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sezione I civile; sentenza 29 luglio 2004, n. 14462; Pres. De Musis, Est. Plenteda, P.M. Gambardella...

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sezione I civile; sentenza 29 luglio 2004, n. 14462; Pres. De Musis, Est. Plenteda, P.M. Gambardella (concl. parz. diff.); Banca popolare dell'Etruria e del Lazio (Avv. Maccarone, Allegrucci) c. Cardenà e altro (Avv. Cecconi). Conferma App. Roma 6 marzo 2001 Source: Il Foro Italiano, Vol. 128, No. 5 (MAGGIO 2005), pp. 1445/1446-1449/1450 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23200616 . Accessed: 28/06/2014 09:07 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 92.63.101.146 on Sat, 28 Jun 2014 09:07:50 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione I civile; sentenza 29 luglio 2004, n. 14462; Pres. De Musis, Est. Plenteda, P.M.Gambardella (concl. parz. diff.); Banca popolare dell'Etruria e del Lazio (Avv. Maccarone,Allegrucci) c. Cardenà e altro (Avv. Cecconi). Conferma App. Roma 6 marzo 2001Source: Il Foro Italiano, Vol. 128, No. 5 (MAGGIO 2005), pp. 1445/1446-1449/1450Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23200616 .

Accessed: 28/06/2014 09:07

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 29 lu

glio 2004, n. 14462; Pres. De Musis, Est. Plenteda, P.M.

Gambardella (conci, parz. diff.); Banca popolare dell'Etru

ria e del Lazio (Avv. Maccarone, Allegrucci) c. Cardenà e

altro (Avv. Cecconi). Conferma App. Roma 6 marzo 2001.

Contratti bancari — Cassette di sicurezza — Furto — Re

sponsabilità della banca (Cod. civ., art. 1225, 1337, 1375, 1839).

Non è configuratile, in caso di furto degli oggetti immessi in

una cassetta di sicurezza, una esclusione o una limitazione

dell'obbligo risarcitorio della banca, che si fondi sull'assen

za di esplicite informazioni da parte dell'utente circa l'uso

intensivo della cassetta, non essendo ascrivibili al cliente do

veri di informativa in tal senso. (1)

Svolgimento del processo. — Con atto 18 ottobre 1985 Car

denà Candido e Carlo convennero dinanzi al Tribunale di Roma

la Banca popolare dell'alto Lazio — già Banca popolare di

Amatrice — perché ne fosse accertata la colpa grave nella ge

stione del servizio di cassette di sicurezza, in relazione ad un

furto di preziosi ivi depositati, avvenuto presumibilmente il 31

ottobre 1980, e fosse condannata a risarcire i danni, oltre la mi

sura prevista dalla clausola limitativa della responsabilità ad un

milione di lire. La banca resistette invocando il caso fortuito ex art. 1839 c.c.

(1) La pronuncia delle sezioni unite 1° luglio 1994, n. 6225, Foro

it., 1994, I, 3422, con nota di Catalano, nonché la coeva sentenza

6226/94, id., Rep. 1994, voce Contratti bancari, n. 19, chiarivano come

non risulti violato il principio di cui all'art. 1225 c.c. in ordine alla pre vedibilità del danno risarcibile, considerato che, se la legge non con

sente al debitore di conoscere certe circostanze (nel caso: il contenuto

di una cassetta di sicurezza nel contratto di cui all'art. 1839 c.c.), la

prevedibilità del danno sarà determinata con riguardo a tutte le altre

circostanze conoscibili (quali, ad esempio, lo stato di agiatezza del

cliente, conosciuto dalla banca in ragione di altri rapporti con lui tratte

nuti). In dottrina si sottolinea, in particolare, che il diritto del cliente a non

rivelare informazioni circa il contenuto della cassetta non consente alla

banca un'efficiente valutazione dei rischi da inadempimento ed impli ca, in linea di fatto, l'assunzione da parte della medesima di un rischio

illimitato. La necessità di evitare una simile evenienza ha indotto gli istituti di credito ad adottare clausole che prevedano l'utilizzo della

cassetta per la custodia di cose di valore non eccedente un determinato

ammontare, facendo carico al cliente di non inserirvi beni di valore

complessivamente superiore, e che, correlativamente, neghino oltre tale

soglia la responsabilità della banca per la perdita dei beni medesimi.

