sezione I civile; sentenza 28 novembre 1984, n. 6187; Pres. Santosuosso, Est. Senofonte, P. M.Sgroi V. (concl. conf.); Auricchio e Barbieri (Avv. Carboni Corner, De Longhi) c. Tavella;Tavella (Avv. Gaito, Mazza De Piccioli, Amoroso), c. Auricchio e Barbieri; Pozzari (Avv. DeCamelis) c. Tavella e altri. Cassa App. Milano 16 aprile 1982Source: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 12 (DICEMBRE 1985), pp. 3179/3180-3181/3182Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23180586 .
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3179 PARTE PRIMA 3180
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 28 no
vembre 1984, n. 6187; Pres. Santosuosso, Est. Senofonte, P. M. Sgroi V. (conci, conf.); Auricchio e Barbieri (Avv. Carboni Corner, De Longhi) c. Tavella; Tavella (Avv. Gai
to, Mazza De Piccioli, Amoroso), c. Auricchio e Barbieri; Pozzari (Avv. De Camelis) c. Tavella e atei. Cassa App. Milano 16 aprile 1982.
Fallimento — Società di capitali — Amministratori — Azione di
responsabilità esercitata nel fallimento — Legittimazione esclu
siva dei curatore (Cod. civ., art. 2392, 2393, 2394; r.d. 16
marzo 1942 n. 267, disciplina del fallimento, art. 146). Società — Società di capitali — Amministratori — Azione di
responsabilità dei creditori sociali dopo il fallimento — Inam
missibilità (Cod. civ., art. 2394; r.d. 16 marzo 1942 n. 267, art.
146).
Nel caso di fallimento di società di capitali, le azioni di
responsabilità nei confronti degli amministratori, previste dagli art. 2393 e 2394 c.c. a favore, rispettivamente, della società e,
surrogatoriamente, dei creditori sociali, confluiscono nell'unica
azione di cui all'art. 146, 2" comma, l. fall., di cui è titolare
esclusivo il curatore. (1) In costanza di fallimento la legittimazione dei creditori sociali ad
esercitare l'azione di responsabilità di cui all'art. 2394 c.c. non
sopravvive, ancorché il curatore rimanga inerte. (2)
(1-2) L'esercizio dell'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori di una società di capitali fallita spetta esclusivamente al curatore fallimentare: Cass. 10 giugno 1981, n. 3755, Foro it.. Rep. 1981, voce Fallimento, n. 216; 1° febbraio 1962, n. 192, id., 1962, I, 188; 29 aprile 1954, n. 1327, id., Rep. 1954, voce Società, n. 218.
Dopo il fallimento, pertanto, i creditori sociali non possono agire contro gli amministratori, neanche in via sostitutiva nell'ipotesi di inerzia del curatore: Cass. 29 aprile 1954, n. 1327, cit., Trib. Roma 7
luglio 1964, id., Rep. 1965, voce cit., n. 588. Si ritiene, infatti, che l'azione spettante al curatore fallimentare
contro gii amministratori, avendo carattere unitario ed essendo volta ad acquistare all'attivo fallimentare tutto ciò che dal patrimonio della
società è stato depauperato per atti o fatti imputabili agli amministra
tori, assorba inscindibilmente sia l'azione sociale di responsabi lità, sia l'azione di responsabilità attribuita ai creditori socia
li, le quali perderebbero cosi la loro autonomia. In questo sen so v. Cass. 6 ottobre 1981, n. 5241, id., 1982, I, 94; 10 giugno 1981, n. 3755, cit.; 25 luglio 1979, n. 4415, id., Rep. 1979, voce Prescrizione e decadenza, n. 28; 27 luglio 1978, n. 3768, id.. Rep.
1978, voce Fallimento, n. 434; 21 marzo 1974, n. 790, id., 1975, I, 429; 24 giugno 1950, n. 1607, id., Rep. 1950, voce Società, n. 230; Trib. Milano 20 settembre 1976, id., Rep. 1977, voce cit., n. 237; Trib. Catania 16 settembre 1976, id., Rep. 1978, voce cit., n. 209; Trib. Milano 1° luglio 1976, id., Rep. 1977, voce cit., n. 228.
Critica la impostazione secondo cui l'azione ex art. 146, 2° comma, 1. fall, avrebbe contenuto unitario, ritenendo che il curatore fallimenta re agendo contro gli amministratori eserciti cumulativamente due distinte azioni, Bcnelli, Art. 1462 l. fall.: l'azione di responsabilità del curatore contro gli amministratori di s.p.a. fallite, in Giur. comm., 1982, II, 780 ss.
