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sezione I civile; sentenza 28 luglio 2004, n. 14198; Pres. Grieco, Est. Genovese, P.M. Sepe (concl....

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sezione I civile; sentenza 28 luglio 2004, n. 14198; Pres. Grieco, Est. Genovese, P.M. Sepe (concl. diff.); Romano (Avv. Punzo) c. Comune di Marineo; Comune di Marineo (Avv. Lo Monaco) c. Romano. Cassa App. Palermo 24 maggio 2000 Source: Il Foro Italiano, Vol. 129, No. 6 (GIUGNO 2006), pp. 1915/1916-1923/1924 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23203447 . Accessed: 28/06/2014 16:15 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 193.142.30.220 on Sat, 28 Jun 2014 16:15:05 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione I civile; sentenza 28 luglio 2004, n. 14198; Pres. Grieco, Est. Genovese, P.M. Sepe (concl.diff.); Romano (Avv. Punzo) c. Comune di Marineo; Comune di Marineo (Avv. Lo Monaco) c.Romano. Cassa App. Palermo 24 maggio 2000Source: Il Foro Italiano, Vol. 129, No. 6 (GIUGNO 2006), pp. 1915/1916-1923/1924Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23203447 .

Accessed: 28/06/2014 16:15

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PARTE PRIMA

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 28 lu

glio 2004, n. 14198; Pres. Grieco, Est. Genovese, P.M. Sepe

(conci, diff.); Romano (Avv. Punzo) c. Comune di Marineo; Comune di Marineo (Avv. Lo Monaco) c. Romano. Cassa

App. Palermo 24 maggio 2000.

Contratto in genere, atto e negozio giuridico — Condizione

mista — Comportamento omissivo — Responsabilità —

Fattispecie in materia di contratti con la pubblica ammini

strazione (Cod. civ., art. 1355, 1358, 1359, 1375).

La pattuizione, contenuta nel contratto tra un comune ed un

professionista incaricato di progettare un'opera pubblica, secondo cui il pagamento dell'onorario è subordinato al

l'ammissione a finanziamento dell'opera, integra gli estremi

di una condizione sospensiva mista, in pendenza della quale l'amministrazione è tenuta a comportarsi secondo buona fede anche in relazione al segmento non casuale della condizione, andando incontro a responsabilità nei confronti del profes sionista in caso di omissione dell'attività necessaria per ac

cedere al finanziamento. (1)

(1) I. - La Suprema corte si discosta consapevolmente da Cass. 22

aprile 2003, n. 6423, Foro it.. Rep. 2003, voce Contratto in genere, n. 393 (per esteso, Contratti, 2003, 1096, con nota di Besozzi), secondo

cui, nell'ipotesi di contratto condizionato, l'omissione di una determi nata attività da parte della pubblica amministrazione in tanto può quali ficarsi contraria a buona fede, in quanto costituisca oggetto di uno spe cifico obbligo giuridico, sì che l'amministrazione va esente da respon sabilità per non aver posto in essere l'attività volta all'attuazione di una condizione mista, con conseguente inapplicabilità dell'art. 1359 c.c.

Segnatamente, Cass. 6423/03 negava l'applicabilità della norma relati va alla finzione di avveramento, sul presupposto della natura bilaterale riconosciuta alla condizione mista apposta al contratto stipulato tra co mune e privato.

In senso analogo si erano espressi: Tar Puglia, sez. II, 4 dicembre 1997, n. 953, Foro it.. Rep. 1998, voce Contratti della p.a., n. 446, se condo cui la mancata realizzazione della condizione mista bilaterale non può essere imputabile alla (sola) inerzia dell'amministrazione e non comporta, quindi, violazione del dovere di buona fede ex art. 1358 c.c. (fattispecie relativa all'apposizione ad un bando di gara di una condizione che subordinava l'affidamento di lavori alla ditta aggiudi cataria al reperimento di finanziamenti); Cass. 13 aprile 1985, n. 2464, id., Rep. 1986, voce Contratto in genere, n. 252 (e Nuova giur. civ., 1985, 1, 610, con nota di Belfiore), secondo cui la condotta omissiva

(della pubblica amministrazione) può essere considerata causa del man cato verificarsi della condizione solo nel caso in cui l'inerzia costitui sca violazione dì un preciso obbligo, imposto dalla legge o da apposita clausola contrattuale; 5 gennaio 1983, n. 9, Foro it., Rep. 1983, voce

cit., n. 184 (e Giust. civ., 1983, I, 1524, con nota di Costanza), dove si

puntualizza che il requisito dell'oggettiva incertezza dell'evento de dotto in condizione fa escludere che, qualunque ne sia la natura, esso

possa, per sé e per la sua qualificazione, costituire oggetto di obbliga zione e quindi di prestazione dovuta dai contraenti o da uno soltanto di

essi; il che vale per ogni tipo di condizione, ivi comprese quelle pote stative e miste, in cui il verificarsi dell'evento dipende in tutto o in

parte dalla volontà di (almeno) uno dei contraenti. Per la giurisprudenza di merito, v. Trib. Messina 11 febbraio 1984,

Foro it., Rep. 1985, voce Lavoro autonomo, n. 5, in cui si afferma che il diritto del professionista al compenso per l'opera prestata può essere

sottoposto alla condizione sospensiva del conseguimento di un risultato utile per il committente (sicché è valida la condizione secondo cui il

progetto di un'opera pubblica verrà retribuito da un comune solo se

l'opera sarà finanziata da altro ente pubblico), ma la condizione si con sidera avverata ex art. 1359 c.c., qualora l'amministrazione non abbia

espletato la procedura necessaria all'erogazione dei fondi (una soluzio ne, dunque, fondata su una diversa traiettoria argomentativa rispetto a

quella seguita della decisione in epigrafe). II. - La novità della pronuncia risiede nel fatto che il riconoscimento

della responsabilità della pubblica amministrazione, per la mancata at tuazione di una condizione bilaterale mista, avvenga esclusivamente sulla base dell'art. 1358 c.c., di cui si valorizza l'idoneità a fondare

l'obbligo giuridico di conservare integre le ragioni del contraente avente interesse all'avveramento della condizione (superando, così, i limiti di applicazione dell'art. 1359 c.c.).

Sulla scorta di un'ormai diffusa tendenza ad ampliare i confini della

responsabilità della pubblica amministrazione (v., ad es., Cass. 25 no vembre 2003, n. 17940, id., Rep. 2003, voce Responsabilità civile, n.