L'adozione di siffatte clausole ha generato un acceso dibattito dottri

nale dal quale sono emerse due ricostruzioni antitetiche. Infatti, ci si è

chiesti se le clausole in esame integrino pattuizioni limitative dell'og

getto negoziale, in quanto dirette ad istituire un collegamento tra la

portata delle obbligazioni bancarie e l'entità del canone di abbona

mento a carico dell'utente, come tali perfettamente lecite; oppure val

gono a porre un argine alla responsabilità bancaria e siano, pertanto,

soggette ex art. 1341 c.c. al requisito della specifica approvazione per iscritto, oltre che inficiate da nullità, ai sensi dell'art. 1229 c.c., in ipo tesi di inadempimento imputabile a dolo o colpa grave.

Sul punto, cfr. Liace, Il servizio di cassetta di sicurezza e la respon sabilità illimitata della banca. Brevi riflessioni di economia del diritto, in Contratto e impr., 2004, 95; Bitetto, Cassette di sicurezza: le con

seguenze inattese della responsabilità illimitata della banca, in Danno

e resp., 2003, 1095; Siconolfi, Cassette di sicurezza, in Studium iuris,

2003, 986; Ghini, Caratteri e limiti del servizio delle cassette di sicu

rezza, in Impresa, 2002, 836; Capitelli, Le cassette di sicurezza tra ca

so fortuito, limitazioni di responsabilità bancaria e prova del danno, in

Rass. dir. civ., 2001, 198; Maccaboni, Cassette di sicurezza e respon sabilità della banca: una questione solo apparentemente risolta, in

Dano e resp., 2001, 917; Ambanelli, Cassette di sicurezza e responsa bilità delia banca, in Contratti. 2000, 389; G. Bellantuono, Cassette

di sicurezza, responsabilità della banca e asimmetrie informative, in

Foro it., 2000, I, 533; Bonetta, Corte di cassazione e titolari di cas

sette di sicurezza derubati: l'«onda» protettiva continua, in Danno e

resp., 2000, 504; Gnani, Cassette di sicurezza, segretezza, prova del

danno e prova testimoniale, in Resp. civ., 2000. 640; Patruno, Brevi

riflessioni, anche «de iure condendo», sulla responsabilità della banca

nel servizio delle cassette di sicurezza, in Giust. civ., 2000, I, 3281;

Scoditti, La responsabilità della banca nel servizio delle cassette di si

curezza, in Danno e resp., 2000, 344; Andò, La responsabilità della

banca nella gestione del servizio «cassette di sicurezza», in Mondo

bancario, 1997, fase. 6, 57.

Il Foro Italiano — 2005.

Il tribunale con sentenza 28 aprile 1998 condannò l'istituto di

credito al pagamento della somma di lire 1.111.258.000, inclusi

gli interessi al tasso annuo del 6,41 per cento sulla media del

valore capitale del risarcimento.

La banca impugnò la decisione, appellata in via incidentale

anche dai Cardenà; la Corte d'appello di Roma con sentenza 6

marzo 2001 ha accolto in parte l'appello principale, riducendo

la misura del risarcimento di lire 64.810.629, per la quale ha

condannato gli attori alla restituzione, ed ha respinto l'appello incidentale compensando per un quarto le spese processuali, nella differenza poste a carico della banca.

