sezione I civile; sentenza 29 aprile 1986, n. 2970; Pres. Scanzano, Est. Sensale, P. M. Nicita(concl. conf.); Lombardi (Avv. Prosperi, Giani) c. Fall. soc. azienda agricola La Cascina (Avv.Lais, Colombo). Conferma App. Milano 28 settembre 1982Source: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 11 (NOVEMBRE 1986), pp. 2787/2788-2789/2790Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23180927 .
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2787 PARTE PRIMA 2788
sono perciò di per sé fin dall'origine inidonei a produrre gli efletti giuridici propri della relativa fattispecie legale.
Tale situazione che, secondo i principi generali del diritto
civile, non potrebbe di per sé dar luogo alla nascita di alcun
diritto soggettivo (salve le previsioni degli art. 1338 e 2041 c.c.), nella materia del lavoro comporta invece, in base all'art. 2126 c.c., l'attribuzione di una specifica rilevanza all'avvenuta prestazione di lavoro con riconoscimento a favore del lavoratore del diritto
alla relativa retribuzione, col che si è valorizzato l'aspetto fattuale
del rapporto, e ciò per un'evidente finalità di ordine sociale che
del resto riceve peculiare qualificazione dall'art. 36, 1" comma, Cost. Siffatta tutela della retribuzione è peraltro negata (1° comma, 2* parte, dello stesso art. 2126) solo nell'ipotesi in cui il
contratto si riveli contrario ai principi d'ordine pubblico stretta
mente intesi e cioè a quelli etici fondamentali dall'ordinamento
giuridico, allorquando cioè l'attività lavorativa risulti intrinseca
mente e oggettivamente illecita (avente perciò normalmente, per il
suo contenuto, rilevanza penale) ovvero allorquando il negozio sia preordinato a ulteriori finalità vietate dall'ordinamento e in
relazione alle quali il negozio stesso, per comune intento delle
parti, abbia semplicemente una funzione strumentale: situazioni
queste chiaramente non ravvisabili ove il contratto sia nullo
esclusivamente a causa del difetto nella persona assunta del
necessario requisito soggettivo dell'avvenuto superamento del
pubblico concorso, ma nel quale l'attività lavorativa abbia conte
nuto di per sé pienamente legittimo (cfr. per es. sent. n. 2434
del 1981, cit., e i richiami in essa contenuti). La presente fattispecie dev'essere pertanto esaminata con rife
rimento ai suddetti criteri giuridici per il che la competenza
giurisdizionale appartiene all'autorità giudiziaria ordinaria (giudice del lavoro) essendo incontroverso che i consorzi di bonifica (art. 862 c.c. e r.d. 13 febbraio 1933 n. 215) rientrano nella categoria
degli enti pubblici economici, cosi come reiteratamente affermato
da questa Suprema corte, dovendosi invero considerare la natura
e gli scopi della loro attività a favore della proprietà fondiaria e
il carattere imprenditoriale del relativo svolgimento (cfr. per es.
sent. 10 maggio 1983, n. 3204, id., Rep. 1983, voce Lavoro
(rapporto), n. 2149 e 11 maggio 1984, n. 2873, id., Rep. 1984, voce Impiegato dello Stato, n. 169; n. 2874, id., 1984, I, 1827; n.
2875, id., Rep. 1984, voce Procedimento civile, n. 164; n. 2876,
ibid., voce Impiegato dello Stato, n. 168 delle sezioni unite). La riconosciuta fondatezza della presente censura comporta
l'evidente assorbimento del secondo motivo del ricorso con cui si
deduce che nella fattispecie si era trattato di una sommatoria di
prestazioni giornaliere per nulla identificabile con un rapporto di
lavoro continuativo, il che attiene invero ad aspetti che presup
pongono la risoluzione della questione preliminare circa la valida
costituzione degli stessi rapporti di lavoro. In base alle suesposte considerazioni debbono essere pertanto
accolti il primo motivo del ricorso nei confronti di Giuseppe
Rapisarda nonché il terzo motivo nai confronti degli altri intima
ti, con assorbimento del secondo motivo, e conseguente cassazio
ne della sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvio della causa ad altro giudice d'appello, che si designa nel Tribunale di Siracusa (sezione lavoro), il quale dovrà procedere a nuovo esame conformemente a quanto enunciato nella presente decisione. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 29 aprile
1986, n. 2970; Pres. Scanzano, Est. Sensale, P.M. Nicita
(conci, conf.); Lombardi (Aw. Prosperi, Giani) c. Fall. soc.
azienda agricola La Cascina (Aw. Lais, Colombo). Conferma
App. Milano 28 settembre 1982.
