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sezione I civile; sentenza 28 marzo 1997, n. 2790; Pres. Corda, Est. Bibolini, P.M. Lo Cascio...

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sezione I civile; sentenza 28 marzo 1997, n. 2790; Pres. Corda, Est. Bibolini, P.M. Lo Cascio (concl. diff.); Soc. Imprese costruzioni riunite (Avv. De Majo) c. Min. tesoro (Avv. dello Stato Polizzi). Conferma App. Roma 1° marzo 1993 Source: Il Foro Italiano, Vol. 120, No. 5 (MAGGIO 1997), pp. 1391/1392-1395/1396 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23191192 . Accessed: 25/06/2014 09:03 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.229.229.49 on Wed, 25 Jun 2014 09:03:38 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione I civile; sentenza 28 marzo 1997, n. 2790; Pres. Corda, Est. Bibolini, P.M. Lo Cascio(concl. diff.); Soc. Imprese costruzioni riunite (Avv. De Majo) c. Min. tesoro (Avv. dello StatoPolizzi). Conferma App. Roma 1° marzo 1993Source: Il Foro Italiano, Vol. 120, No. 5 (MAGGIO 1997), pp. 1391/1392-1395/1396Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23191192 .

Accessed: 25/06/2014 09:03

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1391 PARTE PRIMA 1392

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 28 marzo

1997, n. 2790; Pres. Corda, Est. Bibolini, P.M. Lo Cascio

(conci, diff.); Soc. Imprese costruzioni riunite (Avv. De Ma

io) c. Min. tesoro (Aw. dello Stato Polizzi). Conferma App. Roma 1° marzo 1993.

Amministrazione dello Stato e degli enti pubblici in genere —

Ente pubblico soppresso — Liquidazione — Esclusione dai

crediti ammessi — Ricorso all'autorità giudiziaria — Tardivi

tà — Decadenza (L. 4 dicembre 1956 n. 1404, soppressione e messa in liquidazione di enti di diritto pubblico e di altri enti sotto qualsiasi forma costituiti, soggetti a vigilanza dello

Stato e comunque interessanti la finanza statale, art. 8, 9).

Il privato che ha avviato il procedimento liquidatorio previsto dall'art. 81. 4 dicembre 1956 n. 1404 e contestato avanti l'au

torità giudiziaria, dopo la scadenza del termine stabilito dal

successivo art. 9, il provvedimento di esclusione dall'elenco

dei creditori riconosciuti di ente pubblico, soppresso ai sensi

della indicata l. n. 1404 del 1956, non può evitare la decaden

za pronunciata dal giudice adito, invocando l'autonomia dal

menzionato procedimento dell'azione proposta. (1)

Svolgimento del processo. — Un contratto di appalto datato

11 giugno 1975 intervenuto tra il committente Ente nazionale

di lavoro per i ciechi e la s.r.l. Icr, era oggetto di sospensione

per oltre quattro anni a seguito di una variante al piano regola tore del comune di Roma, variante che era stata impugnata in

sede amministrativa, con ricorso parzialmente accolto in secon

do grado dal Consiglio di Stato con decisione 1° aprile 1980.

Con verbale del 27 luglio 1981 il direttore dei lavori, dato

atto della sospensione intervenuta per fatti indipendenti dalla

volontà delle parti del contratto, ordinava alla Icr la ripresa dei lavori.

La società non accettava l'ordine, ritenendo che la sospensio ne dovesse addebitarsi all'ente committente e chiedeva la risolu

zione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta. L'en

te, a sua volta, chiedeva la risoluzione del rapporto per inadem

pimento dell'appaltatrice. Le parti, a seguito delle reciproche e contrastanti posizioni,

si accordavano per la riconsegna dei lavori (consegna che avve

niva con verbale del 12 dicembre 1983) dichiarndo ciascuna di

fare salvi i rispettivi diritti. Posto in liquidazione nel 1984 l'ente suddetto (1. 4 agosto

