sezione I civile; sentenza 28 luglio 2004, n. 14198; Pres. Grieco, Est. Genovese, P.M. Sepe (concl.diff.); Romano (Avv. Punzo) c. Comune di Marineo; Comune di Marineo (Avv. Lo Monaco) c.Romano. Cassa App. Palermo 24 maggio 2000Source: Il Foro Italiano, Vol. 129, No. 6 (GIUGNO 2006), pp. 1915/1916-1923/1924Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23203447 .
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PARTE PRIMA
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 28 lu
glio 2004, n. 14198; Pres. Grieco, Est. Genovese, P.M. Sepe
(conci, diff.); Romano (Avv. Punzo) c. Comune di Marineo; Comune di Marineo (Avv. Lo Monaco) c. Romano. Cassa
App. Palermo 24 maggio 2000.
Contratto in genere, atto e negozio giuridico — Condizione
mista — Comportamento omissivo — Responsabilità —
Fattispecie in materia di contratti con la pubblica ammini
strazione (Cod. civ., art. 1355, 1358, 1359, 1375).
La pattuizione, contenuta nel contratto tra un comune ed un
professionista incaricato di progettare un'opera pubblica, secondo cui il pagamento dell'onorario è subordinato al
l'ammissione a finanziamento dell'opera, integra gli estremi
di una condizione sospensiva mista, in pendenza della quale l'amministrazione è tenuta a comportarsi secondo buona fede anche in relazione al segmento non casuale della condizione, andando incontro a responsabilità nei confronti del profes sionista in caso di omissione dell'attività necessaria per ac
cedere al finanziamento. (1)
(1) I. - La Suprema corte si discosta consapevolmente da Cass. 22
aprile 2003, n. 6423, Foro it.. Rep. 2003, voce Contratto in genere, n. 393 (per esteso, Contratti, 2003, 1096, con nota di Besozzi), secondo
cui, nell'ipotesi di contratto condizionato, l'omissione di una determi nata attività da parte della pubblica amministrazione in tanto può quali ficarsi contraria a buona fede, in quanto costituisca oggetto di uno spe cifico obbligo giuridico, sì che l'amministrazione va esente da respon sabilità per non aver posto in essere l'attività volta all'attuazione di una condizione mista, con conseguente inapplicabilità dell'art. 1359 c.c.
Segnatamente, Cass. 6423/03 negava l'applicabilità della norma relati va alla finzione di avveramento, sul presupposto della natura bilaterale riconosciuta alla condizione mista apposta al contratto stipulato tra co mune e privato.
In senso analogo si erano espressi: Tar Puglia, sez. II, 4 dicembre 1997, n. 953, Foro it.. Rep. 1998, voce Contratti della p.a., n. 446, se condo cui la mancata realizzazione della condizione mista bilaterale non può essere imputabile alla (sola) inerzia dell'amministrazione e non comporta, quindi, violazione del dovere di buona fede ex art. 1358 c.c. (fattispecie relativa all'apposizione ad un bando di gara di una condizione che subordinava l'affidamento di lavori alla ditta aggiudi cataria al reperimento di finanziamenti); Cass. 13 aprile 1985, n. 2464, id., Rep. 1986, voce Contratto in genere, n. 252 (e Nuova giur. civ., 1985, 1, 610, con nota di Belfiore), secondo cui la condotta omissiva
(della pubblica amministrazione) può essere considerata causa del man cato verificarsi della condizione solo nel caso in cui l'inerzia costitui sca violazione dì un preciso obbligo, imposto dalla legge o da apposita clausola contrattuale; 5 gennaio 1983, n. 9, Foro it., Rep. 1983, voce
cit., n. 184 (e Giust. civ., 1983, I, 1524, con nota di Costanza), dove si
puntualizza che il requisito dell'oggettiva incertezza dell'evento de dotto in condizione fa escludere che, qualunque ne sia la natura, esso
possa, per sé e per la sua qualificazione, costituire oggetto di obbliga zione e quindi di prestazione dovuta dai contraenti o da uno soltanto di
essi; il che vale per ogni tipo di condizione, ivi comprese quelle pote stative e miste, in cui il verificarsi dell'evento dipende in tutto o in
parte dalla volontà di (almeno) uno dei contraenti. Per la giurisprudenza di merito, v. Trib. Messina 11 febbraio 1984,
Foro it., Rep. 1985, voce Lavoro autonomo, n. 5, in cui si afferma che il diritto del professionista al compenso per l'opera prestata può essere
sottoposto alla condizione sospensiva del conseguimento di un risultato utile per il committente (sicché è valida la condizione secondo cui il
progetto di un'opera pubblica verrà retribuito da un comune solo se
l'opera sarà finanziata da altro ente pubblico), ma la condizione si con sidera avverata ex art. 1359 c.c., qualora l'amministrazione non abbia
espletato la procedura necessaria all'erogazione dei fondi (una soluzio ne, dunque, fondata su una diversa traiettoria argomentativa rispetto a
quella seguita della decisione in epigrafe). II. - La novità della pronuncia risiede nel fatto che il riconoscimento
della responsabilità della pubblica amministrazione, per la mancata at tuazione di una condizione bilaterale mista, avvenga esclusivamente sulla base dell'art. 1358 c.c., di cui si valorizza l'idoneità a fondare
l'obbligo giuridico di conservare integre le ragioni del contraente avente interesse all'avveramento della condizione (superando, così, i limiti di applicazione dell'art. 1359 c.c.).
Sulla scorta di un'ormai diffusa tendenza ad ampliare i confini della
responsabilità della pubblica amministrazione (v., ad es., Cass. 25 no vembre 2003, n. 17940, id., Rep. 2003, voce Responsabilità civile, n.
211, sul versante dell'illecito aquiliano; e, per una diversa prospettiva, Cass. 10 gennaio 2003, n. 157, id., 2003, I, 78, con nota di Fracchia, dove si configura una responsabilità da contatto, la cui considerazione
s'impone dopo l'entrata in vigore della 1. n. 241 del 1990, in virtù della
quale la pretesa alla regolarità dell'azione amministrativa va valutata secondo i canoni contrattuali di correttezza e buona fede), nella deci sione in epigrafe la Cassazione afferma che il comportamento del co
II Foro Italiano — 2006.
