sezione I civile; sentenza 29 novembre 1997, n. 12113; Pres. Baldassarre, Est. Vitrone, P.M.Nardi (concl. conf.); Pelaggi (Avv. Maori) c. Soc. Ferrovie dello Stato (Avv. Molè). ConfermaApp. Catanzaro 24 febbraio 1995Source: Il Foro Italiano, Vol. 121, No. 6 (GIUGNO 1998), pp. 1945/1946-1951/1952Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23192660 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
— che gli opponenti non avevano ragione di dolersi del ca
rattere prematuro dell'iniziativa giudiziale della creditrice, pri ma del decorso di quel termine, dato che erano rimasti anche
successivamente inadempienti; — che la riduzione del quantum, nella misura già stabilita
dal tribunale, era imposta dalla non computabilità nel saldo
passivo dell'accreditata di cambiali girate per lo sconto, non
ancora scadute, e poi andate a buon fine, ed esigeva la revoca
dell'ingiunzione; — che il credito della banca, entro detta somma, era dimo
strato dalla produzione dei titoli insoluti; — che la pretesa degli opponenti di ristoro del danno, in tesi
prodotto dalla perdita di «fido» per le iscrizioni ipotecarie ed
i pignoramenti illegittimamente effettuati dalla creditrice sulla
scorta del decreto provvisoriamente esecutivo, era rimasta sfor
nita di prova, anche perché quella perdita si sarebbe ugualmen te verificata anche se l'ingiunzione fosse stata mantenuta nella
somma poi risultata dovuta.
La Casali ed il Lippini, con ricorso notificato il 13 ottobre
1995, hanno chiesto l'annullamento parziale o la «integrazione» della sentenza d'appello, formulando tre censure. La Banca na
zionale del lavoro ha replicato con controricorso. La resistente
ha depositato memoria.
Motivi della decisione. — Con il primo ed il secondo motivo, e con le deduzioni sviluppate nella parte conclusiva e finale del
ricorso, da esaminarsi congiuntamente, i ricorrenti sostengono che la corte d'appello, dopo aver riscontrato che l'azione della
banca non era assistita da un credito all'epoca esigibile, avreb
be dovuto rilevare e dichiarare l'invalidità del decreto opposto, nonché delle iscrizioni ipotecarie eseguite in base allo stesso, ordinandone la cancellazione, ed inoltre accordare il risarcimento
del danno che tale arbitrario comportamento aveva provocato, trattandosi di pregiudizio in re ipsa.
Le riportate censure sono ammissibili ed in parte fondate, nei limiti delle considerazioni seguenti.
La revoca del decreto ingiuntivo va disposta quando il relati
vo provvedimento sia stato richiesto ed adottato in difetto dei
requisiti all'uopo prescritti, indipendentemente dall'eventuale ac
coglimento della domanda che sia stata poi formulata dal credi
tore nel giudizio d'opposizione promosso dall'intimato, ovvero
quando, pur sussistendo detti requisiti, si accerti per fatti so
pravvenuti (ad esempio, l'adempimento) il venir meno od il ri
dursi della consistenza del credito, occorrendo comunque rimuo
vere e sostituire il precedente titolo (v. Cass., sez. un., n. 7448
del 7 luglio 1993, Foro it., Rep. 1993, voce Ingiunzione, n. 45). La distinzione fra l'una e l'altra revoca non è meramente no
minale (e va quindi, riconosciuto, contrariamente a quanto af
ferma la resistente, l'interesse dei fideiussori a farla valere), per
ché, anche a prescindere dai riflessi sulle spese della fase moni
toria (nella specie non in discussione), si riverbera sull'applica bilità o meno dell'art. 653, 2° comma, c.p.c., il quale stabilisce, in presenza di accoglimento parziale dell'opposizione, la pro
porzionale conservazione degli atti d'esecuzione in precedenza
compiuti, e, quindi, per analogia, anche dell'iscrizione ipoteca ria effettuata a norma dell'art. 655 c.p.c. (v. Cass. n. 4169 del
17 ottobre 1989, id., Rep. 1989, voce cit., n. 53). Detta conservazione, infatti, è da circoscriversi al secondo dei
casi sopra delineati, cioè quello dell'accoglimento parziale del
l'opposizione nonostante l'iniziale presenza delle condizioni del
l'ingiunzione. Tale interpretazione discende dal testuale riferimento del me
desimo art. 653 alla «riduzione» dell'ammontare portato dal
decreto, vale a dire alla revisione dell'entità della somma dovu
ta che non tocchi la legittimità del provvedimento ingiuntivo, e dalla carenza di giustificazioni logiche al mantenimento degli effetti di un atto che risulti compiuto in violazione di legge.
Nel primo caso, non operando detta conservazione, l'ipoteca
giudiziale è necessariamente travolta dalla revoca dell'ingiun
zione, di modo che il giudice, pronunciando la revoca stessa,
anche d'ufficio deve ordinare la cancellazione dell'iscrizione ipo
tecaria, trattandosi di statuizione strettamente conseguenziale (v. Cass. n. 2552 del 21 marzo 1997, id., 1997, I, 3243).
