sezione I civile; sentenza 29 novembre 2000, n. 15302; Pres. Senofonte, Est. Celentano, P.M.Golia (concl. conf.); Banca popolare di Lanciano e Sulmona (Avv. Libonati) c. Ranalli. Cassa App.L'Aquila 24 agosto 1998Source: Il Foro Italiano, Vol. 124, No. 10 (OTTOBRE 2001), pp. 2919/2920-2923/2924Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23196330 .
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PARTE PRIMA 2920
È vero che in questo caso non si realizza alcuna delle ipotesi tassativamente previste dall'art. 354 c.p.c., ma tale rilievo non è
sufficiente per escludere la necessità della rimessione (in questo senso, cfr. Cass. 19 aprile 1991, n. 4227, id., 1992, I, 115; 26 aprile 1993, n. 4867, cit.; 5 novembre 1998, n. 11151, id., Rep. 1998, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 363).
Certamente, la norma in esame non ha previsto ipotesi di nul
lità come quella in esame, riscontrabili soltanto nel processo contenzioso che ha inizio con il ricorso, ma essa non l'ha nep
pure esclusa esplicitamente dalla propria disciplina. Occorre, pertanto, desumere dal sistema processuale la regula
iuris in ordine ai poteri attribuiti al giudice d'appello nel caso in
cui quella nullità — come appunto è avvenuto nel caso di specie — non sia stata rilevata nel corso del giudizio di primo grado.
Non può essere applicata nel caso di specie la norma dell'ul
timo comma dell'art. 354 c.p.c., che prevede la rinnovazione in
appello degli atti, diversi da quelli enunciati nel 1° comma, dei
quali il giudice di secondo grado abbia dichiarato la nullità.
Sotto altro profilo, occorre anche sottolineare che, nel caso di
specie, analogamente a quanto si verifica nelle altre ipotesi pre viste dal 1° comma dell'art. 354 c.p.c., il processo in primo gra do è stato validamente introdotto ed è, quindi, idoneo a ripren dere il suo corso —
per un'esigenza di economia processuale che appare evidente, una volta eliminata la causa di nullità — ed
inoltre che la ratio legis che ha indotto il legislatore a prevedere la rimessione del giudizio al primo giudice sussiste integra an
che nell'ipotesi che si esamina (in questo senso, cfr. Cass. n.
4867 del 1997, cit.). Nessun elemento in contrario, sotto altro profilo, può desu
mersi dalla decisione delle sezioni unite 3 ottobre 1995, n.
10389 (id., 1996,1, 1297). In tale occasione, questa corte ha affermato il principio se
condo il quale il giudice d'appello, nel dichiarare la nullità degli atti del procedimento di primo grado successivi alla notifica
della citazione introduttiva, deve, con separata ordinanza, di
sporre per l'ulteriore trattazione della causa dinanzi a sé, in ap
plicazione del principio dell'assorbimento delle nullità in motivi di gravame e senza alcuna possibilità di rinvio della causa al
primo giudice, attesa la tassatività e la non estensibilità, per
analogia, dei casi in cui il giudice deve limitarsi a dichiarare la nullità della sentenza di primo grado e a rimettere le parti da vanti al primo giudice.
L'ipotesi esaminata dalle sezioni unite di questa corte era si
curamente diversa da quella di specie. Va premesso, innanzitutto, che essa concerneva il rito ordina
rio, all'epoca nettamente distinto da quello del lavoro, e che si
riferiva, inoltre, alla diversa ipotesi della nullità del giudizio di
primo grado, irritualmente proseguito, nonostante la costituzio
ne tardiva dell'attore e la contumacia del convenuto: sicché non
può essere assunta a canone generale capace di risolvere anche
il caso di specie. Non può, tuttavia, essere utilizzata nell'ipotesi presente nep
pure la generale affermazione — pure contenuta nella citata
sentenza n. 10389 del 1995 — circa l'assenza, nel nostro ordi
namento, di una garanzia costituzionale del principio di doppio grado di giurisdizione, nonché il carattere eccezionale del potere del giudice d'appello di rimettere la causa al primo giudice, stante la tassatività delle ipotesi contemplate dall'art. 354 c.p.c.