Svolgimento del processo. — 1. - Il comune di Marineo con
feriva, nel corso dell'anno 1989, all'ing. Antonio Romano l'in
carico di progettazione e direzione dei lavori per la realizzazio
ne di un nuovo mattatoio comunale. A tal uopo approvava anche
il disciplinare di incarico relativo, contenente una clausola
(l'art. 11) nella quale era stabilito che l'onorario sarebbe stato
corrisposto solo dopo che l'opera sarebbe stata ammessa a fi
nanziamento mentre il professionista s'impegnava a non preten dere alcun compenso, nemmeno per spese vive, «qualora l'ope ra non venisse ammessa a finanziamento».
mune non può ridursi «a mera volontà capricciosa», bensì deve «inca nalarsi nelle forme proprie dell'attività amministrativa e nelle conse
guenti forme di responsabilità». In altri termini, la natura potestativa di uno dei due segmenti della condizione mista non può tradursi in asso luta arbitrarietà di comportamento della parte tenuta ad esprimere la volontà che integra una componente della condizione.
Sul riconoscimento dell'obbligo, per la pubblica amministrazione, di
comportarsi secondo il principio di buona fede in pendenza della con
dizione, cfr. Cass. 21 luglio 2000, n. 9587, id., 2001, I, 2613, che. pur occupandosi del diverso problema della natura vessatoria della clausola contrattuale che subordina al finanziamento dell'opera il pagamento del
compenso a chi l'ha progettata per conto di un comune, precisa che il
comportamento della pubblica amministrazione (in pendenza di condi
zione) deve rispettare i principi propri dell'attività amministrativa, per il perseguimento dell'interesse pubblico.
III. - Sulla valutazione del comportamento abusivo in pendenza di
condizione, condotta esclusivamente ai sensi dell'art. 1358 c.c., non constano pronunce rese in vertenze tra privati e pubblica amministra zione.
In termini più generali, v. Cass. 18 marzo 2002, n. 3942, id.. Rep. 2002, voce Contratto in genere, n. 370, dove si afferma che, qualora la condizione (sospensiva) non si verifichi, non è configurabile un ina
dempimento delle obbligazioni rispettivamente assunte dalle parti con il contratto, posto che l'inadempimento contrattuale è verificabile solo in relazione ad un contratto efficace; ne discende che, in tale ipotesi, non può farsi luogo a risoluzione per inadempimento delle obbligazioni contrattuali, ma, eventualmente, solo per inadempimento dell'obbliga zione prevista dall'art. 1358 c.c., il quale prescrive l'obbligo di ciascun
contraente, in pendenza della condizione, di osservare i doveri di lealtà e correttezza in modo da non influire sul verificarsi dell'evento condi zionante pendente (nella specie, l'efficacia di un contratto preliminare di vendita di un terreno era stata condizionata alla definitiva approva zione del nuovo strumento urbanistico); 2 luglio 2002, n. 9568, id., Rep. 2003, voce cit., n. 316 (Riv. not., 2003, 483, con nota di Vocatu
ro; Arch, civ., 2003, 1300, con nota di Tombesi), secondo cui chi con clude un patto di prelazione relativo alla vendita di un proprio bene
immobile, sotto la condizione sospensiva del rilascio di una determi nata autorizzazione amministrativa, ha il dovere, in pendenza dell'av veramento della condizione, di comportarsi secondo buona fede, aste nendosi dal compiere atti pregiudizievoli degli interessi dell'altro con
traente, sia con riferimento all'oggetto della prestazione, che con rife
rimento all'avveramento della condizione (con la precisazione che tra
gli atti pregiudizievoli può rientrare la vendita a terzi dell'immobile); Coli. arb. Milano 19 luglio 1993, Foro it., Rep. 1994, voce cit., n. 327
(Contratti, 1994, 681, con nota di Mucio), per cui l'art. 1358 c.c. im
pone esclusivamente l'obbligo di astenersi da quanto possa pregiudica re gli interessi della controparte.
Inoltre, l'obbligo di comportarsi secondo buona fede in pendenza di condizione è espressamente riconosciuto in capo al privato da Cass. 22 marzo 2001. n. 4110, Foro it., Rep. 2001, voce cit., n. 372.
A proposito dei comportamenti abusivi in pendenza della condizione, Rescigno, Condizione (dir. vig.), voce dell' Enciclopedia del diritto, Milano, 1961, Vili, 798 ss., ritiene che, pur essendovi l'esigenza di ri
spettare la sfera di discrezionalità del contraente, occorre sanzionare il
comportamento della parte che scorrettamente tenti di impedire il veri ficarsi della condizione sospensiva o di provocare l'avveramento della condizione. In altri termini, la libertà dell'obbligato sotto condizione
potestativa è compatibile e coesiste, nella misura consentita dalla nor ma cogente, con l'obbligo legale di conservare integre le ragioni del l'altra parte (Id., L'abuso del diritto, in Riv. dir. civ., 1965, I, 203; in
argomento, cfr. anche Vitucci, «Condicio est in obligatione: ex lege» (sulla finzione di avveramento e la condizione potestativa), id., 1998, I, 23; Pecennini, La finzione di avveramento della condizione, Padova, 1994, 82; Maiorca, Condizione, voce del Digesto civ., Torino, 1988, III, 303; Bruscuglia, Pendenza della condizione e comportamento se condo buona fede, Milano, 1975, 57; Trimarchi, Finzione di avvera mento e finzione di non avveramento della condizione, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1966, 827). Si discute, nondimeno, su quali siano i com
portamenti vietati, in presenza di una condizione potestativa, attesa «la natura elastica del concetto di buona fede» (Vitucci, op. cit., 22).
IV. - Nella decisione in epigrafe, l'obbligo di correttezza non discen de da pattuizioni negoziali, bensì direttamente dall'art. 1358 c.c., che
obbliga la parte avente una «posizione contrattuale forte» a comportarsi secondo buona fede per conservare integre le ragioni dell'altra parte.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Il professionista, nel giugno 1990, trasmetteva al comune il
progetto esecutivo dell'opera. Qualche anno dopo, dalla lettura dei giornali egli apprendeva
che l'ente locale aveva aggiudicato i lavori di ristrutturazione
del vecchio mattatoio e, così, abbandonato il suo progetto, per la
quale ragione invitava il comune al pagamento delle proprie competenze e, in difetto, promuoveva la costituzione di un col
legio arbitrale.
Il professionista chiedeva agli arbitri la condanna del comune
al pagamento delle proprie competenze a titolo di corrispettivo
Nel caso di specie, tale previsione, speciale rispetto alle prescrizioni dell'art. 1375 c.c. (così già Carusi, Appunti in tema di condizione, in Rass. dir. civ., 1996, 94), pone a carico del comune il dovere di attivar si in modo adeguato, al fine di ottenere il finanziamento dell'opera.