(1) La corte ha formulato l'enunciazione riassunta in massima tenen do presente l'orientamento secondo cui le disposizioni degli art. 8 e 9 1. n. 1404 del 1956, contemplanti la formazione in via amministrativa di un elenco delle posizioni debitorie, previa istanza dei creditori inte

ressati, non interferiscono sulla proponibilità e proseguibilità in sede

giudiziaria delle domande con le quali i creditori stessi chiedono il rico noscimento ed il pagamento delle loro spettanze, atteso che gli indicati

adempimenti si inseriscono in una procedura amministrativa rivolta al sollecito ed integrale soddisfacimento delle pendenze dell'ente soppres so, cui sono estranei i principi che regolano il fallimento e le altre pro cedure concorsuali, ivi compreso il divieto di azioni individuali dei cre ditori, salva restando l'operatività di questi principi quando, in presen za di situazioni deficitarie di quegli enti, si apra la liquidazione coatta amministrativa (Cass. 12 aprile 1996, n. 3475, Foro it., Mass., 338; 11 giugno 1992, n. 7174, id., Rep. 1993, voce Amministrazione dello

Stato, n. 278, citata in motivazione; 30 gennaio 1989, n. 561, id., Rep. 1989, voce cit., n. 244; 30 maggio 1989, n. 2627, ibid., voce Liquida zione coatta amministrativa, n. 33). E il richiamo alla or ricordata ten denza giurisprudenziale — cui fa da sfondo la precisazione, esplicitata da sez. un. 14 gennaio 1987, n. 189, id., 1987, I, 32, con nota di richia mi (cui adde, più di recente, Cons. Stato, sez. VI, 17 maggio 1993, n. 357, e 3 marzo 1993, n. 212, id., Rep. 1993, voce Amministrazione dello Stato, nn. 279, 280), per la quale «la decadenza comminata dal l'art. 9 1. n. 1404 del 1956 non colpisce il diritto di credito, il quale sopravvive, come risulta dal successivo art. 13, 4° comma. Si tratta, pertanto, di una decadenza che riguarda soltanto l'inserimento della procedura amministrativa di liquidazione, allo scopo (tendenziale) di assicurarne la rapidità di svolgimento e che non attiene — nonostante

l'improprietà della legge che usa i termini "decisione" e "ricorso" —

all'impugnativa di un provvedimento amministrativo na alla definizic -

ne di rapporti di credito e debito che si svolgono su an piano paritario» — fornisce logica giustificazione alla attinta soluzio del pur peculiare caso di specie. Ma, proprio perché il preteso creditore si era rivolto all'autorità giudiziaria, sia pure nell'ambito del procedimento delineato

Il Foro Italiano — 1997.

1984 n. 423, pubblicata sulla G.U. n. 217 dell'8 agosto 1984), con atto 5 ottobre 1984 la società appaltatrice indicava al mini

stero del tesoro, ufficio liquidazioni, un proprio credito vantato

per lire 1.027.000.000; con nota del 28 gennaio 1985 il ministe

ro del tesoro comunicava di non potere accogliere la domanda

per intervenuta decadenza del termine previsto dall'art. 8 1. 4

dicembre 1956 n. 1404.

Con atto di citazione notificato il 22 maggio 1985 la società

predetta conveniva davanti al Tribunale di Roma il ministero

del tesoro, di cui chiedeva la condanna al pagamento dell'im

porto sopra indicato.

Il ministero convenuto eccepiva la decadenza sia a norma del

l'art. 8, sia a norma dell'art. 9 della predetta 1. 1404/56.

Con sentenza in data 18 aprile 1990 il tribunale adito rigetta va l'eccezione sollevata a norma del citato art. 8, mentre dichia

rava inammissibile la domanda per intervenuta decadenza ai sensi

del successivo art. 9, per avere la società promosso l'azione giu diziaria oltre trenta giorni dalla comunicazione del provvedi mento sopra detto del ministero del tesoro.

