le parti a risarcimento dei danni
patiti da Giorgio Bertoli sia stata dalle parti stesse imputata a ri
parazione dei danni non patrimoniali (ed esclusivamente nei li
miti di tale porzione potrà essere esclusa l'inefficacia del paga mento attuato nella specie a favore del fallito).
1
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 18 ago sto 2000, n. 10963; Pres. De Musis, Est. Sciarelli, P.M.
Palmieri (conci, diff.); Terzi (Avv. Muggia) c. Soc. Stampe ria e tintoria di Somma (Avv. Pirani, Fabrizi). Conferma Trib. Busto Arsizio 24 novembre 1997.
Lavoro (rapporto di) — Trasferimento d'azienda — Rinun
cia alla prosecuzione del rapporto anteriormente alla ces
sione — Validità — Fattispecie (Cod. civ., art. 1418, 2112, 2113; cod. proc. civ., art. 410, 411).
Non è affetto da nullità l'atto, stipulato dal lavoratore con la
società datrice di lavoro nelle forme della conciliazione in
sede sindacale, con cui il medesimo, in relazione alla prevista e prossima cessione d'azienda, rinunci al diritto di passare alle dipendenze dell'impresa cessionario, dato che il diritto
oggetto della rinuncia in questione deve ritenersi determinato
ed attuale (nella specie, la società datrice di lavoro era as
soggettata a concordato preventivo, il lavoratore si trovava in cassa integrazione straordinaria e la società interessata a
rilevare l'azienda aveva posto la condizione del passaggio alle sue dipendenze soltanto di una parte dei dipendenti). (1)
(1-6) I. - Le aree problematiche affrontate nelle sentenze sono so stanzialmente quattro:
— l'ambito di applicazione della normativa sul trasferimento d'a
zienda; — le conseguenze derivanti dall'inosservanza degli obblighi d'in
formazione e consultazione delle rappresentanze sindacali e delle asso ciazioni di categoria;
— l'individuazione della disciplina collettiva applicabile; — la validità delle rinunce alla prosecuzione del rapporto formulate
in relazione ad una cessione di azienda. II. - La Suprema corte, nella seconda sentenza in epigrafe (Cass.
23/00, riportata anche in Mass. giur. lav., 2000, 347, con nota di A. Maresca), ribadisce la validità del proprio orientamento che configura un trasferimento d'azienda qualora il complesso organizzato dei beni
dell'impresa — nella sua identità obiettiva — sia passato ad un diverso titolare in forza di una vicenda giuridica riconducibile al fenomeno della successione in senso ampio (cfr. Cass. 29 aprile 1994, n. 4140, Foro it., Rep. 1994, voce Lavoro (rapporto), n. 1149) precisando che la nozione di trasferimento di azienda «implica che essa vada individuata tenendo conto, altresì, della giurisprudenza della Corte di giustizia eu
ropea, sull'interpretazione della direttiva» comunitaria.
L'affermazione, di per sé ineccepibile, deve fare i conti con le «pre cisazioni» contenute nelle sentenze della Corte di giustizia (sul tema, v. la nota di R. Costo a Corte giust. 11 marzo 1997, causa C-13/95, id., 1998, IV, 437) e con l'evoluzione della disciplina comunitaria (diretti va 98/50 del 29 giugno 1998; sull'argomento, cfr. R. Foglia, La fatti specie trasferimento d'azienda alla luce della nuova direttiva 98/50:
profdì definitori e interpretativi, e R. Cosio, La nuova direttiva sul tra
sferimento delle imprese: l'ambito di applicazione, id., 2000, I, rispet tivamente 866 e 879) che ha creato non poche tensioni tra i giudici na zionali e quelli comunitari (sul tema, v. V. Leccese, Giudici italiani e Corte di giustizia sul trasferimento d'azienda: un dialogo a più velo cità?, in Giornale dir. lav. relazioni ind., 1999, 65 ss.). Ma non basta. Il
Il Foro Italiano — 2001.
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 4 gen naio 2000, n. 23; Pres. Lanni, Est. Castiglione, P.M. Velar
di (conci, conf.); Bertuletti e altri (Avv. Buonocore, Iantor
no) c. Soc. New Interlitho Italia (Avv. Cavaliere, Gullot
ta). Conferma Trib. Milano 9 novembre 1996.
