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sezione I civile; sentenza 29 novembre 2001, n. 15197; Pres. Losavio, Est. Panebianco, P.M. Russo...

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sezione I civile; sentenza 29 novembre 2001, n. 15197; Pres. Losavio, Est. Panebianco, P.M. Russo (concl. conf.); Arditi (Avv. Piccolini, Cignitti) c. Bolonotto (Avv. Mannocchi, Scialuga) e altri. Cassa senza rinvio App. Milano 18 gennaio 2000 Source: Il Foro Italiano, Vol. 125, No. 3 (MARZO 2002), pp. 739/740-743/744 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23196904 . Accessed: 25/06/2014 07:16 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.2.32.121 on Wed, 25 Jun 2014 07:16:04 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione I civile; sentenza 29 novembre 2001, n. 15197; Pres. Losavio, Est. Panebianco, P.M.Russo (concl. conf.); Arditi (Avv. Piccolini, Cignitti) c. Bolonotto (Avv. Mannocchi, Scialuga) ealtri. Cassa senza rinvio App. Milano 18 gennaio 2000Source: Il Foro Italiano, Vol. 125, No. 3 (MARZO 2002), pp. 739/740-743/744Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23196904 .

Accessed: 25/06/2014 07:16

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739 PARTE PRIMA 740

Da quanto premesso non deriva però automaticamente che gli elementi acquisiti senza la previa autorizzazione del giudice pe nale competente siano inutilizzabili ai fini tributari, sì da viziare

l'accertamento che sugli stessi sia stato fondato.

L'inutilizzabilità delle prove acquisite in violazione di divieti

posti dalla legge, introdotta dall'art. 191 c.p.p. del 1988, non

costituisce una categoria processuale generale, operante anche

nel processo tributario.

La particolare rilevanza degli interessi coinvolti nell'esercizio

della giurisdizione penale non fa, d'altra parte, nascere sospetti d'incostituzionalità circa una mancata previsione di tale catego ria in altri processi, e in particolare in quello tributario.

Pertanto, la violazione dell'art. 63, 1° comma, d.p.r. 633/72, a

parte le conseguenze di ordine penale o disciplinare, non deter

mina l'inutilizzabilità degli elementi probatori sui quali sia stato

fondato l'accertamento tributario, rendendo invalidi gli atti del

suo esercizio o la decisione del giudice tributario.

La sentenza impugnata deve, pertanto, essere cassata, con

rinvio ad altra sezione della Commissione tributaria regionale del Lazio.

I giudici di rinvio dovranno, pertanto, uniformandosi al prin

cipio di diritto sopra enunciato in riferimento all'utilizzabilità

dei documenti e delle notizie acquisite all'indagine penale, de

cidere sulle altre questioni dedotte nel ricorso introduttivo.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 29 no

vembre 2001, n. 15197; Pres. Losavio, Est. Panebianco, P.M. Russo (conci, conf.); Arditi (Avv. Piccolini, Cignitti) c. Bolonotto (Avv. Mannocchi, Scialuga) e altri. Cassa sen za rinvio App. Milano 18 gennaio 2000.

Società — Società in accomandita semplice — Esclusione

dell'unico accomandatario — Fattispecie (Cod. civ., art.

2287, 2293, 2315).

Nella società in accomandita semplice con un unico socio ac

comandatario, l'esclusione di questi può essere soltanto deli

berata dalla maggioranza dei soci accomandanti, non es sendo proponibile la domanda di esclusione in via giudiziale a! di fuori dell'ipotesi contemplata dall'art. 2287, 3° comma, c.c. (1)

(1) Con la pronuncia in epigrafe, la Suprema corte capovolge l'esito del giudizio di appello: cfr. App. Milano 18 gennaio 2000, Foro it., 2000, I, 2970, con nota parzialmente adesiva di L. D'Ascia, cui si rin via per i precedenti nella giurisprudenza di merito, e per i riferimenti dottrinari sul tema.

