Sezione I civile; sentenza 29 gennaio 1964, n. 233; Pres. Pece P., Est. Giannattasio, P. M.Maccarone (concl. conf.); Min. sanità (Avv. dello Stato Graziano) c. Nuvola (Avv. Vivona,Olivieri, Gorgone Querini)Source: Il Foro Italiano, Vol. 87, No. 5 (1964), pp. 1005/1006-1007/1008Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23155084 .
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ÌÓ05 óftfftISPrUDÉNZA CoSflfUZlOlNfALÉ É ClVlLE icòé
rette a contestare la pretesa attrice. E non poteva ap
plicare ora l'uno ora l'altro, frammentariamente, col risultato
pratico di risolvere la lite in base ad un tertium genus di
ordinamento giuridico, che non era nè il cecoslovacco nè
l'italiano ; risultato, questo, illogico, ibrido e non con
sentito, giacché ogni ordinamento giuridico è costituito
da un insieme di norme, strettamente ed armonicamente
collegate allo scopo di tutelare, in determinata maniera e
sotto determinate condizioni, particolari e generali interessi, e raggiungere il fine previsto.
In particolare, la corte di merito non poteva e doveva
giudicare sulla validità ed esistenza di una obbligazione cambiaria, contratta all'estero da due stranieri appar tenenti alla medesima nazionalità applicando in parte la
legge italiana (qualificazione dell'azione ed esame delle
eccezioni) e in parte quella straniera (termine di prescrizione). Nè vale obiettare, a giustificazione dell'operato della
corte di merito, che quest'ultima, trattandosi di legge
straniera, per la quale non vale il principio dell'obbligo della conoscenza (iura novit curia), avrebbe potuto ben
conoscere solo in parte la legge medesima ; donde la ne
cessità, per il resto, di applicare la legge italiana. A tale
eventualità, infatti, si oppone il principio basilare, che non
soffre nè permette eccezioni, dell'unitarietà del sistema
di ogni ordinamento giuridico, innanzi richiamato, cosicché, ove il giudice italiano debba applicare la legge straniera
per il disposto dell'art. 25 delle preleggi, dovrà conoscerla
almeno in tutte le norme che concernono le questioni da
decidere.
In caso negativo, applicherà in toto la legge italiana, non potendosi far luogo ad applicazione frammentaria
dei due ordinamenti giuridici. Quanto alla prova della legge straniera, è sufficiente
ai fini della prosecuzione di questo giudizio, richiamare
quanto già in precedenza affermato da questa Suprema corte (cfr. sent. 13 aprile 1959, n. 1089, Foro it., 1960,
I, 1862) a modifica del precedente indirizzo giurispru
denziale, secondo cui la legge straniera, di fronte al giu dice italiano, che può non conoscerla, si comporterebbe come un fatto che deve essere dimostrato (cfr. sent. 30
marzo 1955, n. 394, id,., 1955, I, 1486 ; 14 giugno 1957, n. 2261, id., Rep. 1957, voce Procedimento civ., n. 193 ; 15 novembre 1956, n. 4247, id., Rep. 1956, voce cit., nn. 248, 249) : « La conoscenza della legge straniera non
costituisce parte della scienza ufficiale del giudice ita
liano, e per questo ha in comune con i fatti giuridici alle
gati nel processo il requisito dell'incertezza. Tuttavia, mentre l'incertezza sui fatti va eliminata secondo le norme
sulla ripartizione dell'onere della prova, l'eliminazione
della incertezza sul diritto straniero da applicare può for
mare oggetto di collaborazione delle parti con il giudice, ma questi può con la sua scienza e ricerca diretta ovviare
alla mancata collaborazione delle parti traendo la cono
scenza stessa da ogni elemento acquisito al processo, an
che se le parti non l'hanno prospettato al fine di fornire
la prova ».
Pertanto, la sentenza denunziata va cassata, e la causa
rinviata, per nuovo esame, ad altra corte di appello, la quale si atterrà ai seguenti principi di diritto :
« Il giudice italiano, che ai sensi dell'art. 25 delle pre
leggi debba applicare la legge straniera, deve o conoscerla
direttamente o procurarsene la conoscenza, cooperando a
tal fine anche con le parti in causa.