La corte di Bologna ha dato atto che il credito della Banca
è insorto, o comunque è divenuto esigibile dopo la richiesta
e l'emissione del decreto, e, quindi, ha acclarato il verificarsi
della prima di quelle ipotesi, considerando che le pattuizioni del contratto di apertura di credito, se consentivano alla banca
Il Foro Italiano — 1998.
il recesso ad nutum, differivano l'obbligo della società accredi
tata di restituire le somme in precedenza utilizzate al decorso
di almeno un giorno dalla comunicazione del recesso medesimo.
In questo contesto, restava irrilevante, ai fini in esame, l'ina
dempienza dei debitori dopo che il credito era nato ed aveva
acquisito esigibilità, trattandosi di circostanza influente esclusi
vamente per l'accoglimento della domanda che la creditrice ave
va riproposto nel giudizio d'opposizone.
Pertanto, la revoca dell'ingiunzione avrebbe dovuto essere di
sposta in ragione della sua invalidità ab origine, con il menzio
nato corollario in ordine alla cancellazione dell'ipoteca. Il mancato rilievo di detta invalidità originaria, con gli evi
denziati riflessi sull'ipoteca giudiziale, infirma anche la reiezio
ne della domanda risarcitoria, in quanto elide il presupposto della relativa decisione, incentrata, come si è visto, solo sull'os
servazione (erronea) che il decreto ingiuntivo sarebbe stato co
munque emesso sia pure per somma inferiore. (Omissis) In conclusione, con l'accoglimento del ricorso nei limiti sopra
indicati, si deve annullare la decisione della corte di Bologna, affinché in fase di rinvio, ferme restando le statuizioni sulla
validità del recesso della banca e sull'ammontare del suo credi
to, si provveda ad emendare la riscontrata omissione in ordine
all'iscrizione ipotecaria, traendo sul punto le conseguenze del
l'accertata invalidità del decreto ingiuntivo, nonché a riesami
nare la domanda di risarcimento del danno, sempre alla luce
di tale accertamento.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 29 no
vembre 1997, n. 12113; Pres. Baldassarre, Est. Vitrone, P.M. Nardi (conci, conf.); Pelaggi (Avv. Maori) c. Soc. Fer
rovie dello Stato (Aw. Mole). Conferma App. Catanzaro 24
febbraio 1995.
Espropriazione per pubblico interesse — Occupazione appro
priativa — Perfezionamento — Fattispecie (Cod. civ., art.
2043; d.l. 11 luglio 1992 n. 333, misure urgenti per il risana
mento della finanza pubblica, art. 5 bis; 1. 8 agosto 1992 n.
359, conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 11 lu
glio 1992 n. 333; 1. 23 dicembre 1996 n. 662, misure di razio
nalizzazione della finanza pubblica, art. 3, comma 65).
Non è sufficiente a determinare l'acquisto della proprietà a tito
lo originario dall'ente pubblico, l'occupazione di un fondo
per la costruzione di un cavalcavia ferroviario, con deposito di pietrisco e realizzazione di canalette interrate, trattandosi
di interventi di scarsa entità, non impeditivi della restituzione
del suolo. (1)
(1-2) All'iniquità del termine breve di prescrizione dell'azione risarci toria del danno da occupazione appropriativa, si aggiunge l'onere per il privato proprietario di determinare il momento dell'irreversibile desti nazione dei fondi all'opera pubblica, cui la giurisprudenza riconduce tanto l'acquisto della proprietà del fondo da parte della pubblica ammi
nistrazione, quanto l'inizio del decorso del termine prescrizionale (Pfiff ner, L'occupazione appropriativa, il termine di prescrizione dell'azione risarcitoria e il problema della tutela del proprietario, in Resp. civ., 1993 , 534).
L'identificazione del dies a quo della prescrizione, in rapporto al per fezionamento della fattispecie acquisitiva, segna anche il momento di
riferimento per la valutazione del bene ai fini della liquidazione del
danno (Cass. 22 giugno 1990, n. 6266, Foro it., Rep. 1990, voce Espro
priazione perp.i., n. 150; 4 giugno 1991, n. 6322, id., Rep. 1991, voce
cit., n. 287; 5 agosto 1997, n. 7192, id., Mass., 700), e per la decorren
za degli interessi e della rivalutazione (Cass. 26 agosto 1997, n. 7998,
ibid., 799; 3 gennaio 1998, n. 13, id., Mass., 3). È appena il caso di notare che a tali effetti nessuna rilevanza sembra
rivestire la collocazione del momento acquisitivo in successione e quale
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1947 PARTE PRIMA 1948
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 12 agosto
1997, n. 7532; Pres. Corda, Est. Grieco, P.M. Giacalone
(conci, conf.); Comune di Montecarlo (Aw. Paolettx) c. Par
docchi (Aw. Padoa). Cassa App. Firenze 17 giugno 1992.
Espropriazione per pubblico interesse — Occupazione appro
priala — Modificazioni profonde — Esclusione — Fattispe cie (Cod. civ., art. 2043; d.l. 11 luglio 1992 n. 333, art. 5 bis; 1. 8 agosto 1992 n. 359; 1. 23 dicembre 1996 n. 662, art. 3, comma 65).