Induce ad escludere che i creditori sociali possano agire, in costanza di fallimento, contro gli amministratori in sostituzione del curatore inerte anche il principio generale secondo cui il singolo creditore non può surrogarsi al curatore fallimentare, essendo questi titolare esclusivo delle funzioni di tutela dei creditori e di ricostruzione del patrimonio fallimentare: Cass. 23 marzo 1961, n. 658, Foro it., 1961, I, 588; Nicolò, in Commentario, a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 156 ss., sub art. 2900; Satta, Istituzioni di diritto fallimentare, Roma, 1964, 41, 117 e 165; Provinciali, Trattato di diritto fallimenta re, Milano, 1974, II, 972; Ferrara, Il fallimento, Milano, 1974, III, 40.
La giurisprudenza ha precisato che la legittimazione del curatore ha carattere derivativo, in quanto l'art. 146 non contempla una nuova ed autonoma azione nascente daila dichiarazione di fallimento, ma sempli cemente trasferisce al curatore l'esercizio delle azioni spettanti, prima dell'apertura della procedura concorsuale, alle società ed ai creditori sociali: cfr. Cass. 6 ottobre 1981, n. 5241, cit.; 10 giugno 1981, n. 3755, cit.; 25 luglio 1979, n. 4415, cit.; 27 luglio 1978, n. 3768, cit.; App. Milano 5 marzo 1976, Foro it., Rep. 1976, voce Società, n. 178; App. Torino 9 luglio 1975, ibid., n. 190; Trib. Milano 19 gennaio 1974, id., Rep. 1974, voce cit., n. 220; App. Milano 7 giugno 1960, id., Rep. 1961, voce Fallimento, n. 573; Trib. Milano 9 giugno 1958, id., Rep. 1958, voce Società, n. 283.
Anche la dottrina qualifica come sostitutiva la legittimazione del curatore alla proposizione dell'azione di responsabilità contro gli amministratori, sostenendo che il fallimento determina il trasferimento al curatore delle azioni prima spettanti alla società ed ai creditori sociali: A. De Martini, Azione di responsabilità contro gli ammini stratori di società durante e dopo il fallimento, in Giur. Cass. civ., 1974, II, 1164; Provinciali, Trattato di diritto fallimentare, cit., 2042-2043; Ferrara, Il fallimento, cit., 286 e 295.
Svolgimento del processo. — Nel giudizio instaurato dinanzi al
Tribunale di Cremona, con citazione 4 dicembre 1961, da Mario
e Aldo Tavella, soci e creditori della s.r.l. B.i.f., nei confronti di
Aldo Pozzari, in proprio e quale liquidatore della società, nonché
degli (ex) amministratori Andrea Barbieri e Gennaro Auricchio, la Corte d'appello di Brescia, con sentenza non definitiva 27
aprile 1966, in parziale riforma della decisione di primo grado, dichiarò proponibile in sede ordinaria la domanda di revoca del
liquidatore e affermò che gli attori erano legittimati all'esercizio
dell'azione (di responsabilità verso i creditori) prevista dall'art.
2394 c.c. Confermò, invece, le statuizioni del primo giudice di
improponibilità (per difetto di legittimazione ad processum) del
l'azione di cui all'art. 2393 c.c. e di rigetto (per mancanza di
legittimazione ad causarti) della domanda di cui all'art. 2395.
Ma, con sentenza definitiva 24 maggio 1976, anche le doman
de ammesse furono rigettate per infondatezza.
Avverso questa seconda pronuncia i Tavella proposero ricorso
per cassazione, accolto con sentenza (n. 5190/79, Foro it., Rep.
1979, voce Consulente tecnico, nn. 13, 31, e Società, n. 296) di an
nullamento della decisione impugnata e contestuale rinvio per nuo
vo esame alla Corte d'appello di Milano.