« Detta cognizione deve comprendere tutte le norme
che regolano la materia controversa (thema decidendum), e ove ciò non sia possibile dovrà applicare in toto la legge italiana ».
Per questi motivi, cassa, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezione I civile ; sentenza 29 gennaio 1964, n. 233 ; Pres. Pece P., Est. Giannattasio, P. M. Maccaeone (conci, conf.) ; Min. sanità (Avv. dello Stato Gkaziano) c. Nuvola (Avv. Vivona, Olivieri, Gorgone Querini).
(Conferma App. Palermo 19 luglio 1961)
Farmacia — Revoca della concessione -— Responsa bilità per danni della pubblica amministrazione —
Fattispecie (R. d. 27 luglio 1934 n. 1265, t. u. delle
leggi sanitarie, art. 113).
Annullati la revoca della concessione di una farmacia, e l'ordine di chiusura di questa per Vinsussistenza dei fatti addebitati al farmacista (nella specie, per essere stata archiviata una denuncia penale nei suoi confronti), la
pubblica amministrazione è direttamente responsabile per i danni subiti dal farmacista medesimo, anche se con sentenza passata in giudicato è stata esclusa la respon sabilità personale del funzionario. (1)
La Corte, eco. — Con il primo motivo il ricorrente as sume clie i giudici di merito avrebbero errato nel confi
gurare l'esistenza di un diritto soggettivo del farmacista, nei confronti dell'amministrazione concedente, alla conser
vazione della concessione amministratiya avente per oggetto l'esercizio della farmacia e nell'ani mettere l'esistenza di un danno risarcibile da parte della p. a. Secondo il ricor
rente, il potere di revoca che la legge riserva in materia alla
p. a. deve configurarsi non già come un potere straordi
nario che affievolisce il diritto soggettivo pieno del privato, bensì come una conseguenza normale della posizione delle
parti nell'atto di concessione, posizione clie, nella specie, non è sinallagmatica, paritaria, ma implica, sotto ogni
aspetto, la supremazia della p. a. concedente nei confronti del privato farmacista, sicché quest'ultimo, di fronte alla
p. a., non può invocare altro che la tutela di un interesse
legittimo. La censura è infondata. L'atto che conferisce al farma
cista l'apertura e l'esercizio di una farmacia, sebbene sia
indicato nel capo II sez. I del t. u. delle leggi sanitarie 27
luglio 1934 n. 1265 quale «autorizzazione », rientra, in realtà, nella categoria delle concessioni amministrative, mediante
le quali viene attribuito un nuovo diritto, il diritto di
(1) Sul principio affermato e applicato in questa sentenza, che l'annullamento di un atto illegittimamente emanato può dar luogo al risarcimento dei danni quando con l'atto illegit timo fosse stata lesa anche una situazione di diritto soggettivo, v. Cass. 6 agosto 1962, n. 2418, Foro it., 1963, I, 64, con nota di richiami, e, per altre applicazioni del principio, tra le tante, Cass., Sez. un., 16 ottobre 1962, n. 2998, e '6 ottobre 1962, n. 2866, ibid., 987 e 1002.
Nel senso che l'assoluzione del funzionario per non aver commesso il fatto non preclude la condanna civile della pub blica amministrazione, v. Cass. 29 maggio 1962, n. 1281, id., 1962, I, 2182.
Nel senso che la responsabilità della pubblica amministra zione sussiste quando siano state violate norme di legge che
pongono limiti tassativi alla sua azione (come nel caso deciso in questa sentenza), v. Cass. 29 maggio 1963, n. 1422 e 13 feb braio 1963, n. 287, id., Rep. 1963, voce Responsabilità civile, nn. 128-133. Sulla sussistenza della sua responsabilità diretta, v. Cass. 30 novembre 1963, n. 3069, ibid., n. 154.
Per l'affermazione della responsabilità del prefetto nei con fronti dello Stato (prima della legge del 1958 che trasferiva le
competenze di questi in materia sanitaria al ministero della
sanità) per avere illegittimamente ordinato la chiusura di una
farmacia, v. Corte conti 17 dicembre 1963, n. 76, Giusi, civ., 1964, II, 73.