La trasformazione del fondo privato con irreversibile destina
zione all'opera pubblica, quale modo di acquisto della pro
prietà a titolo originario, non presuppone necessariamente una
profonda modifica materiale del fondo, essendo sufficiente la sola sua diversa collocazione nella realtà giuridica, come
nel caso di realizzazione effettiva di giardino pubblico. (2)
conseguenza (logica) dell'impossibilità di restituzione dell'immobile (Cass. 6 dicembre 1994, n. 10467, id., Rep. 1995, voce cit., n. 247): si legge in Cass. 10 giugno 1988, n. 3940, id., 1988, I, 2262, che «la radicale trasformazione del fondo, con irreversibile destinazione nella realizza zione dell'opera, comporta l'estinzione del diritto dominicale del priva to, e la sua contestuale acquisizione a titolo originario in capo all'ente
costruttore, tenuto conto che l'indicata vicenda, implicando la perdita da parte del privato di ogni facoltà di godimento e di disposizione del
bene, in via permanente o comunque a tempo indeterminato, non è
compatibile con la permanenza del suo diritto di proprietà». La scissione logica è sottolineata da Corte cost. 23 maggio 1995, n.
188, id., 1996, I, 464, con nota critica di Benini, secondo il quale la distinzione tra la fase di spossessamento del bene dall'acquisto vero e proprio, quest'ultimo giustificato dall'impossibilità di restituzione del bene per le trasformazioni nel frattempo apprestate, contraddice con la costruzione che riconduce comunque la pretesa di ristoro del privato all'azione risarcitoria da fatto illecito, mentre poteva avere una propria giustificazione funzionale nell'ottica dell'orientamento che costruendo
l'acquisizione come fatto lecito che nello spossessamento trovava solo un antecedente storico, giustificava la pretesa del privato come diritto al controvalore, soggetto alla prescrizione decennale, posto che sotto il profilo temporale non è dato apprezzare una qualche diacronia tra i due aspetti.
È certo dunque che l'illecito della pubblica amministrazione si loca lizza nel tempo allorché, per effetto dell'irreversibile trasformazione del
fondo, diventa impossibile la restituzione del bene. Diversamente, non
sempre all'irreversibile trasformazione si associa temporalmente la de stinazione pubblicistica, che al di là dell'impiego costante di formule definitorie (si legge fin da Cass. 26 febbraio 1983, n. 1464, id., 1983, I, 626, che «la radicale trasformazione del fondo — che sia ritenuta dal giudice di merito univocamente interpretabile nel senso dell'irrever sibile sua destinazione al fine della costruzione dell'opera pubblica —
comporta l'estinzione in quel momento del diritto di proprietà del pri vato e la contestuale acquisizione a titolo originario della proprietà al l'ente costruttore»; Cass. 24 novembre 1983, n. 7022, id., Rep. 1983, voce cit., n. 321, parla di definitiva trasformazione funzionale alla rea lizzazione dell'opera) che danno per scontata la contemporaneità della realizzazione dell'opera e della destinazione all'uso pubblico, richiede rebbero qualche precisazione, in rapporto alla doverosa corrispondenza tra la dichiarazione di pubblica utilità (l'imprescindibilità del presuppo sto viene sottolineata già a partire da Cass. 10 giugno 1988, n. 3940, cit.; al riconoscimento del diritto, in mancanza di rituale dichiarazione di pubblica utilità, ad un risarcimento commisurato a criteri d'integrali tà ove non si opti per la restituzione — in tal senso, Cass. 16 luglio 1997, n. 6515, id., 1997, I, 3592, con nota di De Marzo; 26 agosto 1997, n. 7998, cit.; 10 gennaio 1998, n. 148, id., Mass., 16 —, si pervie ne in virtù del fondamentale passaggio nell'evoluzione dell'istituto, co stituito dall'affermazione del carattere permanente dell'illiceità ove sia mancato il formale riconoscimento della pubblica utilità dell'opera, con il risultato dell'imprescrittibilità dell'azione di risarcimento: Cass. 4 marzo
1997, n. 1907, id., 1997, I, 721, con nota di richiami) e la destinazione concretamente impressa al manufatto ed al suolo in esso incorporato. Si pensi infatti al caso del perimento della cosa dopo la realizzazione ma prima della concreta destinazione ad uso pubblico (ipotesi affaccia ta da Cass. 18 aprile 1987, n. 3872, id., 1987, I, 1727). La questione non può che avvalorare le perplessità di chi si interroga se l'impossibili tà di conseguire la restituzione del bene sia il portato di un limite giuri dico o dell'inclinazione dei giudici a mediare, in ogni caso, tra interesse
privato e quello pubblico, in considerazione della situazione materiale
prodotta nella manipolazione del fondo (De Marzo, Occupazione ap propriativa e pendenza dei termini di occupazione legittima, in Giur.
it., 1994, IV, 114). Qualora la realizzazione dell'opera pubblica sia temporalmente con
tenuta nel termine dell'occupazione autorizzata (ed eventualmente pro
li. Foro Italiano — 1998.
