Sezione I civile; sentenza 28 giugno 1984, n. 3837; Pres. Falcone, Est. Tilocca, P. M. Benanti(concl. conf.); Min. finanze (Avv. dello Stato Vittoria) c. Tirelli e altri. Cassa Comm. trib.centrale 20 giugno 1980, n. 2203Source: Il Foro Italiano, Vol. 107, No. 12 (DICEMBRE 1984), pp. 2989/2990-2991/2992Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23178344 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione I civile; sentenza 28 giu
gno 1984, n. 3837; Pres. Falcone, Est. Tilocca, P. M. Be
nanti (conci, conf.); Min. finanze (Avv. dello Stato Vittoria) e. Tirelli e altri. Cassa Comm. trib. centrale 20 giugno 1980, n. 2203.
Successioni e donazioni (imposte sulle) — Presunzione di esisten
za di denaro, gioielli e mobilia — Prova contraria — Verbale
di inventario — Formalità (R.d. 30 dicembre 1923 n. 3270,
legge tributaria sulle successioni, art. 31, 56).
Il processo verbale di inventario redatto presso lo studio del
notaio rogante senza che risulti compiuta la ricognizione nel
l'abitazione del de cuius non è idoneo a vincere la presunzione di esistenza, nell'asse ereditario e nella misura predeterminata dall'art. 31, 1" comma, r.d. 30 dicembre 1923 n. 3270, di
denaro, gioielli e mobilia; lo stesso inventario vale, invece, ad
evitare agli eredi la decorrenza del termine per la presentazione della denuncia di successione. (1)
Svolgimento del processo. — Nicola Tirelli, deceduto il 4 mar
zo 1967, aveva incluso nel proprio testamento la seguente disposi zione: « Lascio a tutti d miei fratelli e cioè Francesco, Silvio, Do
menico, Mario e Gioacchino la mia quota del fondo Santianni in
tenimento di Facchio, prov. di Benevento, nonché il quartino in
Salvator Rosa n. 81, Napoli, facendo obbligo a quattro fratelli di
donare a Silvio la loro quota di fabbricato in Villaricca a via Gau
dosi 2, a loro pervenuta da zia Rosa Tirelli. Il fratello che non
adempie a tale obbligazione non dovrà beneficiare dei lasciti che
andranno a favore di mio fratello Silvio». In esecuzione della se
conda parte 'di tale disposizione, all'erede Silvio Tirelli venne tra
sferito dagli altri coeredi la loro quota del fabbricato in Villaricca, via Gaudosi 2, con atto pubblico in data 24 ottobre 1967.
Gli eredi presentarono la denunzia di successione beneficiata e
pagarono le imposte liquidate: in particolare l'ufficio detrasse dal
valore delle quote ereditarie spettanti ai fratelli — Francesco,
Domenico, Mario e Gioacchino — quello delle quote sul fabbrica
to in Villaricca che essi trasferirono a Silvio ed aumentò di tale
valore cosi detratta la quota ereditaria di Silvio, ritenendo che la
predetta disposizione testamentaria prevedesse un legato di cosa
dell'erede.
In sede ispettiva venne rilevata l'inidoneità dell'inventario a
superare la presunzione dell'art. 31 1. tributaria sulle successioni
del 1923 in quanto nel relativo processo verbale, redatto dal
notaio rogante nel suo studio, non si dà atto di alcun accesso da
parte del medesimo alla casa di abitazione del de cuius. Pertanto
venne dedotta la tardività della denunzia di successione con la
conseguente applicabilità delle sopratasse e degli interessi, oltre che
dell'aumento dell'imponibile tassabile ai sensi del citato art. 31.
Venne, inoltre, rilevata dall'ispettore la tassabilità dell'obbligo
posto nel testamento a carico dei quattro coeredi di donare
l'immobile di loro proprietà all'altro coerede, Silvio.
Contro l'atto impositorio i coeredi ricorsero alla commissione
dell'imposta di primo grado che accolse le loro domande; la
decisione veniva confermata prima dalla commissione di secondo
grado e poi da quella centrale, entrambe adite dall'ufficio.
In particolare la Commissione centrale, quanto alla questione della validità dell'inventario, ha osservato che questo risulta
(1) La questione dovrebbe essere, per cosi dire, « in via d'estinzio ne » dal momento che l'art. 8 della vigente disciplina dell'imposta sulle successioni considera compresi nell'attivo ereditario determinati valori
per un importo percentuale fìsso « anche se dichiarati o indicati in inventario per un importo minore ».