In dottrina vi sono stati molti recenti studi in occasione del convegno sulla responsabilità della pubblica amministrazione
per la lesione di interessi legittimi : oltre al volume degli Atti, di imminente pubblicazione, v., in questa rivista, gli studi di Miele (1963, IV, 23), Montesano (1963, IV, 41 e 1962, I, 544), Foligno (1963, IV, 81) e Sepe (1963, IV, 109).
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100? PARTE PRIMA 1008
esercitare una determinata attività professionale, non
libera a tutti coloro che possiedono certi requisiti, essendo
prestabilito il numero delle farmacie ed essendo la tito
larità di esse conferita in seguito a concorso, per il pubblico interesse collegato all'esercizio della professione di far
macista, a cittadini iscritti nell'albo professionale, dotati
di mezzi sufficienti, con i conseguenti obblighi da osser
vare sotto la vigilanza della p. a.
Dalla concessione del pubblico servizio (nella specie,
farmaceutico) sorge per il concessionario il diritto alla
conservazione e allo esclusivo esercizio della concessione.
Tale diritto è condizionato all'interesse pubblico, in vista
del quale è destinato a cadere quando la concessione non
risponda più alle pubbliche esigenze. Questo Supremo
collegio, a Sezioni unite, ribadisce la facoltà, generalmente riconosciuta alla p. a., di revocare la concessione ogni qual volta l'esercizio eccezionale dell'attività, da parte del
privato, si ponga in contrasto con il pubblico interesse, ha negato che al rapporto di concessione possa ritenersi, almeno in via di massima, applicabile, nei confronti del
l'amministrazione concedente, il principio privatistico della
responsabilità aquiliana di cui all'art. 2043 cod. civ. (Cass. 28 ottobre 1961, n. 2481, Foro it., Eep. 1961, voce Con
cessioni amministrative, nn. 9, 10 ; 2 aprile 1959, n. 972,
id., Eep. 1959, voce cit., n. 21). Ma se ciò è indubitabile, al di fuori della revoca per
causa di pubblico interesse, l'estinzione del rapporto di
concessione può aver luogo anche attraverso il concorso
di un fatto giuridico o di un comportamento del conces
sionario, previsto dalla legge o dalla convenzione inter
venuta con l'amministrazione come causa estintiva, e
di una pronuncia dichiarativa dell'amministrazione. Si
rientra così nella diversa ipotesi della decadenza, che può aversi anche per inadempienze gravi e reiterate del con
cessionario. Per quanto riguarda il caso in esame, è da con
siderare l'art. 113 del ricordato t. u. n. 1265 del 1934, per il quale la decadenza dall'autorizzazione (ma si è già detto
che si tratta di concessione) all'esercizio di una farmacia, oltre che nei casi preveduti dall'art. 108 (mancato paga mento della tassa di concessione) e 112 (concessione di
una seconda farmacia senza rinuncia alla prima), ha luogo
per una serie di cause, tra le quali alla lett. e) è preveduta la « constatata, reiterata o abituale negligenza e irregola rità nello esercizio della farmacia » o « altri fatti imputabili al titolare autorizzato » dai quali sia « derivato grave danno alla incolumità individuale o alla sanità pubblica ».
In queste ipotesi tassative, l'atto della amministrazione
che pronuncia la decadenza è un atto vincolato e si limita
ad accertare una situazione obiettiva. Gli effetti della
decadenza si esauriscono, di regola, nella risoluzione del
rapporto, ma se l'amministrazione faccia valere, con la
pronuncia dichiarativa, una ipotesi insussistente o non
prevista di decadenza, non ha luogo l'affievolimento del
diritto, quale si ha invece nel caso che la concessione non
sia più idonea alla pubblica esigenza, ma si ha una misura
illegittima, che costituisce violazione del diritto soggettivo alla conservazione e all'esercizio della concessione, con la
conseguenza del risarcimento del danno economico che ne sia derivato, da far valere innanzi all'autorità giudiziaria ordinaria, quanto meno dopo l'annullamento da parte della stessa amministrazione dell'atto illegittimo (ed è
questo il caso in esame) da parte dei competenti organi amministrativi.
