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sezione I civile; sentenza 28 settembre 2004, n. 19416; Pres. De Musis, Est. De Chiara, P.M. Ciccolo...

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sezione I civile; sentenza 28 settembre 2004, n. 19416; Pres. De Musis, Est. De Chiara, P.M. Ciccolo (concl. conf.); Associazione Studio Alessandro e Antonio Campos Venuti (Avv. D'Alessio) c. Scammacca (Avv. Cappabianca). Conferma App. Roma 12 settembre 2000 Source: Il Foro Italiano, Vol. 129, No. 9 (SETTEMBRE 2006), pp. 2473/2474-2477/2478 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23201650 . Accessed: 25/06/2014 08:03 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.78.108.51 on Wed, 25 Jun 2014 08:03:07 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione I civile; sentenza 28 settembre 2004, n. 19416; Pres. De Musis, Est. De Chiara, P.M.Ciccolo (concl. conf.); Associazione Studio Alessandro e Antonio Campos Venuti (Avv. D'Alessio)c. Scammacca (Avv. Cappabianca). Conferma App. Roma 12 settembre 2000Source: Il Foro Italiano, Vol. 129, No. 9 (SETTEMBRE 2006), pp. 2473/2474-2477/2478Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23201650 .

Accessed: 25/06/2014 08:03

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

sa e l'identità e idoneità della persona a mani della quale è stata

eseguita. Ne consegue che, ove tale mezzo sia stato adottato per la notifica del ricorso per cassazione, la mancata produzione dell'avviso di ricevimento comporta non la mera nullità, ma l'i

nesistenza della notificazione (della quale, pertanto, non può es

sere disposta la rinnovazione ai sensi dell'art. 291 c.p.c.) e l'i nammissibilità del ricorso medesimo, in quanto non può accer

tarsi l'effettiva e valida costituzione del contraddittorio, anche

se risulta provata la tempestività della proposizione dell'impu

gnazione» (così Cass. 10 marzo 2004, n. 4900, id., 2004, I, 2383; 18 luglio 2003, n. 11257, id., Rep. 2003, voce cit., n. 66; 29 novembre 2002, n. 16934, id., Rep. 2002, voce cit., n. 67, tra molte).

Pertanto il ricorso è inammissibile.

II

(Omissis). L'ulteriore aspetto da considerare, in rito, attiene

all'instaurazione del contraddittorio; il ricorso non è stato noti

ficato a Massimo Veronesi (risultato irreperibile); non vi è pro va del perfezionamento della notifica nei confronti di Achille D'Avanzo e Gianfranco Cornali (all'udienza appositamente fis

sata al 7 dicembre 2005, la difesa dell'attore non ha potuto esi

bire gli avvisi di ricevimento delle raccomandate, in quanto non

ancora restituiti); infine, a Cristian Caruso (non costituitosi) il ricorso è stato notificato il 26 novembre, ossia il giorno succes

sivo al termine perentorio fissato da questo giudice, ex art. 669

sexies c.p.c., ed a Marco Bugo (che si è costituito ed ha eccepito la tardività della notifica) solamente il giorno 28.

In difetto di prova di rituale notifica del ricorso, nessun prov vedimento può essere adottato nei confronti dei resistenti D'A

vanzo, Cornali e Veronesi; né un ulteriore differimento della

decisione (peraltro neppure sollecitato dal ricorrente) al fine di

documentare il perfezionamento delle notifiche nei confronti di

D'Avanzo e Cornali pare compatibile con le peculiarità del rito

e la richiesta (in parte accolta) di emissione di decreto inaudita

altera parte (con conseguente fissazione negli stretti tempi im

posti dall'art. 669 sexies c.p.c. dell'udienza per la conferma, re

voca o modifica dei provvedimenti adottati prima dell'instaura

zione del contraddittorio). Per quanto attiene, invece, le notifiche effettuate successiva

mente al termine perentorio fissato nel decreto, parte ricorrente

ha evidenziato di averle richieste tempestivamente, e di non

potere pertanto essere sanzionata con una pronunzia di decaden

za per ritardi imputabili ad altri soggetti; ha richiamato, a tale

proposito, i principi espressi dalla sentenza 477/02 della Corte

costituzionale (Foro it., 2003,1, 13). Il resistente Bugo rileva che, in realtà, il ritardo è imputabile