Su appello preposto dalla s.r.l. Icr e nel contraddittorio del

ministero sopra indicato, pronunciava la Corte d'appello di Ro

ma che, con sentenza 626/93, dava piena conferma alla decisio

ne di primo grado. La corte del merito motivava la pronuncia secondo il seguen

te iter logico:

a) Rilevava che il rigetto dell'eccezione sollevata ex art. 8 1.

1404/56 non era stato oggetto di alcun rilievo da parte del mini

stero; riteneva, peraltro, che si fosse realizzata la decadenza pre vista dal successivo art. 9 della stessa legge, per avere la società

proposto l'azione giudiziale oltre il termine di trenta giorni dal

la comunicazione del ministero del provvedimento di rigetto.

b) Non riteneva accettabile l'eccezione della società secondo

cui il termine dell'art. 9 scatterebbe solo in presenza di un prov vedimento di rigetto della domanda in sede amministrativa per una ragione di merito, non per una ragione procedurale. Rite

neva, infatti, la corte del merito che l'art. 9 non poneva alcuna

distinzione in ordine alla natura del provvedimento di rigetto, ed inoltre che la parte, una volta avviato il procedimento ammi

nistrativo, non poteva sottrarsi a tutte le regole inerenti a detto

procedimento, non esclusi i termini di decadenza.

c) Riteneva manifestamente infondata la subordinata eccezio

ne di illegittimità costituzionale, sulla base della congruità del

termine di trenta giorni per la proposizione dell'azione giudiziale.

d) Comunque, anche prescindendo dal rilievo del termine di

dai ripetuti art. 8 e 9 (su cui in motivazione, cons, anche Cass. 21 novembre 1994, n. 9847, id., 1995, I, 1210, con nota redazionale) non sarebbe stato inopportuno soffermarsi sui riflessi costituzionali del mec canismo delineato dalle ridette norme. La Corte costituzionale con sen tenza 23 giugno 1988, n. 693, id., 1990, I, 1769, con nota di richiami (cui adde, Tar Campania, sez. II, 29 ottobre 1993, n. 320, id., Rep. 1994, voce cit., n. 335, che ha escluso la sussistenza dell'onere di in staurazione del procedimento liquidatorio, disciplinato dalle disposizio ni in parola, nel caso di proposizione della domanda giudiziale, idonea a mettere l'ente debitore in condizioni di conoscere la pretesa del credi

tore), ha dichiarato infondata la questione di costituzionalità delle men zionate norme in riferimento all'art. 3 Cost, sul rilievo che i ridetti art. 8 e 9 non impediscono la proposizione dell'azione giudiziale indi

pendentemente dal preventivo esperimento del procedimento ammini strativo e prima che questo, se iniziato, si sia concluso. La or ricordata

interpretazione della Corte costituzionale non è stata, però, condivisa da Trib. Genova 26 ottobre 1989, id., 1990, I, 1731, con osservazioni di R. Romboii, che ha risollevato la questione di costituzionalità dei

ripetuti art. 8 e 9, sempre in riferimento all'art. 3 Cost., richiamandosi, fra l'altro, ad un risalente orientamento della Cassazione che, in diffor mità da quanto ritenuto dalla più recente giurisprudenza della medesi ma corte, aveva ricollegato alla mancata presentazione della domanda di riconoscimento del credito (la cui tempestività, in caso di utilizzazio ne del servizio ' O: ale, va verificata con riguardo alla data di spedizio ne della raccor andata, attestata dal timbro dell'ufficio postale: Cass. 11 gennaio 19f j, n. 986, id., Rep. 1995, voce cit., n. 139), nel termine di sessanta giorni dal provvedimento liquidatorio, la decadenza dal di ritto di credito verso l'ente pubblicc messo in liquidazione. Con ordi nanza 25 maggio 1990, n. 268, id., 1990, I, 3067, ancora con osserva zioni di Romboli, la Corte costituzionale ha dichiarato manifestamente inammissibile l'anzidetta iniziativa del Tribunale di Genova, chiudendo così il discorso sulla costituzionalità dei ripetuti art. 8 e 9 1. n. 1404 del 1956. [C.M. Barone]

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

decadenza in questione, la corte d'appello riteneva infondata

la domanda, per carenza di prova in ordine al credito vantato; la fattispecie dell'art. 1672 c.c., in cui la situazione doveva esse

re inquadrata, onerava l'appaltatore della dimostrazione dell'en

tità delle opere poste in essere, in proporzione al prezzo pattui 'to e nei limiti in cui le opere siano utili per il committente.