Per quanto ancora qui rileva, la corte territoriale ha disatteso

la doglianza avverso l'accertamento del c.t.u. circa le manche

volezze del sistema di sicurezza nella gestione del servizio,

avendo verificato la correttezza dell'indagine compiuta; ha co

munque considerato che il primo giudice aveva avuto modo di

accertare la scarsa professionalità del personale dipendente, che

aveva consentito che il furto si compisse senza nemmeno effra

zione.

Del pari ha respinto, anche perché nuovo, l'addebito mosso

dalla banca ai Cardenà di avere violato il dovere di correttezza

nell'esecuzione del contratto, secondo cui essi avrebbero dovuto

dare avviso dell'uso intensivo che come orafi avrebbero fatto

della cassetta, onde consentire alla banca di concludere il con

tratto a condizioni diverse da quelle praticate, ovvero di non

concluderlo affatto ed ha rilevato che la difesa in primo grado era stata riferita all'obbligazione di non introdurre nella cassetta

valori superiori a lire un milione. Ha, comunque, negato che

oggetto del contratto fosse l'onere di custodire il contenuto

della cassetta, essendo invece quello di custodire i locali e le

cassette e di vigilare sulla loro integrità, per cui la condotta del

cliente era irrilevante.

Ha ritenuto raggiunta la prova — così condividendo il giudi

zio del tribunale — della consistenza dei beni depositati nella

cassetta, analizzando gli specifici elementi sui quali il primo

giudice aveva fondato il proprio convincimento; e del valore di

essi, suffragato dalla c.t.u., alla quale entrambe le parti avevano

opposto censure.

Quanto alla rivalutazione monetaria ha corretto, in accogli mento della doglianza della banca, l'indice applicato del 3,44 a

quello del 3,24, con una differenza in meno rispetto a quanto stabilito dal tribunale di lire 37.622.300, ed ha utilizzato il crite rio equitativo di stima, tenuto conto della natura del debito di

valore.

Ha invece confermato la pronunzia sugli interessi legali re

spingendo la doppia censura, che era stata fondata sulla circo

stanza che la loro richiesta non fosse stata fatta in termini di lu

cro cessante, del quale era peraltro mancata la prova, e sul fatto

che fosse stato illegittimo il calcolo compiuto dal tribunale sulla

somma rivalutata.

Ha infatti giudicato irrilevante che essi debbano essere valu

tati come espressione del lucro cessante, una volta che la do

manda a riguardo era stata proposta; mentre ha ritenuto corretto

il calcolo operato dal primo giudice sulla media tra la somma

originariamente dovuta a titolo risarcitorio e quella attualizzata

per effetto degli indici Istat alla data della sentenza.

Propone ricorso per cassazione con quattro motivi la Banca

popolare dell'Etruria e del Lazio; resistono con controricorso

Candido e Carlo Cardenà.

Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Motivi della decisione. — È senza pregio l'eccezione di nul

lità della notifica del ricorso, proposta dai controricorrenti sotto

il profilo che unica è stata la copia di esso consegnata al difen

sore.

La loro costituzione, con la notifica ed il deposito del contro

ricorso, ha infatti sanato il dedotto vizio con efficacia ex tunc

(Cass., sez. un., 9859/97, Foro it., 1997, I, 3137; 11174/03, id., Rep. 2003, voce Impugnazioni civili, n. 88; 2501/02, id.. Rep. 2002, voce cit., n. 70; 1952/98, id., Rep. 1998, voce cit., n. 50; 271/93, id.. Rep. 1994, voce Lavoro e previdenza (controver

sie), n. 232). Ma infondato è anche il ricorso, in tutte le sue articolazioni.

Con il primo motivo la ricorrente denunzia la violazione e

falsa applicazione degli art. 345 c.p.c., 1225, 1337 e 1375 c.c.;

nonché l'insufficiente motivazione sul punto della controversia

relativo alla violazione di controparte del dovere di correttezza

nella esecuzione del contratto, a causa delle mancate informa

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PARTE PRIMA 1448

zioni sull'uso intensivo che essi avevano fatto della cassetta di sicurezza.