211, sul versante dell'illecito aquiliano; e, per una diversa prospettiva, Cass. 10 gennaio 2003, n. 157, id., 2003, I, 78, con nota di Fracchia, dove si configura una responsabilità da contatto, la cui considerazione

s'impone dopo l'entrata in vigore della 1. n. 241 del 1990, in virtù della

quale la pretesa alla regolarità dell'azione amministrativa va valutata secondo i canoni contrattuali di correttezza e buona fede), nella deci sione in epigrafe la Cassazione afferma che il comportamento del co

II Foro Italiano — 2006.

Svolgimento del processo. — 1. - Il comune di Marineo con

feriva, nel corso dell'anno 1989, all'ing. Antonio Romano l'in

carico di progettazione e direzione dei lavori per la realizzazio

ne di un nuovo mattatoio comunale. A tal uopo approvava anche

il disciplinare di incarico relativo, contenente una clausola

(l'art. 11) nella quale era stabilito che l'onorario sarebbe stato

corrisposto solo dopo che l'opera sarebbe stata ammessa a fi

nanziamento mentre il professionista s'impegnava a non preten dere alcun compenso, nemmeno per spese vive, «qualora l'ope ra non venisse ammessa a finanziamento».

mune non può ridursi «a mera volontà capricciosa», bensì deve «inca nalarsi nelle forme proprie dell'attività amministrativa e nelle conse

guenti forme di responsabilità». In altri termini, la natura potestativa di uno dei due segmenti della condizione mista non può tradursi in asso luta arbitrarietà di comportamento della parte tenuta ad esprimere la volontà che integra una componente della condizione.

Sul riconoscimento dell'obbligo, per la pubblica amministrazione, di

comportarsi secondo il principio di buona fede in pendenza della con

dizione, cfr. Cass. 21 luglio 2000, n. 9587, id., 2001, I, 2613, che. pur occupandosi del diverso problema della natura vessatoria della clausola contrattuale che subordina al finanziamento dell'opera il pagamento del

compenso a chi l'ha progettata per conto di un comune, precisa che il

comportamento della pubblica amministrazione (in pendenza di condi

zione) deve rispettare i principi propri dell'attività amministrativa, per il perseguimento dell'interesse pubblico.

III. - Sulla valutazione del comportamento abusivo in pendenza di

condizione, condotta esclusivamente ai sensi dell'art. 1358 c.c., non constano pronunce rese in vertenze tra privati e pubblica amministra zione.

In termini più generali, v. Cass. 18 marzo 2002, n. 3942, id.. Rep. 2002, voce Contratto in genere, n. 370, dove si afferma che, qualora la condizione (sospensiva) non si verifichi, non è configurabile un ina

dempimento delle obbligazioni rispettivamente assunte dalle parti con il contratto, posto che l'inadempimento contrattuale è verificabile solo in relazione ad un contratto efficace; ne discende che, in tale ipotesi, non può farsi luogo a risoluzione per inadempimento delle obbligazioni contrattuali, ma, eventualmente, solo per inadempimento dell'obbliga zione prevista dall'art. 1358 c.c., il quale prescrive l'obbligo di ciascun

contraente, in pendenza della condizione, di osservare i doveri di lealtà e correttezza in modo da non influire sul verificarsi dell'evento condi zionante pendente (nella specie, l'efficacia di un contratto preliminare di vendita di un terreno era stata condizionata alla definitiva approva zione del nuovo strumento urbanistico); 2 luglio 2002, n. 9568, id., Rep. 2003, voce cit., n. 316 (Riv. not., 2003, 483, con nota di Vocatu

ro; Arch, civ., 2003, 1300, con nota di Tombesi), secondo cui chi con clude un patto di prelazione relativo alla vendita di un proprio bene

immobile, sotto la condizione sospensiva del rilascio di una determi nata autorizzazione amministrativa, ha il dovere, in pendenza dell'av veramento della condizione, di comportarsi secondo buona fede, aste nendosi dal compiere atti pregiudizievoli degli interessi dell'altro con

traente, sia con riferimento all'oggetto della prestazione, che con rife

rimento all'avveramento della condizione (con la precisazione che tra

gli atti pregiudizievoli può rientrare la vendita a terzi dell'immobile); Coli. arb. Milano 19 luglio 1993, Foro it., Rep. 1994, voce cit., n. 327

(Contratti, 1994, 681, con nota di Mucio), per cui l'art. 1358 c.c. im

pone esclusivamente l'obbligo di astenersi da quanto possa pregiudica re gli interessi della controparte.

Inoltre, l'obbligo di comportarsi secondo buona fede in pendenza di condizione è espressamente riconosciuto in capo al privato da Cass. 22 marzo 2001. n. 4110, Foro it., Rep. 2001, voce cit., n. 372.

A proposito dei comportamenti abusivi in pendenza della condizione, Rescigno, Condizione (dir. vig.), voce dell' Enciclopedia del diritto, Milano, 1961, Vili, 798 ss., ritiene che, pur essendovi l'esigenza di ri

spettare la sfera di discrezionalità del contraente, occorre sanzionare il

comportamento della parte che scorrettamente tenti di impedire il veri ficarsi della condizione sospensiva o di provocare l'avveramento della condizione. In altri termini, la libertà dell'obbligato sotto condizione

potestativa è compatibile e coesiste, nella misura consentita dalla nor ma cogente, con l'obbligo legale di conservare integre le ragioni del l'altra parte (Id., L'abuso del diritto, in Riv. dir. civ., 1965, I, 203; in

argomento, cfr. anche Vitucci, «Condicio est in obligatione: ex lege» (sulla finzione di avveramento e la condizione potestativa), id., 1998, I, 23; Pecennini, La finzione di avveramento della condizione, Padova, 1994, 82; Maiorca, Condizione, voce del Digesto civ., Torino, 1988, III, 303; Bruscuglia, Pendenza della condizione e comportamento se condo buona fede, Milano, 1975, 57; Trimarchi, Finzione di avvera mento e finzione di non avveramento della condizione, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1966, 827). Si discute, nondimeno, su quali siano i com

portamenti vietati, in presenza di una condizione potestativa, attesa «la natura elastica del concetto di buona fede» (Vitucci, op. cit., 22).

IV. - Nella decisione in epigrafe, l'obbligo di correttezza non discen de da pattuizioni negoziali, bensì direttamente dall'art. 1358 c.c., che

obbliga la parte avente una «posizione contrattuale forte» a comportarsi secondo buona fede per conservare integre le ragioni dell'altra parte.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Il professionista, nel giugno 1990, trasmetteva al comune il

progetto esecutivo dell'opera. Qualche anno dopo, dalla lettura dei giornali egli apprendeva

che l'ente locale aveva aggiudicato i lavori di ristrutturazione

del vecchio mattatoio e, così, abbandonato il suo progetto, per la

quale ragione invitava il comune al pagamento delle proprie competenze e, in difetto, promuoveva la costituzione di un col

legio arbitrale.