Il contenuto degli obblighi imposti dalla citata disposizione è, in ef fetti. rappresentato da una serie di comportamenti atipici (al riguardo, si
può rinviare a Cass. 22 ottobre 1998, n. 10514, Foro it., 1999,1, 1891, con note di E. Fabiani e De Cristofaro, secondo cui, in materia di rap porto di lavoro, gli obblighi di correttezza e buona fede, aventi la fun zione di salvaguardare l'interesse della controparte alla prestazione do vuta mediante comportamenti di contenuto atipico e individuati attra verso un giudizio applicativo di norme elastiche in un certo contesto
storico-sociale, assumono il ruolo di principi fondamentali dell'ordi namento giuridico; cfr. anche Cass. 16 ottobre 2002, n. 14726, id., Rep. 2003, voce cit., n. 539 (Danno e resp., 2003, 174 ss., con nota di Parti
sani), secondo cui la buona fede si atteggia come impegno od obbligo di solidarietà, tale da imporre a ciascuna parte alcuni comportamenti idonei a preservare gli interessi dell'altra parte, pur prescindendo da
specifici obblighi contrattuali e dal dovere extracontrattuale del nemi nem laedere). Per ulteriori riferimenti in tema di buona fede nella di
sciplina del contratto, v., da ultimo, Bandinelli, L'evoluzione inter
pretativa della clausola generale di buona fede nella dinamica del
comportamento contrattuale, in Rass. dir. civ., 2004, 605. V. - Con il riconoscimento della responsabilità della pubblica ammi
nistrazione in base al principio di buona fede e correttezza, i giudici di
legittimità avallano la ricostruzione dottrinale secondo cui gli art. 1358 e 1359 c.c. non hanno il medesimo oggetto (v. Costanza, Condizione nel contratto, in Commentario Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1997, 98 e 105). A questo orientamento si contrappongono la giurisprudenza e la dottrina dominanti, che individuano la funzione sanzionatoria della finzione di avveramento nella violazione del principio di correttezza. In
giurisprudenza, cfr. Cass. 26 maggio 2003, n. 8363, Foro it.. Rep. 2003, voce cit., n. 390, secondo cui, nell'ipotesi di negozio condizio nato. per l'operatività dell'art. 1359 c.c. è necessaria la sussistenza di una condotta dolosa o colposa di detta parte, non riscontrabile nel caso di mero comportamento inattivo, salvo che questo non costituisca vio lazione di un obbligo di agire imposto dal contratto o dalla legge (nella specie, un lavoratore subordinato aveva transatto con il datore di lavoro il giudizio di impugnazione del licenziamento disciplinare e le parti avevano previsto che il primo avrebbe accettato la risoluzione del rap porto, qualora fosse stato condannato con sentenza definitiva per il reato addotto dal datore di lavoro a giustificazione del licenziamento); nonché Cass. 8 agosto 1999, n. 9511, id., Rep. 2000, voce cit., n. 446
(Notariato, 2000, 436, con nota di Varano, e Giust. civ., 2000, I, 3287, con nota di Ciancarelli); 27 febbraio 1998, n. 2168, Foro it., Rep. 1998, voce cit., n. 375 (Contratti, 1998, 553, con nota di Avondola); 9
agosto 1996, n. 7377, Foro it., Rep. 1996, voce cit., n. 293; 5 novembre
1985, n. 5360, id., Rep. 1985, voce cit., n. 163. In dottrina, si rinvia ai contributi di Falzea, Condizione (dir. civ.), voce dell' Enciclopedia giuridica Treccani, Roma, 1988, VII, 5 ss.; Id., La condizione e gli elementi dell'atto giuridico, Milano, 1941, 206; Trimarchi, cit., 825; Betti, Teoria generale del negozio giuridico, Torino, 1960, 540 ss.; Scognamiglio, Contributo alla teoria del negozio giuridico, Napoli, 1950, 309 ss.; Rubino, La fattispecie e gli elementi giuridici prelimina ri, Milano, 1939, 282.
VI. - Quanto, infine, alla finzione di avveramento, non considerata
specificamente dalla decisione riportata (che assume la diversa pro spettiva dell'art. 1358 c.c.) e ritenuta inapplicabile nel caso di condi zioni miste, cfr. Cass. 11 agosto 1999, n. 8584, Foro it., Rep. 2000, vo ce cit., n. 447, secondo cui l'art. 1359 c.c. trova applicazione nelle sole
ipotesi di «condizione casuale» (la cui realizzazione dipenda dal caso o
dalla volontà di terzi) oppure «potestativa mista» (il cui avveramento
derivi, in parte, dal caso o dalla volontà di terzi, e, in parte, da quella di uno dei contraenti) per la parte non rimessa alla volontà del contraente e non anche nell'ipotesi di condizione «potestativa semplice»; così an che Cass. 23 aprile 1998, n. 4178, id., Rep. 1998, voce cit., n. 374; 5
giugno 1996, n. 5243, id., Rep. 1996, voce cit., n. 295; 2464/85, cit.;
9/83, cit.; 26 aprile 1982, n. 2583, id., Rep. 1982, voce cit., n. 174
(Giust. civ., 1983, I, 1719, con nota di De Cupis, e 1826, con nota di
Somare); per l'analisi di pronunce meno recenti, cfr. Cass. 5 maggio 1967, n. 862, Foro it., 1968,1, 2283, con nota di Breccia.
In dottrina, cfr. Roppo, Il contratto, Milano, 2001, 634, il quale, nel definire l'ambito di applicazione della finzione di avveramento, ne
esclude l'operatività in caso di condizioni potestative miste; Carusi,
Il Foro Italiano — 2006.
contrattuale e, in subordine, per inadempimento contrattuale. In
ulteriore linea subordinata, a titolo di arricchimento senza giusta causa.
2. - Pronunciando sui quesiti formulati, con lodo del 12 gen naio 1998, il collegio accoglieva la domanda, proposta in via
subordinata dal professionista, e condannava il comune al risar
cimento del danno per inadempimento. Il comune impugnava per nullità il lodo davanti alla Corte
d'appello di Palermo che accoglieva la domanda e dichiarava
nullo l'atto impugnato. Secondo i giudici statali, nel caso di specie non si sarebbe
potuto applicare l'istituto della finzione di avveramento della
condizione, di cui all'art. 1359 c.c., perché: a) la condizione del
finanziamento non si sarebbe potuta ritenere avverata, solo per ché in un secondo momento sarebbe venuto meno l'interesse
dell'ente locale al finanziamento; b) si trattava di una condizio
ne mista (essendo l'efficacia del contratto subordinata alla veri
ficazione di un evento futuro ed incerto dipendente, in parte, an
che dalla volontà del comune, che — per ottenerlo — avrebbe
dovuto richiederlo); c) non era configurabile un obbligo in capo al comune, il cui comportamento non sarebbe stato valutabile ai
sensi dell'art. 1358, secondo la clausola della buona fede.