Rileva che, contrariamente a quanto ritenuto dall'impugnata sentenza, non era stata introdotta in grado di appello una diversa contestazione della pretesa, giacché erano rimaste identiche le

circostanze di fatto e ne era solo mutata la qualificazione giuri dica.

Precisa la banca di avere ribadito in secondo grado la richie sta di rigetto della domanda risarcitoria — o in subordine la sua

limitazione a lire un milione — semplicemente prospettando

che era mancato l'accordo aggiuntivo previsto dall'art. 16 del

contratto, in ordine alla specifica utilizzazione della cassetta,

posto che non si era contestato ai Cardenà l'inadempimento contrattuale per avere immesso valori oltre lire un milione, né si era eccepita la limitazione di responsabilità, ma si era addebi tato a controparte di avere utilizzato la cassetta «per soddisfare

stabilmente ... l'esigenza di custodia dei propri gioielli, anzi di

quelli più preziosi ed originali... in tal modo facendo illegitti mamente ricadere sulla banca un (inesistente) obbligo di garante responsabile dei valori e dei preziosi, strumentale all'esercizio della loro impresa».

In tal modo, prosegue la ricorrente, si era preclusa alla banca

qualunque iniziativa, come quella di rifiutare la conclusione o il rinnovo del contratto o di richiedere cautele assicurative, in re

lazione ad un rischio risarcitorio elevato; sicché la fattispecie rientrava nella previsione dell'art. 1225 c.c., non essendo pre vedibile un danno pari a quello liquidato.

E poiché gli attori avevano invocato con l'atto di citazione, con riferimento al citato art. 16, i principi di buona fede nella

conclusione, nell'esecuzione e nell'interpretazione del contratto e i criteri di corrispettività funzionale delle prestazioni dedotte, il motivo d'appello non aveva presentato elementi di novità ed erroneamente la corte territoriale aveva collegato il «dovere di avviso» dei cassettisti all'obbligazione di custodire della banca, senza valutare che essa se avvisata dai Cardenà, avrebbe potuto determinarsi nel modo più sopra indicato, dovendo tale «dovere di avviso» essere posto in relazione alla legittima esigenza del

l'impresa bancaria di conoscere, in una ottica di reciproca buo na fede, il proprio rischio e di cautelarsi in conseguenza, tanto

più che i clienti avevano usato la cassetta per un utilizzo profes sionale mai comunicato.

La censura sostanzialmente addebita alla corte territoriale ca renze di motivazione, in ordine alla contestata violazione del

dovere di buona fede nell'esecuzione del contratto, e l'errore di valutazione di tale prospettazione in appello, ritenuta nuova e

pertanto contraria al disposto dell'art. 345 c.p.c. Va osservato, a riguardo, che la sentenza impugnata ha rile

vato che con le difese di primo grado la banca, a fronte della domanda risarcitoria dei Cardenà, aveva opposto la violazione da parte loro dell'obbligazione di non introdurre valori superiori al milione di lire nella cassetta di sicurezza; salvo in appello a dedurre la violazione dei doveri di correttezza nell'esecuzione del contratto, in particolare del dovere d'informazione della loro

qualità di orafi e dell'uso intensivo che avrebbero fatto della

cassetta, tanto da impedire alla banca ogni opportuna valutazio ne in ordine alla stipula o meno del contratto, ovvero in ordine alle sue condizioni.

Ha, comunque, aggiunto che anche in appello l'odierna ricor rente era incorsa nell'errore di ritenere che oggetto del contratto fosse l'onere di custodire il contenuto delle cassette e non già i locali in cui erano collocate e ad un tempo di vigilare sulla loro

integrità; ragione questa che aveva finito per rendere superflua ogni discussione in ordine alla differenziazione dell'onere di

custodire e vigilare il contenuto della cassetta. E su tale considerazione è pervenuta al rigetto dell'impugna

zione, sul punto. La decisione merita di essere condivisa.