I
Motivi della decisione. — (Omissis). Con i primi tre motivi, che per la loro stretta connessione sono suscettibili di trattazio
ne congiunta, si denunciano il vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia (primo motivo), la violazione degli art. 115 e 116 c.p.c. sotto il profilo dell'asserito stravolgimento delle risultanze istruttorie (secondo motivo) e la violazione degli art. 3 1. 27 ottobre 1988 n. 458; 834, 936, 938 e 2043 c.c.; 9
e 13 1. 25 giugno 1865 n. 2359, e 76 1. 7 luglio 1907 n. 429, in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., con riferimento all'er
rogata), il dies a quo della prescrizione va posto alla scadenza di essa
(tra le altre, Cass. 18 ottobre 1994, n. 8495, Foro it., Rep. 1994, voce
cit., n. 278; 5 maggio 1995, n. 4913, id., Rep. 1995, voce cit., n. 241; 9 aprile 1996, n. 3270, id., Rep. 1996, voce Prescrizione e decadenza, n. 67): nei limiti temporali in cui è legittima la compressione delle fa
coltà di godimento del proprietario, infatti, tutto ciò che accade sul fondo occupato è irrilevante nei confronti del privato (Cass. 29 novem bre 1993, n. 11796, id.. Rep. 1993, voce Espropriazione per p.i., n.
449; 5 dicembre 1995, n. 12520, id., Rep. 1995, voce cit., n. 280; 28
maggio 1997, n. 4723, id., Mass., 450; 19 maggio 1998, n. 4985, inedi
ta). Soluzione obbligata per via del connotato di illiceità conferito al fenomeno appropriativo: è il momento in cui viene meno il titolo di
detenzione del bene a favore della pubblica amministrazione, e, più in generale, il titolo giustificativo del suo operato, che detta la qualifi cazione giuridica riguardante l'emersione del quid novi sul fondo priva to, e in definitiva il compimento della fattispecie appropriativa (solu zione su cui si appuntano le critiche di De Marzo, op. cit., 120, secon do cui l'attribuzione alla mano pubblica del fondo già dal compimento dell'opera compiuta in costanza di occupazione legittima, s'impone non essendo diversamente definibile il regime proprietario nell'intervallo tra l'ultimazione dei lavori e la scadenza dell'occupazione). Fino alla sca denza del termine, infatti, può utilmente intervenire il decreto di espro priazione (Cass. 22 aprile 1998, n. 4085, id., Mass., 432).
Il presupposto ontologico perché possa configurarsi l'accessione in vertita a favore della pubblica amministrazione è inoltre quello dell'e mersione di un quid fisicamente e strutturalmente nuovo così da evi denziare l'incompatibilità dell'autonoma sopravvivenza del fondo in
globato (Cass. 16 luglio 1986, n. 4584, id., Rep. 1986, voce cit., n.
302, secondo cui, pur potendo l'inizio delle opere comportare la radica le trasformazione, ciò non è ravvisabile nella mera recinzione dell'area
occupata; 16 novembre 1989, n. 4885, id., Rep. 1989, voce cit., n. 369, secondo cui il perfezionarsi del fatto illecito estintivo del diritto priva to, non si verifica con l'inizio dei lavori, ma richiede che detta opera sia completata, o comunque abbia assunto i suoi connotati definitivi, sicché il suolo ne risulti inscindibile parte integrante; 9 giugno 1993, n. 6433, id., Rep. 1993, voce cit., n. 445, che, pur non richiedendo il completamento dell'opera, localizza il dies a quo nel momento in cui essa si delinea con i suoi connotati definitivi, sì da rendere oggetti vamente valutabile l'effettiva entità dell'intervento ablatorio (in appli cazione del principio, Cass. 13 luglio 1994, n. 6561, id.. Rep. 1994, voce cit., n. 277, e 3 maggio 1996, n. 4086, id., Rep. 1996, voce Pre
scrizione e decadenza, n. 66, riconoscono il compimento di una strada nell'assunzione dei connotati minimi suoi propri, rivelando l'astratta idoneità ad essere percorsa come tale, anche se ancora priva di opere accessorie destinate a renderne l'uso più agevole e sicuro e a consentir ne l'effettiva apertura al traffico); 16 marzo 1994, n. 2507, id., Rep. 1994, voce Espropriazione per p.i., n. 224, che esclude l'irreversibile trasformazione del fondo in caso di modesti lavori di sistemazione di un'area definita a «verde attrezzato», di per sé inidonea ad impedire la restituzione del fondo e la riconduzione in pristino; conf., Cass. 25 marzo 1991, n. 3197, id., Rep. 1992, voce cit., n. 317, riguardo alla mera apertura di cantiere, o, nel caso di opera complessa, alla costru zione del solo manufatto principale, perché è necessario che l'opera si delinei nei connotati definitivi; 7 aprile 1994, n. 3292, id., Rep. 1994, voce cit., n. 225, riguardo alla semplice adozione di un piano attuativo che vincoli l'area all'esecuzione di opere di urbanizzazione; 29 novem bre 1997, n. 12113, in epigrafe, riguardo alla distruzione delle colture