Contrariamente a quanto asserito dai giudici milanesi, la Cassazione esclude che possa trovare applicazione, nel caso di specie, l'art. 2287, 3° comma, c.c., in questo modo attenendosi alla lettera della norma, che fa riferimento esclusivamente all'ipotesi in cui la società sia composta di due soli soci, tanto da rendere materialmente impossibile il formarsi di una maggioranza, e quindi l'emanazione di una delibera di esclusio ne del socio. A dire della Suprema corte, in tutti i casi in cui il numero dei soci è superiore a due, invece, si può (rectius, si deve) necessaria mente ricorrere al procedimento di esclusione per via assembleare pre conizzato dall'art. 2287, 1° comma, c.c. A tale soluzione non si porreb bero come ostacolo le ragioni di incompatibilità dedotte dalla corte milanese con gli art. 2319 e 2320 c.c. (il primo richiedendo il consenso dei soci accomandatari per la revoca di un amministratore, il secondo

ponendo un divieto di ingerenza dei soci accomandanti nell'attività di

amministrazione), o con le modalità di scioglimento volontario della società prescritte dall'art. 2272, n. 3, c.c.

La Cassazione sottolinea infatti che l'esclusione del socio accoman datario costituisce esercizio del potere di controllo riservato ai soci ac

II Foro Italiano — 2002.

Svolgimento del processo. — Con atto di citazione notificato

in data 29 ottobre 1991 Alessio Bolonotto conveniva in giudizio avanti al Tribunale di Milano la società Corvetto centro dodice

simo s.a.s. di Mariano Arditi & C. nonché i soci Mariano Arditi

(accomandatario) e Roberto Giunchiglia (accomandante), chie

dendo l'esclusione dalla società di Mariano Arditi, unico socio

accomandatario e amministratore della società, per gravi ina

dempienze, costituite in particolare da assunzioni irregolari di

dipendenti, omessa informazione ai soci sui bilanci e sulla con

tabilità sociale, mancata corresponsione degli utili risultanti dai

bilanci, omissioni presso il competente ministero in ordine al

l'espletamento delle pratiche riguardanti il rimborso delle spese sociali, delega della gestione a terzi in conflitto di interessi,

proiezioni di pellicole e cassette prive del visto di censura e del

contrassegno Siae.

Si costituivano i convenuti che eccepivano l'improponibilità della domanda in quanto, trattandosi di società composta da più soci, l'esclusione avrebbe dovuto essere deliberata a maggio ranza degli stessi ai sensi dell'art. 2287 c.c.

Con sentenza del 25 maggio 1998 (Foro it., Rep. 1998, voce

Società, n. 817) il tribunale accoglieva la domanda, disponendo l'esclusione del socio accomandatario Mariano Arditi dalla so

cietà.

L'Arditi proponeva impugnazione ed all'esito del giudizio, nel quale si costituiva il Bolonotto mentre il socio Giunchiglia e

la società rimanevano contumaci, la Corte d'appello di Milano

con sentenza del 18 gennaio 2000 (id., 2000, I, 2970) rigettava il gravame, condannando l'Arditi al pagamento delle ulteriori

spese del grado. Relativamente alla proponibilità della domanda, dopo aver ri

cordato che nelle società in accomandita semplice il rinvio alle

disposizioni riguardanti la società in nome collettivo, ivi incluse

quelle della società semplice, è subordinato alla loro compatibi lità (art. 2315 c.c.) con la struttura particolare della prima, ca

ratterizzata dalla presenza di due categorie di soci, vale a dire

degli accomandatari — che quali illimitatamente responsabili

possono assumerne l'amministrazione — e degli accomandanti — che invece tale amministrazione non possono assumere es

sendo la loro responsabilità limitata alla quota conferita — rile

vava la corte d'appello che nell'ipotesi, come quella in esame, in cui la società ha un unico socio accomandatario, che assume

quindi di diritto la carica di amministratore, la sua esclusione ad

opera degli accomandanti comporterebbe l'impossibilità di am

ministrare la società e realizzerebbe una delle cause di sciogli mento senza il consenso del socio accomandatario e con l'attri

buzione agli accomandanti di poteri incompatibili con il divieto

generale di una loro ingerenza nell'amministrazione previsto dall'art. 2320 c.c.