Come questa corte ha avuto già occasione di osservare (Cass. n. 11151 del 1998, cit.), ammettere la prosecuzione del giudizio nel grado d'appello, senza che in primo grado siano state poste in essere le condizioni minimali che la legge stessa ritiene indi
spensabili per consentire un effettivo esercizio del diritto di di
fesa, in danno di una delle parti in primo grado, sarebbe lesivo
non tanto del principio generale di carattere costituzionale del
doppio grado di giurisdizione — estraneo alla ratio dell'art. 354
c.p.c. e neppure garantito in modo inderogabile nel nostro ordi
namento né specificatamente nel sistema processuale, in rap
porto ad ogni singola fase del processo: Cass. 9 luglio 1987, n.
5976. id., Rep. 1987, voce Appello civile, n. 124; 19 marzo
1992, n. 3426. id., Rep. 1992, voce cit., n. 70; 26 febbraio 1994, n. 1965, id., Rep. 1994, voce cit., n. 4; 11 aprile 1995, n. 4162, id., Rep. 1995, voce cit., n. 102 — ma piuttosto del fondamen
tale principio di parità tra le parti nel processo e di garanzia del
contraddittorio.
Una tale prosecuzione comporterebbe, tra l'altro, una grave distorsione nell'equilibrio e nella struttura stessa del processo
Il Foro Italiano — 2001.
del lavoro, caratterizzato da rigide sequenze di atti affidati a
precisi oneri di parte, la cui violazione si traduce nell'espropria zione di mezzi, tra cui, ad esempio, quello concernente la pro
posizione della domanda riconvenzionale, esperibili soltanto in
primo grado. E opportuno anche precisare, da ultimo, che nessun argo
mento può trarsi dalla nuova disciplina della nullità della cita
zione, dettata dalla 1. n. 353 del 1990, che — come noto — mo
dificando l'art. 164 c.p.c. ha previsto la sanatoria di tale nullità, con effetti ex lune in relazione a gran parte dei vizi dell'atto in
troduttivo, per effetto della costituzione del convenuto o di rin
novazione disposta dal giudice, similmente a quanto previsto
per la nullità della notificazione.
La presente controversia oltre a riguardare — come già av
vertito — una situazione processuale diversa da quella ora indi
cata, risale, comunque, almeno nelle sue prime battute, ad epoca anteriore a detta innovazione legislativa.
La sentenza impugnata, la quale si è erroneamente limitata a
dichiarare la nullità della decisione pretorile per nullità dell'atto
introduttivo del giudizio, pur in presenza di una nullità del giu dizio di primo grado per la quale le parti avrebbero dovuto esse
re rimesse al primo giudice, va, dunque, cassata in parte qua e,
per l'effetto, in applicazione degli art. 383 e 384 c.p.c., la causa
deve essere rinviata a quest'ultimo, che, in applicazione dei so
pra enunciati principi di diritto, conoscerà del ricorso stesso,
provvedendo a ripristinare le condizioni per un valido contrad
dittorio tra le parti. Il diritto di difesa del convenuto sarà assicurato per effetto
della corretta osservanza della formalità di introduzione del giu dizio in riassunzione davanti al detto giudice.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 29 no
vembre 2000, n. 15302; Pres. Senofonte, Est. Celentano, P.M. Golia (conci, conf.); Banca popolare di Lanciano e
Sulmona (Avv. Libonati) c. Ranalli. Cassa App. L'Aquila 24
agosto 1998.
Cooperativa e cooperazione — Società cooperativa — Am
ministratori — Nomina — Uso di schede prestampate —
Legittimità — Condizioni (Cod. civ., art. 2368, 2516).