in primo luogo allo stesso notificante, il quale ha atteso tre gior ni (dal 18 al 21) per richiedere le notifiche, scegliendo poi di af fidarsi al servizio postale. In sede di discussione orale i procu ratori del ricorrente hanno affermato che il ritardo è in parte di

peso dall'indisponibilità del cancelliere al rilascio delle copie conformi del ricorso se non decorsi tre giorni dalla richiesta; la

circostanza, però, è meramente allegata; per contro, consta che

il ricorrente (che pure avrebbe dovuto e potuto farlo, attesa la ri

strettezza dei termini fissati dalla legge per la notifica del de

creto) non si sia valso della possibilità di richiedere il rilascio di copie urgenti.

Ancora, la scelta di affidarsi al servizio postale per le notifi

che in un tempo così ridotto comporta l'assunzione del rischio

relativo in merito ai tempi di consegna, rischio che il ricorrente

avrebbe potuto agevolmente evitare: la riprova si ha nell'unica

notifica non effettuata per posta, ossia quella eseguita ai sensi

dell'art. 143 c.p.c. nei confronti di Rizziero Zigliani il giorno stesso (22 novembre) della richiesta.

Concludendo sul punto, si ritiene che debba pronunciarsi la

decadenza del ricorrente, relativamente ai ricorsi tardivamente

notificati, e ciò sulla base di un'interpretazione volta all'equo

contemperamento dei contrapposti interessi delle parti, desumi

bile dal modello di procedimento delineato dall'art. 669 sexies c.p.c.; possibilità di emanazione di provvedimenti urgenti anche

molto incisivi, quali quelli richiesti dal fallimento nei confronti degli odierni resistenti, senza la previa convocazione dei desti

natari degli stessi, ma necessità di un sollecito riesame della vi

cenda nel contraddittorio delle parti.

Il Foro Italiano — 2006.

In tale ottica si comprende la ragione della ristrettezza dei

tempi fissati dalla legge sia per la notifica del decreto, sia per la predisposizione delle difese di parte resistente, nonché la quali ficazione del termine per la notifica come «perentorio»; in tale

ottica deve essere valutata la diligenza del ricorrente, che è te

nuto a fare tutto quanto è nelle sue possibilità per consentire a

controparte di avere conoscenza legale del ricorso entro il ter

mine (massimo) di otto giorni dall'emissione del decreto (o nel

più ristretto termine eventualmente fissato dal giudice designa to), in modo che non risulti ulteriormente limitato il diritto di di fesa; è chiaro che, nella valutazione della diligenza richiesta, si deve considerare che la determinazione del termine massimo di

otto giorni per la notifica impone a chi chieda (ed ottenga) la concessione di una misura cautelare inaudita altera parte di at

tivarsi immediatamente e di scegliere anche il mezzo più celere, fra quelli a sua disposizione.

Consegue alla mancata, tempestiva integrazione del contrad

dittorio nei confronti del Caruso la revoca del provvedimento cautelare emesso in data 17-18 novembre 2005.

Quanto al Bugo si deve invece rilevare che, non essendo egli destinatario del sequestro emesso prima della sua convocazione, non può trovare applicazione nei suoi confronti quanto disposto dall'art. 669 sexies c.p.c. in ordine alla perentorietà del termine, e ciò nonostante il decreto di fissazione dell'udienza abbia

(contravvenendo al disposto dell'art. 152 c.p.c.) indicato come

perentorio il termine per la notifica a tutti i resistenti, ivi com presi quelli nei cui confronti si deve ritenere applicabile lo schema di procedimento di cui al 1° comma dell'art. 669 sexies

c.p.c. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 28 set tembre 2004, n. 19416; Pres. De Musis, Est. De Chiara, P.M.

Ciccolo (conci, conf.); Associazione Studio Alessandro e

Antonio Campos Venuti (Avv. D'Alessio) c. Scammacca

(Avv. Cappabianca). Conferma App. Roma 12 settembre

2000.

Cassazione civile — Ricorso — Motivi — «Error in proce dendo» — Poteri della Corte di cassazione — Limiti —

Fattispecie (Cod. proc. civ., art. 360).