3. - Contro tale pronuncia l'ing. Romano ha proposto ricorso
per cassazione, articolato in tre mezzi, illustrati anche con una
memoria. Il comune di Marineo resiste con controricorso e im
op. cit., 76 ss.; Rescigno, Condizione, cit., 796 s., secondo cui «l'opi nione esatta è quella che restringe il campo di applicazione dell'art. 1359 alle condizioni casuali e miste per incompatibilità che altrimenti si determinerebbe tra la libertà dell'obbligato sotto condizione potesta tiva e l'obbligo (risultante ex art. 1359) di non ostacolare l'avvera mento della condizione»; così anche Barbero, Condizione (dir. civ.), voce del Novissimo digesto, Torino, 1959, III, 1105. Con particolare ri
guardo ai rapporti contrattuali tra privato e pubblica amministrazione, Rescigno, Condizione, cit., 763 ss., afferma che il motivo per cui è
inapplicabile la finzione di avveramento è da rinvenirsi nella discrezio nalità amministrativa del soggetto pubblico (con i relativi limiti deri vanti dallo ius poenitendi).
Sulla finzione di avveramento nel caso di condizione bilaterale, v. Cass. 6423/03, cit., dove si precisa che la norma dell'art. 1359 c.c., se condo cui la condizione del contratto si considera avverata qualora sia mancata per causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario al suo avveramento, non è applicabile nel caso in cui la parte tenuta con dizionatamente ad una determinata prestazione abbia anch'essa interes se all'avveramento di essa; 4178/98, cit.; 20 novembre 1996, n. 10220, Foro it., Rep. 1996, voce cit., n. 290, secondo la quale se l'efficacia (o la risoluzione) di un contratto sia subordinata ad un avvenimento futuro e incerto, il comportamento di una parte che, avendone interesse, ne abbia impedito l'evento, assume rilievo ex art. 1359 c.c., solo qualora la condizione sia apposta nell'interesse dell'altra parte, poiché nell'i
potesi di condizione bilaterale entrambi i contraenti hanno interesse che la condizione si avveri; pertanto, in quest'ultimo caso, non trova appli cazione l'art. 1359 c.c. che considera equivalente al verificarsi della condizione il suo non verificarsi dipendente da un comportamento po sitivo del contraente titolare di un interesse contrario. Dello stesso teno
re, Cass. 19 maggio 1992, n. 5975, id., Rep. 1992, voce cit., n. 273; v. anche Cass. 25 febbraio 1981, n. 1136, id., Rep. 1981, voce cit., n. 177, secondo la quale l'art. 1359 c.c. non è applicabile nel caso in cui la
parte tenuta condizionatamente ad una data prestazione abbia anch'essa interesse all'avveramento della condizione; pertanto, qualora un comu ne si sia impegnato a compensare l'incarico conferito ad un privato di
svolgere accertamenti tendenti al recupero di alcune tasse con la corre
sponsione di una quota parte delle somme che sarebbero state riscosse, la condizione della riscossione non può considerarsi avverata qualora sia mancata per fatto del comune, atteso l'interesse del comune stesso a che la condizione si verificasse.
Nell'individuare l'interesse della parte contraente nei cui confronti la condizione è stata apposta, Cass. 6423/03, cit., afferma che la condi zione può ritenersi apposta nell'interesse di una sola delle parti con traenti soltanto quando vi sia un'espressa clausola contrattuale che di
sponga in tal senso ovvero allorché (tenuto conto della situazione ri scontrabile al momento della conclusione del contratto) vi sia un insie me di elementi che nel loro complesso inducano a ritenere che si tratti
di condizione alla quale l'altra parte non abbia alcun interesse; in man
canza, la condizione stessa deve ritenersi apposta nell'interesse di en trambi i contraenti. Analogamente, Cass. 12 giugno 2000, n. 7973, id.,
Rep. 2000, voce cit., n. 443; 17 agosto 1999, n. 8685, id., Rep. 1999, voce cit., n. 430; 4178/98, cit.; 10220/96, cit.; 5975/92, cit.; 27 novem
bre 1992, n. 12708, id.. Rep. 1992, voce cit., 269; per la giurisprudenza di merito, App. Roma 14 gennaio 1986, id.. Rep. 1987, voce cit., n. 300. Per la valutazione dell'interesse contrario all'avveramento, Cass.
10220/96, cit., rinvia al momento genetico del contratto; in senso con
forme, Cass. 7377/96, cit. [R. Morese]
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PARTE PRIMA 1920
pugna con ricorso incidentale, articolato in due motivi, del pari illustrati con memoria.
Motivi della decisione. — 1.1. - Con il primo motivo di ricor
so (con il quale denuncia violazione e falsa applicazione di
norme di diritto, art. 829 c.p.c. e art. 1359 c.c.) il ricorrente de
duce che la corte territoriale avrebbe errato ritenendo che il
collegio arbitrale avesse applicato l'art. 1359 c.c. (finzione di
avveramento della condizione), in luogo dell'art. 1453 (risolu zione per inadempimento).
1.2. - Con il secondo motivo di ricorso (con il quale denuncia
violazione e falsa applicazione di norme di diritto, art. 829 c.p.c. e art. 1359 c.c., nonché difetto di motivazione) il ricorrente, re
stando sul piano della valutazione dell'inadempimento contrat
tuale, lamenta che la corte d'appello non avrebbe rilevato che
gli arbitri avevano, da un lato, individuato l'obbligo giuridico
posto a carico del comune in quel dovere «di attivarsi in modo
adeguato e conducente per ottenere il finanziamento dell'opera» e, da un altro, violato tale obbligo, non inserendo il nuovo mat
tatoio nel programma triennale del 1994 ma, in suo luogo, il
programma di adeguamento del vecchio impianto. 1.3. - Con il terzo motivo di ricorso (con il quale denuncia
violazione e falsa applicazione di legge, in relazione all'art.