Quanto al profilo di ordine processuale, al di là delle ragioni prospettate dalla ricorrente, giova a disattendere l'assunto della corte territoriale — secondo cui la tesi della banca in grado di

appello non avrebbe potuto trovare ingresso per il divieto dello ius novorum di cui all'art. 345 c.p.c.

— la circostanza che, trat tandosi di eccezione, e non di domanda, volta, come era, a pa ralizzare la pretesa attrice, la sua novità, comunque, non ne im

pediva la deduzione, alla stregua del testo anteriforma, che trova

applicazione alla fattispecie, trattandosi di giudizio introdotto sotto quella disciplina.

Il Foro Italiano — 2005.

Tuttavia, come la sentenza impugnata rileva, non essendo ri feribile l'onere della custodia a carico dell'istituto di credito al contenuto della cassetta, ma ai locali, su di essi e sulla integrità delle cassette riversandosi il dovere di vigilanza dell'obbligato, nessun rilievo assume l'entità degli oggetti in esse immessi e

conseguentemente non può quell'obbligo essere differenziato e

graduato in relazione al loro' contenuto, permanendo invece il dovere di custodire, a prescindere dall'intensità di uso del servi zio (Cass. 4946/01, id., Rep. 2001, voce Contratti bancari, n.

58; 750/97, id., Rep. 1997, voce cit., n. 18; 8820/95, ibid., n. 19; 2067/95, id., Rep. 1995, voce cit., n. 30; 1339/95, ibid., n. 32) e non essendo ascrivibili al cliente, in sede di esecuzione del con

tratto, obblighi diversi da quelli volti al rispetto delle clausole

negoziali, di cui nessuna violazione è stata lamentata, né essen do ipotizzabili violazioni della clausola generale di buona fede, una volta che il contraente ha fatto uso delle naturali potenzia lità del contratto, cui era estraneo —

proprio in riferimento al

l'obbligo di vigilanza della banca, nei termini suindicati, e alla specifica natura del contratto —

qualunque dovere d'informati

va da parte del cliente, in ordine ai beni immessi e al loro valo

re.

Né la prospettazione di violazione del dovere di buona fede, in relazione a tale obbligo, riferita alla fase di formazione del

negozio, può avere miglior sorte.

Avuto, infatti, riguardo alla predetta natura giuridica del ne

gozio; alla sua funzione tipica, da un lato diretta ad ottenere e dall'altro a mettere a disposizione una complessa struttura mate

riale, tecnica ed organizzativa, che realizzi condizioni di sicu

rezza, superiori a quelle raggiungibili dal cliente nella sua sfera

privata (Cass. 1129/76, id., 1976, I, 1531), la quale incide sulla entità e sulla ampiezza delle obbligazioni assunte dalla banca; alla responsabilità di essa, che trova limite esclusivo nel fortui

to, che, per essere esimente, deve essere imprevedibile e inevi

tabile, contrariamente a quanto nella specie si è verificato —

preminente funzione delle cassette di sicurezza essendo proprio quella di prevenire il furto — tanto più se si tiene conto delle manchevolezze accertate nella gestione del servizio; alla ricono sciuta illegittimità, ai sensi dell'art. 1229 c.c., delle clausole li mitative della responsabilità ad un determinato valore dei beni da custodire (Cass., sez. un., 6225/94, id., 1994, I, 3422), gli elementi, di cui la ricorrente invoca il diritto all'informazione, in riferimento alla sua facoltà di determinarsi liberamente, verso la conclusione o meno del contratto, e in ordine al suo contenu

to, avrebbero dovuto, con l'uso dell'ordinaria diligenza, essere

direttamente assunti o richiesti alla parte interessata e non og getto di una pretesa nei confronti del cliente; giacché i doveri di correttezza e buona fede nella fase di formazione del contratto non concernono la convenienza per l'uno o per l'altro dei sog getti, essa rientrando nell'alea ordinaria della contrattazione —

sempreché la valutazione errata non sia frutto del dolo di con

troparte, posto in essere attraverso una sua specifica condotta —

ma solo le circostanze che lo rendono invalido o inefficace (art. 1338 c.c.).