Il potere della Corte di cassazione di accertare i fatti proces

suali, allorché sia chiamata a decidere sulla censura relativa

ad un error in procedendo, può dispiegarsi con ampiezza solo

ove il giudice di merito non abbia statuito sul punto, mentre

invece, ove la relativa statuizione in fatto sia stata adottata

da quel giudice, la stessa va impugnata davanti alla Corte di

cassazione con un mezzo appropriato, quale la denuncia di

vizi di motivazione ai sensi dell'art. 360, n. 5, c.p.c. (fattispe cie in tema di accertamento della residenza del convenuto ai

fini della valutazione concernente la validità della notifica

eseguita ai sensi dell'art. 140 c.p.c.). (1)

(1) L'orientamento appare minoritario: in senso conforme, v., da ul

timo, Cass. 12 novembre 2003, n. 17040, Foro it., Rep. 2003, voce No

tificazione civile, n. 34, citata in motivazione. Prevalente appare invece

il diverso orientamento secondo il quale, se si deduce un error in pro cedendo, la Corte di cassazione è giudice anche del fatto ed ha in gene rale il potere-dovere di procedere direttamente all'esame e all'inter

pretazione degli atti processuali; v. Cass. 5 ottobre 2002, n. 14303, id..

Rep. 2002, voce Procedimento civile, n. 160, citata in motivazione, in

tema di censura di un vizio ex art. 112 c.p.c. Per ulteriori indicazioni, anche dottrinali, v. Silvestri, in Commentario breve al codice di pro cedura civile a cura di Carpi e Taruffo, 5a ed., Padova, 2006, 1030.

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2475 PARTE PRIMA 2476

Svolgimento del processo. — Con atto notificato il 25 novem

bre 1991, l'associazione professionale Studio Alessandro e

Antonio Campos Venuti convenne in giudizio Giuseppe Lom

bardo (che assunse poi il cognome Scammacca) per il recupero di un credito di lire 75.800.000 oltre accessori. Nella contuma

cia del convenuto, l'adito Tribunale di Roma accolse parzial mente la domanda.

Sui gravami di entrambe le parti, la Corte d'appello di Roma ha dichiarato nulla la notifica della citazione introduttiva del giudizio di primo grado e, conseguentemente, rimesso la causa

al primo giudice ai sensi dell'art. 354 c.p.c. La corte, osservato che la citazione era stata notificata al con

venuto in via del Gesù n. 70, Roma, ai sensi dell'art. 140 c.p.c., e che lo Scammacca aveva contestato di risiedere all'epoca in

quel luogo, per essere, invece, la sua residenza, anche anagrafi ca, in via di Pietra n. 70 (sempre in Roma), ha affermato:

— che, conformemente all'orientamento della giurispruden za di legittimità, in caso di notifica ai sensi dell'art. 140 c.p.c. in un determinato luogo, costituisce mera presunzione, superabile con qualsiasi mezzo di prova contraria, il fatto che in quel luogo si trovi la residenza o dimora o domicilio effettivi del destinata rio dell'atto;

— che era dunque onere del notificante dimostrare che il

convenuto risiedeva di fatto in via del Gesù all'epoca della noti

fica; — che, mentre il notificante non aveva fornito tale dimostra

zione, essendo decaduto dalla prova testimoniale dedotta sullo

specifico punto, risultava, invece, dalle dichiarazioni dei testi di controparte

— Patroni Griffi e Settele, della cui attendibilità

non poteva dubitarsi sol perché il primo era affine e il secondo

dipendente dello Scammacca — che quest'ultimo, pur avendo in

passato abitato in via del Gesù, si era poi trasferito in via di

Pietra quantomeno dal settembre 1990.

Ricorre per cassazione lo studio Campos Venuti articolando un solo motivo, cui resiste con controricorso lo Scammacca.