Lavoro (rapporto di) — Trasferimento d'azienda — Confi gurabilità — Condizioni (Cod. civ., art. 2112; direttiva 14 febbraio 1977 n. 77/187/Cee del consiglio, concernente il
ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative
al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferi
mento di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti, art. 1; 1. 29 dicembre 1990 n. 428, disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comu
nità europee (legge comunitaria per il 1990), art. 47). Lavoro (rapporto di) — Trasferimento d'azienda — Obbli
go d'informazione e consultazione delle rappresentanze sindacali e delle associazioni di categoria
— Inosservanza —
Conseguenze — Invalidità del negozio traslativo —
Esclusione (Cod. civ., art. 2112; 1. 20 maggio 1970 n. 300, norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della
libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e
norme sul collocamento, art. 28; 1. 29 dicembre 1990 n. 428, art. 47).
Il trasferimento d'azienda postula che il complesso organizzato dei beni dell'impresa
— nella sua identità obiettiva — sia
passato ad un diverso titolare in forza di una vicenda giuridi ca riconducibile al fenomeno della successione in senso am
pio. (2) In tema di trasferimento d'azienda, il mancato rispetto da parte
dell'alienante e dell'acquirente degli obblighi di comunica
zione e consultazione delle rappresentanze sindacali azien dali e delle associazioni di categoria è configurarle, ricor
rendone i presupposti, come condotta antisindacale; esso, tuttavia, non incide sulla validità del negozio traslativo. (3)
dilagante fenomeno delle esternalizzazioni (da ultimo, v. R. Del Punta, Mercato o gerarchia? Il disagio del diritto del lavoro nell'era delle
esternalizzazioni, in Dir. mercato lav., 2000, 49 ss.) ha, ulteriormente,
complicato la materia, facendo emergere dei profili in parte inediti del trasferimento d'azienda. La sentenza del Tribunale di Genova in epi grafe si colloca in questo contesto e si segnala, perlomeno, per due pre cisazioni:
a) se organizzazione e autonomia sono requisiti dell'oggetto del tra sferimento «allora essi debbono preesistere al trasferimento stesso e non possono rappresentare una conseguenza o un mero succedaneo».
L'affermazione, condivisa da una parte della dottrina (L. Corazza, «Contractual integration», impresa e azienda, e F. Scarpelli, Trasfe rimento d'azienda ed esternalizzazioni, in Giornale dir. lav. relazioni ind., 1999, rispettivamente 395 e 496 s.), viene, però, relativizzata da chi (R. Romei, Cessione di ramo di azienda e appalto, ibid., 357) ritiene che in alcuni casi «esso può risultare da una valutazione a posteriori, e cioè dalla unificazione di determinati servizi ed attività in capo ad un unico soggetto e dalla esistenza di una domanda di mercato per le atti vità e i servizi trasferiti al terzo e per i quali vi sia una effettiva richie sta in questo senso»;
b) «non è sufficiente la volontà del datore di lavoro di destinare de terminati beni ad uno scopo produttivo per costituirli in azienda (...) ma è necessario che tali beni siano obiettivamente organizzati e coordi nati per il perseguimento di tale scopo produttivo» (sull'argomento, v., da ultimo, S. Ciucciovino, Trasferimento di ramo d'azienda ed ester
nalizzazione, in Argomenti dir. lav., 2000, 385). III. - La Cassazione, nella seconda sentenza in epigrafe, afferma un
principio di grande rilievo: «il mancato rispetto da parte dell'alienante e dell'acquirente degli obblighi di comunicazione e consultazione delle
rappresentanze sindacali aziendali e delle associazioni di categoria è
configurabile, ricorrendone i presupposti, come condotta antisindacale; esso, tuttavia, non incide sulla validità del negozio traslativo, poiché l'osservanza delle suddette procedure non costituisce un presupposto di
legittimità, e quindi di validità, del negozio di trasferimento». La decisione esclude la possibilità di un intervento giudiziario cadu
cativo della vicenda traslativa (in senso contrario, Pret. Lecce 27 luglio 1998, Foro it., 1999, I, 3313, con nota di richiami), aderendo all'o rientamento maggioritario in dottrina (per un riepilogo delle diverse
posizioni, v. P. Lambertucci, Le tutele del lavoratore nella circola zione dell'azienda, Torino, 1999, 234-237) e in giurisprudenza (v. Pret.
Nola-Pomigliano d'Arco 11 giugno 1998, Foro it., 1999,1, 273).
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