Con atto 10 novembre 1980, i Tavella riassunsero la causa an
che nei confronti del curatore del fallimento della società B.i.f. (di chiarata fallita con sentenza 16 gennaio 1978), chiedendo che, pre via rinnovazione della consulenza tecnica d'ufficio e accertamento
della responsabilità dei convenuti, questi venissero condannati, in
favore degli attori: al rimborso delle rispettive quote del capitale sociale versato e della somma complessiva di circa lire 34.000.000,
con gli interessi, quale importo di fideiussioni prestate a favore
della società e da essi onorate; « al risarcimento dei danni patiti e patiendi conseguenziali al comportamento illecito dei medesimi
convenuti nei confronti di essi appellanti »; alla rifusione delle
spese di tutti i gradi e fasi del giudizio. Con la sentenza — non definitiva — ora impugnata, la corte
milanese, dato atto che i Tavella non avevano riproposto la
domanda di revoca del Pozzari dalla carica di liquidatore della
società, ha dichiarato improponibile la domanda di risarcimento
dei danni ex art. 2043 c.c., perché rimasta estranea al precedente
giudizio di annullamento; ha, invece, rigettato, in relazione alla
domanda di cui all'art. 2394 c.c., l'eccezione di estinzione del
processo sollevata dai convenuti per non essere stato riassunto
dal curatore del fallimento, osservando che, nel caso di deliberata
inerzia di quest'ultimo, sopravvive la legittimazione ad causam
degli originari attori. Con coeva ordinanza ha, quindi, disposto la
prosecuzione del giudizio. Contro questa sentenza propongono ricorso l'Auricchio e il
Barbieri — per la parte relativa al rigetto dell'eccezione di
estinzione del processo — con un solo complesso motivo. Resi
stono con controricorso i Tavella, che hanno, altresì, proposto ricorso incidentale relativamente al preteso abbandono della do
manda di revoca del liquidatore e alla ritenuta improponibilità della domanda di risarcimento.
A quest'ultimo ricorso resistono con controricorso l'Auricchio, il Barbieri e il Pozzari, il quale ha anche proposto ricorso
incidentale adesivo (a quello principale), cui i Tavella resistono
con controricorso. Tutte le parti hanno depositato memoria.
Motivi della decisione. — Tutti i ricorsi, proposti contro la stessa sentenza, vanno preliminarmente riuniti, a norma dell'art.
355 c.p.c. Con l'unico motivo del ricorso principale, i ricorrenti, denun
ziando violazione e falsa applicazione e disapplicazione degli art.
2392, 2393, 2394 e 2900 c.c., 42, 43 e 146 r.d. 16 marzo 1942 n.
Contra, in una pronuncia rimasta isolata, Cass. 21 marzo 1974, n. 790, Foro it., 1975, I, 429, secondo cui l'azione ex art. 146 costituisce un'azione di massa, nell'esercizio della quale il curatore svolge attività autonoma ed assume la posizione di terzo. Peraltro anche la sentenza che si riporta, pur se in via incidentale, qualifica l'azione di competenza del curatore come un'azione di massa. Sul punto v. Salanitro, Responsabilità degli amministratori durante il fallimento (' società per azioni, in Riv. società, 1962, 767 ss.; Ragusa Maggiore, L'azione di responsabilità contro gli amministratori di società ne! fallimento delle società per azioni, in Dir. fall., 1965, I, 165 ss ; Id., La responsabilità individuale degli amministratori (2395 c.c.), Milano, 1969, 256.
Per quanto riguarda il problema della prescrizione dell'azione ex ari. 146 1. fall., strettamente connesso a quello della sua natura, cfr. Cass. 6 ottobre 1981, n. 5241, cit., ed in dottrina, oltre Bonelli, cit., Paola, In tema di prescrizione dell'azione di responsabilità contro gli ammi nistratori di una società di capitali fallita, in Fallimento, 1979, 648 ss. e Marziale, nota a Cass. 6 ottobre 1981, n. 5241, cit.
Il Foro Italiano — 1985.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
267, 81, 392 e 393 c.p.c., nonché contraddittorietà di motivazione
e omesso esame di fatto decisivo della controversia (art. 360, nn.
3 e 5, c.p.c.), deducono che erroneamente la corte d'appello ha
ritenuto i Tavella legittimati alla prosecuzione dell'azione di cui
all'art. 2394 c.c., trapassata, invece, per effetto del fallimento della
società, al curatore, con la conseguenza che, essendo stata la
causa riassunta dinanzi al giudice di rinvio -da soggetti privi di
legittimazione, il processo, per questa parte almeno, si sarebbe
estinto.
Rilievi analoghi formula il Pozzari, col proprio ricorso inciden
tale adesivo.
I controricorrenti si richiamano, invece, alla motivazione della
sentenza impugnata, aggiungendo che, comunque, il potere di
eccepire la mancanza di legittimazione attiva alla riassunzione
della causa sarebbe spettato esclusivamente al curatore del falli
mento, peraltro chiuso, e che, in ogni caso, essendo stata la
questione implicitamente risolta nel precedente giudizio di annul
lamento, non poteva essere riproposta in sede di rinvio.