Per l'elezione e la nomina dei componenti del consiglio di am
ministrazione di una società cooperativa, è legittimo avvaler
si, in sede di votazione, di schede prestampate contenenti i nomi dei candidati proposti dal consiglio uscente a condizio ne che tale modalità di votazione non comporti lesione delle
prerogative dell'assemblea circa le modalità della votazione e che non risulti menomato l'esercizio dei diritto di voto dei
singoli soci; detta menomazione non si verifica se ai soci sia
espressamente attribuita, anche verbalmente, dal presidente dell'assemblea (ove una specifica disposizione statutaria non
richieda forme diverse, e purché l'attribuzione stessa risulti dal verbale) la facoltà di cancellare dalla scheda di voto i
nominativi proposti per sostituirli con altri di proprio gradi mento. (1)
(1) La Suprema corte torna a pronunciarsi sulla legittimità della no mina degli amministratori mediante l'uso di schede nelle quali siano
prestampati i nomi dei candidati proposti dal consiglio di amministra zione. Mentre Cass. 19 ottobre 1990, n. 10171, Foro it., 1991, I, 2154, con nota di richiami, anch'essa con riferimento ad una società coopera tiva, ne ha affermato la legittimità «se è salvaguardata, mediante espli
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Svolgimento del processo. — Ranalli Lorenzo, socio della
Banca popolare agricola di Sulmona, convenne in giudizio que st'ultima nell'impugnazione per nullità della deliberazione
adottata dall'assemblea straordinaria della società il 23 settem
bre 1990 nella parte relativa alla nomina di cinque componenti del consiglio di amministrazione della Banca popolare di Lan
ciano e Sulmona, risultante dalla fusione, contestualmente
deliberata, della banca convenuta con la Banca popolare di Lan
ciano soc. coop, a r.l.
A motivo dell'impugnazione di nullità l'attore dedusse che le
operazioni di voto per la nomina dei nuovi componenti il consi
glio di amministrazione erano avvenute con l'utilizzazione di
schede prestampate contenenti nominativi proposti dal commis
cito richiamo nel testo della scheda, la facoltà di ogni socio di cancella re i nominativi prestampati e sostituirli con altri di proprio gradimento» (nello stesso senso, v. anche Cass. 11 luglio 1995, n. 7576, id., Rep. 1995, voce Minore civile, n. 16, tuttavia non massimata in parte qua), la decisione in rassegna (edita anche in Società, 2001, 300, con nota di
Lolli) amplia ulteriormente lo spazio applicativo dello stesso principio,
giudicando illesa la sovranità assembleare (che si specifica, appunto, nella suddetta possibilità di sostituzione) anche nel caso in cui l'avviso
circa la «pienezza» del potere di voto pur non risulti dalla scheda (come richiesto, invece, da Cass. 19 ottobre 1990, n. 10171, cit., e 11 luglio 1995, n. 7576, cit.) ma da diversi e comunque idonei mezzi informativi
(quale, come avvenuto nel caso di specie, il chiarimento orale reso dal
presidente nell'esercizio del potere ordinatorio di svolgimento dell'as
semblea). La legittimità dell'uso di schede prestampate per la nomina degli
amministratori è stata medio tempore ribadita in giurisprudenza anche
da Trib. Sulmona 14 maggio 1994 (resa nel primo grado della contro
versia decisa dalla sentenza in epigrafe), Foro it., Rep. 1995, voce So
cietà, n. 665, e Riv. dir. comm., 1994, II, 395, secondo cui «l'uso di
schede prestampate per la nomina degli amministratori non incide sulla
facoltà di scelta e di voto dei soci, atteso che la designazione dei consi
glieri costituisce precisa ed irrinunziabile attribuzione dell'assemblea e,
quindi, dei soci»; App. Torino 15 ottobre 1992, Foro it., Rep. 1993, voce Cooperativa, n. 60, e Giur. it., 1993, I, 2, 795, con nota di Tassi
nari; Trib. Pesaro 29 giugno 1992, Foro it., Rep. 1993, voce cit., n. 61, e Giur. it., 1993, I, 2, 445; App. Bologna 4 aprile 1992, Foro it., Rep. 1993, voce Società, n. 569, e Giur. comm., 1993, II, 621.
La legittimità del procedimento in esame raccoglie consensi anche in
dottrina: in tal senso, più di recente, cfr. Caselli, Vicende del rapporto di amministrazione, in Trattato delle società per azioni diretto da Co
lombo e Portale, Torino, 1999, voi. 4, 26; Sacchi, L'intervento e il
voto nell'assemblea della s.p.a., Torino, 1990, 87 ss.