Motivi della decisione. — Con l'unico motivo il ricorrente, denunciando violazione degli art. 140, 353, 354 e 116 c.p.c., vi zio di motivazione e nullità della sentenza e del procedimento, censura la sentenza impugnata per aver affermato la nullità della

notifica dell'atto di citazione sul presupposto che sarebbe emer

so, dalle prove testimoniali, che lo Scammacca, pur avendo

sempre abitato in via del Gesù n. 70, avrebbe in realtà trasferito

all'epoca dei fatti la propria residenza in via di Pietra n. 70. In proposito osserva:

— che è pacifico che lo Scammacca abitava, all'epoca dei fatti per cui è causa, in via del Gesù n. 70;

— che dalla relata di notifica dell'atto di citazione non risulta affatto che detto luogo, indicato dal notificante quale residenza, domicilio o dimora del notificando sulla base delle sue cono

scenze, non fosse riconducibile al convenuto (tant'è che nella relata non si fa riferimento ad ipotesi di irreperibilità);

— che l'incolpevole ignoranza, da parte del notificante, del l'avvenuto trasferimento del destinatario può in concreto assicu rare la validità della notificazione (Cass. 5178/93, Foro it., Rep. 1994, voce Notificazione civile, n. 24);

— che la conoscenza del luogo di residenza, domicilio o di mora effettivi del destinatario comporta l'obbligo del notifi cante di eseguire la notifica in tale luogo, attesa l'efficacia me ramente presuntiva delle risultanze anagrafiche (Cass. 8681/98, id., Rep. 1998, voce cit., n. 18);

— che in via di Pietra lo Scammacca aveva non la propria dimora o residenza, bensì il domicilio in cui esercitava ed eser cita la professione di commercialista, mentre abitava e dimora

va, all'epoca dei fatti per cui è causa, appunto in via del Gesù n.

70; — che la motivazione della sentenza impugnata è censurabile

— e per i vizi nella specie denunciati con il ricorso la Corte di cassazione è giudice anche del fatto —

per aver affermato la nullità della notifica affidandosi esclusivamente a dichiarazioni testimoniali contraddittorie e inattendibili, dati i rapporti di la voro o di affinità tra lo Scammacca ed i testi, mentre l'unico te stimone veramente indifferente, Augusta Desideria Pozzi, non

soltanto aveva confermato il rapporto di locazione dell'unità immobiliare in via del Gesù n. 70, intercorrente tra suo padre e 10 Scammacca, ma aveva anche precisato che in via di Piefa si trovava esclusivamente lo studio di commercialista dello

Scammacca medesimo;

11 Foro Italiano — 2006.

— che, infine, Cass. 857/00 (id., Rep. 2000, voce cit., n. 30) ha escluso il contrasto delle modalità di notificazione previste dall'art. 140 c.p.c. con i principi costituzionali di uguaglianza e

di difesa in giudizio. Il ricorso non può essere accolto.

E anzitutto opportuno puntualizzare quanto segue, per sgom berare il campo dai corrispondenti rilievi del ricorrente:

a) la circostanza che lo Scammacca effettivamente risiedesse

o dimorasse, all'epoca dei fatti per cui è causa, in via del Gesù

n. 70 è in sé tutt'altro che decisiva, dovendo l'accertamento

dalla residenza, dimora o domicilio del notificando avere ri guardo

— come correttamente fa la sentenza impugnata — alla

(diversa) data della notifica dell'atto processuale della cui vali

dità si discute; b) l'incolpevole ignoranza dell'avvenuto trasferimento del

notificando può, semmai, ove si traduca nella incolpevole igno ranza della sua effettiva residenza, domicilio o dimora, giustifi care il ricorso alla procedura di cui all'art. 143, non certo l'ese

cuzione della notifica ai sensi dell'art. 140 c.p.c. in un luogo estraneo al soggetto interessato (e Cass. 5178/93, cit., richia

mata dal ricorrente, non afferma quanto preteso da quest'ultimo, bensì la validità della notifica eseguita, ex art. 140 c.p.c., nella effettiva abitazione del notificando, ancorché diversa da quella risultante dai registri anagrafici, e la nullità della notificazione eseguita nella residenza anagrafica ove il notificando si sia tra

sferito altrove e il notificante ne conoscesse, ovvero ne potesse conoscere attivandosi con l'ordinaria diligenza, l'effettiva resi

denza, domicilio o dimora). Senza considerare che nella specie non risulta, né dalla sentenza, né dal ricorso, la deduzione nel