Nello stesso senso della decisione riportata v. Cass. 29 maggio 1978, n. 2689, Foro it., Rep. 1978, voce Successioni (imposta), n. 17, che richiede quale requisito necessario e sufficiente la tempestiva redazione di un inventario formalmente e sostanzialmente completo.
Cfr., altresì, Cass. 10 aprile 1979, n. 2048, id., Rep. 1980, voce cit., n. 35, che ravvisava incompletezza e tardività in un inventario riaperto a distanza di molto tempo con la compilazione di un'appendice; Cass. 22 novembre 1980, n. 6209, ibid., n. 32; 10 dicembre 1979, n. 6381, ibid., n. 33; 27 aprile 1979, n. 2443, id., Rep. 1979, voce cit., n. 18. Sull'inefficacia tributaria dell'inventario compiuto tardivamente (sebbene nei termini prorogati dal pretore), v. Cass. 19 novembre 1973, n. 3084, id., 1974, I, 1748, con note di richiami di giurisprudenza e dottrina.
In dottrina, sui limiti della prova contraria alla presunzione prevista dall'art. 31 r.d. 30 dicembre 1923 n. 3270, v. M.V. Cernigliaro Dini, La prova contraria alla presunzione di denaro, gioielli e mobilia
nell'imposta di successione, in Dir. e pratica trib., 1976, II, 255; G. Gallo Orsi, La presunzione di esistenza di denaro, gioielli e mobilia
nell'imposta di successione, in Vita not., 1975, 218. Sui dubbi di legittimità costituzionale sollevati dall'art. 8, 2° comma,
d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 637, ove stabilisce una presunzione assoluta di esistenza di gioielli, denaro e mobilia, v. Comm. trib. II grado Modena 27 novembre 1981, Foro it., 1982, III, 459.
confezionato con puntuale rispetto delle prescrizioni indicate
dall'art. 75 c.p.c. ed è stato, di fatto, censurato solo perché secondo l'ufficio sarebbe stato redatto senza il necessario accesso
ai fini della ricognizione preventiva. Ma, ha aggiunto la commis
sione, occorre considerare che il notaio rogante ha rilasciato una
formale attestazione dalla quale risulta che egli, con l'assistente
estimatore (falegname) e alla presenza di due degli eredi interes
sati si era recato nell'unica stanza occupata dal defunto nella casa
di uno dei fratelli per individuare e far apprezzare le poche masserizie di sua proprietà. Tale attestato è venuto cosi a far
« parte degli atti connessi alla confezione dell'inventario e rende
questo efficace a tutti gli effetti e quindi principalmente idoneo a
vincere la presunzione di cui al suindicato art. 31 ». Comunque, ha precisato la Commissione centrale, « l'inventario rimane pur
sempre efficace a prolungare i termini per gli adempimenti fiscali
all'unica condizione che l'accettazione beneficiata ex art. 484 c.c.
sia intervenuto nei quattro mesi dalla morte del de cuius: il che
è puntualmente avvenuto nel caso concreto ».
Quanto alla seconda questione la Commissione centrale ha
escluso che l'obbligo posto dal testatore a carico dei quattro coeredi e a favore del quinto coerede, integri un onere modale o
un legato di cosa altrui, « bensì soltanto un invito rivolto ad un
determinato comportamento da parte di alcuni fratelli beneficiati,
nel caso di 'loro accettazione del lascito ». « Seguendo il ragiona mento dell'ispettore, la quota trasferita verrebbe ad essere tassata
due volte nei confronti di Silvio ». Indi la commissione ha
affermato che la devoluzione dell'immobile di proprietà dei
quattro coeredi deve considerarsi effettuata a favore di Silvio sin
dall'origine secondo le indicazioni testamentarie onde l'imposta
va commisurata al valore della quota da ciascuno appresa nella
realtà concreta, cosi come, del resto, aveva operato l'ufficio in
un primo tempo. Ricorre per cassazione l'amministrazione finanze; i contribuenti
non si sono costituiti.