per la realizzazione di canalette interrate in vista della costruzione di un cavalcavia; secondo Cass. 13 gennaio 1994, n. 301, id., 1994, I, 302, con nota di richiami di Bentni, l'irreversibile trasformazione si verifica per via di «alterazioni fisiche e funzionali non emendabili», cui, tuttavia, si accompagni la «realizzazione dell'opera pubblica in tut te le sue componenti essenziali»; conf., Cons. Stato, ad. plen., 7 feb braio 1996, n. 1, id., 1996, III, 137, con nota di richiami). Ma la solu zione è a ben vedere in contrasto con la tesi che attribuisce rilevanza decisiva alla trasformazione, con perdita degli originari caratteri strut
turali, del fondo privato, che può anche anticipare la definitiva ultima zione dell'opera (Cass. 6 febbraio 1987, n. 1172, id., Rep. 1987, voce
cit., n. 313; 9 maggio 1990, n. 3795, id., Rep. 1990, voce cit., n. 406; 17 maggio 1990, n. 4295, ibid., n. 413; 3 febbraio 1993, n. 1302, id., Rep. 1993, voce cit., n. 444; 22 febbraio 1994, n. 1725, id., Rep. 1994,
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
rata esclusione della dedotta occupazione acquisitiva dell'intera
area di mq 2.000 (terzo motivo). Sostiene al riguardo la ricorrente che dalle risultanze istrutto
rie emergerebbe — contrariamente a quanto ritenuto in senten
za — che già nel periodo aprile-giugno 1981 l'attività dell'im
presa appaltatrice aveva determinato una situazione di irreversi
bile trasformazione dell'area occupata e che del tutto apodittica sarebbe l'affermazione del consulente d'ufficio secondo cui det
ta trasformazione irreversibile si era verificata solo in epoca suc
cessiva all'immissione in possesso seguita al decreto di occupa zione d'urgenza del 15 aprile 1981, poiché l'affermazione relati
va alla data in contestazione non si fondava su precisi elementi
probatori, come poteva desumersi da un corretto esame delle
deposizioni testimoniali raccolte; che erroneamente, inoltre, era
stato escluso che i lavori provvisori eseguiti prima del decreto
di occupazione avessero determinato l'immutazione dello stato
dei luoghi, tenuto conto della imprescindibile destinazione del
fondo occupato a servizio del vicino cavalcavia ferroviario.
La complessa censura, articolata in tre separati motivi, non
può trovare accoglimento poiché, attraverso la denuncia di vizi
di motivazione e di violazione di norme sostanziali e processua
li, la ricorrente sottopone in realtà a questo giudice di legittimi
tà un inammissibile riesame delle risultanze istruttorie al fine
di pervenire ad una decisione della controversia in senso ad essa
favorevole.
Assolutamente ineccepibile, infatti, appare la motivazione della
sentenza impugnata la quale, sulla base delle conclusioni della
consulenza tecnica d'ufficio confortate dalle deposizioni testi
moniali in atti, ha affermato che il comportamento della ditta
appaltatrice dei lavori nel breve periodo antecedente l'emana
zione del decreto di occupazione d'urgenza (che reca la data
del 15 aprile 1981) non era stato tale da determinare la trasfor
mazione irreversibile del fondo della ricorrente poiché, anche
a voler ritenere pacifico che nell'aprile del 1980 l'impresa ap
paltatrice avesse depositato sull'area occupata del rilevato di pie
trisco, poi asportato, e avesse realizzato delle canalette interra
te, ciò non sarebbe stato in ogni caso sufficiente a determinare
l'acquisto della proprietà dell'area a titolo originaro da parte dell'ente per conto del quale veniva eseguita l'opera pubblica. Tale affermazione appare del tutto coerente, infatti, con il con
solidato orientamento giurisprudenziale secondo cui la trasfor
mazione irreversibile del fondo occupato per fini di pubblica
voce cit., n. 272; 29 marzo 1995, n. 3723, id., Rep. 1996, voce cit., n. 209; 29 novembre 1995, n. 12416, id., Rep. 1995, voce cit., n. 244). La radicale trasformazione non equivale a mutamento perpetuo e ineli
minabile, oltre che strutturale, derivando l'irreversibilità della trasfor
mazione dalla necessità di nuovi interventi eversivi per il ripristino del
l'originaria fisionomia (Cass. 28 dicembre 1993, n. 12868, id., 1994,
I, 1442); secondo Cass. 12 agosto 1997, n. 7532, in epigrafe, non è
necessaria la profonda modificazione materiale del bene, che gli faccia
assumere struttura, forme e consistenza diverse, rendendosi sufficiente
«la sola sua collocazione nella realtà giuridica» (fattispecie in tema di
realizzazione di un giardino pubblico). Va osservato a tal proposito che la qualificazione illecita dell'occupa
zione appropriativa, e la costruzione del modo di acquisto della pro
prietà pubblica a titolo originario, per via dell'impossibilità di restitu
zione del bene, dovrebbero indurre a localizzare la consumazione del
l'illecito in parallelo allo svuotamento delle facoltà dominicali, il che
si verifica anche prima della «costruzione dell'opera» (anche se non
completata), per effetto, ad esempio, delle fondamenta di una costru
zione, che impediscono anche l'uso agricolo. Se viceversa si pone l'ac
cento, quale elemento giustificatore dell'accessione del suolo al fabbri
cato, alla prevalenza del fine pubblico per cui l'opera è stata concepita
(aspetto valorizzato dalla fondamentale Cass. 25 novembre 1992, n.