giudizio di merito dell'incolpevole buona fede del ricorrente, che non può per la prima volta essere dedotta nel giudizio di le

gittimità; c) non è qui in discussione il dovere del notificante di esegui

re la notifica presso la residenza, domicilio o dimora effettiva, a

lui nota (o conoscibile), del notificando e diversa dalla residen za anagrafica, ma si discute, viceversa, dell'ipotesi che la notifi

ca sia stata eseguita in un luogo di non effettiva residenza del

notificando; d) parimenti non è messa in discussione la legittimità costi

tuzionale dell'art. 140 c.p.c. Resta, a questo punto, da esaminare la doglianza del ricor

rente incentrata sul rilievo che lo Scammacca abitava effettiva

mente in via del Gesù n. 70 anche all'epoca della notifica (rilie vo, per la verità, non proprio esplicito, ma comunque desumi

bile dal contesto del ricorso) e che ha dunque errato la corte di

appello a prestar fede alle testimonianze che accreditavano

l'avvenuto trasferimento in via di Pietra, ove invece lo Scam

macca aveva solo lo studio professionale. Il ricorrente sostiene che in proposito la Corte di cassazione

avrebbe ampi poteri di diretto accertamento in fatto.

La tesi è però, nella sua ampia prospettazione, errata. Non

mancano, per la verità, precedenti di questa stessa corte che

l'accreditano, sul rilievo che, vertendosi in materia di error in

procedendo, il giudizio di legittimità è esteso al diretto esame delle risultanze processuali (v., ad esempio, la stessa Cass.

5178/93, richiamata, come si è visto, dal ricorrente ad altro fine; ma anche Cass. 124/68, id., 1968, I, 2841; 2894/71, id., Rep. 1971, voce Impugnazioni civili, n. 47; 60/88, id., Rep. 1988, vo ce Notificazione civile, n. 25, che ammettono l'accertamento in Cassazione della irreperibilità del convenuto ai fini del giudizio sulla validità della notifica della citazione o della sentenza di primo grado eseguita ai sensi dell'art. 143 c.p.c.; nonché il filo ne giurisprudenziale

— peraltro ampiamente contrastato da pro

nunce di segno opposto — di cui sono espressione, ad es., Cass.

5383/90, id., Rep. 1990, voce Cassazione civile, n. 76; 8377/00, id., Rep. 2000, voce cit., n. 97; 14303/02, id., Rep. 2002, voce Procedimento civile, n. 160, che, sempre sul presupposto della

dedotta denuncia di un errore processuale quale la violazione

dell'art. 112 c.p.c., ammette la sindacabilità in cassazione del

l'interpretazione della domanda data dal giudice di merito).

Ritiene, tuttavia, il collegio di aderire al diverso orienta mento (v. la risalente Cass. 640/66, id., Rep. 1966, voce Notifi cazione civile, n. 4; ma anche le più recenti Cass. 12021/02, id.,

Rep. 2002, voce cit., n. 13, e 17040/03, id., Rep. 2003, voce cit., n. 34) che sostiene la non censurabilità, nel giudizio di cassazione, in funzione dello scrutinio di validità della notifica

dell'atto di citazione, dell'accertamento della residenza, domi

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

cilio o dimora effettuato dal giudice di merito, trattandosi di accertamento in fatto istituzionalmente riservato a lui e dunque sindacabile soltanto per vizi della relativa motivazione. In tale

ipotesi, invero, la violazione processuale è soltanto conseguen za della — eventualmente — errata statuizione in fatto del giu dice a quo, sulla quale, appunto, essenzialmente e direttamente

incide la censura del ricorrente (v. Cass. 3270/94, id., 1994, I,

3448, e 5085/98, id., Rep. 1998, voce Cassazione civile, n. 98, in tema di violazione dell'art. 112 c.p.c. e sindacato sull'inter

pretazione, rispettivamente, della domanda e del comporta mento processuale della parte di acquiescenza a domanda nuo

va). Che, poi, il giudice di legittimità abbia, allorché sia chia mato a decidere questioni processuali, poteri di diretto esame e

valutazione delle risultanze delle fasi di merito, resta natural

mente vero; però va tenuto presente che il suo potere di accer

tamento relativo al fatto processuale può dispiegarsi con am

piezza solo ove il giudice di merito, istituzionalmente deputato ad accertare i fatti, non abbia statuito sul punto, mentre invece, ove la relativa statuizione in fatto sia stata da quel giudice in

concreto assunta, la stessa va impugnata davanti alla Corte di

cassazione con un mezzo appropriato, quale la denuncia di vizi

di motivazione ai sensi dell'art. 360, n. 5, c.p.c., in coerenza

con le rispettive funzioni istituzionali del giudice di merito e del giudice di legittimità.