Il professionista chiedeva agli arbitri la condanna del comune

al pagamento delle proprie competenze a titolo di corrispettivo

Nel caso di specie, tale previsione, speciale rispetto alle prescrizioni dell'art. 1375 c.c. (così già Carusi, Appunti in tema di condizione, in Rass. dir. civ., 1996, 94), pone a carico del comune il dovere di attivar si in modo adeguato, al fine di ottenere il finanziamento dell'opera.

Il contenuto degli obblighi imposti dalla citata disposizione è, in ef fetti. rappresentato da una serie di comportamenti atipici (al riguardo, si

può rinviare a Cass. 22 ottobre 1998, n. 10514, Foro it., 1999,1, 1891, con note di E. Fabiani e De Cristofaro, secondo cui, in materia di rap porto di lavoro, gli obblighi di correttezza e buona fede, aventi la fun zione di salvaguardare l'interesse della controparte alla prestazione do vuta mediante comportamenti di contenuto atipico e individuati attra verso un giudizio applicativo di norme elastiche in un certo contesto

storico-sociale, assumono il ruolo di principi fondamentali dell'ordi namento giuridico; cfr. anche Cass. 16 ottobre 2002, n. 14726, id., Rep. 2003, voce cit., n. 539 (Danno e resp., 2003, 174 ss., con nota di Parti

sani), secondo cui la buona fede si atteggia come impegno od obbligo di solidarietà, tale da imporre a ciascuna parte alcuni comportamenti idonei a preservare gli interessi dell'altra parte, pur prescindendo da

specifici obblighi contrattuali e dal dovere extracontrattuale del nemi nem laedere). Per ulteriori riferimenti in tema di buona fede nella di

sciplina del contratto, v., da ultimo, Bandinelli, L'evoluzione inter

pretativa della clausola generale di buona fede nella dinamica del

comportamento contrattuale, in Rass. dir. civ., 2004, 605. V. - Con il riconoscimento della responsabilità della pubblica ammi

nistrazione in base al principio di buona fede e correttezza, i giudici di

legittimità avallano la ricostruzione dottrinale secondo cui gli art. 1358 e 1359 c.c. non hanno il medesimo oggetto (v. Costanza, Condizione nel contratto, in Commentario Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1997, 98 e 105). A questo orientamento si contrappongono la giurisprudenza e la dottrina dominanti, che individuano la funzione sanzionatoria della finzione di avveramento nella violazione del principio di correttezza. In

giurisprudenza, cfr. Cass. 26 maggio 2003, n. 8363, Foro it.. Rep. 2003, voce cit., n. 390, secondo cui, nell'ipotesi di negozio condizio nato. per l'operatività dell'art. 1359 c.c. è necessaria la sussistenza di una condotta dolosa o colposa di detta parte, non riscontrabile nel caso di mero comportamento inattivo, salvo che questo non costituisca vio lazione di un obbligo di agire imposto dal contratto o dalla legge (nella specie, un lavoratore subordinato aveva transatto con il datore di lavoro il giudizio di impugnazione del licenziamento disciplinare e le parti avevano previsto che il primo avrebbe accettato la risoluzione del rap porto, qualora fosse stato condannato con sentenza definitiva per il reato addotto dal datore di lavoro a giustificazione del licenziamento); nonché Cass. 8 agosto 1999, n. 9511, id., Rep. 2000, voce cit., n. 446

(Notariato, 2000, 436, con nota di Varano, e Giust. civ., 2000, I, 3287, con nota di Ciancarelli); 27 febbraio 1998, n. 2168, Foro it., Rep. 1998, voce cit., n. 375 (Contratti, 1998, 553, con nota di Avondola); 9

agosto 1996, n. 7377, Foro it., Rep. 1996, voce cit., n. 293; 5 novembre

1985, n. 5360, id., Rep. 1985, voce cit., n. 163. In dottrina, si rinvia ai contributi di Falzea, Condizione (dir. civ.), voce dell' Enciclopedia giuridica Treccani, Roma, 1988, VII, 5 ss.; Id., La condizione e gli elementi dell'atto giuridico, Milano, 1941, 206; Trimarchi, cit., 825; Betti, Teoria generale del negozio giuridico, Torino, 1960, 540 ss.; Scognamiglio, Contributo alla teoria del negozio giuridico, Napoli, 1950, 309 ss.; Rubino, La fattispecie e gli elementi giuridici prelimina ri, Milano, 1939, 282.

VI. - Quanto, infine, alla finzione di avveramento, non considerata

specificamente dalla decisione riportata (che assume la diversa pro spettiva dell'art. 1358 c.c.) e ritenuta inapplicabile nel caso di condi zioni miste, cfr. Cass. 11 agosto 1999, n. 8584, Foro it., Rep. 2000, vo ce cit., n. 447, secondo cui l'art. 1359 c.c. trova applicazione nelle sole

ipotesi di «condizione casuale» (la cui realizzazione dipenda dal caso o

dalla volontà di terzi) oppure «potestativa mista» (il cui avveramento

derivi, in parte, dal caso o dalla volontà di terzi, e, in parte, da quella di uno dei contraenti) per la parte non rimessa alla volontà del contraente e non anche nell'ipotesi di condizione «potestativa semplice»; così an che Cass. 23 aprile 1998, n. 4178, id., Rep. 1998, voce cit., n. 374; 5

giugno 1996, n. 5243, id., Rep. 1996, voce cit., n. 295; 2464/85, cit.;

9/83, cit.; 26 aprile 1982, n. 2583, id., Rep. 1982, voce cit., n. 174

(Giust. civ., 1983, I, 1719, con nota di De Cupis, e 1826, con nota di

Somare); per l'analisi di pronunce meno recenti, cfr. Cass. 5 maggio 1967, n. 862, Foro it., 1968,1, 2283, con nota di Breccia.

In dottrina, cfr. Roppo, Il contratto, Milano, 2001, 634, il quale, nel definire l'ambito di applicazione della finzione di avveramento, ne

esclude l'operatività in caso di condizioni potestative miste; Carusi,

Il Foro Italiano — 2006.

contrattuale e, in subordine, per inadempimento contrattuale. In

ulteriore linea subordinata, a titolo di arricchimento senza giusta causa.