Mutuando da una autorevole fonte dottrinale la distin
zione tra norme di azione, che tutelano l'interesse pubblico non nel suo rapporto con l'interesse di altro soggetto, ma
nell'attività dell'amministrazione per garantire la conformità
ad esso degli atti che l'amministrazione stessa compie
per l'esercizio dei propri diritti e poteri e nell'adempi mento dei propri obblighi, e norme di relazione, dirette
invece a regolare i rapporti che intercorrono tra la p. a. e il cittadino, tracciando la linea di demarcazione tra la
sfera giuridica dell'uno e quella dell'altro soggetto, la di
sposizione dell'art. 113 del t. u. delle leggi sanitarie, che
disciplina la ipotesi di decadenza del farmacista dalla
concessione farmaceutica appartiene alla seconda cate
goria, onde la violazione di essa, da parte dell'autorità
amministrativa, vuol dire indebita invasione della sfera
giuridica del cittadino e quindi lesione del diritto altrui, con il conseguente obbligo di riparazione.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la vio
lazione dell'art. 28 della Costituzione e lamenta clie i giu dici di merito abbiano errato nell'ammettere che la p. a.
possa essere ritenuta responsabile per un atto illegittimo
compiuto da un suo funzionario, quando, come nella specie,
questo ultimo, citato in proprio, sia stato assolto con sen
tenza passata in giudicato. La domanda attrice, si af
ferma, chiamava in causa la p. a. come responsabile soli
dale in una causa contro il funzionario, si fondava, cioè,
proprio sull'art. 28 della Costituzione, sicché non era pos sibile modificare più che la stessa eausa petendi, la legit timazione passiva della parte e il contenuto oggettivo del giudizio.
La censura muove da una inesatta indicazione dei fatti
ed è infondata in diritto. Come risulta dallo svolgimento del processo, sin dall'atto introduttivo del giudizio la
Nuvola ha chiesto l'accertamento della condotta illegittima del Migliore, sia in proprio sia quale organo locale del
Governo, per cui si è avuta una duplice domanda, contro
il soggetto che impersonava l'organo e contro l'ammini
strazione che aveva agito a mezzo del proprio organo. In linea di diritto si osserva, poi, che la responsabilità
della p. a. per atti dei suoi funzionari e dipendenti, i quali abbiano agito neU àmbito dei compiti ad essi affidati e
non per fini propri, è una responsabilità diretta, identifi
candosi nei funzionari e dipendenti gli organi attraverso i
quali lo Stato e gli enti pubblici minori agiscono, onde la loro azione è azione dell'ente, che ne risponde in modo
immediato e diretto. Tale principio è rimasto fermo anche
dopo l'entrata in vigore della Costituzione, il cui art. 28 non ha inteso snaturare la responsabilità diretta della p. a. e sanzionare il principio della responsabilità indiretta, ma
ha voluto soltanto sancire, accanto alla responsabilità della p. a., anche quella personale dei funzionari e dipen denti, che finora era ritenuta assorbita dalla responsa bilità dello Stato o in genere dell'ente pubblico.
In altri termini, la legge ha inteso stabilire anche la
responsabilità dei funzionari, ma non ha inteso affatto
svuotare quella diretta della p. a. che continua ad esistere, anche laddove sia esclusa la responsabilità concorrente e solidale del funzionario.
Per questi motivi rigetta, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezione I civile ; sentenza 29 gennaio 1964, n. 228 ; Pres. Fibbi P., Est. Pekkone Capano, P. M. Pedace (conci, parz. diff.) ; Finanze (Avv. dello Stato Soprano) c.
Angeli, Grifoni.
(Cassa C. centrale 29 novembre 1961, n. 83128)
Ricchezza mobile — Giudizi avanti le commissioni tributarie — Notificazione degli atti — Modalità
(R. d. 11 luglio 1907 n. 560, regolamento per l'appli cazione dell'imposta sui redditi di r. m., art. 89).
Tasse e imposte in genere — Giudizi avanti le com missioni tributarie — Appello dell'ufficio — No tifica — Nullità — Sanatoria (E. d. 8 luglio 1937 n. 1516, norme relative alla costituzione ed al funzio namento delle commissioni amministrative per le im
poste dirette e per le imposte indirette sugli affari, art. 38, 45).
Prima dell'entrata in vigore del decreto pres. 29 gennaio 1958 n. 645, le notificazioni degli atti processuali in materia di imposte di r. m. (e di imposta di registro) dovevano essere eseguite con le modalità previste dal r. decreto 11 luglio 1907 n. 560, che all'art. 89 non com
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