Col ricorso incidentale, poi, censurano la sentenza impugnata,
per violazione degli art. 112, 113, 115 e 116 c.p.c., nelle parti in
cui essa ha ritenuto abbandonata la domanda di revoca del
liquidatore, perché non riproposta, e improponibile la domanda
di risarcimento dei danni ex art. 2043 c.c., perché preclusa. Quanto al primo punto, i Tavella si dolgono che il giudice di
rinvio — oltre a non dare atto, come avrebbe dovuto, che il
fallimento della società aveva determinato ex art. 42 1. fall, la
caducazione dalle cariche sociali, compresa quella di liquidatore, con conseguente superfluità di una revoca formale, e che il
Pozzari aveva, per di più, rinunziato all'incarico — abbia omesso
di prendere in esame quella parte della loro comparsa conclusio
nale dalla quale era agevolmente desumibile che essi non avevano
inteso affatto abbandonare la domanda di revoca, avendo espres samente ribadito che la sopravvenuta rinunzia all'incarico da
parte del titolare non avrebbe potuto in alcun modo incidere
sulle sue responsabilità pregresse.
In relazione all'altro punto, sostengono che sia stato violato il
principio secondo il quale i limiti del giudizio di rinvio sono
anche quelli inerenti alle preclusioni derivanti dal giudicato
implicito formatosi con la sentenza di annullamento, nel senso
che le questioni preliminari, deducibili dalle parti o rilevabili
d'ufficio, qualora non siano state dedotte o rilevate in sede di
legittimità, non possono più esserlo in sede di rinvio, poiché il
loro esame potrebbe condurre alla caducazione o alla limitazione
degli effetti della pronuncia di annullamento. In virtù di tale
principio, la domanda di risarcimento da essi proposta con la
citazione introduttiva del 4 dicembre 1961, riprodotta nelle suc
cessive fasi del processo e presa anche in considerazione espres samente dalla precedente sentenza di questa corte nell'esame del
settimo motivo di ricorso, doveva ritenersi ormai definitivamente
acquisita al thcma decidendum, non diversamente dalla domanda
di revoca del liquidatore, in quanto gli interessati avevano
omesso di far valere in sede di legittimità eventuali ragioni di
improponibilità, che, se anche sussistenti, non potevano essere,
dunque, dedotte dalle parti o rilevate d'ufficio dinanzi al giudice di rinvio, ormai irretrattabilmente investito anche della cognizione delle domande non contestate nelle fasi pregresse.
II ricorso principale è fondato. È opportuno premettere che, alla data di riassunzione del processo (conseguente alla sentenza
di annullamento con rinvio dell'ottobre 1979), il fallimento era
ancora aperto, essendo stato il decreto di chiusura impugnato (ex art. 119 1. fall.) dinanzi alla corte d'appello e da questa successi
vamente revocato.
Fatta questa puntualizzazione, resa necessaria dagli insistiti
riferimenti del difensore dei Tavella alla chiusura della procedura
concorsuale, occorre, altresì, precisare che, nel caso di fallimento
della società di capitali, le azioni di responsabilità nei confronti
degli amministratori previste dagli art. 2393 e 2394 c.c. a favore,
rispettivamente, dell'ente e, surrogatoriamente, dei creditori socia
li, confluiscono nell'unica azione di cui all'art. 146, 2° comma, 1.
fall., finalizzata alla ricostituzione del patrimonio sociale e spet tante al curatore.
Con la legittimazione del quale non è sostenibile che possa concorrere la legittimazione dei creditori sociali per l'azione (già) di loro spettanza, essendo quest'ultima assorbita, in costanza della
procedura fallimentare, dall'azione di massa e non potendo,
quindi, finché dura il fallimento, ad essa sopravvivere. La legittimazione esclusiva del curatore nella materia, proprio
per le ragioni esposte, anche se non sempre univocamente espli
citate, è stata, del resto, costantemente affermata da questa corte:
in tempi meno recenti, con le sentenze n. 1327/54 (id., Rep. 1954, voce Società, n. 219) e n. 192/62 (id., 1962, I, 188); da
ultimo, con la sentenza n. 3755/81 (id., Rep. 1981, voce Fallimen
to n. 216) (cfr., in motivazione, anche Cass. 5241/81, id., 1982, I,
94; 4415/79, id., Rep. 1979, voce Prescrizione e decadenza, n. 28;
3768/78, id., Rep. 1978, voce Fallimento, n. 434; 790/74, id.,
1975, I, 429). Né è pensabile che l'assorbimento possa essere neutralizzato
dall'inerzia del curatore (quale che ne sia il motivo), poiché l'azione assorbita perde, al momento (e per effetto) dell'assorbi
mento, la propria autonomia e, quindi, il collegamento con gli
originari titolari, non più in grado, perciò, fino a quando le
ragioni dell'assorbimento permangono, di rimuoverne gli effetti
eversivi.