2. - Pronunciando sui quesiti formulati, con lodo del 12 gen naio 1998, il collegio accoglieva la domanda, proposta in via

subordinata dal professionista, e condannava il comune al risar

cimento del danno per inadempimento. Il comune impugnava per nullità il lodo davanti alla Corte

d'appello di Palermo che accoglieva la domanda e dichiarava

nullo l'atto impugnato. Secondo i giudici statali, nel caso di specie non si sarebbe

potuto applicare l'istituto della finzione di avveramento della

condizione, di cui all'art. 1359 c.c., perché: a) la condizione del

finanziamento non si sarebbe potuta ritenere avverata, solo per ché in un secondo momento sarebbe venuto meno l'interesse

dell'ente locale al finanziamento; b) si trattava di una condizio

ne mista (essendo l'efficacia del contratto subordinata alla veri

ficazione di un evento futuro ed incerto dipendente, in parte, an

che dalla volontà del comune, che — per ottenerlo — avrebbe

dovuto richiederlo); c) non era configurabile un obbligo in capo al comune, il cui comportamento non sarebbe stato valutabile ai

sensi dell'art. 1358, secondo la clausola della buona fede.

3. - Contro tale pronuncia l'ing. Romano ha proposto ricorso

per cassazione, articolato in tre mezzi, illustrati anche con una

memoria. Il comune di Marineo resiste con controricorso e im

op. cit., 76 ss.; Rescigno, Condizione, cit., 796 s., secondo cui «l'opi nione esatta è quella che restringe il campo di applicazione dell'art. 1359 alle condizioni casuali e miste per incompatibilità che altrimenti si determinerebbe tra la libertà dell'obbligato sotto condizione potesta tiva e l'obbligo (risultante ex art. 1359) di non ostacolare l'avvera mento della condizione»; così anche Barbero, Condizione (dir. civ.), voce del Novissimo digesto, Torino, 1959, III, 1105. Con particolare ri

guardo ai rapporti contrattuali tra privato e pubblica amministrazione, Rescigno, Condizione, cit., 763 ss., afferma che il motivo per cui è

inapplicabile la finzione di avveramento è da rinvenirsi nella discrezio nalità amministrativa del soggetto pubblico (con i relativi limiti deri vanti dallo ius poenitendi).

Sulla finzione di avveramento nel caso di condizione bilaterale, v. Cass. 6423/03, cit., dove si precisa che la norma dell'art. 1359 c.c., se condo cui la condizione del contratto si considera avverata qualora sia mancata per causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario al suo avveramento, non è applicabile nel caso in cui la parte tenuta con dizionatamente ad una determinata prestazione abbia anch'essa interes se all'avveramento di essa; 4178/98, cit.; 20 novembre 1996, n. 10220, Foro it., Rep. 1996, voce cit., n. 290, secondo la quale se l'efficacia (o la risoluzione) di un contratto sia subordinata ad un avvenimento futuro e incerto, il comportamento di una parte che, avendone interesse, ne abbia impedito l'evento, assume rilievo ex art. 1359 c.c., solo qualora la condizione sia apposta nell'interesse dell'altra parte, poiché nell'i

potesi di condizione bilaterale entrambi i contraenti hanno interesse che la condizione si avveri; pertanto, in quest'ultimo caso, non trova appli cazione l'art. 1359 c.c. che considera equivalente al verificarsi della condizione il suo non verificarsi dipendente da un comportamento po sitivo del contraente titolare di un interesse contrario. Dello stesso teno

re, Cass. 19 maggio 1992, n. 5975, id., Rep. 1992, voce cit., n. 273; v. anche Cass. 25 febbraio 1981, n. 1136, id., Rep. 1981, voce cit., n. 177, secondo la quale l'art. 1359 c.c. non è applicabile nel caso in cui la

parte tenuta condizionatamente ad una data prestazione abbia anch'essa interesse all'avveramento della condizione; pertanto, qualora un comu ne si sia impegnato a compensare l'incarico conferito ad un privato di

svolgere accertamenti tendenti al recupero di alcune tasse con la corre

sponsione di una quota parte delle somme che sarebbero state riscosse, la condizione della riscossione non può considerarsi avverata qualora sia mancata per fatto del comune, atteso l'interesse del comune stesso a che la condizione si verificasse.

Nell'individuare l'interesse della parte contraente nei cui confronti la condizione è stata apposta, Cass. 6423/03, cit., afferma che la condi zione può ritenersi apposta nell'interesse di una sola delle parti con traenti soltanto quando vi sia un'espressa clausola contrattuale che di

sponga in tal senso ovvero allorché (tenuto conto della situazione ri scontrabile al momento della conclusione del contratto) vi sia un insie me di elementi che nel loro complesso inducano a ritenere che si tratti

di condizione alla quale l'altra parte non abbia alcun interesse; in man

canza, la condizione stessa deve ritenersi apposta nell'interesse di en trambi i contraenti. Analogamente, Cass. 12 giugno 2000, n. 7973, id.,

Rep. 2000, voce cit., n. 443; 17 agosto 1999, n. 8685, id., Rep. 1999, voce cit., n. 430; 4178/98, cit.; 10220/96, cit.; 5975/92, cit.; 27 novem

bre 1992, n. 12708, id.. Rep. 1992, voce cit., 269; per la giurisprudenza di merito, App. Roma 14 gennaio 1986, id.. Rep. 1987, voce cit., n. 300. Per la valutazione dell'interesse contrario all'avveramento, Cass.

10220/96, cit., rinvia al momento genetico del contratto; in senso con

forme, Cass. 7377/96, cit. [R. Morese]

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Page 4: sezione I civile; sentenza 28 luglio 2004, n. 14198; Pres. Grieco, Est. Genovese, P.M. Sepe (concl. diff.); Romano (Avv. Punzo) c. Comune di Marineo; Comune di Marineo (Avv. Lo Monaco)

PARTE PRIMA 1920

pugna con ricorso incidentale, articolato in due motivi, del pari illustrati con memoria.

Motivi della decisione. — 1.1. - Con il primo motivo di ricor

so (con il quale denuncia violazione e falsa applicazione di

norme di diritto, art. 829 c.p.c. e art. 1359 c.c.) il ricorrente de

duce che la corte territoriale avrebbe errato ritenendo che il

collegio arbitrale avesse applicato l'art. 1359 c.c. (finzione di

avveramento della condizione), in luogo dell'art. 1453 (risolu zione per inadempimento).

1.2. - Con il secondo motivo di ricorso (con il quale denuncia

violazione e falsa applicazione di norme di diritto, art. 829 c.p.c. e art. 1359 c.c., nonché difetto di motivazione) il ricorrente, re

stando sul piano della valutazione dell'inadempimento contrat

tuale, lamenta che la corte d'appello non avrebbe rilevato che

gli arbitri avevano, da un lato, individuato l'obbligo giuridico

posto a carico del comune in quel dovere «di attivarsi in modo

adeguato e conducente per ottenere il finanziamento dell'opera» e, da un altro, violato tale obbligo, non inserendo il nuovo mat

tatoio nel programma triennale del 1994 ma, in suo luogo, il

programma di adeguamento del vecchio impianto. 1.3. - Con il terzo motivo di ricorso (con il quale denuncia

violazione e falsa applicazione di legge, in relazione all'art.