Società — Scioglimento — Divieto di nuove operazioni —
Responsabilità degli amministratori — Attinenza delle opera zioni all'oggetto sociale — Irrilevanza (Cod. civ., art. 2447,
2448, 2449).
A fini della responsabilità degli amministratori per violazione del divieto di compiere nuove operazioni allorché si verifichi una causa di scioglimento della società, è irrilevante che dette
operazioni rientrino o meno nella normale attività sociale. (1)
(1) La sentenza affronta uno fra i molti problemi sollevati dall'art. 2449 c.c. nella parte in cui vieta agli amministratori di società di
capitali di compiere « nuove operazioni » al verificarsi di una causa di
Il Foro Italiano — 1986.
Svolgimento del processo. — Con atto di citazione del 24
maggio 1978 il fallimento della s.r.l. Azienda agricola La Cascina
conveniva dinanzi al Tribunale di Milano Cesare Lombardi, già amministratore unico della società fallita, per sentirlo condannare
al risarcimento dei danni causati alla società da lui amministrata
ed ai creditori di questa per tutte le attività da lui poste in
essere al di fuori dell'oggetto sociale ed intraprese anche dopo la
totale perdita del capitale sociale. Chiedeva, inoltre, la convalida
del sequestro disposto dal giudice delegato ai sensi dell'art. 146 1.
fall, ed eseguito su beni immobili e su crediti del Lombardi.
Il convenuto giustificava il suo operato con la necessità di
reperire disponibilità liquide per le attività proprie della società
fallita, al qual fine aveva ritenuto di avvalersi di altre attività
commerciali da lui direttamente o indirettamente esercitate, trami
te altra società di capitali da lui controllata.
L'adito tribunale accoglieva la domanda nella somma di lire
316.000.000 e convalidava il sequestro. Tale decisione è stata confermata, con sentenza del 28 settem
bre 1982, dalla Corte d'appello di Milano, la quale ha osservato
che la censura dell'appellante (secondo cui il tribunale non aveva
considerato che l'attività di commercio dei quadri gli serviva per ottenere sovvenzioni) avrebbe potuto avere rilievo, se mai, contro
una sentenza di condanna basata sull'estraneità all'oggetto sociale
delle operazioni compiute, ma non contro una condanna fondata
scioglimento. La Cassazione è, infatti, chiamata a specificare ulterior mente la nozione di « nuove operazioni » con l'escludere che vi sia
corrispondenza fra il concetto di novità e quello di estraneità all'ogget to sociale. Nel caso di specie, l'amministratore, avendo posto in essere
operazioni completamente estranee all'attività sociale (inerenti al com mercio di quadri, mentre l'oggetto sociale riguardava l'allevamento di
cavalli), non negava di averle compiute in un periodo successivo al verificarsi della causa di scioglimento, ma si giustificava adducendo che la finalità da lui perseguita era quella di ottenere sovvenzioni ai fini di raggiungere lo scopo sociale. Sulla base di tale circostanza il ricorrente escludeva sia la estraneità di dette operazioni all'oggetto sociale, sia la loro « novità ». Ma i due concetti, come ha modo di chiarire la corte, non sono coincidenti, giacché il fatto che l'operazio ne, compiuta dopo la perdita del capitale, rientri nell'ambito della normale attività sociale, non vale di per sé ad escluderne la novità.
Altri sono i criteri cui la dottrina e la giurisprudenza si sono attenute onde escludere la novità di un'operazione pur quando questa fosse stata compiuta dopo il realizzarsi della causa di scioglimento. La giurisprudenza esclude, in linea di principio, che si possano considera re nuove operazioni quelle necessarie per portare a compimento operazioni già iniziate nonché quelle dirette a preparare, attuare o rendere più proficua la liquidazione, attribuendo la qualifica di « nuo vi » a quei rapporti che, svincolati dalle necessità inerenti la liquida zione, siano posti in essere dagli amministratori, con assunzione di ulteriori rischi e vincoli per l'ente, suscettibili di alterarne la posizione patrimoniale (Cass. 27 novembre 1982, n. 6431, Foro it., Rep. 1982, voce Società, n. 359; 8 ottobre 1979, n. 5190, id., Rep. 1979, voce cit., n. 296; App. Milano 22 aprile 1974, id., 1974, I, 3182; Cass. 22 novembre 1971, n. 3371, id., 1972, I, 1277, con nota di richiami).