Ne consegue l'erroneità del richiamo dell'art. 1225 c.c. Del pari erroneo è il richiamo della sent. 17947/02 (non mas

simata) di questa corte, portata a sostegno della tesi dell'uso ra

gionevole della cassetta, posto che quella decisione, pur avendo

riguardato la stessa fattispecie e la medesima banca, ha avuto ad

oggetto la misura del risarcimento e non l'obbligo risarcitorio, in relazione ad una liquidazione che ha tenuto conto delle speci fiche circostanze di fatto, non utilizzabili oltre l'area di quel contenzioso.

Inammissibile è il secondo motivo, con cui si deducono l'er ronea e la falsa applicazione degli art. 2697 c.c. e 116 c.p.c. e la

insufficiente e contraddittoria motivazione sul punto della deci

sione, relativo alla valutazione delle prove circa l'entità e il va lore dei beni depositati.

Addebita la ricorrente alla corte territoriale di non avere ade

guatamente considerato il ritardo di quaranta giorni nella de nuncia del furto, rispetto alla data in cui era avvenuto, tanto più che il tribunale aveva apprezzato come elemento indiziario il fatto che la denunzia era stata presentata nell'immediatezza del

l'evento; di avere utilmente apprezzato le testimonianze che avevano riferito che i Cardenà avevano depositato tutti i loro

gioielli qualche giorno prima della festa di Ognissanti, in quanto preoccupati del maggior rischio di furto nel loro negozio in un

periodo sequenziale di festività — che in realtà era stato un pe riodo normale di sabato e domenica — mentre nessuna prova

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

era stata dedotta che i Carderia avessero osservato la chiusura,

anziché il sabato, il lunedì successivo, giorno di chiusura degli

esercizi degli artigiani; al di là di altre incongruenze emerse

nella escussione dei testimoni, che avevano impedito agli indizi

di assumere i caratteri della gravità, precisione e concordanza.

Quanto alla stima tecnica, ha rilevato la contraddittorietà

della valutazione, da un lato fondata sulla c.t.u. e dall'altro

compiuta in via equitativa, sebbene in difetto di acquisizioni

probatorie certe, dal momento che era stata eseguita su docu

menti forniti dalla parte e privi di data certa.

La corte di merito aveva peraltro mancato di esaminare l'ec

cezione d'inattendibilità delle valutazioni del c.t.u., riferite al

laboratorio artigiano dei Cardenà e derivate da un accesso ese

guito tredici anni dopo il furto; come pure aveva mancato di te

ner conto della condotta processuale degli attori, che avevano

richiesto con la citazione la somma di lire 540.000.000, ridotta

in sede di precisazione delle conclusioni a lire 233.000.000, pur

dichiarando di avere essi stessi compilato i cartellini e il registro

delle merci e quindi di essere stati in grado di quantificare con

precisione il valore dei beni.

Le censure mosse alla sentenza e le osservazioni ai criteri di

quantificazione della misura del risarcimento mirano in realtà ad

un riesame delle risultanze probatorie, inammissibile in sede di

legittimità, diretto com'è a conseguire risultati diversi da quelli della decisione impugnata, la quale ha analiticamente conside

rato, svalutandole, le critiche al primo giudice, in ordine al ri

tardo nella descrizione dei preziosi e alle festività che avevano

giustificato il loro deposito nella cassetta; ed ha, soprattutto, po

sitivamente apprezzato, dandone rilievo e congrua motivazione

sul piano logico, i dati risultanti dalla prova testimoniale, dalle

diapositive e dai registri di carico dei preziosi, giudicati utili al

raggiungimento della prova della consistenza dei preziosi di

chiarati come rubati, pacifica essendo la possibilità che il conte

nuto della cassetta, nel momento dell'avvenuta lesione della sua

integrità, sia dimostrato attraverso le normali presunzioni e che

l'entità del danno sia stimata dal giudice con valutazione equi

tativa (Cass. 3000/82, id., Rep. 1982, voce cit., n. 13). Il terzo motivo è infondato.