12546, id., 1993,1, 87, che prendendo le distanze dalle suggestioni civi
listiche dell'accessione invertita, dà un'autonoma connotazione pubbli cistica all'occupazione appropriativa, giustificata dalla prevalenza del
l'interesse generale per cui l'opera è stata costruita, sull'interesse parti colare del proprietario), allora dovrebbe attendersi il momento in cui
il manufatto acquista connotazioni sufficientemente univoche che ren
dano riconoscibile la destinazione: e la realizzazione delle sole fonda
menta non giustificherebbe quella preponderanza del novum che è ra
gione dell'attrazione del suolo privato al manufatto pubblico (secondo Varlaro Sinisi, L'occupazione appropriativa e l'«irreversibile trasfor mazione» del fondo, in Giust. civ., 1995,1, 2308, muovendosi dall'art.
938 c.c., la fattispecie estintivo-acquisitiva dovrebbe essere ricollegata ad una sentenza costitutiva previo accertamento dei presupposti elabo
rati dalla giurisprudenza sul perfezionamento della fattispecie acquisiti
va). [S. Bhnini]
Il Foro Italiano — 1998.
utilità, se pur non richiede la completa ultimazione dell'opera
pubblica, deve comunque determinare l'impossibilità della sua
restituzione al privato proprietario a causa della rilevante entità
dell'alterazione del preesistente stato dei luoghi; e nella specie, alla luce delle risultanze istruttorie, e tenuto conto della scarsa
precisione del riferimento temporale della dedota occupazione
acquisitiva, correttamente è stato escluso, con motivazione che
si sottrae ad ogni censura, che l'esporpriazione abbia interessa
to un'area già acquistata a titolo originario delle Ferrovie dello
Stato, poiché la scarsa entità degli interventi già praticati non
avrebbe impedito la restituzione del suolo, salvo restando il ri
sarcimento del danno derivante dalla distruzione delle colture
nonché dalla realizzazione delle canalette interrate che dà luogo ad un illecito di carattere permanente, il quale perdura fino a
quando dette opere non vengano rimosse ovvero sia costituita
regolarmente la corrispondente servitù, nei confronti della qua le non è configurabile, com'è noto, alcuna forma di occupazio ne acquisitiva (sez. un. 24 giugno 1994, n. 6082, Foro it., Rep.
1995, voce Servitù, n. 15). (Omissis)
II
Motivi della decisione. — (Omissis). Il comune ricorrente de
nunzia la violazione di legge in cui sarebbe incorso il giudice della decisione impugnata riconoscendo ai proprietari il diritto
al risarcimento del danno indicato pur nell'inesistenza dell'irre
versibile trasformazione del bene occupato e della realizzazione
dell'opera pubblica. In ogni caso, l'affermazione della perdita della proprietà per irreversibile trasformazione dei luoghi non
sarebbe stata sorretta dalla necessaria motivazione, non essendo
state spiegate le ragioni in base alle quali i modesti lavori ese
guiti dall'amministrazione comunale avrebbero determinato l'ir
reversibile trasformazione del suolo.
Contraddittoriamente, poi, sarebbe stata affermata la non ne
cessità di quella trasformazione ai fini dell'effetto acquisitivo. La censura non ha fondamento per quel che concerne gli aspet
ti sostanziali prospettati; non è fondata neppure per quanto at
tiene a quelli processuali.
E, tuttavia, essa offre l'occasione per sottolineare caratteri
tutt'altro che marginali della vicenda espropriativa allorché l'oc
cupazione illegittima del suolo appartenente al privato, nell'am
bito di una procedura che ha avuto il suo presupposto nella
dichiarazione di pubblica utilità ed ha iniziato la sua concreta realizzazione del provvedimento di occupazione di urgenza, tro
va nell'opera pubblica realizzata la ragione dell'irreversibilità
del nuovo stato di fatto.
Invero, «l'acquisto della proprietà in capo alla pubblica am
ministrazione si verifica perché la restituzione non è più giuridi camente possibile a causa della natura pubblica del nuovo bene
di cui solo l'ente pubblico occupante può essere titolare; e non
già, all'inverso, nel senso che il bene non debba essere restituito
perché acquisito dalla pubblica amministrazione» (cfr. sez. un.
25 novembre 1992, n. 12546, Foro it., 1993, I, 87). Ribadito che alla possibilità di reintegrare il privato nel do
minio del bene si oppone l'opera pubblica che è stata realizzata
e che diviene, conseguenzialmente, in attuazione di una espro
priazione sostanziale (cfr. sez. un. 25 novembre 1992, n. 12546,
cit.), «bene pubblico»; ribadito, quindi, che dall'acquisizione del bene nel patrimonio della pubblica amministrazione a titolo
originario (bene che non può essere restituito) si origina non
il diritto al pagaménto del valore al momento in cui esso è stato
acquisito dalla pubblica amministrazione a titolo originario, bensì
il diritto al risarcimento del danno mentre l'attività della pub blica amministrazione non è solo un antecedente storico ma la
causa dell'acquisto della proprietà da parte della pubblica am
ministrazione; va definito — tutto ciò ricordato — il significato di «radicale trasformazione».