Avverso detta decisione proponeva ricorso per cassazione, sulla

base di cinque motivi integrati da memoria, la s.r.l. Imprese costruzioni riunite; depositava controricorso il ministero del

tesoro.

Motivi della decisione. — I mezzi di cassazione proposti cor

rispondono alle due linee, tra di loro subordinate, seguite dalla

corte del merito nella decisione oggetto di ricorso. Alla linea

di decisione fondamentale, riflessa nella conferma della senten

za di inammissibilità della domanda della s.r.l. Icr pronunciata dal Tribunale di Roma, corrispondono i primi tre motivi di ri corso; la linea decisionale integrativa e subordinata, concernen

te il merito della domanda, di cui è stata ritenuta dalla Corte

d'appello di Roma l'infondatezza per mancanza di prova, è coin

volta nei motivi quarto e quinto di ricorso.

È ovvie, che l'esame dei motivi di merito è subordinato, nel

coordinamento degli argomenti proposti, alla eventuale fonda

tezza della linea logica per primo proposta dalla ricorrente; di

versamente, in caso di ritenuta inammissibilità della domanda

orginaria, l'esame dei motivi di merito, proposti per coprire con

il ricorso l'intero iter logico che diede luogo alla pronuncia del

la corte d'appello, sarebbe superato. I. - Con il primo mezzo di cassazione la società ricorrente

deduce la violazione e la falsa applicazione dell'art. 9 1. 4 di

cembre 1956 n. 1404, dolendosi del fatto che la corte del merito

abbia ritenuto sussistente l'ipotesi di decadenza prevista dal ci

tato art. 9 1. 4 dicembre 1956 n. 1404.

Rileva, innanzi tutto, la ricorrente che per la liquidazione dei

crediti degli enti soppressi sono consentite due modalità proce durali alternative, e cioè;

a) il procedimento amministrativo con la domanda da pro

porsi al ministero del tesoro, ufficio liquidazioni, entro sessanta

giorni dalla pubblicazione del provvedimento di messa in liqui dazione dell'ente ed inoltre, contro il provvedimento di rigetto, con la proposizione della domanda giudiziale entro trenta gior ni dalla comunicazione del provvedimento amministrativo di se

gno negativo;

ti) l'azione giudiziale diretta, non soggetta ad alcun termine

di decadenza.

Perché l'azione giudiziale sia vincolata al termine di decaden

za, peraltro, sarebbe necessario in tesi che l'istanza proposta in via amministrativa fosse rigettata per ragioni di merito, ed

in tale senso dovrebbe leggersi l'art. 9 suddetto allorché fa rife

rimento ai crediti «ammessi», o «non ammessi».

Qualora, invece, l'istanza originaria sia stata rigettata per tar

dività, il relativo provvedimento costituirebbe una dichiarazio

ne di non potere dare corso al procedimento amministrativo, non essendo stata rispettata la regola temporale che consente

di accedere a detto procedimento amministrativo; il che equi varrebbe a mancata proposizione della richiesta o comunque ad un'inefficacia del ricorso a promuovere il procedimento am

ministrativo di liquidazione. II. - Con il secondo mezzo di cassazione la società predetta

deduce la violazione del protocollo addizionale 20 marzo 1952

della convenzione europea dei diritti dell'uomo del 4 novembre

1950, oltre a mancata pronuncia e difetto di motivazione.