1359 c.c.) il professionista deduce che, anche volendo rimanere
sul piano del negozio condizionato, laddove la corte d'appello ha creduto dì porre la questione, la sentenza censurata avrebbe
comunque errato nel considerare che anche il comune avesse un
pari interesse all'avveramento della condizione. Tale interesse,
infatti, pur presente, sarebbe estraneo al piano contrattuale,
quello del negozio d'opera professionale, poiché su questo rile
verebbe soltanto l'interesse del professionista. 2.1. - Con il primo motivo di ricorso incidentale (con il quale
deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 23 d.l. n. 66 del
1989, convertito nella 1. n. 144 del 1989, che subordina la vali
dità ed efficacia dei rapporti obbligatori della pubblica ammini
strazione: alla sussistenza di regolari impegni di spesa pena la
intercorrenza del rapporto «tra il privato fornitore e l'ammini
stratore o funzionario che abbia consentito la fornitura») il co
mune lamenta la mancata valutazione del fatto che il compenso
previsto era privo dell'impegno di spesa e, quindi, invalido.
2.2. - Con il secondo motivo di ricorso incidentale (con il
quale deduce violazione e falsa applicazione degli art. 91 e 92
c.p.c., nonché difetto di motivazione) il ricorrente si duole della
mancata condanna del soccombente al pagamento delle spese e
della mancata motivazione della loro compensazione totale.
3. - Preliminarmente, deve disporsi la riunione dei due ricorsi,
proposti contro la stessa sentenza.
4. - Il ricorso principale, per la stretta connessione esistente
tra i motivi proposti, ne esige la contestuale trattazione. Esso è
fondato e va accolto.
4.1. - Va premesso che la qualificazione giuridica data dalla
corte d'appello alla fattispecie concreta, oggetto della contro
versia, è contestata dal ricorrente, il quale ha proposto, davanti
agli arbitri, una pluralità di domande e, per quanto vorrebbe te ner fermo — con i primi due motivi — il piano dei rimedi si
nallagmatici e pervenire ad una convalida dell'esito arbitrale
(con l'affermazione dell'avvenuta risoluzione del contratto d'o
pera intellettuale, intercorso tra il comune di Marineo e l'ing. Antonio Romano, con riferimento alla progettazione e alla dire zione dei lavori per la realizzazione di quel nuovo mattatoio comunale mai realizzato, ai sensi dell'art. 1453 c.c.), non si op pone
— con il terzo motivo — ad una diversa configurazione della responsabilità del comune, facendo propria la teorica del
negozio condizionato.
Com'è noto, però, la richiesta di applicazione del rimedio funzionale (l'azione di risoluzione) non attiene alla struttura del
negozio, bensì la presuppone, essendo un rimedio pratico com
patibile solo con i contratti a prestazioni corrispettive, al quale novero appartiene, senza contrasto, il contratto d'opera intercor
so tra le parti.
Questo, però, ha formato oggetto, secondo la prospettazione del ricorrente (al di là della motivazione che non ne dà conto) di un'ulteriore qualificazione da parte della corte d'appello, che non lo ha considerato alla stregua dei negozi puri e immediata mente efficaci ma, al contrario, come un accordo sottoposto ad
una condizione sospensiva (il diritto di credito del professioni sta era stato subordinato ad un evento fattuale, futuro ed incerto: il finanziamento dell'opera pubblica da parte delle amministra zioni competenti). Più precisamente, la corte territoriale ha qua
li. Foro Italiano — 2006.
lificato il negozio come sottoposto ad una condizione mista, «in
quanto l'efficacia del contratto era subordinata alla verificazio
ne di un evento futuro ed incerto dipendente in parte dalla vo
lontà di uno dei contraenti» (e ciò in quanto la «concessione del
finanziamento dipendeva anche da comportamento del comune
che, a giudizio degli arbitri, manifestò, successivamente, per se
gni inequivoci, la volontà di non avvalersene»). Tale precisazione della qualificazione giuridica dei fatti ac
certati dagli arbitri, rilevante ai fini dell'accoglimento della do
manda del comune, non è censurabile in Cassazione perché (contrariamente a quanto opina il ricorrente che aveva visto ac
colta la sua domanda, davanti agli arbitri) rientra nei poteri del
giudice investito dell'impugnazione di nullità del lodo, anche
nella fase rescindente del proprio giudizio, quello di dare ai fatti
accertati dagli arbitri una diversa o ulteriore qualificazione, pur ché funzionale all'accoglimento della domanda della parte attri
ce in impugnazione (nella specie: la domanda di annullamento
del lodo per violazione di una regola giuridica) e senza l'eserci
zio di poteri di accertamento del fatto, che dev'essere identico a
quello contenuto nel lodo impugnato e non può subire modifica
zioni. Nella stessa linea di pensiero, questa corte ha affermato
(sentenza n. 14865 del 2000, Foro it., Rep. 2000, voce Cassa
zione civile, n. 80) che, persino in Cassazione, l'esatta qualifi cazione giuridica delle questioni dedotte in giudizio (sostanziali, attinenti al rapporto, o processuali, attinenti all'azione ed all'ec
cezione), può essere operata, anche d'ufficio, dalla corte, nel
l'esercizio dell'istituzionale potere di censura degli errori di di
ritto, ove le circostanze — a tal fine rilevanti — siano state
compiutamente prospettate nella pregressa fase di merito dalla
parte interessata.
Tale potere è stato — in linea di principio —
legittimamente esercitato dalla corte territoriale, la quale ha anche specificato i
fatti (certi e non controversi) idonei a dare quella qualificazione
giuridica della fattispecie, ricostruita in fatto dagli arbitri.
Vanno, perciò, disattese le doglianze del ricorrente, in parte
qua, sebbene, presumibilmente, ancorate ad una giurisprudenza, anche di questa corte, riportata nella stessa sentenza di merito, secondo la quale un congegno negoziale, sottoposto ad una con
dizione mista, non può avere ad oggetto un obbligo giuridico
per il segmento non casuale attribuito alla volontà della parte (nella specie, il comune che aveva interesse, ma non il dovere, di attivarsi nel chiedere il finanziamento dell'opera progettata dal professionista).
4.2. - Invero, tale giurisprudenza, in tema di contratto condi
zionato, ha bensì sostenuto, anche recentemente (Cass. n. 6423
del 2003, id.. Rep. 2003, voce Contratto in genere, n. 391), che
l'omissione di un'attività in tanto può ritenersi contraria a buo
na fede e costituire fonte di responsabilità, in quanto l'attività
omessa costituisca oggetto di un obbligo giuridico, e che la sus
sistenza di un siffatto obbligo deve escludersi per l'attività di
attuazione dell'elemento potestativo in una condizione mista. Ma tale assetto dei principi nella materia negoziale sottoposta
a condizione non appare soddisfacente e suggerisce più d'una
ragione di riconsiderazione, anche in seguito alle non trascura
bili sollecitazioni dottrinali.
4.2.1. - È stato osservato, infatti, che la natura potestativa di
uno dei due segmenti in cui si articola la condizione mista non
può tradursi nell'assoluta arbitrarietà di comportamento per
quella parte che — in base all'accordo contrattuale — è chia mata ad esprimere quella volontà che costituisce anche una
componente della condizione.