Fermo restando il criterio base sopra enunciato, si è tuttavia avvertita la necessità di svincolarsi da definizioni troppo rigorose o aprioristiche, che non tengono nel debito conto le peculiarità del caso concreto. In particolare, per la necessità di integrare, al fine della individuazione della « novità », il criterio cronologico, quello teleologi co e quello dell'esame del caso specifico, v. Trib. Milano 15 novembre 1984, id., Rep. 1985, voce cit., n. 687 e Trib. Milano 14 aprile 1983, id., Rep. 1984, voce cit., n. 793).
Anche la dottrina ha largamente accolto il criterio generale secondo il quale la novità dell'operazione va accertata in concreto con riferimento ai fini della liquidazione (Di Sabato, Manuale delle società, Torino, 1984, 156; Bianchi, in Riv. dir. comm. 1971, II, 182; Caselli, Oggetto sociale e atti « ultra vires », (Padova, 1970, 69; Porzio, in Riv. società, 1965, 295). Mentre però taluni autori, una volta posto il principio, hanno rinunciato ad ulteriori specificazioni ('Frè, Società per azioni, in Commentario, a cura di Scialoja e Bran ca, Bologna-Roma, 1982, 859, per il quale il miglior orientamen to rimane quello, suggerito da Vivante, di stabilire la connessio ne fra l'operazione nuova e lo scopo della liquidazione « secon do il criterio ordinario dei commercianti »), altri hanno cercato di in dividuare il concetto in maniera più analitica e, riprendendo le
opinioni espresse dalla giurisprudenza, hanno ritenuto essere nuove le operazioni « che costituiscano unità a sé stanti, abbiano un impulso autonomo ed indipendente, implichino l'assunzione di nuove iniziative speculative » (Greco, Le società nel sistema legislativo italiano, Torino, 1959), ovvero quelle non dirette al perseguimento di scopi di lucro, bensì all'esecuzione di precedenti impegni, e comunque — anche se consistenti nell'instaurazione di rapporti contrattuali ex novo — dirette solo a facilitare la liquidazione della società (Graziani, Diritto delle società, Napoli, 1960, 534). Nel senso che gli amministratori, una volta verificatasi una causa di scioglimento, possano solo provvedere all'ese cuzione dei contratti in corso, cfr. Ferri, Società. Torino, 1981, 263.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
sul compimento di nuove operazioni dopo l'integrale perdita del
capitale sociale.
Nel caso concreto, il Lombardi non aveva contestato che le
obbligazioni da lui contratte in capo alla società fallita erano tutte successive alla perdita del capitale onde egli era responsabi le dei danni cagionati, a norma dell'art. 2449 c.c., coordinato con
gli art. 2448, n. 4, e 2447 dello stesso codice. La corte d'appello ha poi ritenuto giustificata la misura caute
lare disposta dal g.d., essendovi pericolo nel ritardo, in quanto il
principale immobile fatto oggetto di sequestro era gravato da
espropriazione ad opera di due creditori ipotecari, uno dei quali era rimasto totalmente insoddisfatto per un credito di lire
163.000.000.
Contro tale sentenza Cesare Lombardi ha proposto ricorso per cassazione in base a due motivi, cui il fallimento resiste con
controricorso.
Motivi della decisione. — Con il primo motivo il ricorrente
denuncia il vizio di omessa o insufficiente motivazione su un
punto decisivo della controversia, censurando la sentenza impu
gnata per non avere tenuto presente la circostanza, decisiva, che
l'attività della società, poi fallita, avente ad oggetto l'allevamento
di cavalli da corsa, era ancora nella fase iniziale, necessariamente
costosa e non ancora redditizia, in quanto i puledri da corsa non
raggiungono la necessaria maturità prima dei tre anni. In conse
guenza, nessuna operazione nuova era stata intrapresa dall'ammi
nistratore della società, il quale aveva, anzi, tentato con mezzi
suoi di continuare le operazioni in corso per conseguire lo scopo
sociale, costituito dall'allevamento di cavalli da corsa e dalle
attività agricole inerenti.
Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia la violazione
dell'art. 2697 c.c. e il vizio d'insufficiente motivazione per non
avere — la corte d'appello — tenuto conto della circostanza che
l'amministratore, lungi dal compiere operazioni eccedenti l'oggetto sociale o nuove, aveva voluto soltanto portare a compimento l'allevamento già iniziato, e per non avere considerato che l'esi
stenza di debiti cambiari (unica prova addotta dal fallimento a
sostegno della domanda), per l'astrattezza dei titoli cambiari,
dimostravano solo gli sforzi compiuti al fine di ottenere sovven
zioni per continuare l'opera iniziata.
Le suesposte censure — che per ragioni di connessione devono
esaminarsi congiuntamente — sono infondate.
La corte d'appello ha fondato la responsabilità dell'attuale
ricorrente, già amministratore della società « Azienda agricola - La
Cascina » poi dichiarata fallita, sul compimento di nuove opera zioni dopo la perdita dell'intero capitale sociale, in violazione del
divieto posto dall'art. 2449, coordinato con gli art. 2448, n. 4, e
2447 c.c., e ha dato atto che lo stesso convenuto nell'azione di
responsabilità non aveva contestato che le obbligazioni da lui
contratte in capo alla società erano tutte successive alla perdita del capitale.
Secondo il ricorrente ciò non sarebbe sufficiente a far configu
rare la sua responsabilità in quanto tutte le operazioni da lui
compiute erano finalizzate a rendere possibile l'allevamento di
puledri che costituiva l'oggetto dell'attività societaria e che abbi
sognava di tempi lunghi per essere produttiva: ma manifesto è
l'errore di prospettiva in cui cade il ricorrente.
Come ha esattamente rilevato la corte d'appello, il collegamento
delle operazioni intraprese dall'amministratore con l'oggetto socia
le (ammesso che tale collegamento possa istituirsi per l'allevamen
to dei cavalli da corsa ed il commercio dei quadri, nel cui
ambito sarebbero state compiute le nuove operazioni) potrebbe
valere a far escludere, in tesi, la estraneità di dette operazioni con
l'oggetto dell'attività sociale; ma non spiega alcuna influenza al
fine di ritenere o di escludere che esse siano state compiute
successivamente alla perdita del capitale, in quanto, in tale
diversa prospettiva, l'operazione non è, oppure no, nuova a
seconda che rientri nell'ambito della normale attività sociale, ma
10 è — anche se vi rientri — quando sia compiuta in una
situazione (perdita del capitale) che obbligava l'amministratore a
convocare l'assemblea per deliberare la riduzione ed il contempo
raneo aumento del capitale sociale (art. 2447) o per assumere le
deliberazioni relative alla liquidazione (art. 2449), in presenza di
una causa di scioglimento, qual è la riduzione del capitale sociale
al di sotto del minimo di legge (art. 2448, n. 4).
Risulta, quindi, evidente che i punti sui quali la corte del
merito, secondo il ricorrente, non avrebbe portato il suo esame,
erano privi del connotato della decisività. Invero, che l'attività di
allevamento di puledri da corsa sia naturalmente destinata a
diventare produttiva a distanza di tempo, non giustifica che essa
sia proseguita, quando il capitale sia andato perduto, senza la
11 Foro Italiano — 1986.
previa ricostituzione di esso, ma anzi impone la predisposizione di
capitali sufficienti alla sopravvivenza della società fino al tempo in cui l'attività comincerà a dare i suoi frutti. Né vale invocare l'astrattezza dei titoli cambiari per dedurne che essi rappresenta vano debiti estranei agli scopi dell'attività sociale, se risulti che tali debiti furono contratti successivamente alla perdita del capitale.
Pertanto, il ricorso dev'essere rigettato. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 21 aprile 1986, n. 2799; Pres. Menichino, Est. Panzarani, P. M. Golia
(conci, diff.); Soc. Bayer Italia (Aw. Fresa) c. Berattino (Aw.
Gobbi, Angelo, Zanetti). Conferma Trib. Bergamo 28 giugno 1982.