Motivi della decisione. — Con il primo motivo l'amministrazio
ne delle finanze deduce la violazione e la falsa applicazione degli art. 31 e 56 legge successioni 30 dicembre 1923 n. 3270 nonché
dell'art. 773 c.p.c. in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c. L'ammini
strazione premette che « nel caso in esame, non soltanto è
pacifico che l'inventario è stato redatto interamente presso lo
studio del notaio rogante, ma è anche da notarsi che esso non
reca alcuna menzione che il necessario accesso presso l'abitazione
del defunto sia stato eseguito ». Indi essa sostiene che la decisione
impugnata sia caduta in un grave, palese errore di diritto circa le
caratteristiche e le formalità del verbale di inventario nel ritenere
che le manchevolezze di questo possano essere superate mediante
attestazioni successive e superate, rilasciate dal notaio, e non
facenti parte del suo contenuto, laddove solo un verbale di
inventario che abbia i requisiti della tempestività e della comple
tezza può essere sufficiente a vincere la presunzione dell'art. 31
della legge tributaria sulle successioni. Secondo l'amministrazione,
poi, l'impugnata decisione sarebbe erronea anche per aver affer
mato che l'inventario è in ogni caso valido ai fini del prolunga mento dei termini di presentazione della denunzia.
Il motivo va accolto nei limiti che saranno poi appresso
precisati.
L'abrogato r.d. 30 dicembre 1923 n. 3270 (legge tributaria sulle
successioni), applicabile alla fattispecie in esame giacché la suc
cessione si apri nella sua vigenza, fissava all'art. 31, 1° comma —
cosi come l'art. 8, 2° comma, dell'attuale d.p.r. 26 ottobre 1972 n.
637 (disciplina delle imposte sulle successioni e donazioni) — una
presunzione di esistenza, nell'asse ereditario, di gioielli, denari e
mobilia in una percentuale predeterminata rispetto al valore
dell'asse ereditario medesimo. Mentre il vigente art. 8 stabilisce
che l'importo da esso presunto di tale tipo di beni rimane fermo,
anche se in inventario è dichiarato o indicato un importo minore,
l'abrogato art. 31 prevedeva, nei comma 2° e 3°, che la presun zione poteva essere vinta dalle risultanze di « inventari di tutela e
di eredità beneficiata o fallimentare o fatti in seguito ad apposi zione di suggelli, disposta dall'autorità giudiziaria immediatamente
dopo l'apertura della successione ». La norma precisava che in
tali casi si doveva aver riguardo esclusivamente ai detti documen
ti sin che da essi fosse risultato « un valore minore od anche
l'inesistenza assoluta di gioielli, denaro e mobilia » sia che fosse
risultato « un valore superiore » dei beni medesimi, rispetto alla
misura predeterminata. Il ricorso legislativo alla presunzione per i beni mobili in
parola si giustifica con il rilievo che la loro occultabilità al fisco,
a differenza degli immobili (e dei mobili registrati), non presenta
particolari difficoltà pratiche e giuridiche. Ma, se in un inventario
giudiziale erano accertate l'entità e la consistenza del patrimonio relitto del de cuius in gioielli, denaro e mobilia, tale accertamento
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2991 PARTE PRIMA 2992
— in considerazione della veste di pubblico ufficiale documentan
te del suo autore e del procedimento della sua formazione e
documentazione, minutamente predisposto dalla legge (art. 769
c.p.c. e art. 192 disp. att. c.p.c.) in funzione dell'interesse alla
veridicità e alla completezza — veniva considerato dall'art. 31, 2°
e 3° comma (r.d. n. 3270/23), corrispondente alla realtà e, quindi,
prevalente sulla situazione da esso stesso presunta nel 1° comma.
Tale situazione, più che costituire applicazione della disciplina dell'efficacia probatoria dell'atto pubblico, si ispirava a criteri di
mera opportunità. L'inventario giudiziale si qualifica certamente
atto pubblico ai sensi dell'art. 2699 c.c., ma l'efficacia probatoria
privilegiata assiste, in base all'art. 2700, oltre che i suoi elementi
estrinseci (provenienza, luogo e tempo), il fatto della ricerca
svolta dal p.u. e quello del rinvenimento dei beni annotati, ma
non anche il giudizio sul loro valore e neppure, a maggior
ragione, l'inesistenza di altra mobilia, di altri gioielli e denari
oltre quelli rappresentati nell'inventario - documento. Queste
considerazioni non sono certamente estranee alla ratio del vigente art. 8, 2° comma, il quale dispone che « nell'attivo si considerano
compresi denaro, gioielli e mobilia per un importo pari al dieci
per cento del valore complessivo netto dell'asse ereditario, anche
se dichiarati o indicati in inventario per un importo minore ».
