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sezione I civile; sentenza 29 novembre 2000, n. 15302; Pres. Senofonte, Est. Celentano, P.M. Golia...

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sezione I civile; sentenza 29 novembre 2000, n. 15302; Pres. Senofonte, Est. Celentano, P.M. Golia (concl. conf.); Banca popolare di Lanciano e Sulmona (Avv. Libonati) c. Ranalli. Cassa App. L'Aquila 24 agosto 1998 Source: Il Foro Italiano, Vol. 124, No. 10 (OTTOBRE 2001), pp. 2919/2920-2923/2924 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23196330 . Accessed: 24/06/2014 21:01 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.78.109.162 on Tue, 24 Jun 2014 21:01:59 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione I civile; sentenza 29 novembre 2000, n. 15302; Pres. Senofonte, Est. Celentano, P.M.Golia (concl. conf.); Banca popolare di Lanciano e Sulmona (Avv. Libonati) c. Ranalli. Cassa App.L'Aquila 24 agosto 1998Source: Il Foro Italiano, Vol. 124, No. 10 (OTTOBRE 2001), pp. 2919/2920-2923/2924Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23196330 .

Accessed: 24/06/2014 21:01

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PARTE PRIMA 2920

È vero che in questo caso non si realizza alcuna delle ipotesi tassativamente previste dall'art. 354 c.p.c., ma tale rilievo non è

sufficiente per escludere la necessità della rimessione (in questo senso, cfr. Cass. 19 aprile 1991, n. 4227, id., 1992, I, 115; 26 aprile 1993, n. 4867, cit.; 5 novembre 1998, n. 11151, id., Rep. 1998, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 363).

Certamente, la norma in esame non ha previsto ipotesi di nul

lità come quella in esame, riscontrabili soltanto nel processo contenzioso che ha inizio con il ricorso, ma essa non l'ha nep

pure esclusa esplicitamente dalla propria disciplina. Occorre, pertanto, desumere dal sistema processuale la regula

iuris in ordine ai poteri attribuiti al giudice d'appello nel caso in

cui quella nullità — come appunto è avvenuto nel caso di specie — non sia stata rilevata nel corso del giudizio di primo grado.

Non può essere applicata nel caso di specie la norma dell'ul

timo comma dell'art. 354 c.p.c., che prevede la rinnovazione in

appello degli atti, diversi da quelli enunciati nel 1° comma, dei

quali il giudice di secondo grado abbia dichiarato la nullità.

Sotto altro profilo, occorre anche sottolineare che, nel caso di

specie, analogamente a quanto si verifica nelle altre ipotesi pre viste dal 1° comma dell'art. 354 c.p.c., il processo in primo gra do è stato validamente introdotto ed è, quindi, idoneo a ripren dere il suo corso —

per un'esigenza di economia processuale che appare evidente, una volta eliminata la causa di nullità — ed

inoltre che la ratio legis che ha indotto il legislatore a prevedere la rimessione del giudizio al primo giudice sussiste integra an

che nell'ipotesi che si esamina (in questo senso, cfr. Cass. n.

4867 del 1997, cit.). Nessun elemento in contrario, sotto altro profilo, può desu

mersi dalla decisione delle sezioni unite 3 ottobre 1995, n.

10389 (id., 1996,1, 1297). In tale occasione, questa corte ha affermato il principio se

condo il quale il giudice d'appello, nel dichiarare la nullità degli atti del procedimento di primo grado successivi alla notifica

della citazione introduttiva, deve, con separata ordinanza, di

sporre per l'ulteriore trattazione della causa dinanzi a sé, in ap

plicazione del principio dell'assorbimento delle nullità in motivi di gravame e senza alcuna possibilità di rinvio della causa al

primo giudice, attesa la tassatività e la non estensibilità, per

analogia, dei casi in cui il giudice deve limitarsi a dichiarare la nullità della sentenza di primo grado e a rimettere le parti da vanti al primo giudice.