1359 c.c.) il professionista deduce che, anche volendo rimanere

sul piano del negozio condizionato, laddove la corte d'appello ha creduto dì porre la questione, la sentenza censurata avrebbe

comunque errato nel considerare che anche il comune avesse un

pari interesse all'avveramento della condizione. Tale interesse,

infatti, pur presente, sarebbe estraneo al piano contrattuale,

quello del negozio d'opera professionale, poiché su questo rile

verebbe soltanto l'interesse del professionista. 2.1. - Con il primo motivo di ricorso incidentale (con il quale

deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 23 d.l. n. 66 del

1989, convertito nella 1. n. 144 del 1989, che subordina la vali

dità ed efficacia dei rapporti obbligatori della pubblica ammini

strazione: alla sussistenza di regolari impegni di spesa pena la

intercorrenza del rapporto «tra il privato fornitore e l'ammini

stratore o funzionario che abbia consentito la fornitura») il co

mune lamenta la mancata valutazione del fatto che il compenso

previsto era privo dell'impegno di spesa e, quindi, invalido.

2.2. - Con il secondo motivo di ricorso incidentale (con il

quale deduce violazione e falsa applicazione degli art. 91 e 92

c.p.c., nonché difetto di motivazione) il ricorrente si duole della

mancata condanna del soccombente al pagamento delle spese e

della mancata motivazione della loro compensazione totale.

3. - Preliminarmente, deve disporsi la riunione dei due ricorsi,

proposti contro la stessa sentenza.

4. - Il ricorso principale, per la stretta connessione esistente

tra i motivi proposti, ne esige la contestuale trattazione. Esso è

fondato e va accolto.

4.1. - Va premesso che la qualificazione giuridica data dalla

corte d'appello alla fattispecie concreta, oggetto della contro

versia, è contestata dal ricorrente, il quale ha proposto, davanti

agli arbitri, una pluralità di domande e, per quanto vorrebbe te ner fermo — con i primi due motivi — il piano dei rimedi si

nallagmatici e pervenire ad una convalida dell'esito arbitrale

(con l'affermazione dell'avvenuta risoluzione del contratto d'o

pera intellettuale, intercorso tra il comune di Marineo e l'ing. Antonio Romano, con riferimento alla progettazione e alla dire zione dei lavori per la realizzazione di quel nuovo mattatoio comunale mai realizzato, ai sensi dell'art. 1453 c.c.), non si op pone

— con il terzo motivo — ad una diversa configurazione della responsabilità del comune, facendo propria la teorica del

negozio condizionato.

Com'è noto, però, la richiesta di applicazione del rimedio funzionale (l'azione di risoluzione) non attiene alla struttura del

negozio, bensì la presuppone, essendo un rimedio pratico com

patibile solo con i contratti a prestazioni corrispettive, al quale novero appartiene, senza contrasto, il contratto d'opera intercor

so tra le parti.

Questo, però, ha formato oggetto, secondo la prospettazione del ricorrente (al di là della motivazione che non ne dà conto) di un'ulteriore qualificazione da parte della corte d'appello, che non lo ha considerato alla stregua dei negozi puri e immediata mente efficaci ma, al contrario, come un accordo sottoposto ad

una condizione sospensiva (il diritto di credito del professioni sta era stato subordinato ad un evento fattuale, futuro ed incerto: il finanziamento dell'opera pubblica da parte delle amministra zioni competenti). Più precisamente, la corte territoriale ha qua

li. Foro Italiano — 2006.

lificato il negozio come sottoposto ad una condizione mista, «in

quanto l'efficacia del contratto era subordinata alla verificazio

ne di un evento futuro ed incerto dipendente in parte dalla vo

lontà di uno dei contraenti» (e ciò in quanto la «concessione del

finanziamento dipendeva anche da comportamento del comune

che, a giudizio degli arbitri, manifestò, successivamente, per se

gni inequivoci, la volontà di non avvalersene»). Tale precisazione della qualificazione giuridica dei fatti ac

certati dagli arbitri, rilevante ai fini dell'accoglimento della do

manda del comune, non è censurabile in Cassazione perché (contrariamente a quanto opina il ricorrente che aveva visto ac

colta la sua domanda, davanti agli arbitri) rientra nei poteri del

giudice investito dell'impugnazione di nullità del lodo, anche

nella fase rescindente del proprio giudizio, quello di dare ai fatti

accertati dagli arbitri una diversa o ulteriore qualificazione, pur ché funzionale all'accoglimento della domanda della parte attri

ce in impugnazione (nella specie: la domanda di annullamento

del lodo per violazione di una regola giuridica) e senza l'eserci

zio di poteri di accertamento del fatto, che dev'essere identico a

quello contenuto nel lodo impugnato e non può subire modifica

zioni. Nella stessa linea di pensiero, questa corte ha affermato

(sentenza n. 14865 del 2000, Foro it., Rep. 2000, voce Cassa

zione civile, n. 80) che, persino in Cassazione, l'esatta qualifi cazione giuridica delle questioni dedotte in giudizio (sostanziali, attinenti al rapporto, o processuali, attinenti all'azione ed all'ec

cezione), può essere operata, anche d'ufficio, dalla corte, nel

l'esercizio dell'istituzionale potere di censura degli errori di di

ritto, ove le circostanze — a tal fine rilevanti — siano state

compiutamente prospettate nella pregressa fase di merito dalla

parte interessata.

Tale potere è stato — in linea di principio —

legittimamente esercitato dalla corte territoriale, la quale ha anche specificato i

fatti (certi e non controversi) idonei a dare quella qualificazione

giuridica della fattispecie, ricostruita in fatto dagli arbitri.

Vanno, perciò, disattese le doglianze del ricorrente, in parte

qua, sebbene, presumibilmente, ancorate ad una giurisprudenza, anche di questa corte, riportata nella stessa sentenza di merito, secondo la quale un congegno negoziale, sottoposto ad una con

dizione mista, non può avere ad oggetto un obbligo giuridico

per il segmento non casuale attribuito alla volontà della parte (nella specie, il comune che aveva interesse, ma non il dovere, di attivarsi nel chiedere il finanziamento dell'opera progettata dal professionista).

4.2. - Invero, tale giurisprudenza, in tema di contratto condi

zionato, ha bensì sostenuto, anche recentemente (Cass. n. 6423

del 2003, id.. Rep. 2003, voce Contratto in genere, n. 391), che

l'omissione di un'attività in tanto può ritenersi contraria a buo

na fede e costituire fonte di responsabilità, in quanto l'attività

omessa costituisca oggetto di un obbligo giuridico, e che la sus

sistenza di un siffatto obbligo deve escludersi per l'attività di

attuazione dell'elemento potestativo in una condizione mista. Ma tale assetto dei principi nella materia negoziale sottoposta

a condizione non appare soddisfacente e suggerisce più d'una

ragione di riconsiderazione, anche in seguito alle non trascura

bili sollecitazioni dottrinali.