Osservava poi che una diversa interpretazione si porrebbe in

contrasto con l'art. 2319 c.c., il quale prescrive che per la revo

ca della nomina degli amministratori devono concorrere le vo

lontà sia dei soci accomandanti che di quelli accomandatari, nonché con il sistema di accertamento delle cause di sciogli mento della società, che prevede, in caso di controversia, la

proposizione di un'azione in via ordinaria, con la conseguenza che la delibera di esclusione, costituendo un'ipotesi più grave rispetto alla revoca dell'amministratore per i suoi più radicali

effetti, non potrebbe essere disposta a condizioni diverse ri

spetto a quella prevista dall'art. 2319 c.c., che richiede il con senso dei soci accomandatari, e con l'ulteriore conseguenza che il procedimento di esclusione, nel caso di un unico accomanda

tario, non potrebbe che avvenire in via giudiziaria.

comandanti sull'attività del socio accomandatario, che non implica certo un'ingerenza nell'amministrazione della società. Quanto alla de dotta sovrapposizione di esclusione del socio accomandatario e revoca della facoltà di amministrare, il Supremo collegio osserva come le ra

gioni che possono spingere all'esclusione del socio non necessaria mente coincidono con quelle che integrano la giusta causa della revoca della facoltà di amministrare, e pertanto il procedimento di esclusione di cui all'art. 2287, 1° comma, c.c. non può essere assorbito in quello di revoca dell'amministratore: la revoca della facoltà di amministrare, in fatti, non determina necessariamente l'esclusione come socio. Per

quanto concerne infine lo scioglimento della società che si verrebbe a determinare con l'esclusione dell'unico socio accomandatario in virtù dell'art. 2323, 1° comma, c.c., la Cassazione evidenzia che lo sciogli mento non è automatico, essendo comunque previsto un periodo di sei mesi per la ricostituzione della categoria dei soci accomandatari.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Riteneva poi che erano emersi elementi idonei a determinare

non solo la revoca della facoltà di amministrare ma anche l'e

sclusione della qualità di socio, vale a dire a configurare sia la

giusta causa prevista per la revoca dall'art. 2259 c.c. che le gra vi inadempienze cui fa riferimento l'art. 2286 c.c., non avendo

l'Arditi, quale obbligato, fornito la prova del proprio adempi mento. Osservava infatti che gli atti a lui contestati costituisco

no, complessivamente valutati, la prova che la sua condotta,

quale socio amministratore, ha determinato un grave ostacolo al

raggiungimento dei fini sociali, incidendo negativamente sia sui

diritti del socio che sull'economia dell'impresa. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione Maria

no Arditi, deducendo due motivi di censura.

Resiste con controricorso Alessio Bolonotto.

Le altre parti (Roberto Giunchiglia e la Corvetto centro dodi

cesimo s.a.s.) non hanno svolto alcuna attività.

Motivi della decisione. — Con il primo motivo di ricorso Ma

riano Arditi denuncia violazione e falsa applicazione degli art.

2287, 2315 e 2319 c.c. in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c. So

stiene che erroneamente la corte d'appello ha negato per l'e

sclusione del socio accomandatario l'applicabilità dell'art.

2287, 3° comma, c.c. non avendo considerato: —

quanto alla tesi secondo cui il riconoscimento ai soci ac

comandanti del potere di escludere l'unico socio accomandata

rio finirebbe per attribuire a costoro un'ingerenza nell'ammini

strazione della società vietata dall'art. 2320 c.c., che l'esclusio

ne del socio non costituisce un atto di amministrazione, così

come non lo è la revoca della facoltà di amministrare, ma atto di

organizzazione, come del resto si desume dagli art. 2319 e 2315

c.c. (quest'ultimo a seguito del rinvio all'art. 2287 c.c.) che ri

chiedono rispettivamente l'approvazione degli accomandanti

per la revoca degli amministratori e della maggioranza dei soci

per l'esclusione del socio nelle società in nome collettivo e nelle

società semplici; —

quanto al peculiare regime della revoca degli amministra

tori previsto per l'accomandita semplice in cui si richiede il

consenso degli accomandatari, che esso costituisce una deroga alla disciplina generale di cui all'art. 2259 c.c., con la conse