Sostiene la ricorrente che la 1. 1404/56, art. 9, se interpretata nel senso voluto dalla corte d'appello, porrebbe in essere un

meccanismo espropriativo di un diritto non giustificato da cau

sa di pubblica utilità. Sostenendo l'immediata applicabilità della convenzione e la

sua estensione non solo al diritto di proprietà ma anche al dirit

to di credito, la ricorrente lamenta che la doglianza sollevata

non ha ottenuto in secondo grado alcuna menzione nella sen

tenza impugnata. III. - Con il terzo mezzo di cassazione, la ricorrente deduce

l'illegittimità costituzionale dell'art. 9 1. 4 dicembre 1956 n. 1404, in relazione all'art. 3 Cost, ed inoltre all'art. 42, 3° comma.

Sotto il profilo dell'art. 3 la ricorrente individua nella disci

plina normativa impugnata la possibilità di porre nel nulla dei

crediti, imponendo procedure del tutto particolari, che compor tano termini brevi e perentori, soltanto ad alcuni soggetti.

Il Foro Italiano — 1997.

Sotto il profilo dell'art. 42 Cost., la ricorrente individua nella

legge una forma di espropriazione senza indennizzo.

Esaminando i tre motivi richiamati nel loro coordinamento

logico, può rilevarsi che la società ricorrente coglie aspetti meri

tevoli di considerazione, inquadrati, peraltro, in un iter argo mentativo non sempre esauriente né rispettoso di principi ri

chiamabili, e della posizione dalla stessa società assunta nei pre cedenti gradi di giudizio.

Ed invero, è ben inquadrata dalla ricorrente la duplice moda

lità alternativa consentita dalla legge (1. 4 dicembre 1956 n. 1404) e dall'interpretazione giurisprudenziale (Cass. 12 giugno 1986, n. 3918, Foro it., Rep. 1986, voce Amministrazione dello Stato, n. 186; sez. un. 16 giugno 1986, n. 4010, ibid., n. 184; 6 giugno 1987, n. 4944, id., Rep. 1987, voce Edilizia popolare, n. 30; 11 giugno 1992, n. 7174, id., Rep. 1993, voce Amministrazione dello Stato, n. 278; 12 novembre 1992, n. 12184, id., Rep. 1992, voce cit., n. 101) per fare valere diritti di credito nei confronti di enti di diritto pubblico soppressi e messi in liquidazione.

Una modalità procedurale è delineata dagli art. 8 e 9 della

legge citata, contemplanti la formazione in via amministrativa

di un elenco delle posizioni debitorie, su istanza dei creditori

interessati, con la possibilità di adire l'autorità giudiziaria con

tro i provvedimenti di rigetto, entro un termine dalla legge qua lificato come perentorio, decorrente dalla comunicazione della

decisione.

Dette modalità procedurali, cui per costante giurisprudenza

(v. le sentenze citate) non sono estensibili i principi delle proce dure concorsuali (anche se il procedimento amministrativo è de

lineato in maniera affine a quello concorsuale. Vedi Cass.

12184/92, cit.), non condizionano, peraltro, necessariamente l'e

sperimento dell'azione giudiziaria per far valere una situazione

creditoria controversa, nel senso che l'esperimento dell'azione

giudiziaria non presuppone necessariamente il ricorso al proce dimento amministrativo indicato, con i limiti temporali ad esso

attinenti. Di conseguenza, sia la prosecuzione delle azioni giudi ziarie già instaurate prima della messa in liquidazione dell'ente, sia azioni promosse successivamente, prescindono dalla preven tiva instaurazione della procedura amministrativa. Una volta,

peraltro, che la modalità procedurale degli art. 8 e 9 cit. venga

avviata, la stessa proposizione dell'azione giudiziale si inserisce

in una cadenza di situazioni amministrative e giurisdizionali dalla

legge stessa regolate, e non eludibili anche in relazione al termi

ne di decadenza.

Nell'alternatività tra le due modalità procedimentali e proce durali delineate, si inserisce la critica dalla società ricorrente, secondo cui una rilevata inammissibilità dell'inizio della proce dura amministrativa (nella specie la tardività dell'istanza ex art.

8 1. 1404/56), lascerebbe libero il creditore di agire in via di

giurisdizione ordinaria, senza soggiacere al termine decadenzia

le dell'art. 9 cit.