L'art. 1355 c.c., infatti, pilastro estremo di tale disciplina, sanziona di nullità la pattuizione che ne faccia dipendere l'effi
cacia «dalla mera volontà dell'alienante o ... del debitore». Ciò
in quanto il fenomeno della regolazione giuridica non può pren dere in considerazione, se non per escluderne la validità o la
tutela, il mero capriccio ovvero il dominio assoluto della vo
lontà arbitraria e non responsabile. Essa, infatti, prende in considerazione il fenomeno condizio
nale solo in riferimento al perseguimento di interessi leciti e
meritevoli di tutela.
Perciò l'art. 1354 c.c., in questa stessa prospettiva, considera nulle le condizioni contrarie a norme imperative, all'ordine
pubblico o al buon costume. In una qualche misura, l'aspettativa del contraente interessato all'avveramento della condizione è
tutelata dall'ordinamento, poiché alcune disposizioni codicisti che prevedono una peculiare disciplina in ordine al periodo di
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
pendenza della condizione, e stabiliscono, in particolare, quale debba essere il comportamento delle parti nello stato di penden za (art. 1358) o la sanzione (la c.d. fictio di avveramento) in ca
so di mancanza di essa «per causa imputabile alla parte che ave
va interesse contrario» al suo verificarsi (art. 1359). La prima disposizione obbliga, in particolare, la parte che ha
una posizione forte all'interno del rapporto contrattuale, a
«comportarsi secondo buona fede per conservare integre le ra
gioni dell'altra parte». Tale obbligo è bensì riconosciuto dalla giurisprudenza di que
sta corte (v. sent. n. 14865 del 2000, cit.) ma da esso debbono
trarsi tutte le conseguenze che ne sono implicite. 4.2.2. - Esaminando un caso pressoché analogo a quello og
getto di questa controversia, la corte (sentenza n. 9587 del 2000,
id., 2001, I, 2613), sia pure impegnata nella risoluzione del di
verso problema della natura vessatoria (o meno) della clausola
contrattuale di subordinazione del pagamento del compenso al
professionista —
progettista di un'opera per conto di un altro
comune — al finanziamento dell'opera, ha avuto modo di af
fermare che «tale clausola non è neppure meramente potestati va, e come tale ancora nulla ... La condizione in parola, infatti, certamente dipende dalla volontà di una sola delle parti ma il
suo verificarsi o meno non è indifferente per la stessa, alla stre
gua di un mero si voluero. Non si può dubitare, infatti, della
piena funzionabilità della pattuizione ad uno specifico interesse
dedotto come tale nel contratto e perciò stesso oggetto del me
desimo».
In sostanza, la corte — con questa sentenza — ha già ricono
sciuto che il comportamento del comune, rispondendo ad una
elezione procedimentalizzata dell'interesse pubblico, non può ridursi a mera volontà capricciosa ma deve incanalarsi nelle
forme proprie dell'attività amministrativa e nelle conseguenti forme di responsabilità.
Nello stesso caso, al professionista che lamentava anche la
violazione dell'art. 1375 c.c., sostenendo che il comune aveva
fatto trascorrere cinque anni prima di proporre la domanda di fi
nanziamento del progetto e che era mancata l'indagine in ordine
al verificarsi dell'evento dedotto in condizione, «che era obbli
go del comune» di assicurare, il collegio ha risposto «che ai
sensi dell'art. 1375 c.c., le parti nel contratto sono tenute ad un
complessivo comportamento che nel perseguimento del preci
puo interesse egoistico non comprometta quello del contraente, considerato nel momento di formazione della volontà contrat
tuale». Tanto premesso, la domanda è stata poi rigettata perché «è onere di chi afferma la violazione di tale obbligo di darne la
prova». E la sentenza impugnata aveva rilevato che era stata al
legata semplicemente la circostanza del lasso di tempo trascorso
fino alla presentazione della domanda di finanziamento, ma non
era stato dimostrato che proprio tale lasso di tempo avesse pro vocato il lamentato mancato finanziamento.
4.2.3. - Tale «arresto giurisprudenziale», particolarmente in
teressante in questa sede, è già pervenuto ad affermare l'esi
stenza di un vero e proprio «obbligo giuridico» per il comune
(e, in genere, per la pubblica amministrazione) di assicurare un
comportamento che non comprometta le ragioni dell'altro con
traente (ossia, quello che ha interesse all'avverarsi della condi
zione) e che si sostanziava, anzitutto, nell'obbligo di presenta zione della domanda di ammissione del progetto al finanzia
mento.
Tale obbligo, ovviamente, non discende dalla formulazione
delle pattuizioni negoziali ma direttamente dalla legge e cioè
dall'art. 1358 c.c. il quale obbliga, come si è già detto, la parte che ha una posizione «forte» all'interno del rapporto contrat
tuale, a «comportarsi secondo buona fede per conservare integre le ragioni dell'altra parte». Tale previsione, che è speciale, ri
spetto a quella generale di cui all'art. 1375 c.c., comportava per la pubblica amministrazione, il dovere «di attivarsi in modo
adeguato e conducente per ottenere il finanziamento dell'ope
ra», giustamente sottolineato dall'odierno ricorrente, e che, in
vece, è stato ingiustamente escluso dalla corte territoriale, per la
sua presunta incompatibilità con la condizione mista.
Infatti, questa corte (Cass. n. 10514 del 1998, id., 1999, I,
1891) ha avuto modo di stabilire che gli obblighi di correttezza
e buona fede, che nel rapporto contrattuale (nel caso esaminato,
quello di lavoro) hanno la funzione di salvaguardare l'interesse
della controparte alla prestazione dovuta e all'utilità che la stes
II Foro Italiano — 2006.
sa le assicura, imponendo una serie di «comportamenti di con
tenuto atipico», vengono individuati mediante un giudizio ap
plicativo di norme elastiche e soggetto al controllo di legittimità al pari di ogni altro giudizio fondato su norme di legge (nella
specie, gli obblighi stessi sono stati individuati con il rispetto del complesso di regole in cui si sostanzia la civiltà del lavoro
in un certo contesto storico-sociale). Tali obblighi, insomma,
consistono nell'insieme dei principi giuridici puntualizzati dalla
giurisdizione di legittimità, e vengono, quindi, ad assumere la
consistenza di standard che rispetto a detti principi sono in rap
porto essenziale ed integrativo. 4.2.4. - Con riferimento al comportamento della parte pubbli
ca, nella pendenza della condizione del finanziamento delle ope re, gli arbitri (prima) e la corte d'appello (poi) erano chiamati a
controllare l'osservanza — da parte del comune — del principio del perseguimento dell'interesse pubblico, già individuato con
la conclusione del contratto di progettazione, e necessitante del
suo completamento con l'espletamento dei procedimenti ammi
nistrativi, conducenti al conseguimento del finanziamento del
l'opera. Certo la pubblica amministrazione può ben mutare le sue va
lutazioni, ma allora essa assume ogni responsabilità, per tale
cambiamento di posizione in ordine all'interesse pubblico da
perseguire, nei confronti di coloro con i quali ha contrattato e
che, avendo riposto affidamento su quello, sono divenuti porta tori di posizioni di diritto soggettivo o di aspettativa tutelata, nascenti dal rapporto instaurato in via negoziale.