guenza che l'ipotesi dell'esclusione del socio è disciplinata inte

ramente dagli art. 2286 e 2287 c.c.; —

quanto infine all'asserita inconciliabilità con il sistema di

accertamento delle cause di scioglimento delle società, com

portante, in caso di controversia, la competenza del tribunale in

sede contenziosa, che ciò non giustificherebbe in ogni caso l'i

napplicabilità dell'art. 2287, 1° comma, c.c. Sostiene infine che

la tesi della necessità dell'intervento del giudice ai sensi del

l'art. 2287, 3° comma, c.c. non può essere condivisa se si consi

deri che detta disposizione, presupponendo l'impossibilità di

raggiungere una maggioranza, non è configurabile nell'ipotesi di società composta da più di due soci nemmeno se il socio da

escludere sia l'unico accomandatario, che inoltre tale norma ha

carattere eccezionale, non suscettibile quindi di interpretazione

analogica, e che quindi può essere applicata al solo caso di ac

comandita composta da due soli soci.

La censura è fondata.

La corte d'appello, al fine di dimostrare, con specifico riferi

mento all'art. 2315 c.c., l'incompatibilità con la particolare struttura della società in accomandita semplice dell'art. 2287

c.c. — riguardante il procedimento per l'esclusione del socio a

seguito di gravi inadempienze espressamente previsto per le so

cietà semplici — ha prospettato una serie di considerazioni giu

ridiche che non possono essere condivise.

Essendo la società in esame composta da tre soci di cui due

accomandanti ed uno accomandatario, va in primo luogo sgom brato il campo dal problema relativo all'applicabilità del 3°

comma del richiamato art. 2287 c.c. che, riferendosi all'ipotesi in cui la società sia composta da due soli soci, prevede, per

l'impossibilità in tal caso di formare una maggioranza, la neces

sità di una domanda giudiziale, a differenza del 1° comma il

quale richiede invece, come regola generale, che l'esclusione

venga deliberata dalla maggioranza. Scendendo all'esame delle specifiche osservazioni poste a so

stegno dell'impugnata decisione, ritiene il collegio che non sus

sistono valide ragioni giuridiche per precludere ai soci acco

mandanti di partecipare alla deliberazione in ordine alla propo sta di esclusione del socio accomandatario anche quando questi

Il Foro Italiano — 2002.

sia l'unico di tale categoria ed abbia assunto necessariamente in

tale veste l'amministrazione della società.

I divieti posti dalla legge all'attività degli accomandanti (art. 2320, 1° comma, c.c.) riguardano gli atti di amministrazione, siano essi interni che esterni, e per tale motivo è prevista una re

sponsabilità limitata alla quota da loro conferita, ma non si

estendono all'attività di controllo per la quale la stessa legge (art. 2320, 3° comma, c.c.) offre gli strumenti, prevedendo il di

ritto alla comunicazione annuale del bilancio del conto dei pro fitti e delle perdite per verificarne l'esattezza nonché il diritto

alla consultazione dei libri e degli altri documenti contabili.

Sotto tale profilo la loro partecipazione, sia pure meno inten

sa rispetto a quella spettante ai soci nelle altre società di perso na, è sufficientemente ampia e non può non comprendere il di

ritto di valutare la gravità di eventuali inadempienze del socio

accomandatario e di far ricorso al procedimento per l'esclusione

del socio, il quale costituisce in definitiva la logica conseguenza dell'esercizio di un tale diritto di controllo, al pari del socio

nelle società semplici per il quale l'art. 2287 c.c. non prevede alcuna esclusione nei confronti di coloro che ai sensi dell'art.

2261 c.c., pur non partecipando all'amministrazione della so

cietà, sono ugualmente investiti di poteri di controllo.

Né ad una tale conclusione si oppone il fatto che verrebbe a

realizzarsi, nel caso di esclusione dell'unico socio accomandata

rio, una causa di scioglimento della società ai sensi dell'art.

2323 c.c. senza il consenso appunto del socio accomandatario,

prevedendo tale norma come causa di scioglimento, oltre ai casi

stabiliti dall'art. 2308 c.c., qualsiasi situazione, non necessaria

mente collegata alla partecipazione del socio accomandatario, in

cui rimangono soltanto i soci accomandanti od i soci accoman

datari.