Denunzia la ricorrente la violazione e la falsa applicazione

degli art. 1223, 1226, 2697 c.c. e l'insufficiente e contradditto

ria motivazione sui capi relativi alla rivalutazione monetaria e al

danno da lucro cessante, rispettivamente quantificati in via

equitativa, secondo gli indici Istat (cento per cento) e con il ren

dimento medio dei titoli di Stato e dei depositi vincolati a ter

mine, poi riportati al tasso degli interessi legali, e non secondo

indici di rivalutazione scelti ad hoc.

Rileva che la liquidazione del danno ex art. 1226 c.c. suppone che sia stata provata l'esistenza del danno e che sia impossibile la prova del suo preciso ammontare, impossibilità nella specie

rimasta indimostrata, giacché, al contrario, era risultato possi

bile provare il valore attualizzato degli oggetti rubati.

In ogni caso erronee sarebbero l'applicazione dell'indice di

rivalutazione pari al cento per cento dell'indice Istat, in quanto la corte d'appello avrebbe dovuto attualizzare le singole com

ponenti del valore originario dei gioielli, applicando i relativi

coefficienti di rivalutazione, tenuto conto del modesto incre

mento nel tempo dell'oro, come documentato in appello, e di

sponendo per le pietre preziose la consulenza tecnica come da

richiesta di essa banca — su cui la corte non si era pronunciata — in luogo di utilizzare l'indice del costo della vita.

Alla rivalutazione operata muove altresì la ricorrente l'adde

bito della mancanza di motivazione, essendosi la corte di merito

limitata ad affermare che fosse «condivisibile l'iter argomenta tivo del tribunale», che nulla aveva a riguardo specificato.

Quanto al lucro cessante ha rilevato che la risarcibilità in via

cumulativa con la aestimatio e la taxatio è subordinata alla pro

va della sua sussistenza, che era mancata, irrilevante essendo la

circostanza che Candido Cardenà avesse corrisposto tra il 1989

e il 1998 tassi passivi alla stessa banca ricorrente, dal momento

che tale finanziamento non è prova del presunto maggior danno

subito dall'impresa degli attori, in difetto di collegamento tra

essa e l'attività di uno di loro.

Contesta in ogni caso la ricorrente la possibilità di far ricorso

alla liquidazione equitativa, mancando la prova della sua precisa

entità o dell'impossibilità di fornirla; e a riguardo la decisione

impugnata sarebbe illegittima, perché priva di motivazione e

perché la valutazione non aveva utilizzato presunzioni persona

li. Foro Italiano — 2005.

lizzate, che avevano cioè tenuto conto delle condizioni e qualità

personali del Cardenà; e perché, infine, aveva omesso di dare

conto delle censure mosse dalla banca alla sentenza di primo

grado, che aveva supplito d'ufficio alle carenze di prova sul

punto, così violando ancora l'art. 2697 c.c.

Quanto al primo profilo, che attiene alla liquidazione equita tiva ex art. 1226 c.c., la deduzione sulla prova del danno e della

sua misura è assorbita da quanto rilevato in merito al motivo

che precede. Senza fondamento è, invece, la doglianza in ordine all'indice

di rivalutazione.