Questa corte ha già avuto modo di affermare (sent. n. 157 del
2003, id., 2003,1, 78; ma v. anche Cass. n. 14333 del 2003, id.,
2004,1, 792) che se la responsabilità della pubblica amministra
zione, invocata per atto illegittimo risalente agli anni settanta, va inquadrata nello schema del danno ingiusto, di cui all'art.
2043 c.c., con riferimento al periodo successivo all'entrata in
vigore della 1. n. 241 del 1990, è invocabile la nuova concezione
dei rapporti tra cittadino e amministrazione, in virtù della quale la pretesa alla regolarità dell'azione amministrativa va valutata
secondo i canoni contrattuali di correttezza e buona fede.
E a tali canoni, integrati dalle previsioni stabilite dalla 1. n.
241 del 1990, che deve improntarsi la valutazione del giudice di
merito, il quale ha errato nell'escludere la possibilità di un qual siasi controllo sul comportamento del comune, nella pendenza della condizione, in base all'erronea affermazione in diritto, se
condo la quale il comportamento dell'amministrazione, in tali
casi, sarebbe svincolato da qualsiasi doverosità.
4.2.5. - Tuttavia, la corte territoriale ha censurato il lodo ar
bitrale ravvisando un'altra violazione di legge, ossia una viola
zione dell'art. 1359 c.c., il quale esige, perché sia integrata la
fictio di avveramento della condizione che, per la parte che ab
bia dato luogo a quella causa impeditiva del fatto dedotto in
condizione, sussista, quale presupposto, sul piano dell'interpre tazione negoziale (e senza che possano prendersi in considera
zione fatti sopraggiunti nel corso dell'esecuzione del contratto) «un interesse contrario all'avveramento dì essa».
Tale interesse contrario è stato escluso dalla corte, previa l'i
dentificazione della domanda — proposta dal professionista —
come un'azione di inadempimento per avvenuto avveramento
fittizio della condizione di finanziamento e non già per respon sabilità ex art. 1358 c.c., tout court. Tale ultima disposizione,
infatti, può ben legittimare un'autonoma domanda di risarci
mento dei danni, basata esclusivamente sulla violazione degli
obblighi di buona fede e correttezza, in pendenza della condi
zione, ma, nella specie, si assume — da parte della corte territo
riale — che, quella proposta, sia solo una domanda di responsa bilità per avveramento della condizione, ai sensi dell'art. 1359
c.c.
4.2.6. - Ebbene, anche a questo proposito, la sentenza della
corte territoriale va censurata. Essa, infatti, ha annullato il lodo
arbitrale sostenendo che, sul piano negoziale, non risultava l'e
sistenza di un contrario interesse del comune all'avveramento
della condizione.
Ma, così facendo, la corte territoriale si è sostituita al collegio arbitrale ed ha compiuto una valutazione delle clausole contrat
tuali che non è di spettanza del giudice dell'impugnazione del
lodo, salvo che le parti (e ciò non risulta dalla motivazione della
sentenza) ne abbiano censurato la ricostruzione in base alla
violazione degli art. 1362 ss. c.c.
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PARTE PRIMA 1924
Questa corte ha, invece, affermato (sent. n. 11241 del 2002,
id., Rep. 2002, voce Arbitrato, n. 158), da un lato, che l'inter
pretazione, da parte degli arbitri, di una disposizione in senso
lato negoziale (contenuta in un contratto, un capitolato, uno
statuto, ecc.) può essere contestata, attraverso l'impugnazione
per nullità del lodo, soltanto in relazione alla violazione od er
ronea applicazione di una norma, o di un principio, di ermeneu
tica contrattuale (debitamente specificato); e, da un altro (Cass. n. 6423 del 2003, id.. Rep. 2003, voce cit., n. 185), che in tema
di impugnazione di lodo rituale, ai sensi dell'art. 829, 2° com
ma, c.p.c., l'interpretazione degli arbitri in ordine al contenuto
di una clausola contrattuale non può essere contestata per la ri
costruzione operata della volontà delle parti, né sostituita con
un'interpretazione diversa.
La sentenza oggi impugnata che, da un lato, ha contravvenuto
ai principi di diritto stabiliti in materia di limiti al controllo delle determinazioni arbitrali, invadendo l'autonomia del colle
gio privato e, da un altro, ha violato i principi vigenti in materia
di comportamento delle parti nello stato di pendenza della con
dizione, va cassata con rinvio della causa ad altra sezione della
stessa corte territoriale, per un nuovo esame dell'impugnazione di nullità, in osservanza dei principi anzidetti.
5. - Va, a questo punto, esaminato il primo motivo del ricorso
incidentale, proposto dal comune (per l'accessorietà del secon
do motivo, riguardante il regolamento delle spese, da considera
re assorbito in conseguenza della cassazione della sentenza im
pugnata). 5.1. - Il motivo è infondato e comporta la reiezione dell'inte
ro ricorso.
Il contratto d'opera professionale, condizionato all'erogazio ne del finanziamento da parte delle competenti amministrazioni
pubbliche, si sottrae all'applicazione della previsione di cui al
l'art. 23 d.l. n. 66 del 1989 (convertito nella 1. n. 144) poiché es
so è, per sua definizione, un contratto la cui efficacia è subordi
nata all'erogazione del finanziamento. Di conseguenza, tutta la
problematica della responsabilità per i c.d. debiti fuori bilancio, nascenti dalla previsione invocata, esula, perché completamente estranea, dalla fattispecie astratta postulata nel caso di specie.
6. - In ragione della cassazione della sentenza impugnata, la
causa va, pertanto, rinviata ad altra sezione della Corte d'ap
pello di Palermo.