Contrariamente al convincimento del ricorrente, il concetto
non implica la profonda modificazione materiale del bene, sì
da assumere struttura, forme, consistenza diverse, ma si concre
ta — essenzialmente — nella diversa sua collocazione nella real
tà giuridica. Posto che la radicale trasformazione del bene oc
cupato comporta la sua irreversibile destinazione, va sottolinea
to che «radicale» è ogni (totale) trasformazione realizzata per un fine del tutto diverso. E nulla rende più diverso un bene
dalla sostituzione del fine pubblico a quello privato, indipen
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1951 PARTE PRIMA 1952
dentemente dalle forme che in concreto assume l'iniziativa della
pubblica amministrazione. E, così, nella realizzazione di nuovo
elettrodotto, o per la variante di uno esistente, l'apprensione sine titulo di suolo privato non determina la costituzione di ser
vitù di fatto nell'ambito della cosiddetta «occupazione acquisi tiva» perché non v'è — ab initio — il fine di destinare, nella
sua totalità — e, quindi, trasformare totalmente — il suolo del
privato per una finalità pubblica ma solo il più limitato scopo di utilizzarlo parzialmente nell'ambito dello schema della servir
tù di eletrodotto. E, quindi, non v'è l'acquisizione ma solo la
volontaria utilizzazione delle parti del suolo occupato.
Sicché, in difetto di autorizzazione della competente autorità
e di dichiarazione di pubblica utilità dell'opera, la realizzazione
di elettrodotto, o la sua gestione, si risolve in un'attività mate
riale che consente al privato, proprietario del suolo, leso da
quella attività, di chiedere, ed ottenere, dal giudice ordinario
tanto il risarcimento del danno subito nel quinquennio anterio
re alla proposizione della domanda quanto la rimozione del
l'impianto e la restitutio in integrum. In presenza, invece, del
l'autorizzazione della competente autorità e della dichiarazione
di pubblica utilità dell'opera ma in carenza del provvedimento amministrativo impositivo della servitù, la realizzazione dell'e
lettrodotto, o la sua gestione, consente al privato, proprietario del suolo, che abbia subito danno dall'attività, di chiedere ed
ottenere dal giudice ordinario il risarcimento per equivalente pe cuniario e non in forma specifica (sez. un. 4619/89, id., 1989,
I, 3088). Orbene, tutto ciò conforta la tesi che la trasformazione è ra
dicale — e produce, di conseguenza, la irreversibile destinazio
ne — solo se la finalità è totalmente diversa; nel senso che essa
si concreta nel dare a tutto il suolo occupato una finalità pub blica. Questa volontà, nella realizzazione dell'elettrodotto, manca
perché la pubblica amministrazione si disinteressa del bene (suolo) su cui ha effettuato l'installazione e non si pone che una finali
tà di semplice utilizzazione di parti del suolo ed in relazione
a quel bene non pone problematiche di trasformazione totale,
epperciò radicale. Con la costituzione della servitù si renderà
legittimo quanto si è realizzato senza, per questo, che si sia
attuata la radicale trasformazione del suolo. Conclusivamente, nella specie, la destinazione a giardino pubblico del terreno dei
privati «effettivamente attuata», ha comportato la radicale tra
sformazione del bene in bene pubblico e la sua irreversibile de
stinazione al fine pubblico. A nulla rilevando l'entità degli in
terventi attuati e l'essenza delle opere realizzate per trasformare
il suolo privato. Occupato — nel presupposto della dichiarata
utilità pubblica — nell'ambito di un procedimento espropriati vo iniziato con l'occupazione legittima, ma non concluso da
tempestivo provvedimento di esproprio. E del danno subito dai proprietari, concretatosi nella perdita
del diritto di proprietà, legittimamente è stato disposto il risar
cimento.
Le ragioni della decisione sono state rese sufficientemente espli cite dalla corte territoriale che laddove ha affermato la non ne
cessità dell'irreversibile trasformazione ai fini del verificarsi del
l'effetto acquisitivo, lungi dall'incorrere nella contraddittorietà
denunziata dal ricorrente, ha manifestamente inteso proporre il principio della non necessità della «trasformazione» nel senso
ritenuto dal ricorrente. Non sussiste, in definitiva, alcun vizio
di motivazione. (Omissis)
Il Foro Italiano — 1998.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 29 otto
bre 1997, n. 10697; Pres. Senofonte, Est. Sotgiu, P.M. Mac
carone (conci, conf.); Min. finanze (Aw. dello Stato La Por
ta) c. Soc. Sief (Avv. Bozzi). Conferma App. Torino 5 giu
gno 1995.
Tributi in genere — Imposta erariale di consumo — Indebito
comunitario — Domanda di rimborso — Comunicazione al
l'amministrazione finanziaria — Limiti (L. 29 dicembre 1990 n. 428, disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee, art. 29).