Del resto lo scioglimento non consegue in tal caso automati

camente, essendo previsto un periodo di sei mesi nel corso del

quale, oltre alla possibilità di sostituire il socio venuto meno con

altro socio accomandatario, deve essere disposta la nomina di

un amministratore provvisorio per il compimento degli atti di

ordinaria amministrazione.

Mal posto per due ordini di ragioni è poi il richiamo all'art.

2319 c.c. che prevede per la revoca degli amministratori il con

corso della volontà di entrambe le categorie di soci e cioè il

consenso dei soci accomandatari e l'approvazione dei soci ac

comandanti che rappresentano la maggioranza del capitale da

loro sottoscritto.

In primo luogo va osservato infatti che tale norma non si ap

plica all'ipotesi di revoca per giusta causa degli amministratori,

disciplinata invece dall'art. 2259, 1° e 3° comma, c.c., ma in

quella ben diversa in cui si intenda revocare il mandato loro

conferito con atto separato dal contratto sociale.

Inoltre non può sfuggire la diversità, sotto il profilo soggetti vo ed oggettivo, dell'ipotesi di revoca dell'amministratore ri

spetto a quella di esclusione del socio, sia pure accomandatario.

Anche se l'esclusione del socio, che cumuli pure la qualifica di amministratore, può basarsi sulle stesse violazioni che inte

grano un comportamento contrario ai doveri propri dell'ammi

nistratore allorché tale comportamento mini altresì le finalità e

gli interessi della società a seguito di violazioni previste dallo

statuto (Cass. 2736/95, id., Rep. 1995, voce cit., n. 527), il rela

tivo procedimento regolato espressamente dall'art. 2287 c.c.

non può ritenersi per ciò solo assorbito dalla disciplina dettata

per la revoca dell'amministratore, trattandosi di effetti che si

producono su piani diversi.

Del resto, se è vero che l'esclusione del socio accomandatario

che sia anche amministratore comporta automaticamente la per dita della qualità di amministratore, non altrettanto può dirsi per

l'ipotesi inversa, ben potendo la revoca per gravi inadempienze dell'amministratore non determinare anche la sua esclusione

come socio qualora tali inadempienze non riguardino pure i do

veri di cooperazione cui il socio è tenuto.

Conseguentemente la previsione dell'art. 2259 c.c., che con

sente al singolo socio di chiedere giudizialmente la revoca per

giusta causa dell'amministratore, non può trovare applicazione

allorché, come nel caso in esame, ne venga chiesta l'esclusione

come socio, non potendosi prescindere dalla volontà della mag

gioranza nell'ambito del contratto sociale, salva ovviamente

l'opposizione avanti al tribunale del socio escluso ai sensi del

l'art. 2287, 2° comma, c.c. e non anche, si badi bene, del socio

eventualmente dissenziente.

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743 PARTE PRIMA 744

Né rileva ai fini in esame che nel caso di controversia fra i

soci in ordine alla sussistenza di una causa di scioglimento della

società si possa ricorrere al giudice in sede contenziosa, trattan

dosi anche qui di ipotesi diversa e comunque di un passaggio ulteriore ed eventuale, così come previsto per l'ipotesi di esclu

sione.

Deve concludersi pertanto che nessuna incompatibilità è rav

visabile fra la particolare struttura della società in accomandita

semplice e la disciplina dell'esclusione del socio prevista dal

l'art. 2287 c.c., anche se si tratti dell'unico socio accomandata

rio, essendo conciliabile tale disciplina con i poteri di controllo

di cui il socio accomandante dispone ed essendo altresì in linea

con la natura eccezionale del potere del singolo socio di rivol

gersi direttamente al giudice prima di qualsiasi delibera.

Ovviamente a ben altre conclusioni, ai fini in esame della

proponibilità della domanda, sarebbe stato possibile pervenire se fosse stata proposta domanda di revoca per giusta causa del

l'amministratore, trovando applicazione in tal caso, come già si

è avuto modo di sottolineare, l'art. 2259, 3° comma, c.c. che

non incide, anche in caso di accoglimento, sullo stato di socio.