Nella specie è applicabile, come sopra si è precisato, l'art. 31, in base al quale gli accertamenti e le stime annotati nell'inventa
rio, pur se non rientranti nell'ambito dell'efficacia probatoria
privilegiata di cui all'art. 2700 c.c., assumevano il valore, iuris et
de iure, di verità e, come tali, erano, sul piano probatorio e al
fine limitato della determinazione della base imponibile per le
imposte di successione, vincolanti per l'amministrazione finanzia
ria, per il contribuente e per lo stesso giudice. Perché potesse aver luogo siffatta efficacia, era necessario che i predetti accerta
menti e stime avessero rappresentato le risultanze di una specifica attività ricognitiva e valutativa personalmente svolta dal p.u. nel
contraddittorio di tutti i soggetti interessati e da lui contestual
mente documentata nel relativo processo verbale con l'osservanza
delle forme richieste. Nel caso in esame, in base alle affermazioni
date per pacifiche nella decisione impugnata, dal processo verbale
risulta che esso è stato redatto nello studio del notaio rogante e
non risulta, invece, che questi si sia recato nell'abitazione del de
cuius per effettuare la ricognizione diretta dei beni ivi esistenti e
di eventuali documenti mediante i quali sarebbe stato possibile individuare, poi, gioielli, denaro e mobilia altrove custoditi. La
mancata annotazione e l'omessa descrizione del momento della
ricerca, ancorché questa in ipotesi sia stata effettuata, escludono
che l'inventario possa vincere la presunzione di esistenza, nell'asse
ereditario, e nella misura predeterminata dall'art. 31, 1° comma, di
gioielli, denaro e mobilia. Un processo verbale non integro non
può essere assunto come legalmente veritiero nella parte incom
pleta e prevalere sulla predetta presunzione, qualora, come nella
specie, l'incompletezza concerna proprio gli elementi afferenti alla
presunzione e quantunque tale incompletezza non sia ascrivibile a
colpa dell'erede (Cass. 29 maggio 1978, n. 2689, Foro it., Rep. 1978, voce Successioni (imposta), n. 17).
La decisione della Commissione centrale ha errato nel ritenere
che la lacuna del processo verbale potesse essere colmata con
l'attestazione, separata e successiva, rilasciata dal notaio rogante agli interessata (da questi prodotta davanti alla commissione
tributaria di secondo grado) e certificante che egli si era recato
nell'abitazione del de cuius, prima di procedere alla relazione del verbale di inventario. Siffatta attestazione non può integrare l'inventario-documento, al quale la legge attribuiva efficacia
probatoria privilegiata solo se esso avesse contenuto in sé tutte le indicazioni necessarie a dimostrare che le sue risultanze erano
veritiere o potevano esere assunte come veritiere {Cass., sent,
cit.). L'art. 31 estendeva siffatta efficacia privilegiata anche alle
valutazioni del p.u. perché queste risultassero dall'atto pubblico
collegate alla ricognizione diretta e personale del pubblico ufficia le stesso. Ora il documento contenente l'attestazione in esame non
ha vaiore di atto pubblico, perché posto in essere al di fuori di
ogni previsione legislativa, non contestualmente al fatto attestato e senza l'osservanza delle formalità richieste. L'attestazione integra una dichiarazione testimoniale (stragiudiziale) e il relativo docu mento una semplice scrittura privata, in quanto il suo autore, se
pure investito della funzione documentativa pubblica, ha effettua
to la dichiarazione e redatto il documento al di fuori dell'ambito di detta funzione.
Se l'inventario non è idoneo a vincere la presunzione legale di
esistenza, nell'asse ereditario, di gioielli, denaro e mobilia nella misura predeterminata, è, tuttavia, idonea, contrariamente alla tesi
dell'amministrazione, ad evitare la decadenza degli eredi dal
beneficio dello spostamento della decorrenza del termine per la
presentazione della denunzia di successione ai sensi dell'art. 562
r.d. n. 3270/23. L'inventario non è nullo, ma semplicemente
incompleto e la sua incompletezza si colma con l'applicazione diretta ed immediata della norma del 1° comma dell'art. 31; porta,
cioè, alla sola conseguenza di rendere operante la presunzione fissata da tale norma. La incompletezza non investe l'intero
inventario-documento, ma soltanto quella parte di esso concernen
te il patrimonio relitto del de cuius in gioielli, denaro e mobilia e
tale limitata incompletezza non può importare la nullità di tutto
l'inventario appunto perché nella stessa legge vi è connessa la
sola conseguenza della non superabilità della presunzione (vitia tur sed non vitiat). Pertanto va confermata la statuizione della
decisione impugnata circa la tempestività della denunzia di suc
cessione e della conseguente inapplicabilità della soprattassa.
(Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione III civile; sentenza 12 giu
gno 1984, n. 3496; Pres. Novelli, Est. Morsillo, P. M. La
Valva (conci, conf.); Girasoli (Avv. Mitolo) c. Soc. «3 AR».
Cassa Trib. Bari 2 luglio 1981.
Locazione — Legge 392/78 — Immobili adibiti ad uso non
abitativo — Disciplina transitoria — Contratti soggetti a proro
ga — Aumenti del canone — Fattispecie (L. 27 luglio 1978
n. 392, disciplina delle locazioni di immobili urbani, art. 68).
Ai fini dell'applicazione dell'art. 68 l. n. 392/78 (che prevede
per le locazioni non abitate di cui al precedente art. 67 la
possibilità di aumentare il canone in misura differenziata in
relazione all'epoca di stipulazione del contratto), qualora nel
corso del rapporto sia intervenuto altro contratto che, fermi restando gli originari contraenti e la stessa res locata, abbia
apportato variazioni alla sola entità del canone, occorre fare
riferimento alla data del contratto iniziale, e non di quello successivo. (1)
Motivi della decisione. — Con l'unico mezzo di gravame, articolato in diversi profili, la difesa della Girasoli censura
l'impugnata sentenza per violazione dell'art. 112 c.p.c. in relazione
all'art. 342 stesso codice (art. 360, n. 3, c.p.c.), per omessa
motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360, n.
5, c.p.c.), e per violazione e falsa applicazione dell'art. 68, n. 2, 1.
27 luglio 1978 n. 392 (art. 360, n. 3, c.p.c.). Sostiene la ricorrente che la locazione dei vani a piano terreno
(1) Il principio riassunto in massima, per la prima volta affermato dalla Cassazione, si fonda sulla considerazione che la scrittura contrat tuale con cui le parti si sono limitate a modificare la sola misura del canone locatizio costituisce non già novazione del contratto già in
corso, ma semplice modificazione accessoria della obbligazione. Nello stesso senso, sempre con riferimento all'art. 68 in questione, v.
Trib. Milano 30 settembre 1982, Foro it., Rep. 1983, voce Locazione, n. 179, e Pret. Benevento 18 maggio 1984, Arch, locazioni, 1984, 294, ove si precisa che la modificazione riguardante il canone pattuito è accessoria (ai sensi dell'art. 1230 c.c.) non già perché verte su un elemento accessorio del contratto, ma perché non è tale da alterare l'identità dell'obbligazione originaria avente per contenuto il pagamento di una somma di denaro.
Per una diversa interpretazione dell'art. 68, v. Trib. Firenze 20 novembre 1982 e Pret. Pavia 4 gennaio 1983, Foro it., 1983, I, 1740, con nota di richiami, secondo le quali tale disposizione discrimina i contratti non con riferimento alla data di stipulazione originaria, ma tenendo presente l'ultima variazione convenzionale del canone interve nuta.
Si noti che, in sede di interpretazione dell'art. 67 1. n. 392/78 (che disciplina la durata delle locazioni di immobili non abitativi in corso al 30 luglio 1978 e soggetto a proroga), Cass. 18 novembre 1983, n.
6883, id., 1984, I, 751, ha ritenuto che con l'espressione «contratti
stipulati » il legislatore ha inteso riferirsi unicamente ai contratti
originari che hanno dato vita al rapporto, e non a quelli successivi che ne costituiscono rinnovazione, novazione o sostituzione. Ora, con la sentenza n. 3496/84 la Cassazione, ricorrendo alla osservazione che nella specie l'accordo intervenuto tra le parti successivamente al contratto originario era una rinnovazione, e non una novazione di esso, e pur non diffondendosi sulla interpretazione della identica espressione « contratti stipulati » contenuta nell'art. 68, sembra invece avallare una
interpretazione meno rigida di tale locuzione, assimilandovi il fenomeno della novazione ex art. 1230 c.c.
Sulle modalità di calcolo degli aumenti percentuali annuali del canone locatizio consentiti dall'art. 68 1. n. 392/78, v., da ultimo, Cass. 28 febbraio 1984, n. 1434, e Trib. Oristano 21 febbraio 1984, id., 1984, I, 1584, con nota di richiami, la seconda delle quali si esprime anche sulla questione della sussistenza del diritto del locatore agli aumenti maturati anteriormente alla sua richiesta.
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