La domanda di rimborso di tributi non dovuti in base alla nor
mativa comunitaria (nella specie, imposta erariale di consu
mo sulle banane) deve essere comunicata all'ufficio delle im
poste dirette solo se riferita a periodi d'imposta successivi al
l'entrata in vigore della l. 29 dicembre 1990 n. 428, che detto
onere prescrive. (1)
(1) Non risultano precedenti editi in termini. La Cassazione aggiunge un'ulteriore tessera al complesso mosaico della
disciplina riguardante il rimborso dei tributi riconosciuti incompatibili con norme comunitarie, introdotta con l'art. 29 1. 29 dicembre 1990 n. 428. Nel caso di specie è stato affrontato il problema della comuni cazione della domanda di rimborso — imposta, a pena di inammissibi lità della stessa, dal 4° comma dell'art. 29 — anche all'ufficio tributa rio che ha ricevuto la dichiarazione dei redditi relativa all'esercizio di
competenza. Il successivo 8° comma stabilisce che la comunicazione della domanda va effettuata «a decorrere dal periodo d'imposta in cor so alla data di entrata in vigore della . . . legge». La Cassazione inter
preta la norma sulla decorrenza dell'onere di comunicazione non in senso puramente temporale — cioè ritenendo che debbano essere comu nicate tutte le domande di rimborso presentate successivamente all'en trata in vigore della legge, a qualunque periodo d'imposta riferite (e perciò anche a periodi anteriori a quello in corso alla data di entrata in vigore della legge) — ma in senso sostanziale, vale a dire riferendo la comunicazione al periodo d'imposta, per cui solo le domande relati ve a quello in corso alla data di entrata in vigore della legge e a quelli successivi devono essere comunicate.
I precedenti interventi della Cassazione sulle disposizioni dell'art. 29 1. 428/90, dei cui commi 2° e 7° è stata normalmente ribadita l'effica cia retroattiva, avevano riguardato:
a) la compatibilità della disciplina del rimborso con la normativa co munitaria (affermata da Cass. 28 marzo 1996, n. 2844, Foro it., Rep. 1996, voce Dogana, n. 91; 17 dicembre 1992, n. 13339, id., Rep. 1992, voce Comunità europee, n. 419; 4 novembre 1992, n. 11964, ibid., voce
Dogana, n. 48; 8 agosto 1992, n. 9389, ibid., n. 46; 24 febbraio 1992, n. 2269, id., Rep. 1993, voce cit., n. 75; 29 ottobre 1991, n. 11522, id., Rep. 1991, voce cit., n. 52; 2 luglio 1991, n. 7248, id., Rep. 1992, voce cit., n. 49. In proposito, è il caso di rilevare che recentemente Cass. 25 febbraio 1998, n. 2061, id., Mass., 220, ha affermato la com
patibilità con la normativa comunitaria dell'art. 29 1. 428/90, in quanto certamente rispondente ai principi giurisprudenziali elaborati in materia dalla Corte di giustizia, riportati infra, atteso il criterio di ripartizione dell'onere probatorio — v. sub e — e l'uniformità della disciplina che evita la creazione di uno ius singulare per i rimborsi comunitari, mentre
per i rimborsi extra-comunitari — v. sub d — vige l'art. 19 d.l. 688/82); b) la disapplicazione, perché in contrasto con l'ordinamento comuni
tario, della disposizione del 1° comma, che estende, con effetto retroat
tivo, il termine di decadenza quinquennale, previsto dall'art. 91 d.p.r. 23 gennaio 1973 n. 43, a tutte le domande e le azioni esperibili per il rimborso di quanto pagato in relazione ad operazioni doganali, con
conseguente applicazione del termine ordinario di prescrizione (Cass. 6 novembre 1992, n. 12024, id., Rep. 1992, voce cit., n. 57; 4 novembre
1992, n. 11969, ibid., voce Zuccheri, n. 2; 2 luglio 1991, n. 7248, cit., id.. Rep. 1992, voce Dogana, n. 58; v. anche Cass. 15 gennaio 1992, n. 414, id., 1992, I, 3248, con nota di M. Annecchino, per la quale la norma di cui all'art. 29, 1° comma, 1. 428/90 non può ritenersi re troattiva per quanto attiene al requisito di proponibilità della domanda entro il termine, inteso come decadenziale, di cinque anni);
c) l'irrilevanza dell'adozione da parte dello Stato italiano di altra nor mativa sostitutiva, come previsto dal 6° comma, laddove il contrasto della norma interna con l'ordinamento comunitario sia stato ricono sciuto dalla Corte di giustizia (Cass. 8 luglio 1993, n. 7508, id., Rep. 1993, voce cit., n. 73; 6 novembre 1992, n. 12024, cit.; 29 ottobre 1991, n. 11522, cit., id., Rep. 1991, voce cit., n. 53; 2 luglio 1991, n. 7248, cit., ibid., n. 54);
d) l'area di applicazione della norma in relazione alla precedente di
sposizione dell'art. 19 d.l. 30 settembre 1982 n. 688, convertito, con
modificazioni, nella 1. 27 novembre 1982 n. 873, il quale pone a carico del soggetto che chiede il rimborso la dimostrazione documentale di non aver trasferito, in qualsiasi modo, su altri l'onere economico del tributo assolto (Cass. 16 giugno 1995, n. 6840, id., Rep. 1995, voce
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