Sull'inderogabilità della competenza assembleare stabilita dall'art.
2383 c.c. circa la nomina degli amministratori, in giurisprudenza, v.
Cass. 14 dicembre 1995, n. 12820, Foro it.. Rep. 1996, voce cit., n.
632; 17 aprile 1990, n. 3181, id., 1991,1, 1533; per la giurisprudenza di
merito, v. App. Milano 20 aprile 1993, id.. Rep. 1993, voce cit., n. 575, e Società, 1993, 1225, secondo cui «la competenza dell'assemblea per la nomina degli amministratori è di ordine pubblico (perché posta a tu
tela di interessi generali della collettività) e quindi inderogabile, mentre
l'atto costitutivo può stabilire, per la nomina alle cariche sociali, delle
'norme particolari'; di conseguenza, il disposto del 3° comma dell'art.
2386 c.c. è derogabile da parte dell'assemblea, concernendo lo stesso il
funzionamento degli organi direttivi della società dopo la cessazione (e la sostituzione) di alcuni amministratori».
Sullo stesso tema, nonché sulle possibili «norme particolari» che
l'atto costitutivo può stabilire per la nomina alle cariche sociali ai sensi
dell'art. 2368, 1° comma, c.c., in dottrina, ex multis, cfr. Silvetti, in
Cavalli-Marulli-Silvetti, Le società per azioni, Torino, 1996, II, 377
ss.; Galgano, Le società per azioni, in Trattato di diritto commerciale
e di diritto pubblico dell'economia, Padova, 1988, VII, 265; Di Saba
to, Manuale delle società, Torino, 1996, 482, nota 17; Campobasso, Diritto commerciale. II. Diritto delle società, Torino, 1999, 348; Ferri,
Le società per azioni, Torino, 1985, 634 ss., spec. 636, ove osserva che
è «da escludere, al di fuori delle ipotesi previste negli art. 2458 e 2459
c.c., la validità di una clausola la quale attribuisca ad estranei il potere di nomina degli amministratori. Questa clausola infatti trova un osta
colo insuperabile nella norma dell'art. 2383 c.c., la quale riserva tale
potere all'assemblea e nei limiti posti all'ammissibilità di una deroga statutaria dall'art. 2368 c.c.».
Nelle società cooperative, infine, l'applicabilità della disciplina det
tata per le società di capitali circa la nomina di amministratori e sindaci
riposa sul rinvio operato in limine dall'art. 2516 c.c., non derogato in
parte qua dall'art. 2535 c.c.: in relazione a questo telaio normativo,
criticamente, v. Bassi, Delle imprese cooperative e delle mutue assicu
ratrici, Milano, 1988, 731 ss.; per ulteriori riferimenti, v. Di Sabato,
Manuale delle società, Torino, 1996, 802 ss.; Ceccherini, Le società
cooperative, in Trattato di diritto privato diretto da Bessone, Torino,
1999, 248 ss.
Il Foro Italiano — 2001.
sario straordinario, che nell'occasione aveva svolto le funzioni
di presidente dell'assemblea.
In contraddittorio della convenuta e della banca risultante
dalla fusione, il Tribunale di Sulmona, con sentenza in data 14
maggio 1994 (Foro it., Rep. 1995, voce Società, n. 665), rigettò
l'impugnazione. La corte de L'Aquila, con sentenza emessa il 24 agosto 1998
(id., Rep. 1999, voce Cooperativa, n. 65), riformando su grava me dell'attore la pronuncia del primo giudice, annullò la delibe
razione.
La motivazione della sentenza spiega che nel caso di specie era rimasta pregiudicata la libertà di voto atteso che, per il si
stema di votazione adottato, nessuna facoltà i singoli soci parte
cipanti all'assemblea avevano avuto di cancellare dalla scheda i
nominativi proposti e di sostituirli con altri di proprio gradi
mento, essendo questa l'unica condizione alla quale il suddetto
sistema di votazione avrebbe potuto ritenersi legittimo, mentre
agli stessi soci era stata concessa, dal presidente dell'assemblea
e verbalmente, soltanto la facoltà di «eventualmente integrare la
lista predisposta». Per di più, continua la motivazione della sentenza, né le mo
dalità di voto erano state deliberate dall'assemblea, né le schede
prestampate contenevano un esplicito richiamo testuale alla fa
coltà di ogni socio di votare nominativi diversi, attraverso la
cancellazione di quelli che vi figuravano iscritti e la sostituzione
degli stessi con altri.
Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la Banca
popolare di Lanciano e Sulmona.
L'intimato Ranalli non si è costituito.
Motivi della decisione. — Il ricorso è articolato in due motivi.
Il primo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione
degli art. 2368, 1° comma, e 2516 c.c. nonché la contradditto
rietà della motivazione su un punto decisivo.
La censura si compendia nell'addebito alla corte di merito di
aver interpretato in maniera «erroneamente restrittiva» le condi
zioni alle quali il voto per schede prestampate sarebbe apparso
legittimo. In tal senso, appunto erroneamente restrittiva, era da
intendere, secondo la ricorrente, la condizione che la facoltà di
designazione di nomi diversi da quelli preventivamente indicati
nella scheda dovesse trovarsi richiamata nel testo della scheda
stessa, laddove il mezzo per assicurare la libertà di designazione fuori rosa era da ritenersi indifferente purché idoneo allo scopo
(utile ad informare). E nel caso di specie, vi era stata una tem
pestiva e puntuale comunicazione del presidente all'assemblea.
Il secondo motivo denuncia ancora il vizio di contradditto
rietà di motivazione su un punto decisivo.
Circa l'approvazione del metodo di voto per schede prestam
pate, i giudici dell'appello sarebbero appunto caduti in contrad
dizione, per avere da un lato dato atto che la proposta di un so
cio di votare con schede segrete il punto dell'ordine del giorno
riguardante la nomina dei componenti il consiglio di ammini
strazione sarebbe stata accolta dall'assemblea «per alzata di
mano», e dall'altro posto in rilievo che il metodo per schede
prestampate era stato imposto d'autorità dal presidente dell'as
semblea. Facendo leva su tale denunciata contraddittorietà la ri
corrente prospetta che la sentenza non abbia reso alcuna deci
sione in ordine alla legittimità dell'adozione dell'indicato meto
do di votazione.
Fondato è il primo motivo già nella censura che attiene al
l'individuazione delle condizioni in presenza delle quali possa ritenersi che l'esercizio del diritto di voto per l'elezione delle
cariche sociali sia stato in concreto assicurato ai soci nel rispetto delle imprescindibili situazioni d'incoercibilità e libertà.
Non è in discussione il metodo di votazione per schede pre
stampate, che gli stessi giudici dell'appello hanno ritenuto ap
provato dall'assemblea ed altresì, richiamandosi alle sentenze di
questa corte n. 10171 del 1990 {id., 1991,1, 2154) e n. 7576 del 1995 (id., Rep. 1995, voce Minore civile, n. 16), legittimamente utilizzato nel caso di specie, ma si controverte intorno alle mo
dalità concrete di esercizio del diritto di voto nell'assemblea del
23 settembre 1990, sotto il profilo appunto della garanzia di li
bertà di scelta e di nomina degli amministratori.
Un errore di diritto della corte di merito, giustamente censu
rato dalla ricorrente come frutto di «rigidità interpretativa», è
ravvisabile in ciò che il suddetto metodo di votazione è stato ri
tenuto legittimo alla sola condizione che la facoltà di ogni socio
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2923 PARTE PRIMA 2924
di cancellare i nominativi prestampati nella scheda e di sosti
tuirli con altri di proprio gradimento fosse rimasta salvaguardata «mediante l'esplicito richiamo della facoltà stessa nel testo della
scheda».