Nella specie, la corte d'appello ha chiaramente accertato che

lo Scammacca, alla data della notifica dell'atto di citazione, non

abitava in via del Gesù n. 70, perché l'appellato non aveva for

nito la relativa prova (essendone decaduto) e perché dalle prove avversarie risultava che lo stesso si era trasferito in via di Pietra

n. 70. Dalla qui ritenuta inaccoglibilità della richiesta di un rinno

vato accertamento in fatto da parte di questa corte, deriva che il

ricorrente avrebbe dovuto contrastare detta statuizione con la

specifica deduzione di vizi della motivazione ai sensi dell'art. 360, n. 5, c.p.c.

Il ricorso, invece, inammissibilmente, per un verso sottolinea

circostanze in sé non decisive, quali il mancato riferimento, nella relata di notifica, alla irreperibilità del destinatario (l'im plicita affermazione della reperibilità del destinatario nel luogo in cui è eseguita la notifica, insita nella relata ex art. 140 c.p.c., fonda, come esattamente rilevato dalla corte d'appello sulla

scorta della giurisprudenza di legittimità, una mera presunzione suscettibile di prova contraria, che la corte stessa afferma essere

stata, appunto, fornita dall'interessato), o il fatto che in via di

Pietra n. 70 lo Scammacca avesse esclusivamente lo studio pro fessionale (oggetto della prova dovuta dal ricorrente non era il

fatto che lo Scammacca non abitasse in via di Pietra, bensì il

fatto che questi abitasse in via del Gesù, ove la notifica era stata

eseguita); per altro verso contesta nel merito la valutazione di

attendibilità dei testi compiuta dal giudice a quo e afferma, del tutto genericamente, la contraddittorietà delle loro testimonian

ze; tende, infine, a valorizzare la deposizione della teste Pozzi,

ma, ancora una volta, con inammissibile genericità, giacché non

riporta testualmente il contenuto della deposizione. Il ricorso va quindi respinto.

Il Foro Italiano — 2006.

CORTE D'APPELLO DI CALTANISSETTA; sentenza 11 luglio 2006; Pres. Russo, Est. Porracciolo; Fazzi e altro

(Avv. Rizzo, Tanteri) c. Comune di Centuripe (Avv. Tran

chida), Castiglione (Avv. Torrisi).

CORTE D'APPELLO DI CALTANISSETTA;

Prescrizione e decadenza — Obbligazione in solido — Azio ne di regresso — Prescrizione ordinaria — Decorrenza

(Cod. civ., art. 1292, 1299, 2055, 2935, 2946).

Posto che il pagamento da parte di un coobbligato in solido e

stingue il comune rapporto obbligatorio e ne fa sorgere uno

nuovo, il diritto di regresso a lui spettante è assoggettato al

l'ordinaria prescrizione decennale con decorrenza dalla da

ta del pagamento, a nulla rilevando il fatto che per il credito

originario fosse previsto un termine di prescrizione più bre

ve. (1)

Svolgimento del processo. — Il 16 febbraio 1982, nel comune

di Centuripe crollò un muro in cemento, che doveva avere la

funzione di contenimento della scalinata di accesso alla via Du

ca d'Aosta; sotto le macerie restarono sepolte alcune auto in so

sta, su una delle quali si trovavano i sig. Pietro Santangelo e

Francesco Lavenia che decedevano sul colpo. Per l'ipotesi di reato prevista e punita dagli art. 113 e 589 c.p.