L'ipotesi esaminata dalle sezioni unite di questa corte era si

curamente diversa da quella di specie. Va premesso, innanzitutto, che essa concerneva il rito ordina

rio, all'epoca nettamente distinto da quello del lavoro, e che si

riferiva, inoltre, alla diversa ipotesi della nullità del giudizio di

primo grado, irritualmente proseguito, nonostante la costituzio

ne tardiva dell'attore e la contumacia del convenuto: sicché non

può essere assunta a canone generale capace di risolvere anche

il caso di specie. Non può, tuttavia, essere utilizzata nell'ipotesi presente nep

pure la generale affermazione — pure contenuta nella citata

sentenza n. 10389 del 1995 — circa l'assenza, nel nostro ordi

namento, di una garanzia costituzionale del principio di doppio grado di giurisdizione, nonché il carattere eccezionale del potere del giudice d'appello di rimettere la causa al primo giudice, stante la tassatività delle ipotesi contemplate dall'art. 354 c.p.c.

Come questa corte ha avuto già occasione di osservare (Cass. n. 11151 del 1998, cit.), ammettere la prosecuzione del giudizio nel grado d'appello, senza che in primo grado siano state poste in essere le condizioni minimali che la legge stessa ritiene indi

spensabili per consentire un effettivo esercizio del diritto di di

fesa, in danno di una delle parti in primo grado, sarebbe lesivo

non tanto del principio generale di carattere costituzionale del

doppio grado di giurisdizione — estraneo alla ratio dell'art. 354

c.p.c. e neppure garantito in modo inderogabile nel nostro ordi

namento né specificatamente nel sistema processuale, in rap

porto ad ogni singola fase del processo: Cass. 9 luglio 1987, n.

5976. id., Rep. 1987, voce Appello civile, n. 124; 19 marzo

1992, n. 3426. id., Rep. 1992, voce cit., n. 70; 26 febbraio 1994, n. 1965, id., Rep. 1994, voce cit., n. 4; 11 aprile 1995, n. 4162, id., Rep. 1995, voce cit., n. 102 — ma piuttosto del fondamen

tale principio di parità tra le parti nel processo e di garanzia del

contraddittorio.

Una tale prosecuzione comporterebbe, tra l'altro, una grave distorsione nell'equilibrio e nella struttura stessa del processo

Il Foro Italiano — 2001.

del lavoro, caratterizzato da rigide sequenze di atti affidati a

precisi oneri di parte, la cui violazione si traduce nell'espropria zione di mezzi, tra cui, ad esempio, quello concernente la pro

posizione della domanda riconvenzionale, esperibili soltanto in

primo grado. E opportuno anche precisare, da ultimo, che nessun argo

mento può trarsi dalla nuova disciplina della nullità della cita

zione, dettata dalla 1. n. 353 del 1990, che — come noto — mo

dificando l'art. 164 c.p.c. ha previsto la sanatoria di tale nullità, con effetti ex lune in relazione a gran parte dei vizi dell'atto in

troduttivo, per effetto della costituzione del convenuto o di rin

novazione disposta dal giudice, similmente a quanto previsto

per la nullità della notificazione.

La presente controversia oltre a riguardare — come già av

vertito — una situazione processuale diversa da quella ora indi

cata, risale, comunque, almeno nelle sue prime battute, ad epoca anteriore a detta innovazione legislativa.

La sentenza impugnata, la quale si è erroneamente limitata a

dichiarare la nullità della decisione pretorile per nullità dell'atto

introduttivo del giudizio, pur in presenza di una nullità del giu dizio di primo grado per la quale le parti avrebbero dovuto esse

re rimesse al primo giudice, va, dunque, cassata in parte qua e,

per l'effetto, in applicazione degli art. 383 e 384 c.p.c., la causa

deve essere rinviata a quest'ultimo, che, in applicazione dei so

pra enunciati principi di diritto, conoscerà del ricorso stesso,

provvedendo a ripristinare le condizioni per un valido contrad

dittorio tra le parti. Il diritto di difesa del convenuto sarà assicurato per effetto

della corretta osservanza della formalità di introduzione del giu dizio in riassunzione davanti al detto giudice.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 29 no

vembre 2000, n. 15302; Pres. Senofonte, Est. Celentano, P.M. Golia (conci, conf.); Banca popolare di Lanciano e

Sulmona (Avv. Libonati) c. Ranalli. Cassa App. L'Aquila 24

agosto 1998.