4.2.1. - È stato osservato, infatti, che la natura potestativa di

uno dei due segmenti in cui si articola la condizione mista non

può tradursi nell'assoluta arbitrarietà di comportamento per

quella parte che — in base all'accordo contrattuale — è chia mata ad esprimere quella volontà che costituisce anche una

componente della condizione.

L'art. 1355 c.c., infatti, pilastro estremo di tale disciplina, sanziona di nullità la pattuizione che ne faccia dipendere l'effi

cacia «dalla mera volontà dell'alienante o ... del debitore». Ciò

in quanto il fenomeno della regolazione giuridica non può pren dere in considerazione, se non per escluderne la validità o la

tutela, il mero capriccio ovvero il dominio assoluto della vo

lontà arbitraria e non responsabile. Essa, infatti, prende in considerazione il fenomeno condizio

nale solo in riferimento al perseguimento di interessi leciti e

meritevoli di tutela.

Perciò l'art. 1354 c.c., in questa stessa prospettiva, considera nulle le condizioni contrarie a norme imperative, all'ordine

pubblico o al buon costume. In una qualche misura, l'aspettativa del contraente interessato all'avveramento della condizione è

tutelata dall'ordinamento, poiché alcune disposizioni codicisti che prevedono una peculiare disciplina in ordine al periodo di

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

pendenza della condizione, e stabiliscono, in particolare, quale debba essere il comportamento delle parti nello stato di penden za (art. 1358) o la sanzione (la c.d. fictio di avveramento) in ca

so di mancanza di essa «per causa imputabile alla parte che ave

va interesse contrario» al suo verificarsi (art. 1359). La prima disposizione obbliga, in particolare, la parte che ha

una posizione forte all'interno del rapporto contrattuale, a

«comportarsi secondo buona fede per conservare integre le ra

gioni dell'altra parte». Tale obbligo è bensì riconosciuto dalla giurisprudenza di que

sta corte (v. sent. n. 14865 del 2000, cit.) ma da esso debbono

trarsi tutte le conseguenze che ne sono implicite. 4.2.2. - Esaminando un caso pressoché analogo a quello og

getto di questa controversia, la corte (sentenza n. 9587 del 2000,

id., 2001, I, 2613), sia pure impegnata nella risoluzione del di

verso problema della natura vessatoria (o meno) della clausola

contrattuale di subordinazione del pagamento del compenso al

professionista —

progettista di un'opera per conto di un altro

comune — al finanziamento dell'opera, ha avuto modo di af

fermare che «tale clausola non è neppure meramente potestati va, e come tale ancora nulla ... La condizione in parola, infatti, certamente dipende dalla volontà di una sola delle parti ma il

suo verificarsi o meno non è indifferente per la stessa, alla stre

gua di un mero si voluero. Non si può dubitare, infatti, della

piena funzionabilità della pattuizione ad uno specifico interesse

dedotto come tale nel contratto e perciò stesso oggetto del me

desimo».

In sostanza, la corte — con questa sentenza — ha già ricono

sciuto che il comportamento del comune, rispondendo ad una

elezione procedimentalizzata dell'interesse pubblico, non può ridursi a mera volontà capricciosa ma deve incanalarsi nelle

forme proprie dell'attività amministrativa e nelle conseguenti forme di responsabilità.

Nello stesso caso, al professionista che lamentava anche la

violazione dell'art. 1375 c.c., sostenendo che il comune aveva

fatto trascorrere cinque anni prima di proporre la domanda di fi

nanziamento del progetto e che era mancata l'indagine in ordine

al verificarsi dell'evento dedotto in condizione, «che era obbli

go del comune» di assicurare, il collegio ha risposto «che ai

sensi dell'art. 1375 c.c., le parti nel contratto sono tenute ad un

complessivo comportamento che nel perseguimento del preci

puo interesse egoistico non comprometta quello del contraente, considerato nel momento di formazione della volontà contrat

tuale». Tanto premesso, la domanda è stata poi rigettata perché «è onere di chi afferma la violazione di tale obbligo di darne la

prova». E la sentenza impugnata aveva rilevato che era stata al

legata semplicemente la circostanza del lasso di tempo trascorso

fino alla presentazione della domanda di finanziamento, ma non

era stato dimostrato che proprio tale lasso di tempo avesse pro vocato il lamentato mancato finanziamento.

4.2.3. - Tale «arresto giurisprudenziale», particolarmente in

teressante in questa sede, è già pervenuto ad affermare l'esi

stenza di un vero e proprio «obbligo giuridico» per il comune

(e, in genere, per la pubblica amministrazione) di assicurare un

comportamento che non comprometta le ragioni dell'altro con

traente (ossia, quello che ha interesse all'avverarsi della condi

zione) e che si sostanziava, anzitutto, nell'obbligo di presenta zione della domanda di ammissione del progetto al finanzia

mento.

Tale obbligo, ovviamente, non discende dalla formulazione

delle pattuizioni negoziali ma direttamente dalla legge e cioè

dall'art. 1358 c.c. il quale obbliga, come si è già detto, la parte che ha una posizione «forte» all'interno del rapporto contrat

tuale, a «comportarsi secondo buona fede per conservare integre le ragioni dell'altra parte». Tale previsione, che è speciale, ri

spetto a quella generale di cui all'art. 1375 c.c., comportava per la pubblica amministrazione, il dovere «di attivarsi in modo

adeguato e conducente per ottenere il finanziamento dell'ope

ra», giustamente sottolineato dall'odierno ricorrente, e che, in

vece, è stato ingiustamente escluso dalla corte territoriale, per la

sua presunta incompatibilità con la condizione mista.