(1) I. - In tema di prescrizione dell'azione di regresso esercitata dal condebitore che abbia soddisfatto integralmente la pretesa creditoria, la

giurisprudenza individua il dies a quo nel momento dell'avvenuto

adempimento dell'obbligazione solidale: v., da ultimo, Cass. 3 novem bre 2004, n. 21056, Foro it., 2005,1, 1404.

La pronuncia in epigrafe, configurando il diritto di regresso come di ritto nascente ex novo dopo l'estinzione del primigenio rapporto obbli

gatorio, ne fa discendere l'applicazione della prescrizione ordinaria, a

prescindere dal termine prescrizionale previsto per il diritto dell'origi nario creditore.

Diversa appare la posizione espressa, con riferimento all'azione di

regresso proposta da uno dei coobbligati per ottenere il parziale rimbor so delle somme pagate per danni prodotti dalla circolazione di veicoli, da Cass. 24 ottobre 1988, n. 5748, id., Rep. 1989, voce Prescrizione e

decadenza, n. 38, secondo cui il termine di dieci anni va computato soltanto ove già risulti giudizialmente accertata la responsabilità del

coobbligato nella determinazione dell'evento dannoso, mentre quando a tale accertamento non si è provveduto, l'azione deve ritenersi sog getta alla prescrizione biennale stabilita dall'art. 2947 c.c.

Inoltre, Cass. 1° giugno 1993, n. 6107, id., Rep. 1993, voce cit., n.

84, ha dichiarato applicabile la prescrizione breve di cui all'art. 2949 c.c. all'azione di regresso proposta dal socio che, avendo assunto con altri soci l'obbligo di provvedere al pagamento di un debito sociale (o di fornire alla società i mezzi per provvedervi), si fosse rivolto ad altro socio per il recupero della quota facente capo a quest'ultimo, sempre che risultasse accertato che il rapporto costituitosi fra i soci trovasse la sua fonte in un obbligo derivante dal contratto sociale o da una delibe razione della società.

II. - Sotto altro profilo, si è evidenziato che, nell'azione di regresso fra coobbligati, il debitore che ha adempiuto il debito comune fa valere il suo diritto alla surrogazione legale, a norma dell'art. 1203, n. 3, c.c., con la conseguenza che diventano a lui opponibili non solo le eccezioni relative al rapporto interno di solidarietà, ma anche quelle opponibili al creditore in solido, ivi comprese quelle relative a limitazioni, decaden ze e prescrizioni inerenti al diritto che ha formato oggetto di surroga zione: cfr. Cass. 28 marzo 2001, n. 4507, id., Rep. 2001, voce Obbliga zioni in genere, n. 56.

III. - Nel senso che il diritto di rivalsa dell'assicuratore nei confronti del proprio assicurato ex art. 18, cpv., 1. 990/69 (oggi contemplato dal l'art. 14-4, 2° comma, d.leg. 209/05, codice delle assicurazioni private), configurandosi come un diritto di regresso che deriva dal contratto di

assicurazione, è assoggettato alla prescrizione annuale ai sensi dell'art.

2952, 2° comma, c.c. e non all'ordinaria prescrizione decennale, v. Cass. 19 novembre 1997, n. 11510, id., Rep. 1997, voce Prescrizione e

decadenza, n. 100; 9 ottobre 1997, n. 9814, id., 1997,1, 3544.

Quanto al diritto di regresso, attribuito all'impresa designata che ab

bia risarcito il danno nei casi previsti dall'art. 29, 1° comma, 1. 990/69

(attualmente ridefiniti dall'art. 292, 1° comma, codice delle assicura

zioni private), l'opinione maggioritaria Io riconduce alla surrogazione

legale di cui all'art. 1203, n. 5, c.c., in quanto si traduce nell'attribu

zione del medesimo diritto del danneggiato risarcito, con il relativo as

soggettamento alla prescrizione biennale (e non a quella ordinaria de

cennale), con decorrenza dal momento dell'esecuzione del pagamento al danneggiato: v., da ultimo, Cass. 17 settembre 2005, n. 18446, id.,

Rep. 2005, voce Assicurazione (contratto), n. 189; 15 gennaio 2002, n.

366, id., Rep. 2002, voce cit., n. 135. In senso difforme, v., peraltro, Cass. 17 ottobre 1997, n. 10176, id., Rep. 1998, voce cit., n. 204.

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