Cooperativa e cooperazione — Società cooperativa — Am

ministratori — Nomina — Uso di schede prestampate —

Legittimità — Condizioni (Cod. civ., art. 2368, 2516).

Per l'elezione e la nomina dei componenti del consiglio di am

ministrazione di una società cooperativa, è legittimo avvaler

si, in sede di votazione, di schede prestampate contenenti i nomi dei candidati proposti dal consiglio uscente a condizio ne che tale modalità di votazione non comporti lesione delle

prerogative dell'assemblea circa le modalità della votazione e che non risulti menomato l'esercizio dei diritto di voto dei

singoli soci; detta menomazione non si verifica se ai soci sia

espressamente attribuita, anche verbalmente, dal presidente dell'assemblea (ove una specifica disposizione statutaria non

richieda forme diverse, e purché l'attribuzione stessa risulti dal verbale) la facoltà di cancellare dalla scheda di voto i

nominativi proposti per sostituirli con altri di proprio gradi mento. (1)

(1) La Suprema corte torna a pronunciarsi sulla legittimità della no mina degli amministratori mediante l'uso di schede nelle quali siano

prestampati i nomi dei candidati proposti dal consiglio di amministra zione. Mentre Cass. 19 ottobre 1990, n. 10171, Foro it., 1991, I, 2154, con nota di richiami, anch'essa con riferimento ad una società coopera tiva, ne ha affermato la legittimità «se è salvaguardata, mediante espli

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Svolgimento del processo. — Ranalli Lorenzo, socio della

Banca popolare agricola di Sulmona, convenne in giudizio que st'ultima nell'impugnazione per nullità della deliberazione

adottata dall'assemblea straordinaria della società il 23 settem

bre 1990 nella parte relativa alla nomina di cinque componenti del consiglio di amministrazione della Banca popolare di Lan

ciano e Sulmona, risultante dalla fusione, contestualmente

deliberata, della banca convenuta con la Banca popolare di Lan

ciano soc. coop, a r.l.

A motivo dell'impugnazione di nullità l'attore dedusse che le

operazioni di voto per la nomina dei nuovi componenti il consi

glio di amministrazione erano avvenute con l'utilizzazione di

schede prestampate contenenti nominativi proposti dal commis

cito richiamo nel testo della scheda, la facoltà di ogni socio di cancella re i nominativi prestampati e sostituirli con altri di proprio gradimento» (nello stesso senso, v. anche Cass. 11 luglio 1995, n. 7576, id., Rep. 1995, voce Minore civile, n. 16, tuttavia non massimata in parte qua), la decisione in rassegna (edita anche in Società, 2001, 300, con nota di

Lolli) amplia ulteriormente lo spazio applicativo dello stesso principio,

giudicando illesa la sovranità assembleare (che si specifica, appunto, nella suddetta possibilità di sostituzione) anche nel caso in cui l'avviso

circa la «pienezza» del potere di voto pur non risulti dalla scheda (come richiesto, invece, da Cass. 19 ottobre 1990, n. 10171, cit., e 11 luglio 1995, n. 7576, cit.) ma da diversi e comunque idonei mezzi informativi

(quale, come avvenuto nel caso di specie, il chiarimento orale reso dal

presidente nell'esercizio del potere ordinatorio di svolgimento dell'as

semblea). La legittimità dell'uso di schede prestampate per la nomina degli

amministratori è stata medio tempore ribadita in giurisprudenza anche

da Trib. Sulmona 14 maggio 1994 (resa nel primo grado della contro

versia decisa dalla sentenza in epigrafe), Foro it., Rep. 1995, voce So

cietà, n. 665, e Riv. dir. comm., 1994, II, 395, secondo cui «l'uso di

schede prestampate per la nomina degli amministratori non incide sulla

facoltà di scelta e di voto dei soci, atteso che la designazione dei consi

glieri costituisce precisa ed irrinunziabile attribuzione dell'assemblea e,

quindi, dei soci»; App. Torino 15 ottobre 1992, Foro it., Rep. 1993, voce Cooperativa, n. 60, e Giur. it., 1993, I, 2, 795, con nota di Tassi

nari; Trib. Pesaro 29 giugno 1992, Foro it., Rep. 1993, voce cit., n. 61, e Giur. it., 1993, I, 2, 445; App. Bologna 4 aprile 1992, Foro it., Rep. 1993, voce Società, n. 569, e Giur. comm., 1993, II, 621.