Non un referente normativo, che del resto non è rinvenibile
nella disciplina codicistica oltre la norma dell'art. 2368, 1°
comma, che genericamente rimette all'autonomia dei privati, nel momento della costituzione della società, di stabilire norme
particolari per la nomina delle cariche sociali; non una norma
statutaria, che la sentenza non ha individuato né indicato oltre
quella dell'art. 24 che altrettanto genericamente, secondo il ri
lievo della corte di merito, rimetteva all'assemblea di «derogare alle norme dettate per la nomina delle cariche sociali»; né un
consolidato principio di diritto giurisprudenziale, infine, ha in
dotto i giudici dell'appello a ritenere che detta facoltà debba es
sere assicurata non altrimenti (tassativamente, dunque) che at
traverso le indicate modalità, bensì soltanto un'erronea lettura
della sentenza n. 10171 del 1990 nella parte in cui il richiamo
delle particolarità del caso di specie — che erano quelle, ap
punto, del voto con schede prestampate sulle quali era fatta
menzione della suddetta facoltà (di «cancellare e sostituire») —
è apparso poi agli stessi giudici nel senso che le particolarità medesime concorressero alla formulazione del principio di di
ritto, come integrative, appunto, del principio stesso.
Non a caso la massima ufficiale tratta dalla sentenza — che la
corte di merito ha ritenuto come non appagante e foriera di
«equivoci» — ha giustamente espunto dal principio di diritto
ogni riferimento alla tassatività dell'indicazione nella stessa
scheda prestampata della facoltà di «cancellare, sostituire ...» e
ha formulato il punto di diritto nel senso che il metodo di vota
zione per schede prestampate è legittimo «purché ai soci sia
espressamente attribuita la facoltà di cancellare dalla scheda i
nominativi proposti e di sostituirli con altri di loro gradimento». Deve allora riconoscersi che, quando una specifica norma
statutaria non disponga nel senso della necessaria adozione di
forme più rigorose, la suddetta facoltà di «cancellare e sostitui
re» possa essere assicurata ai votanti in forme libere purché ef
ficaci e alla condizione che il verbale dell'assemblea consenta
di ricavarne l'effettività.
Indubbio sostegno a tale affermazione viene dalla ricognizio ne dei poteri ordinatori del presidente dell'assemblea in relazio
ne allo svolgimento della stessa, comunemente individuati come
poteri «di regolare la discussione, di stabilire il sistema di vota
zione, di verificare le condizioni per l'esercizio del diritto di
voto da parte di ciascun partecipante, di proclamare i risultati
della votazione ...». E per il caso di specie, la sentenza ha ac
certato, sulla scorta del verbale di assemblea, che «il presidente aveva accolto la proposta di un'eventuale integrazione, da parte dell'assemblea, dei nominativi designati a consiglieri», e anco
ra, che lo stesso presidente aveva ancora chiarito «che l'integra zione dei nominativi delle persone designate a consiglieri non
comporta(va) la modifica del metodo di già autorizzato» (ossia della votazione segreta per schede prestampate approvata dal
l'assemblea).
Quanto all'affermazione che tali modalità — l'assicurazione data verbalmente dal presidente
— erano state tali da non assi curare effettivamente ai soci la libertà di designazione e di voto alle cariche sociali in quanto diverse (testualmente «agli antipo di») dall'«espressa attribuzione, mediante esplicito richiamo nel testo della scheda, della facoltà di cancellare i nominativi pro posti e di sostituirli con altri di loro gradimento», la sentenza è
dunque, per le ragioni dianzi spiegate, erronea in diritto.
Ma la censura proposta risulta fondata anche sotto altro pro filo in quella parte in cui ha escluso che la facoltà, riconosciuta ai soci e dichiarata dal presidente nel corso dell'assemblea e
prima della votazione, di «eventualmente integrare i nominativi delle persone designate a consiglieri» fosse cosa diversa — tale da non garantire la piena libertà di scelta e di voto — dalla «fa
coltà di respingere le candidature proposte e di sostituire altri nominativi a quelli indicati» sulla scheda.
Tale interpretazione della formula adottata dal presidente del l'assemblea appare infatti egualmente restrittiva.
La corte di merito ha posto invero l'accento sul solo aspetto letterale dell'espressione, ed è così rimasta esclusa a priori la valutazione della formula stessa («eventualmente integrare i nominativi delle persone designate a consiglieri») nel suo possi bile significato di garanzia della libertà di designazione e nella
Il Foro Italiano — 2001.
possibilità della sua sostanziale equivalenza con l'altra di «re
spingere, cancellare, sostituire».