La corte territoriale ha ritenuto impossibile procedere alla di

stinta rivalutazione o attualizzazione, in riferimento all'oro e

alle pietre preziose, in considerazione delle ragioni che avevano

giustificato la stima di valore dei gioielli con criteri equitativi, considerato che essa era avvenuta su documenti, cartellini e dia

positive, che rendevano affidabile la valutazione del consulente

di ufficio, pur restando priva di riscontri precisi. Le valutazioni di segno contrario della ricorrente, che pro

pongono criteri rivalutativi diversificati e ne sostengono l'appli

cabilità, impingono nel fatto e sono pertanto inammissibili,

mentre è infondata la censura incentrata sul vizio di motivazio

ne, avendo la corte di merito adeguatamente esplicitato le ragio

ni del suo convincimento.

Quanto al lucro cessante, la possibilità che con la rivalutazio

ne siano cumulati gli interessi, la prima giovando a reintegrare il

patrimonio del danneggiato del danno emergente e gli altri co

stituendo il corrispettivo del mancato godimento dell'equiva

lente pecuniario del bene perduto, non può essere messa in di

scussione, con la deduzione che sia mancata la prova della sus

sistenza del danno da lucro cessante.

A riguardo la corte territoriale, dopo aver disatteso il motivo

d'appello, secondo cui i primi giudici non avevano considerato

che la richiesta degli interessi legali dei Cardenà non era stata

formulata a titolo di lucro cessante, ed aver osservato che co

munque la domanda sul punto vi era stata, ha implicitamente

ritenuto provata per presunzioni l'esistenza di tale mancato lu

cro, una volta che aveva fatto riferimento agli investimenti im

prenditoriali dei Cardenà ed ha, richiamando la sentenza

1712/95 di questa corte a sezioni unite (id., 1995, I, 1470) ed altre successive, che la prova del pregiudizio del mancato go

dimento del bene o del suo equivalente in denaro hanno affer

mato essere possibile con tutti i mezzi, anche presuntivi, rite

nuto che quel fatto costitutivo del petitum fosse stato non solo

allegato, ma anche provato e fosse stato correttamente liquidato

dal tribunale, alla luce della richiamata giurisprudenza, allorché

ha calcolato tali interessi sulla media tra la somma originaria

mente dovuta a titolo risarcitorio e quella attualizzata per ef

fetto degli indici Istat alla data della sentenza.

Inammissibile è, infine, il quarto motivo.

Con esso sono dedotte la violazione e la falsa applicazione

degli art. 91 e 92 c.p.c., oltre alla contraddittoria motivazione

sul punto della compensazione delle spese processuali, priva di

logica motivazione.

Tale motivazione si era infatti fondata sulla parziale reciproca

soccombenza, in relazione alla conferma di gran parte della

sentenza appellata. Osserva, invece, la ricorrente che i Cardenà erano stati total

mente soccombenti sull'appello incidentale, mentre la banca era

risultata parzialmente vittoriosa, tanto che controparte era stata

condannata al rimborso di lire 64.810.629 oltre interessi.

La corte di merito ha fondato sulla reciproca soccombenza la

statuizione sulle spese, avendo respinto l'appello incidentale dei

Cardenà e parzialmente — in parte minima — accolto quello

principale della banca.

Ciò posto, la decisione non è sindacabile in sede di legittimi tà, dal momento che si conforma al principio di soccombenza di

cui all'art. 91 c.p.c., il quale stabilisce solo il divieto di porre, anche parzialmente, le spese processuali a carico della parte

vittoriosa, mentre, nel caso di soccombenza reciproca, esula dal

sindacato di legittimità e rientra nei poteri del giudice del merito

la valutazione dell'opportunità o meno di disporre la compensa

zione e della sua misura, nonché di decidere quale delle parti

debba essere condannata, senza nemmeno il dovere di tenere

conto del rapporto di proporzionalità tra la rispettiva soccom

benza, della quale, peraltro, l'impugnata sentenza si è perfino

fatta carico.

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