La legittimità del procedimento in esame raccoglie consensi anche in

dottrina: in tal senso, più di recente, cfr. Caselli, Vicende del rapporto di amministrazione, in Trattato delle società per azioni diretto da Co

lombo e Portale, Torino, 1999, voi. 4, 26; Sacchi, L'intervento e il

voto nell'assemblea della s.p.a., Torino, 1990, 87 ss.

Sull'inderogabilità della competenza assembleare stabilita dall'art.

2383 c.c. circa la nomina degli amministratori, in giurisprudenza, v.

Cass. 14 dicembre 1995, n. 12820, Foro it.. Rep. 1996, voce cit., n.

632; 17 aprile 1990, n. 3181, id., 1991,1, 1533; per la giurisprudenza di

merito, v. App. Milano 20 aprile 1993, id.. Rep. 1993, voce cit., n. 575, e Società, 1993, 1225, secondo cui «la competenza dell'assemblea per la nomina degli amministratori è di ordine pubblico (perché posta a tu

tela di interessi generali della collettività) e quindi inderogabile, mentre

l'atto costitutivo può stabilire, per la nomina alle cariche sociali, delle

'norme particolari'; di conseguenza, il disposto del 3° comma dell'art.

2386 c.c. è derogabile da parte dell'assemblea, concernendo lo stesso il

funzionamento degli organi direttivi della società dopo la cessazione (e la sostituzione) di alcuni amministratori».

Sullo stesso tema, nonché sulle possibili «norme particolari» che

l'atto costitutivo può stabilire per la nomina alle cariche sociali ai sensi

dell'art. 2368, 1° comma, c.c., in dottrina, ex multis, cfr. Silvetti, in

Cavalli-Marulli-Silvetti, Le società per azioni, Torino, 1996, II, 377

ss.; Galgano, Le società per azioni, in Trattato di diritto commerciale

e di diritto pubblico dell'economia, Padova, 1988, VII, 265; Di Saba

to, Manuale delle società, Torino, 1996, 482, nota 17; Campobasso, Diritto commerciale. II. Diritto delle società, Torino, 1999, 348; Ferri,

Le società per azioni, Torino, 1985, 634 ss., spec. 636, ove osserva che

è «da escludere, al di fuori delle ipotesi previste negli art. 2458 e 2459

c.c., la validità di una clausola la quale attribuisca ad estranei il potere di nomina degli amministratori. Questa clausola infatti trova un osta

colo insuperabile nella norma dell'art. 2383 c.c., la quale riserva tale

potere all'assemblea e nei limiti posti all'ammissibilità di una deroga statutaria dall'art. 2368 c.c.».

Nelle società cooperative, infine, l'applicabilità della disciplina det

tata per le società di capitali circa la nomina di amministratori e sindaci

riposa sul rinvio operato in limine dall'art. 2516 c.c., non derogato in

parte qua dall'art. 2535 c.c.: in relazione a questo telaio normativo,

criticamente, v. Bassi, Delle imprese cooperative e delle mutue assicu

ratrici, Milano, 1988, 731 ss.; per ulteriori riferimenti, v. Di Sabato,

Manuale delle società, Torino, 1996, 802 ss.; Ceccherini, Le società

cooperative, in Trattato di diritto privato diretto da Bessone, Torino,

1999, 248 ss.

Il Foro Italiano — 2001.

sario straordinario, che nell'occasione aveva svolto le funzioni

di presidente dell'assemblea.

In contraddittorio della convenuta e della banca risultante

dalla fusione, il Tribunale di Sulmona, con sentenza in data 14

maggio 1994 (Foro it., Rep. 1995, voce Società, n. 665), rigettò

l'impugnazione. La corte de L'Aquila, con sentenza emessa il 24 agosto 1998

(id., Rep. 1999, voce Cooperativa, n. 65), riformando su grava me dell'attore la pronuncia del primo giudice, annullò la delibe

razione.