In definitiva, la ritenuta contrarietà alla legge della delibera
zione impugnata dal socio Ranalli e l'annullamento della stessa
risultano conseguenti tanto ad un errore di diritto nell'indivi
duazione delle condizioni alle quali può ritenersi legittimo il
metodo di votazione con l'uso di schede prestampate, tanto di
un'insufficiente, e per tale ragione erronea, interpretazione del
verbale dell'assemblea in relazione alla garanzia della libertà di
designazione e di nomina degli amministratori.
La sentenza va dunque cassata per tali ragioni, restando con
seguentemente assorbito il secondo motivo di ricorso.
Sotto il primo dei suddetti profili, il giudice del rinvio, che si
designa nella Corte d'appello di Roma, si atterrà al seguente
principio di diritto: «Per l'elezione e la nomina dei componenti del consiglio di amministrazione di una società cooperativa, è
legittimo avvalersi, nella votazione, di schede nelle quali figuri no prestampati i nomi dei candidati proposti dal consiglio di
amministrazione uscente, ove tale modalità di votazione non
implichi lesione delle prerogative dell'assemblea circa le moda
lità della votazione e non ne risulti menomato l'esercizio del di
ritto di voto dei singoli soci. Tale menomazione non si verifica
allorquando ai soci sia espressamente attribuita, anche verbal
mente dal presidente dell'assemblea, se una specifica disposi zione statutaria non richieda forme diverse e purché l'attribu
zione stessa risulti dal verbale, la facoltà di cancellare dalla
scheda i nominativi proposti e di sostituirli con altri di proprio
gradimento». Per l'altro profilo, lo stesso giudice completerà l'indagine e
l'interpretazione del verbale nel senso suindicato.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 27 ottobre 2000, n. 14172; Pres. Favara, Est. M. Finocchiaro, P.M. Palmieri (conci, diff.); Soc. E.t. -
Enterprise technolo
gies (Avv. Vaccarella) c. Soc. A.s.g. - Advanced software
group (Avv. Fazio). Conferma App. Roma 10 febbraio 1997.
Contratto in genere, atto e negozio giuridico — Clausola pe nale — Riduzione ad equità — Domanda di parte — Ne cessità (Cod. civ., art. 1384).
II potere di riduzione ad equità della penale può essere eserci tato dal giudice solo a seguito di domanda della parte. (1)
(1) Con la pronuncia in epigrafe — da cui, a quanto consta, non è stata estratta alcuna massima ufficiale — la Suprema corte, a distanza di un anno, sconfessa dichiaratamente, in nome dell'autonomia con trattuale e del carattere dispositivo dell'ordinamento processuale, la svolta operata da una pronuncia della prima sezione civile — presa, in
vece, in considerazione dall'ufficio massimario —, che aveva conferito al giudice il potere di ridurre ex officio la penale, indipendentemente da un atto d'iniziativa del debitore (in tal senso, v. Cass. 24 settembre 1999, n. 10511, Foro it., 2000, I, 1929, con nota di A. Palmieri, La ri ducibilità «ex officio» della penale e il mistero delle «liquidated dama
ges clauses»; su tale pronuncia, v. altresì M. Fancelli, Sulla riducibi lità d'ufficio della penale manifestamente eccessiva, in Corriere giur.. 2000. 68: G. Bonilini, Sulla legittimazione attiva alla riduzione della
penale, in Contratti, 2000, 118; G. Gioia, Riducibilità,«ex officio», della penale eccessiva, in Giur. it., 2000, 1155; U. Stefini, Alcuni pro blemi applicativi in materia di clausola penale, in Nuova giur. civ., 2000, I, 507; A. Riccio, È. dunque, venuta meno l'intangibilità del contratto: il caso della penale manifestamente eccessiva, in Contratto e
impr., 2000, 95; evidenzia come non manchino ragioni per preferire una risposta che vada in direzione opposta, rispetto alle conclusioni cui è approdata la sent. 10511/99, V. Roppo, Il contratto, Milano, 2001,
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