L'accoglimento del presente motivo, con il conseguente as

sorbimento del secondo riguardante il merito della controversia,

comporta la cassazione senza rinvio dell'impugnata sentenza ai

sensi dell'art. 382, 3° comma, ultima parte, c.p.c., in quanto la

causa non poteva essere proposta, dovendo l'esclusione del so

cio essere deliberata a maggioranza dei soci in applicazione del

l'art. 2287, 1° comma, c.c.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 28 no vembre 2001, n. 15102; Pres. Cappuccio, Est. Cultrera, P.M. Pivetti (conci, conf.); Caringella (Avv. Pasquale) c.

Soc. Acciaierie e Ferriere Pugliesi (Avv. Marozzi). Cassa

App. Bari 19 maggio 2000.

Liquidazione coatta amministrativa e amministrazione straordinaria — Accertamento del passivo

— Credito di

lavoro — Ammissione officiosa — Credito per interessi —

Domanda tardiva — Ammissibilità (R.d. 16 marzo 1942 n.

267, disciplina del fallimento, art. 101, 209).

Nella procedura di liquidazione coatta amministrativa applica bile anche alla (vecchia) amministrazione straordinaria, l'ammissione al passivo de! credito in linea capitale disposta dal commissario in assenza di domanda del creditore, non

preclude allo stesso la possibilità di richiedere con l'insinua zione tardiva l'ammissione al passivo del credito per interes si. (1)

(1) Nella procedura di liquidazione coatta amministrativa, e per ef fetto di norma di rinvio anche nell'amministrazione straordinaria ora

abrogata e sostituita dalla nuova disciplina di cui al d.leg. 270/99, la formazione dello stato passivo avviene su impulso del commissario che forma l'elenco delle passività dandone avviso ai creditori perché pos sano presentare le loro osservazioni; i creditori non avvisati possono a loro volta presentare al commissario la richiesta di riconoscimento del loro credito. All'esito di queste «consultazioni» il commissario forma l'elenco dei crediti ammessi o respinti e lo deposita in cancelleria. Di versamente da quanto accade nel fallimento, nel procedimento di ac certamento dei crediti vantati nei confronti dell'impresa in liquidazione coatta amministrativa o in amministrazione straordinaria, mancano tanto la domanda del creditore (l'art. 208 1. fall, usa l'espressione «chiedere ... il riconoscimento dei propri crediti»; cfr., in dottrina, Te deschi, Manuale di diritto fallimentare, Padova, 2001, 838; Pazzaglia

II Foro Italiano — 2002.

Svolgimento de1processo. —

Caringella Antonio, con atto del

29 ottobre 1991, ha proposto domanda d'insinuazione tardiva al

passivo della procedura di amministrazione straordinaria della

Acciaierie e Ferriere Pugliesi s.p.a. del suo credito maturato in

corso di procedura, per rivalutazione ed interessi, nell'importo di lire 60.138.380, sulla somma di lire 114.005.048 corrisposta

gli dal commissario straordinario, in più rate, che si sono pro tratte dal febbraio 1984 al marzo 1986, a titolo di pagamento del

credito di lavoro ammesso al passivo della procedura conse

guente alla risoluzione del rapporto di lavoro con l'impresa,

De Sensi, L'accertamento del passivo, in Le procedure concorsuali. Procedure minori, trattato diretto da G. Ragusa Maggiore e C. Costa, Torino, 2001, II, 873; Bonsignori, Processi concorsuali minori, in Trattato di diritto commerciale e diritto pubblico dell 'economia diretto da F. Galgano, Padova, 1997, XXIII, 583; Panzani, Accertamento del

passivo, in AA.VV., Diritto fallimentare, Milano, 1996, 858; Satta, Diritto fallimentare, Padova, 1990, 513; Provinciali-Ragusa Maggio

re, Istituzioni di diritto fallimentare, Padova, 1988, 942; Pajardi, Ma nuale di diritto fallimentare, Milano, 1986, 820; Bavetta, La liquida zione coatta amministrativa, Milano, 1974, 137, 143), quanto il conse

guente provvedimento del giudice. Queste osservazioni preliminari fanno da sfondo alla valutazione per

cui gli orientamenti formatisi in giurisprudenza con riguardo al falli mento non possono essere automaticamente traslati alle procedure non

giurisdizionali. Anche in queste procedure non è in discussione la circostanza che un