Lavoro (rapporto) — Visite mediche preventive e periodiche ex
d.p.r. 303/56 — Disciplina (Cost., art. 32; cod. civ., art. 2087;
d.p.r. 19 marzo 1956 n. 303, norme generali per l'igiene del
lavoro, art. 33, 35; 1. 20 maggio 1970 n. 300, norme sulla tutela
della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e
dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul colloca
mento, art. 5; 1. 23 dicembre 1978 n. 833, istituzione del
servizio sanitario nazionale, art. 14).
Le visite mediche preventive e periodiche sui lavoratori previste dall'art. 33 d.p.r. 303 del 1956, debbono essere eseguite solo tramite le strutture pubbliche ex art. 5, 3° comma, l. 300 del 1970 e 14, 3" comma, lett. f, l. 833 del 1978. (1)
(1) La sentenza si può leggere in Foro it., 1986, I, 2158, con nota di richiami; ne riproduciamo la massima, parzialmente riformulata, per pubblicare la nota di R. Guariniello.
Al tramonto il medico di fabbrica?
Con questo perentorio e per più versi dirompente principio di diritto, la Cassazione porta in primo piano l'esigenza di una profonda riforma del sistema sanitario attualmente in uso nei luoghi di lavoro.
Certo, l'art. 33 d.p.r. 19 marzo 1956 n. 303 si limita a stabilire che «i lavoratori devono essere visitati da un medico competente». Lascia quindi il datore di lavoro libero nella scelte del medico competente, e cosi gli consente di non ricorrere a enti pubblici.
Nel 1970, però, subentra un fatto nuovo. Lo statuto dei lavoratori, all'art. 5, autorizza il datore di lavoro a far controllare l'idoneità fisica del lavoratore esclusivamente da parte di enti pubblici ed istituti specializzati di diritto pubblico.
Sorge a questo punto un delicato problema interpretativo: con l'entrata in vigore dello statuto dei lavoratori, gli imprenditori riman gono liberi di demandare il controllo sanitario a un medico di fiducia magari privato, oppure sono obbligati ad avvalersi di strutture pubbli che?
Finora nella giurisprudenza della Suprema corte era prevalsa la prima soluzione. Nel 1978, in sede penale, la Cassazione osservò che l'art. 33 d.p.r. 303 « non prescrive l'assistenza di un'autorità sanitaria, ma si riferisce ad un medico competente, vale a dire ad un professionista che sia idoneo a svolgere le funzioni sanitarie richieste per prevenire le malattie professionali » : « se avesse voluto riferirsi esclusivamente ad autorità sanitarie, lo avrebbe espressamente detto ». Pertanto, « il fatto che alcuni enti pubblici abbiano dichiarato la propria impossibilità ad effettuare le visite mediche richieste, non esclude l'obbligo di rivolgersi ad altri enti, anche privati » (Cass. 1" giugno 1978, Landini, Foro it., Rep. 1979, voce Infortuni sul lavoro, n. 141). È un indirizzo che la Cassazione ribadi due anni dopo, di nuovo in esito a un procedimento penale: l'art. 33 d.p.r. 303 — rilevò allora il Supremo collegio — non contrasta con l'art. 5 1. 300 del 1970, « sia per il suo carattere di specialità generale e particolare, sia per la diversità del fine tutelato (la salute del lavoratore e non la sua dignità e la sua libertà), sia per le sue difformità strutturali e particolari di fronte a quelle generiche e generali della legge sullo statuto dei lavoratori (obbligatorietà e non facoltatività della visita da parte del datore di lavoro, controllata ed eventualmente integrata dall'intervento dell'ispettorato del lavoro) ». Di qui la conclusione che « il datore di lavoro bene ha fatto a rivolgersi ad un medico privato per assicurare, come era suo obbligo, la prosecuzione dei controlli sanitari periodici sui dipendenti » (Cass. 30 maggio 1980, Dal Negro, id., Rep. 1981, voce Lavoro (rapporto), n. 1395).
Con la sentenza in epigrafe, la Corte suprema cambia radicalmente posizione: le visite mediche preventive e periodiche sui lavoratori — cosi ragiona la sezione lavoro — debbono essere affidate a sanitari che diano garanzie d'imparzialità, in quanto dai relativi risultati può dipendere l'assunzione o il mantenimento in servizio del lavoratore e può altresì desumersi il grado di salubrità dell'ambiente di lavoro (conforme in dottrina Romagnoli, Statuto dei diritti dei lavoratori,
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