Nell'ambito di questo primo rilievo, può essere anche condi

visibile l'opinione secondo cui, essendo il procedimento ammi

nistrativo promosso ad istanza di parte, un'istanza irrituale (qua

lunque ne sia il motivo, non esclusa la tardività) non sia idonea

alla promozione del relativo procedimento che, di fatto, in tale

caso, non sarebbe avviato. E poiché solo la promozione e lo

svolgimento del procedimento amministrativo consente di vin

colare l'accertamento giudiziale ad un termine di decadenza, in

mancanza di procedimento non sussisterebbe neppure il vincolo

decadenziale, con la libera proponibilità dell'azione volta all'ac

certamento del credito, ed all'eventuale condanna, secondo l'al

ternativa già sopra proposta. Nel caso di specie, peraltro, l'avvio e la conclusione del pro

cedimento amministrativo vi è stato, sia pure con esito contra

rio alle pretese della s.r.l. Imprese costruzioni riunite, così co

me vi è stata una condotta processuale della società, oggi ricor

rente, volta a sostenere la tempestività dell'istanza originaria, a contrasto la posizione assunta dal ministero che aveva eccepi

to, tra l'altro, proprio l'inutile decorso del termine di cui al

l'art. 8, 1° comma, 1. 1404/56. Nell'atto di citazione originario,

infatti, la società prospettò espressamente la tempestività della

propria istanza ai sensi dell'art. 8 citato, sostenendo che in rela

zione alla sospensione feriale del termini, essa aveva rispettato i termini del ricorso. Detta eccezione, rigettata dal tribunale e

sulla quale nessuna censura era stata sollevata in appello (come accertato dalla corte di merito (pag. 5 sent. 626/93 della corte

d'appello), ancorché per motivi diversi da quelli addotti dalla

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1395 PARTE PRIMA 1396

società predetta, rendeva intangibile la posizione della parte at

trice originaria, che sulla rituale instaurazione della procedura aveva impostato la propria azione.

È la stessa posizione processuale assunta dalla parte attrice

(con atti esaminabili, in quanto il fatto processuale rientra nella

competenza della corte di legittimità), che delinea come essa

non intese promuovere un'autonoma azione giudiziale a pre scindere dal procedimento amministrativo, ma intese coltivare

la linea procedurale delineata dagli art. 8 e 9 1. 1404/56 impu

gando in via giudiziale proprio il provvedimento che aveva com

portato la sua esclusione dall'elenco dei creditori riconosciuti

dell'ente.

A questo punto, non può più la società sostenere l'autono

mia della propria azione giudiziale dal procedimento ammini

strativo e lo svincolo dalla indicata decadenza dell'art. 9 (il cui

termine era pacificamente decorso), volta che essa, contrastan

do proprio quel provvedimento amministrativo di esclusione, ha finito per inserire la propria azione proprio nella linea deli

neata dalla legge per quel procedimento. Una volta, poi, che il procedimento amministrativo di accer

tamento del credito sia avviato, non ha più senso sostenere che

solo il provvedimento che, affrontando il merito, escluda il cre

dito può essere impugnato con i vincoli dell'art. 9, mentre un

provvedimento di natura procedurale esulerebbe dal contesto

del procedimento delineato. Qualunque sia, infatti, il motivo

ritenuto in via amministrativa a fondamento del provvedimen

to, lo stesso si traduce nel non riconoscimento attuale del credi

to vantato, e la proposizione dell'azione coinvolge qualsiasi esclu

sione del credito dall'elenco di quelli ammessi e riconosciuti.

Nella specie, quindi, si deve riconoscere che la stessa condot

ta processuale della società ha inserito la propria azione nella

linea procedimentale segnata dai citati articoli, rispetto ai quali la tardività di proposizione, attivando il termine di decadenza, ha comportato rettamente la dichiarata inammissibilità dell'a

zione. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 25 marzo

1997, n. 2608; Pres. Cantillo, Est. Di Palma, P.M. Nicita

(conci, conf.); Tramalloni (Aw. Marino) c. Comune di Ge

nova (Avv. E. Romanelli, Napoli). Regolamento necessario

di competenza.