Per dissipare residue perplessità manifestate nel caso di specie, conviene aggiungere, in generale, che il curatore è titolare di un
ufficio (munus) istituzionalmente incompatibile con iniziative so
stitutive, di qualunque tipo, dei singoli creditori, che, se ammesse,
potrebbero alterare l'ordinario svolgimento della procedura con
corsuale, e che potranno, perciò, essere utilmente proposte o riat
tivate solo dopo la chiusura del fallimento. (Omissis)
CORTE D'APPELLO DI CATANZARO; sentenza 23 maggio 1985; Pres. Arena, Est. Sansalone; Minervini (Avv. Gentili) c. Provincia di Cosenza (Avv. Scorza, Rossi).
CORTE D'APPELLO DI CATANZARO
Locazione — Legge 392/78 — Immobili adibiti ad uso non
abitativo — Diritto di prelazione del conduttore — Stato ed
enti pubblici territoriali — Titolarità — Esclusione (L. 27
luglio 1978 n. 392, disciplina delle locazioni di immobili ur
bani, art. 38, 42).
Non si applica ai contratti di locazione stipulati dallo Stato e da
enti pubblici territoriali, in qualità di conduttori, l'istituto della
prelazione urbana contemplato dall'art. 38 l. 392/78 per l'ipote si di vendita dell'immobile locato. (1)
(1) Non risultano precedenti in termini. Conforme, in dottrina, S. Tondo, Conjigurazione della prelazione urbana, in Riv. not., 1981, 14.
La inapplicabilità dell'art. 38 1. n. 392/78 ai rapporti locatizi
contemplati dell'art. 42 è, peraltro, un principio non contestato in base al combinato degli art. 41 e 42, giacché, come sottolinea la pronunzia in epigrafe, la prelazione in argomento riguarda solo i conduttori di immobili adibiti all'esercizio di attività industriali, commerciali, artigia nali e turistiche implicanti contatti diretti e continuativi con il
pubblico degli utenti e consumatori, risiedendo la sua ratio nell'esigenza di garantire la conservazione della clientela, in una più ampia prospettiva di tutela dell'avviamento commerciale.
Per la esclusione della prelazione ex art. 38 cit. nel caso di locazioni inquadrabili nella previsione dell'art. 42, v. (con riferimento ad un caso di immobile adibito all'esercizio di attività scolastica) Trib. Catania 19 aprile 1983, Foro it., Rep. 1984, voce Locazione, n. 335; e, in dottrina: Potenza-Chirico-Annunziata, L'equo canone, 1978, 369
ss.; V. Cuffaro, in Equo canone, Padova, 1980, 486 ss.; F. Lazzaro, Unicità di « ratio » nelle prelazioni urbane, in Rass. equo canone, 1983, 12; G. Salvadori Del Prato, I contratti di locazione di immobili destinati a particolari attività. Regime definitivo e transitorio, in Locazioni urbane, 1983, 7.
Sulla legittimità costituzionale — più volte messa in dubbio, anche in dottrina — della limitazione dell'ambito applicativo della prelazione urbana ed in particolare sull'esclusione dei conduttori di immobili urbani adibiti all'esercizio di attività professionale dalla titolarità del diritto di prelazione, si è pronunciata Corte cost. 5 maggio 1983, n.
128, Foro it., 1983, I, 1497, con nota di richiami di D. Piombo. In sintonia con tale decisione, la giurisprudenza ritiene che l'istituto della
prelazione, concretandosi in una restrizione dei normali poteri dì
disposizione del proprietario, configuri una forma eccezionale di tutela
accordata ad una categoria di conduttori individuata tassativamente ed
insuscettibile di dilatazione interpretativa; esplicitamente in questo ordine di idee Trib. Roma 7 aprile 19S4, id., Rep. 1984, voce
cit., n. 315; Cass. 24 ottobre 1983, n. 6256, id., 1983, I, 3004, In dottrina v. N. Corbo, Prelazione ex art. 38 l. 392/78 e subastazione
dei beni: caratteri dell'istituto e limiti esterni alla operatività del
privilegio (nota a Trib. Roma 10 luglio 1981, id., Rep. 1983, voce cit., n. 343), in Giur. merito 1983, 651, e Tondo, cit.
Il problema della natura giuridica della comunicazione di cui all'art. 38 1. 392/78 non è esplicitamente affrontato nella decisione in epigrafe, che sembra dare per scontato come tale comunicazione costituisca
proposta contrattuale a tutti gli effetti. Sul punto non è dato però di riscontrare uniformità di vedute in dottrina ed in giurisprudenza v. in
Il Foro Italiano — 1985.
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