creditore la cui pretesa sia stata accolta o respinta non possa proporre la domanda tardiva (nel senso che nel primo caso non è portatore di alcun interesse e nel secondo caso deve coltivare il rimedio dell'opposizio ne), quanto invece quella di vedere se il creditore mantenga la possibi lità di insinuarsi tardivamente laddove il rapporto giuridico controverso non sia stato «compiutamente esplorato» in sede precontenziosa. Come

esempi si possono proporre il caso del creditore che abbia chiesto (ed ottenuto) il riconoscimento del suo credito sotto il profilo del quantum senza dedurre nulla sul piano della collocazione, chirografaria o prela tizia del credito medesimo, ovvero il caso (affrontato nella decisione in

rassegna) del creditore che abbia chiesto (ed ottenuto) — o sia stato ammesso su impulso del commissario — il riconoscimento del credito in linea capitale senza alcun riferimento alla pretesa per interessi. In situazioni siffatte sorge il dubbio se quel creditore possa proporre la domanda tardiva al solo scopo di pretendere la collocazione privilegiata del credito o al solo scopo di richiedere l'ammissione del credito per interessi.

Il problema certo non è nuovo in quanto si è già presentato con rife rimento ai rapporti fra opposizione allo stato passivo e dichiarazione tardiva di credito nel fallimento; ebbene, mentre nel fallimento la que stione viene prevalentemente risolta nel senso dell'inammissibilità, nella liquidazione coatta amministrativa i risultati dell'interpretazione dottrinale e giurisprudenziale sono più variegati.

Nel fallimento si ritiene che la domanda tardiva debba essere diversa

per petitum e per causa petendi dalla domanda tempestiva (Cass. 24

gennaio 1997, n. 751, Foro it., Rep. 1997, voce Fallimento, n. 619; 9

aprile 1993, n. 4312, id.. Rep. 1993, voce cit., n. 466; 11 luglio 1988, n. 4563, id., Rep. 1988, voce cit., n. 484; 21 maggio 1988, n. 3535, ibid., n. 511 ; 10 gennaio 1981, n. 225, id., Rep. 1981, voce cit., n. 432), e che l'effetto preclusivo derivante dalla decisione resa sulla domanda fatta valere in sede di verifica si estende al di là del dedotto sino a ricom

prendere il deducibile. Ciò significa che proposta domanda tempestiva per il credito nascente da un determinato rapporto, non sia più possibile azionare una pretesa creditoria sul medesimo titolo già fatto valere; così

pure se nella domanda tempestiva si sono richiesti interessi sino ad una certa data non possono poi con la domanda tardiva essere richiesti inte ressi ulteriori (Trib. Monza 16 marzo 1998, id., Rep. 1999, voce cit., n. 723; Trib. Roma 28 giugno 1996, id., Rep. 1997, voce cit., n. 620; Trib. Catania 12 febbraio 1996, ibid., n. 622; Trib. Pistoia 25 giugno 1994, id., Rep. 1995, voce cit., n. 589; Trib. Foggia 25 novembre 1991, id., Rep. 1992, voce cit., n. 568; Trib. Torino 12 dicembre 1985, id., Rep. 1986, voce cit., n. 505; Trib. Venezia 10 luglio 1985, ibid., n. 506; App. Napoli 14 dicembre 1981, id.. Rep. 1983, voce cit., n. 508); più una conferma che una deroga a tale principio si ritrova in Cass. 29 gen naio 1998, n. 906, id., Rep. 1998, voce cit., n. 652, secondo la quale proposta tempestiva domanda di ammissione al passivo di un credito

privilegiato con determinazione dell'ammontare della «rivalutazione» e

degli «interessi» calcolati fino alla dichiarazione di fallimento e accol ta, dal giudice delegato, tale istanza, qualora successivamente all'origi naria istanza si accerti che per effetto di una sopravvenuta sentenza della Corte costituzionale resa inter alios sussista, anche per quel cre ditore, il diritto a conseguire gli interessi e la rivalutazione, per il pro prio credito, anche per il tempo successivo all'apertura del fallimento, correttamente un'istanza in tal senso — per conseguire cioè l'ammis sione al passivo in via privilegiata anche degli interessi e della rivaluta

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