I
CORTE D'APPELLO DI MILANO; sentenza 20 marzo
2006; Pres. Odorisio, Est. Piombo; Abbate e altri (Avv. Pepe,
Cordola) c. Soc. Icmesa e Givaudan Suisse SA (Avv. Brog
GINI, LeNSKI).
CORTE D'APPELLO DI MILANO;
Prescrizione e decadenza — Eccezione di prescrizione del
convenuto — Poteri del giudice — Fattispecie in tema di
risarcimento dei danni da esposizione a sostanze inquinan ti (Cod. civ., art. 2947; cod. proc. civ., art. 112).
Una volta che il convenuto abbia eccepito la prescrizione del
diritto vantato dall'attore, allegando il fatto su cui si basa il
suo decorso, rientra nella potestà del giudice accertare il
dies a quo e il dies ad quem del termine prescrizionale (nella
specie, in relazione ad un illecito integrante gli estremi del
reato, la corte ha rigettato l'impugnazione avverso le statui
zioni con cui il tribunale, adito per il risarcimento dei danni
lamentati da chi risiedeva in prossimità di un impianto pro duttivo dal quale era fuoriuscita una nube tossica, aveva ac
colto l'eccezione di prescrizione, imperniata sulla circostan
za che nel procedimento penale a carico degli autori dell'il
lecito era divenuta irrevocabile la sentenza d'appello, indi
viduando come dies a quo la data di deliberazione della pro
li. Foro Italiano — 2006.
nuncia confermativa della Cassazione, e non quella del suo
deposito, erroneamente evocata dai convenuti nel sollevare
l'eccezione). (1)
II
CORTE D'APPELLO DI MILANO; sentenza 10 dicembre 2005; Pres. Deodato, Est. Piombo; Soc. Icmesa (Avv. Brog
gini, Lenski) c. Anania e altri (Avv. Borasi).
Danni in materia civile — Esposizione a sostanze inquinanti — Danno morale — Turbamento psichico
— Prova —
Fattispecie (Cod. civ., art. 2059).
Ai fini del risarcimento del danno morale sofferto da quanti ri
siedevano in prossimità di un impianto produttivo dal quale era fuoriuscita una nube tossica, la prova che ciascuno di es
si abbia in concreto subito un turbamento psichico, di natura
transitoria, a causa dell'esposizione alle sostanze inquinanti e delle conseguenti limitazioni del normale svolgimento della
propria vita, può essere data per via di presunzioni o ricor
rendo a fatti notori (nella specie, dal fatto che la popolazione residente nelle zone circostanti lo stabilimento fosse stata
sottoposta per un lungo periodo di tempo a continui controlli
sanitari ed a gravose prescrizioni di comportamento, si è de
sunto che in ciascuno degli attori si fosse determinato uno
stato di preoccupazione per la propria salute e, quindi, di
turbamento, tensione ed ansia). (2)
(1-2) I. - A trent'anni di distanza dal disastro ambientale verificatosi a Seveso, non si è ancora esaurito il filone delle controversie risarcito ne promosse da quanti risiedevano nelle zone maggiormente colpite dalla nube tossica. Contribuiscono ad alimentarlo le due decisioni della corte ambrosiana riportate in epigrafe, redatte dal medesimo estensore, che danno luogo ad esiti diametralmente opposti per i rispettivi pro motori. Negativa è la pronuncia sub I, che avalla la declaratoria di estinzione (ad opera di Trib. Milano 27 marzo 2003, massimata in
Resp. civ., 2006, 808) del diritto al risarcimento, da ritenere ormai pre scritto perché le relative istanze erano state formulate oltre il quinquen nio dalla data di deliberazione della sentenza con cui la Cassazione aveva definito il giudizio penale scaturito dal citato episodio di inqui namento, determinando l'irrevocabilità del provvedimento in quella se de impugnato e facendo così scattare il decorso del termine computato in base all'ultimo comma dell'art. 2947 c.c. Favorevole, invece, ai
danneggiati è la pronuncia sub II, che conferma Trib. Milano 9 giugno 2003, Foro it., Rep. 2004, voce Danni civili, n. 216 (su cui v. S. Caca
ce, Seveso e cinquemila euro di paura, in Danno e resp., 2004, 73; D.
Feola, Il risarcimento del danno morale nel caso «Seveso», in Resp. civ., 2004, 808), respingendo le censure avverso la liquidazione del danno morale operata in primo grado a beneficio delle vittime del fatto criminoso.
II. - Per giustificare l'anticipo del dies ad quem della prescrizione ri
spetto alla data indicata dal convenuto, la sentenza sub I richiama la decisione con cui le sezioni unite hanno riconosciuto al giudice il pote re di applicare ex officio la prescrizione ordinaria, ove la parte, solle vata la relativa eccezione, abbia errato nel qualificarla, invocando una
prescrizione breve (cfr. Cass. 25 luglio 2002, n. 10955, Foro it., 2003, I, 879, con nota di J.V. D'Amico, annotata altresì da E. Canavese, L'eccezione di prescrizione nel sistema delle preclusioni: un'impor tante pronuncia delle sezioni unite, in Giur. it., 2003, 663).
Nel senso che la riserva alla parte del potere di sollevare l'eccezione
implica che ad essa sia fatto onere soltanto di allegare il suo elemento costitutivo e di manifestare la volontà di profittare dell'effetto estinti
vo, non anche di indicare direttamente o indirettamente (cioè attraverso
specifica menzione della durata dell'inerzia) le norme applicabili al ca so di specie, v. Cass. 3 novembre 2005, n. 21321, Foro it., Mass., 1929; 10 maggio 2005, n. 9768, ibid., 1047; 23 agosto 2004, n. 16573, id.,
Rep. 2004, voce Prescrizione e decadenza, n. 49; 8 marzo 2004, n. 4668, ibid., n. 33 (dove si specifica che, in caso di pluralità di crediti azionati, è necessario che l'elemento costitutivo sia specificato, doven do il convenuto precisare il momento iniziale dell'inerzia in relazione a ciascuno di essi).
Secondo Cass. 22 dicembre 2004, n. 23817, id., 2005, I, 3395, il ca rattere dispositivo della prescrizione comporta, per la parte che propon ga la relativa eccezione, l'onere di tipizzarla inequivocabilmente in ba se ad una delie ipotesi previste dalla legge, pur senza l'adozione di formule rituali o l'indicazione di norme di legge, e di allegare l'avve nuto decorso del tempo necessario a farla maturare.
Ove il giudizio penale si sia concluso con una sentenza contenente anche la condanna generica al risarcimento dei danni a carico del re
sponsabile civile ed in favore del danneggiato costituitosi parte civile, la successiva azione volta alla quantificazione del danno è soggetta al
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