La motivazione della sentenza spiega che nel caso di specie era rimasta pregiudicata la libertà di voto atteso che, per il si

stema di votazione adottato, nessuna facoltà i singoli soci parte

cipanti all'assemblea avevano avuto di cancellare dalla scheda i

nominativi proposti e di sostituirli con altri di proprio gradi

mento, essendo questa l'unica condizione alla quale il suddetto

sistema di votazione avrebbe potuto ritenersi legittimo, mentre

agli stessi soci era stata concessa, dal presidente dell'assemblea

e verbalmente, soltanto la facoltà di «eventualmente integrare la

lista predisposta». Per di più, continua la motivazione della sentenza, né le mo

dalità di voto erano state deliberate dall'assemblea, né le schede

prestampate contenevano un esplicito richiamo testuale alla fa

coltà di ogni socio di votare nominativi diversi, attraverso la

cancellazione di quelli che vi figuravano iscritti e la sostituzione

degli stessi con altri.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la Banca

popolare di Lanciano e Sulmona.

L'intimato Ranalli non si è costituito.

Motivi della decisione. — Il ricorso è articolato in due motivi.

Il primo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione

degli art. 2368, 1° comma, e 2516 c.c. nonché la contradditto

rietà della motivazione su un punto decisivo.

La censura si compendia nell'addebito alla corte di merito di

aver interpretato in maniera «erroneamente restrittiva» le condi

zioni alle quali il voto per schede prestampate sarebbe apparso

legittimo. In tal senso, appunto erroneamente restrittiva, era da

intendere, secondo la ricorrente, la condizione che la facoltà di

designazione di nomi diversi da quelli preventivamente indicati

nella scheda dovesse trovarsi richiamata nel testo della scheda

stessa, laddove il mezzo per assicurare la libertà di designazione fuori rosa era da ritenersi indifferente purché idoneo allo scopo

(utile ad informare). E nel caso di specie, vi era stata una tem

pestiva e puntuale comunicazione del presidente all'assemblea.

Il secondo motivo denuncia ancora il vizio di contradditto

rietà di motivazione su un punto decisivo.

Circa l'approvazione del metodo di voto per schede prestam

pate, i giudici dell'appello sarebbero appunto caduti in contrad

dizione, per avere da un lato dato atto che la proposta di un so

cio di votare con schede segrete il punto dell'ordine del giorno

riguardante la nomina dei componenti il consiglio di ammini

strazione sarebbe stata accolta dall'assemblea «per alzata di

mano», e dall'altro posto in rilievo che il metodo per schede

prestampate era stato imposto d'autorità dal presidente dell'as

semblea. Facendo leva su tale denunciata contraddittorietà la ri

corrente prospetta che la sentenza non abbia reso alcuna deci

sione in ordine alla legittimità dell'adozione dell'indicato meto

do di votazione.

Fondato è il primo motivo già nella censura che attiene al

l'individuazione delle condizioni in presenza delle quali possa ritenersi che l'esercizio del diritto di voto per l'elezione delle

cariche sociali sia stato in concreto assicurato ai soci nel rispetto delle imprescindibili situazioni d'incoercibilità e libertà.

Non è in discussione il metodo di votazione per schede pre

stampate, che gli stessi giudici dell'appello hanno ritenuto ap

provato dall'assemblea ed altresì, richiamandosi alle sentenze di

questa corte n. 10171 del 1990 {id., 1991,1, 2154) e n. 7576 del 1995 (id., Rep. 1995, voce Minore civile, n. 16), legittimamente utilizzato nel caso di specie, ma si controverte intorno alle mo

dalità concrete di esercizio del diritto di voto nell'assemblea del

23 settembre 1990, sotto il profilo appunto della garanzia di li

bertà di scelta e di nomina degli amministratori.

Un errore di diritto della corte di merito, giustamente censu

rato dalla ricorrente come frutto di «rigidità interpretativa», è

ravvisabile in ciò che il suddetto metodo di votazione è stato ri

tenuto legittimo alla sola condizione che la facoltà di ogni socio

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2923 PARTE PRIMA 2924

di cancellare i nominativi prestampati nella scheda e di sosti

tuirli con altri di proprio gradimento fosse rimasta salvaguardata «mediante l'esplicito richiamo della facoltà stessa nel testo della

scheda».