Competenza civile — Regolamento necessario — Sentenza del

giudice di pace — Inammissibilità (Cod. proc. civ., art. 42, 46).

È inammissibile il regolamento necessario di competenza pro

posto avverso la sentenza sulla competenza resa dal giudice di pace. (1)

(1) Negli stessi termini, v. Cass. 21 dicembre 1996, n. 11454, non massimata ma in Guida al diritto, 1997, fase. 8, 58. V. inoltre, sia

purr con riferimento ad una sentenza sulla competenza resa dal conci liate re, Cass. 2 aprile 1996, n. 3068, Foro it., 1996, I, 2818, che ha ritei uto ammissibile il ricorso ordinario per cassazione. In dottrina, per l'ini mmissibilità del regolamento necessario o facoltativo avverso la sen tenza sulla competenza resa dal giudice di pace, stante l'art. 46 c.p.c., v. Attardi, Le nuove disposizioni sul processo civile, Padova, 1991, 304 s.; Mandrioli, Corso di diritto processuale civile Torino, 1995, I, 228; G. Costantino, L'individuazione del giudice nella riforma de!

processo civile, in Documenti giustizia, 1993, 1118; G. F. Ricci, in

Bonsignori-Levoni-Ricci, Il giudice di pace, Torino, 1995, 253 s.; Cec

chella, in Acone-Capponi-Cecchella, Manzo, Il giudice di pace, Na

poli, 1992, 229 s.

Peraltro, alcuni autori, come dà atto il Supremo collegio nella deci sione riportata, hanno sostenuto l'abrogazione dell'art. 46 c.p.c. ai sen si dell'art. 15 disp. prel. c.c., ossia in quanto la legge sul giudice di

pace avrebbe regolato nuovamente l'intera materia, e cioè il procedi mento dinanzi al giudice non togato, materia in precedenza disciplinata dal codice di rito civile del 1940 (così Olivieri, Il regolamento di com

petenza resta inapplicabile nei giudizi davanti ai giudici di pace?, in

Il Foro Italiano — 1997.

Svolgimento del processo. — 1. - Con ricorso al Giudice di

pace di Genova del 23 maggio 1995, Roberto Tramalloni, nella

qualità di direttore sanitario pro tempore dell'Istituto di ricove

ro e cura a carattere scientifico Giannina Gaslini di Genova,

propose opposizione avverso l'ordinanza ingiunzione n. 399 in

data 11 aprile 1995 del comune di Genova, con la quale si in

giungeva a Maria Clotilde Iannuzzi (direttrice del laboratorio

della 2a clinica malattie infettive dell'università di Genova), in

solido con il direttore sanitario pro tempore del predetto istitu

to, il pagamento della somma di lire 22.040.000, quale sanzione

pecuniaria amministrativa per la violazione degli art. 5, 6, 12, 3° comma, e 14, 4° comma, d.l. 27 gennaio 1992 n. 116, in

materia di protezione degli animali utilizzati a fini sperimentali e ad altri fini scientifici.

Instauratosi il contraddittorio, il comune di Genova, costitui

tosi, eccepì, fra l'altro, l'incompetenza per materia del giudice adito.

Il Giudice di pace di Genova, con sentenza del 12-21 luglio

1995, rilevato che dinanzi al Pretore di Genova pendeva altra

causa di opposizione alla predetta ordinanza-ingiunzione, pro mossa da Maria Clotilde Iannuzzi, e che la causa di opposizio ne promossa dal Tramalloni doveva considerarsi connessa alla

prima ex art. 40 c.p.c., ordinò alle parti di riassumere la causa

entro dieci giorni dinanzi al Pretore di Genova.