Infatti, questa corte (Cass. n. 10514 del 1998, id., 1999, I,

1891) ha avuto modo di stabilire che gli obblighi di correttezza

e buona fede, che nel rapporto contrattuale (nel caso esaminato,

quello di lavoro) hanno la funzione di salvaguardare l'interesse

della controparte alla prestazione dovuta e all'utilità che la stes

II Foro Italiano — 2006.

sa le assicura, imponendo una serie di «comportamenti di con

tenuto atipico», vengono individuati mediante un giudizio ap

plicativo di norme elastiche e soggetto al controllo di legittimità al pari di ogni altro giudizio fondato su norme di legge (nella

specie, gli obblighi stessi sono stati individuati con il rispetto del complesso di regole in cui si sostanzia la civiltà del lavoro

in un certo contesto storico-sociale). Tali obblighi, insomma,

consistono nell'insieme dei principi giuridici puntualizzati dalla

giurisdizione di legittimità, e vengono, quindi, ad assumere la

consistenza di standard che rispetto a detti principi sono in rap

porto essenziale ed integrativo. 4.2.4. - Con riferimento al comportamento della parte pubbli

ca, nella pendenza della condizione del finanziamento delle ope re, gli arbitri (prima) e la corte d'appello (poi) erano chiamati a

controllare l'osservanza — da parte del comune — del principio del perseguimento dell'interesse pubblico, già individuato con

la conclusione del contratto di progettazione, e necessitante del

suo completamento con l'espletamento dei procedimenti ammi

nistrativi, conducenti al conseguimento del finanziamento del

l'opera. Certo la pubblica amministrazione può ben mutare le sue va

lutazioni, ma allora essa assume ogni responsabilità, per tale

cambiamento di posizione in ordine all'interesse pubblico da

perseguire, nei confronti di coloro con i quali ha contrattato e

che, avendo riposto affidamento su quello, sono divenuti porta tori di posizioni di diritto soggettivo o di aspettativa tutelata, nascenti dal rapporto instaurato in via negoziale.

Questa corte ha già avuto modo di affermare (sent. n. 157 del

2003, id., 2003,1, 78; ma v. anche Cass. n. 14333 del 2003, id.,

2004,1, 792) che se la responsabilità della pubblica amministra

zione, invocata per atto illegittimo risalente agli anni settanta, va inquadrata nello schema del danno ingiusto, di cui all'art.

2043 c.c., con riferimento al periodo successivo all'entrata in

vigore della 1. n. 241 del 1990, è invocabile la nuova concezione

dei rapporti tra cittadino e amministrazione, in virtù della quale la pretesa alla regolarità dell'azione amministrativa va valutata

secondo i canoni contrattuali di correttezza e buona fede.

E a tali canoni, integrati dalle previsioni stabilite dalla 1. n.

241 del 1990, che deve improntarsi la valutazione del giudice di

merito, il quale ha errato nell'escludere la possibilità di un qual siasi controllo sul comportamento del comune, nella pendenza della condizione, in base all'erronea affermazione in diritto, se

condo la quale il comportamento dell'amministrazione, in tali

casi, sarebbe svincolato da qualsiasi doverosità.

4.2.5. - Tuttavia, la corte territoriale ha censurato il lodo ar

bitrale ravvisando un'altra violazione di legge, ossia una viola

zione dell'art. 1359 c.c., il quale esige, perché sia integrata la

fictio di avveramento della condizione che, per la parte che ab

bia dato luogo a quella causa impeditiva del fatto dedotto in

condizione, sussista, quale presupposto, sul piano dell'interpre tazione negoziale (e senza che possano prendersi in considera

zione fatti sopraggiunti nel corso dell'esecuzione del contratto) «un interesse contrario all'avveramento dì essa».

Tale interesse contrario è stato escluso dalla corte, previa l'i

dentificazione della domanda — proposta dal professionista —

come un'azione di inadempimento per avvenuto avveramento

fittizio della condizione di finanziamento e non già per respon sabilità ex art. 1358 c.c., tout court. Tale ultima disposizione,

infatti, può ben legittimare un'autonoma domanda di risarci

mento dei danni, basata esclusivamente sulla violazione degli

obblighi di buona fede e correttezza, in pendenza della condi

zione, ma, nella specie, si assume — da parte della corte territo

riale — che, quella proposta, sia solo una domanda di responsa bilità per avveramento della condizione, ai sensi dell'art. 1359

c.c.

4.2.6. - Ebbene, anche a questo proposito, la sentenza della

corte territoriale va censurata. Essa, infatti, ha annullato il lodo

arbitrale sostenendo che, sul piano negoziale, non risultava l'e

sistenza di un contrario interesse del comune all'avveramento

della condizione.

Ma, così facendo, la corte territoriale si è sostituita al collegio arbitrale ed ha compiuto una valutazione delle clausole contrat

tuali che non è di spettanza del giudice dell'impugnazione del

lodo, salvo che le parti (e ciò non risulta dalla motivazione della

sentenza) ne abbiano censurato la ricostruzione in base alla

violazione degli art. 1362 ss. c.c.

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PARTE PRIMA 1924

Questa corte ha, invece, affermato (sent. n. 11241 del 2002,

id., Rep. 2002, voce Arbitrato, n. 158), da un lato, che l'inter

pretazione, da parte degli arbitri, di una disposizione in senso

lato negoziale (contenuta in un contratto, un capitolato, uno

statuto, ecc.) può essere contestata, attraverso l'impugnazione

per nullità del lodo, soltanto in relazione alla violazione od er

ronea applicazione di una norma, o di un principio, di ermeneu

tica contrattuale (debitamente specificato); e, da un altro (Cass. n. 6423 del 2003, id.. Rep. 2003, voce cit., n. 185), che in tema

di impugnazione di lodo rituale, ai sensi dell'art. 829, 2° com

ma, c.p.c., l'interpretazione degli arbitri in ordine al contenuto

di una clausola contrattuale non può essere contestata per la ri

costruzione operata della volontà delle parti, né sostituita con

un'interpretazione diversa.

La sentenza oggi impugnata che, da un lato, ha contravvenuto

ai principi di diritto stabiliti in materia di limiti al controllo delle determinazioni arbitrali, invadendo l'autonomia del colle

gio privato e, da un altro, ha violato i principi vigenti in materia

di comportamento delle parti nello stato di pendenza della con

dizione, va cassata con rinvio della causa ad altra sezione della

stessa corte territoriale, per un nuovo esame dell'impugnazione di nullità, in osservanza dei principi anzidetti.

5. - Va, a questo punto, esaminato il primo motivo del ricorso

incidentale, proposto dal comune (per l'accessorietà del secon

do motivo, riguardante il regolamento delle spese, da considera

re assorbito in conseguenza della cassazione della sentenza im

pugnata). 5.1. - Il motivo è infondato e comporta la reiezione dell'inte

ro ricorso.

Il contratto d'opera professionale, condizionato all'erogazio ne del finanziamento da parte delle competenti amministrazioni

pubbliche, si sottrae all'applicazione della previsione di cui al

l'art. 23 d.l. n. 66 del 1989 (convertito nella 1. n. 144) poiché es

so è, per sua definizione, un contratto la cui efficacia è subordi

nata all'erogazione del finanziamento. Di conseguenza, tutta la

problematica della responsabilità per i c.d. debiti fuori bilancio, nascenti dalla previsione invocata, esula, perché completamente estranea, dalla fattispecie astratta postulata nel caso di specie.

6. - In ragione della cassazione della sentenza impugnata, la

causa va, pertanto, rinviata ad altra sezione della Corte d'ap

pello di Palermo.