Non un referente normativo, che del resto non è rinvenibile

nella disciplina codicistica oltre la norma dell'art. 2368, 1°

comma, che genericamente rimette all'autonomia dei privati, nel momento della costituzione della società, di stabilire norme

particolari per la nomina delle cariche sociali; non una norma

statutaria, che la sentenza non ha individuato né indicato oltre

quella dell'art. 24 che altrettanto genericamente, secondo il ri

lievo della corte di merito, rimetteva all'assemblea di «derogare alle norme dettate per la nomina delle cariche sociali»; né un

consolidato principio di diritto giurisprudenziale, infine, ha in

dotto i giudici dell'appello a ritenere che detta facoltà debba es

sere assicurata non altrimenti (tassativamente, dunque) che at

traverso le indicate modalità, bensì soltanto un'erronea lettura

della sentenza n. 10171 del 1990 nella parte in cui il richiamo

delle particolarità del caso di specie — che erano quelle, ap

punto, del voto con schede prestampate sulle quali era fatta

menzione della suddetta facoltà (di «cancellare e sostituire») —

è apparso poi agli stessi giudici nel senso che le particolarità medesime concorressero alla formulazione del principio di di

ritto, come integrative, appunto, del principio stesso.

Non a caso la massima ufficiale tratta dalla sentenza — che la

corte di merito ha ritenuto come non appagante e foriera di

«equivoci» — ha giustamente espunto dal principio di diritto

ogni riferimento alla tassatività dell'indicazione nella stessa

scheda prestampata della facoltà di «cancellare, sostituire ...» e

ha formulato il punto di diritto nel senso che il metodo di vota

zione per schede prestampate è legittimo «purché ai soci sia

espressamente attribuita la facoltà di cancellare dalla scheda i

nominativi proposti e di sostituirli con altri di loro gradimento». Deve allora riconoscersi che, quando una specifica norma

statutaria non disponga nel senso della necessaria adozione di

forme più rigorose, la suddetta facoltà di «cancellare e sostitui

re» possa essere assicurata ai votanti in forme libere purché ef

ficaci e alla condizione che il verbale dell'assemblea consenta

di ricavarne l'effettività.

Indubbio sostegno a tale affermazione viene dalla ricognizio ne dei poteri ordinatori del presidente dell'assemblea in relazio

ne allo svolgimento della stessa, comunemente individuati come

poteri «di regolare la discussione, di stabilire il sistema di vota

zione, di verificare le condizioni per l'esercizio del diritto di

voto da parte di ciascun partecipante, di proclamare i risultati

della votazione ...». E per il caso di specie, la sentenza ha ac

certato, sulla scorta del verbale di assemblea, che «il presidente aveva accolto la proposta di un'eventuale integrazione, da parte dell'assemblea, dei nominativi designati a consiglieri», e anco

ra, che lo stesso presidente aveva ancora chiarito «che l'integra zione dei nominativi delle persone designate a consiglieri non

comporta(va) la modifica del metodo di già autorizzato» (ossia della votazione segreta per schede prestampate approvata dal

l'assemblea).

Quanto all'affermazione che tali modalità — l'assicurazione data verbalmente dal presidente

— erano state tali da non assi curare effettivamente ai soci la libertà di designazione e di voto alle cariche sociali in quanto diverse (testualmente «agli antipo di») dall'«espressa attribuzione, mediante esplicito richiamo nel testo della scheda, della facoltà di cancellare i nominativi pro posti e di sostituirli con altri di loro gradimento», la sentenza è

dunque, per le ragioni dianzi spiegate, erronea in diritto.

Ma la censura proposta risulta fondata anche sotto altro pro filo in quella parte in cui ha escluso che la facoltà, riconosciuta ai soci e dichiarata dal presidente nel corso dell'assemblea e

prima della votazione, di «eventualmente integrare i nominativi delle persone designate a consiglieri» fosse cosa diversa — tale da non garantire la piena libertà di scelta e di voto — dalla «fa

coltà di respingere le candidature proposte e di sostituire altri nominativi a quelli indicati» sulla scheda.

Tale interpretazione della formula adottata dal presidente del l'assemblea appare infatti egualmente restrittiva.