Avverso tale decisione ha proposto ricorso per regolamento di competenza Roberto Tramalloni, sottolineando, in primo luo

go, che al momento della proposizione della domanda era com

petente a conoscere l'opposizione, per ragioni di materia e di

valore, il Giudice di pace di Genova ex art. 5 c.p.c.; e, in secon

Giust. civ., 1992, II, 281 ss., cui adde, Acone, in Vaccarella-Verde, Codice di procedura civile commentato, Torino, 1997, I, 440; Luiso, in Consolo-Luiso-Sassani, La riforma del proceso civile. II. Il giudice di pace e la l. 477/92 di entrata in vigore parziale della riforma, Mila

no, 1993, 254; Sassani, in Consolo-Luiso-Sassani, Commentario alla

riforma del processo civile, Milano, 1996, 57 ss.; Napolitano, La com

petenza per materia, per valore e per territorio del giudice di pace, in Vita not., 1994, 999). Con la conseguenza che le sentenze sulla compe tenza del giudice di pace (così come le ordinanze che dichiarano la so

spensione necessaria del processo ex art. 295 c.p.c.) sarebbero comun

que soggette al regolamento di competenza. Tale lettura si fonda sul carattere effettivamente innovativo della legge sul giudice di pace ri

spetto alla precedente disciplina concernente i giudizi promossi dinanzi al giudice conciliatore, ed in particolare: a) sull'attribuzione di nuova

competenza per valore e, soprattutto, per materia, a dimostrazione che non si è voluto operare riguardo al giudice onorario un mero adegua mento della competenza per valore; b) sull'appellabilità delle sentenze dinanzi al tribunale, con disciplina identica a quella prevista per le sen tenze del pretore; c) sulla previsione del giudizio di diritto per le contro versie di valore superiore a lire due milioni; d) sul differente sistema di reclutamento dei giudici di pace. Tale tesi interpretativa non è stata

seguita dalla corte nella decisione in epigrafe, ove si conferma la vigen za attuale dell'art. 46 c.p.c., in considerazione sia della mancanza di una espressa abrogazione di tale disposizione, sia dell'inesistenza di una

puntuale ed oggettiva incompatibilità tra l'art. 46 c.p.c. e la nuova di

sciplina sul giudice di pace introdotta dalla 1. n. 374 del 1991 e dall'art.

1, 1° comma, d.l. n. 432 del 1995, convertito in 1. n. 534 del 1995, sia infine della «sostanziale ambiguità della vigente disciplina sulla com

petenza civile attribuita al giudice di pace sotto il profilo della rilevanza economica e sociale delle controversie allo stesso affidate». Al riguar do, va ricordato che la corte, pur riconoscendo che il giudice di pace è «figura di magistrato onorario ... del tutto "nuova" ed "autono

ma", rispetto a quella precedente, tanto sul piano organizzativo (nomi na, status, ufficio), quanto su quello processuale (competenza civile, procedimento, regime delle impugnazioni)», ha però ritenuto di esclu dere «l'incompatibilità, tout court, della originaria ratio dell'art. 46

c.p.c.», ossia l'eccessiva sproporzione del regolamento di competenza rispetto all'interesse protetto, «con l'attuale assetto delle competenze civili attribuite al giudice di pace», e ciò anche a seguito dell'entrata in vigore del d.l. n. 238 del 1995 (reiterato dai d.l. n. 347 e n. 432 del 1995, l'ultimo dei quali convertito nella 1. 20 dicembre 1995 n. 534) che ha sottratto alla competenza del giudice di pace le cause di opposi zione alle ingiunzioni di cui alla 1. n. 689 del 1981 ed alle sanzioni amministrative irrogate in base all'art. 75 d.p.r. n. 309 del 1990.

Ammettono, comunque, che il giudice di pace possa richiedere di ufficio il regolamento di competenza, in quanto l'art. 46 c.p.c. non fa alcun riferimento all'art. 45 c.p.c., Ricci, cit., 253; Cecchella, cit., 230.

Sul regolamento di competenza, v., per tutti e da ultimo, Acone, Regolamento di competenza. I. Diritto processuale civile, voce dell'isn

ciclopedia giuridica Treccani, Roma, 1995, XXVI (aggiornamento IV).

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