I

CORTE D'APPELLO DI MILANO; sentenza 20 marzo

2006; Pres. Odorisio, Est. Piombo; Abbate e altri (Avv. Pepe,

Cordola) c. Soc. Icmesa e Givaudan Suisse SA (Avv. Brog

GINI, LeNSKI).

CORTE D'APPELLO DI MILANO;

Prescrizione e decadenza — Eccezione di prescrizione del

convenuto — Poteri del giudice — Fattispecie in tema di

risarcimento dei danni da esposizione a sostanze inquinan ti (Cod. civ., art. 2947; cod. proc. civ., art. 112).

Una volta che il convenuto abbia eccepito la prescrizione del

diritto vantato dall'attore, allegando il fatto su cui si basa il

suo decorso, rientra nella potestà del giudice accertare il

dies a quo e il dies ad quem del termine prescrizionale (nella

specie, in relazione ad un illecito integrante gli estremi del

reato, la corte ha rigettato l'impugnazione avverso le statui

zioni con cui il tribunale, adito per il risarcimento dei danni

lamentati da chi risiedeva in prossimità di un impianto pro duttivo dal quale era fuoriuscita una nube tossica, aveva ac

colto l'eccezione di prescrizione, imperniata sulla circostan

za che nel procedimento penale a carico degli autori dell'il

lecito era divenuta irrevocabile la sentenza d'appello, indi

viduando come dies a quo la data di deliberazione della pro

li. Foro Italiano — 2006.

nuncia confermativa della Cassazione, e non quella del suo

deposito, erroneamente evocata dai convenuti nel sollevare

l'eccezione). (1)

II

CORTE D'APPELLO DI MILANO; sentenza 10 dicembre 2005; Pres. Deodato, Est. Piombo; Soc. Icmesa (Avv. Brog

gini, Lenski) c. Anania e altri (Avv. Borasi).

Danni in materia civile — Esposizione a sostanze inquinanti — Danno morale — Turbamento psichico

— Prova —

Fattispecie (Cod. civ., art. 2059).

Ai fini del risarcimento del danno morale sofferto da quanti ri

siedevano in prossimità di un impianto produttivo dal quale era fuoriuscita una nube tossica, la prova che ciascuno di es

si abbia in concreto subito un turbamento psichico, di natura

transitoria, a causa dell'esposizione alle sostanze inquinanti e delle conseguenti limitazioni del normale svolgimento della

propria vita, può essere data per via di presunzioni o ricor

rendo a fatti notori (nella specie, dal fatto che la popolazione residente nelle zone circostanti lo stabilimento fosse stata

sottoposta per un lungo periodo di tempo a continui controlli

sanitari ed a gravose prescrizioni di comportamento, si è de

sunto che in ciascuno degli attori si fosse determinato uno

stato di preoccupazione per la propria salute e, quindi, di

turbamento, tensione ed ansia). (2)

(1-2) I. - A trent'anni di distanza dal disastro ambientale verificatosi a Seveso, non si è ancora esaurito il filone delle controversie risarcito ne promosse da quanti risiedevano nelle zone maggiormente colpite dalla nube tossica. Contribuiscono ad alimentarlo le due decisioni della corte ambrosiana riportate in epigrafe, redatte dal medesimo estensore, che danno luogo ad esiti diametralmente opposti per i rispettivi pro motori. Negativa è la pronuncia sub I, che avalla la declaratoria di estinzione (ad opera di Trib. Milano 27 marzo 2003, massimata in

Resp. civ., 2006, 808) del diritto al risarcimento, da ritenere ormai pre scritto perché le relative istanze erano state formulate oltre il quinquen nio dalla data di deliberazione della sentenza con cui la Cassazione aveva definito il giudizio penale scaturito dal citato episodio di inqui namento, determinando l'irrevocabilità del provvedimento in quella se de impugnato e facendo così scattare il decorso del termine computato in base all'ultimo comma dell'art. 2947 c.c. Favorevole, invece, ai

danneggiati è la pronuncia sub II, che conferma Trib. Milano 9 giugno 2003, Foro it., Rep. 2004, voce Danni civili, n. 216 (su cui v. S. Caca

ce, Seveso e cinquemila euro di paura, in Danno e resp., 2004, 73; D.

Feola, Il risarcimento del danno morale nel caso «Seveso», in Resp. civ., 2004, 808), respingendo le censure avverso la liquidazione del danno morale operata in primo grado a beneficio delle vittime del fatto criminoso.

II. - Per giustificare l'anticipo del dies ad quem della prescrizione ri

spetto alla data indicata dal convenuto, la sentenza sub I richiama la decisione con cui le sezioni unite hanno riconosciuto al giudice il pote re di applicare ex officio la prescrizione ordinaria, ove la parte, solle vata la relativa eccezione, abbia errato nel qualificarla, invocando una

prescrizione breve (cfr. Cass. 25 luglio 2002, n. 10955, Foro it., 2003, I, 879, con nota di J.V. D'Amico, annotata altresì da E. Canavese, L'eccezione di prescrizione nel sistema delle preclusioni: un'impor tante pronuncia delle sezioni unite, in Giur. it., 2003, 663).

Nel senso che la riserva alla parte del potere di sollevare l'eccezione

implica che ad essa sia fatto onere soltanto di allegare il suo elemento costitutivo e di manifestare la volontà di profittare dell'effetto estinti

vo, non anche di indicare direttamente o indirettamente (cioè attraverso

specifica menzione della durata dell'inerzia) le norme applicabili al ca so di specie, v. Cass. 3 novembre 2005, n. 21321, Foro it., Mass., 1929; 10 maggio 2005, n. 9768, ibid., 1047; 23 agosto 2004, n. 16573, id.,

Rep. 2004, voce Prescrizione e decadenza, n. 49; 8 marzo 2004, n. 4668, ibid., n. 33 (dove si specifica che, in caso di pluralità di crediti azionati, è necessario che l'elemento costitutivo sia specificato, doven do il convenuto precisare il momento iniziale dell'inerzia in relazione a ciascuno di essi).

Secondo Cass. 22 dicembre 2004, n. 23817, id., 2005, I, 3395, il ca rattere dispositivo della prescrizione comporta, per la parte che propon ga la relativa eccezione, l'onere di tipizzarla inequivocabilmente in ba se ad una delie ipotesi previste dalla legge, pur senza l'adozione di formule rituali o l'indicazione di norme di legge, e di allegare l'avve nuto decorso del tempo necessario a farla maturare.

Ove il giudizio penale si sia concluso con una sentenza contenente anche la condanna generica al risarcimento dei danni a carico del re

sponsabile civile ed in favore del danneggiato costituitosi parte civile, la successiva azione volta alla quantificazione del danno è soggetta al

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