La corte di merito ha posto invero l'accento sul solo aspetto letterale dell'espressione, ed è così rimasta esclusa a priori la valutazione della formula stessa («eventualmente integrare i nominativi delle persone designate a consiglieri») nel suo possi bile significato di garanzia della libertà di designazione e nella

Il Foro Italiano — 2001.

possibilità della sua sostanziale equivalenza con l'altra di «re

spingere, cancellare, sostituire».

In definitiva, la ritenuta contrarietà alla legge della delibera

zione impugnata dal socio Ranalli e l'annullamento della stessa

risultano conseguenti tanto ad un errore di diritto nell'indivi

duazione delle condizioni alle quali può ritenersi legittimo il

metodo di votazione con l'uso di schede prestampate, tanto di

un'insufficiente, e per tale ragione erronea, interpretazione del

verbale dell'assemblea in relazione alla garanzia della libertà di

designazione e di nomina degli amministratori.

La sentenza va dunque cassata per tali ragioni, restando con

seguentemente assorbito il secondo motivo di ricorso.

Sotto il primo dei suddetti profili, il giudice del rinvio, che si

designa nella Corte d'appello di Roma, si atterrà al seguente

principio di diritto: «Per l'elezione e la nomina dei componenti del consiglio di amministrazione di una società cooperativa, è

legittimo avvalersi, nella votazione, di schede nelle quali figuri no prestampati i nomi dei candidati proposti dal consiglio di

amministrazione uscente, ove tale modalità di votazione non

implichi lesione delle prerogative dell'assemblea circa le moda

lità della votazione e non ne risulti menomato l'esercizio del di

ritto di voto dei singoli soci. Tale menomazione non si verifica

allorquando ai soci sia espressamente attribuita, anche verbal

mente dal presidente dell'assemblea, se una specifica disposi zione statutaria non richieda forme diverse e purché l'attribu

zione stessa risulti dal verbale, la facoltà di cancellare dalla

scheda i nominativi proposti e di sostituirli con altri di proprio

gradimento». Per l'altro profilo, lo stesso giudice completerà l'indagine e

l'interpretazione del verbale nel senso suindicato.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 27 ottobre 2000, n. 14172; Pres. Favara, Est. M. Finocchiaro, P.M. Palmieri (conci, diff.); Soc. E.t. -

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gies (Avv. Vaccarella) c. Soc. A.s.g. - Advanced software

group (Avv. Fazio). Conferma App. Roma 10 febbraio 1997.

Contratto in genere, atto e negozio giuridico — Clausola pe nale — Riduzione ad equità — Domanda di parte — Ne cessità (Cod. civ., art. 1384).

II potere di riduzione ad equità della penale può essere eserci tato dal giudice solo a seguito di domanda della parte. (1)

(1) Con la pronuncia in epigrafe — da cui, a quanto consta, non è stata estratta alcuna massima ufficiale — la Suprema corte, a distanza di un anno, sconfessa dichiaratamente, in nome dell'autonomia con trattuale e del carattere dispositivo dell'ordinamento processuale, la svolta operata da una pronuncia della prima sezione civile — presa, in

vece, in considerazione dall'ufficio massimario —, che aveva conferito al giudice il potere di ridurre ex officio la penale, indipendentemente da un atto d'iniziativa del debitore (in tal senso, v. Cass. 24 settembre 1999, n. 10511, Foro it., 2000, I, 1929, con nota di A. Palmieri, La ri ducibilità «ex officio» della penale e il mistero delle «liquidated dama

ges clauses»; su tale pronuncia, v. altresì M. Fancelli, Sulla riducibi lità d'ufficio della penale manifestamente eccessiva, in Corriere giur.. 2000. 68: G. Bonilini, Sulla legittimazione attiva alla riduzione della

penale, in Contratti, 2000, 118; G. Gioia, Riducibilità,«ex officio», della penale eccessiva, in Giur. it., 2000, 1155; U. Stefini, Alcuni pro blemi applicativi in materia di clausola penale, in Nuova giur. civ., 2000, I, 507; A. Riccio, È. dunque, venuta meno l'intangibilità del contratto: il caso della penale manifestamente eccessiva, in Contratto e

impr., 2000, 95; evidenzia come non manchino ragioni per preferire una risposta che vada in direzione opposta, rispetto alle conclusioni cui è approdata la sent. 10511/99, V. Roppo, Il contratto, Milano, 2001,

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