Date post: | 30-Jan-2017 |
Category: |
Documents |
Upload: | vuongkhanh |
View: | 216 times |
Download: | 0 times |
sezione I civile; sentenza 29 ottobre 1999, n. 12176; Pres. Rocchi, Est. Forte, P.M. Ceniccola(concl. parz. diff.); Martines (Avv. Pagano) c. Comune di Villafranca Tirrena (Avv. Caruso).Cassa App. Messina 28 aprile 1997Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 11 (NOVEMBRE 1999), pp. 3153/3154-3157/3158Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23193540 .
Accessed: 25/06/2014 07:49
Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp
.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].
.
Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.
http://www.jstor.org
This content downloaded from 62.122.79.69 on Wed, 25 Jun 2014 07:49:52 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Diritto. — 1. - Le tredici ordinanze del Tribunale militare
di Padova dubitano della legittimità costituzionale dell'art. 68
c.p. mil. pace, il quale prevedendo che per i reati di mancanza
alla chiamata e di diserzione, nell'ipotesi in cui l'assenza non
sia ancora terminata, la prescrizione comincia a decorrere dal
giorno in cui per il reo cessa in modo assoluto l'obbligo milita
re, impedirebbe di configurare come istantanei i reati di assenza
dal servizio e, imponendo la loro configurazione come reati per manenti, con un periodo di consumazione che si prolunga fino
a coincidere con la durata dell'obbligo militare, darebbe luogo al fenomeno della spirale delle condanne.
In ciò, il Tribunale militare di Padova ravvisa una violazione: — degli art. 2 e 27, 3° comma, Cost., poiché la pluralità
delle condanne per un unico reato permanente, giudicato in più
riprese, derivante dalla disposizione impugnata, comporterebbe un progressivo aumento della pena e un trattamento sanziona
tone che si risolverebbe in una prova di forza tra lo Stato e
il condannato, in contrasto con la libertà di coscienza e con
la finalità rieducativa della pena; — dell'art. 27 Cost., perché la spirale fatto-giudizio-fatto fa
rebbe sì che la responsabilità dell'imputato non dipenderebbe soltanto dal suo operato, ma anche dal funzionamento dell'ap
parato giudiziario militare; — dell'art. 25, 2° comma, Cost., dal momento che la molti
plicazione dei giudicati comporterebbe un innalzamento della
pena sostanzialmente indeterminato, sino al limite del triplo del
massimo della pena edittale, in contrasto con il principio di le
galità; — dell'art. 3 Cost., in quanto, a parità di assenza dal servi
zio, il trattamento sanzionatorio complessivo verrebbe a dipen dere dal grado di efficienza dell'apparato giudiziario in relazio
ne ai vari episodi che l'interruzione giudiziale rende fra loro
autonomi.
Poiché le ordinanze pongono la medesima questione, i relati
vi giudizi vanno riuniti per essere decisi con unica sentenza.
2. - La questione è inammissibile.
È opportuno premettere che questa corte, spinta dall'esigenza di porre un limite alla possibile spirale delle condanne, nella
sentenza n. 343 del 1993 (Foro it., 1994, I, 342) ha dichiarato
la illegittimità costituzionale dell'art. 8, 3° comma, 1. n. 772
del 1972, in connessione con l'art. 148 c.p. mil. pace, nella par te in cui non prevede l'esonero dalla prestazione del servizio
militare di leva a favore di coloro che, avendo rifiutato total
mente in tempo di pace la prestazione del servizio stesso dopo aver addotto motivi diversi da quelli indicati nell'art. 1 I. n.
772 del 1972, o senza aver addotto motivo alcuno, abbiano espia to per quel comportamento la pena della reclusione in misura
complessivamente non inferiore a quella del servizio militare di
leva. La successiva sentenza n. 422 del 1993 {ibid., 341) ha poi chiarito che la pronuncia ora ricordata, resa in base agli art.
3 e 27, 3° comma, Cost., ha una portata generale «nel senso
che estende i suoi effetti a tutti i militari imputati di reati com
portanti forme di rifiuto del servizio militare che si vengano a trovare assoggettati alla 'spirale delle condanne'». È ora da
precisare che questo fenomeno non può essere ulteriormente li
mitato o addirittura espunto dall'ordinamento attraverso la sem
plice qualificazione del reato di assenza come reato istantaneo
o permanente, ovvero mediante la previsione che il termine di
prescrizione decorra, non dal venir meno dell'obbligo di leva, ma da un momento più vicino nel tempo alla condotta illecita.
L'eventualità di una ripetizione delle condanne nelle ipotesi dei reati di assenza dal servizio non è affatto una conseguenza della configurazione di questi come reati permanenti piuttosto che come reati istantanei. Al contrario: ferma restando la di
sposizione che stabilisce l'obbligo di leva sino al compimento del quarantacinquesimo anno di età, della cui legittimità il Tri
bunale militare di Padova non dubita, è evidente che alla con
danna per un episodio di assenza dal servizio, ove questa per
duri, non potrebbero non conseguire altre condanne anche nel
del reato non può dipendere da esplicita ed apodittica qualificazione del legislatore ma è affidata all'interpretazione del giudice ordinario, v. Corte cost. 17 dicembre 1987, n. 520, id., Rep. 1988, voce Edilizia e urbanistica, n. 740, commentata da Guardata, in Cass, pen., 1988, 571.
La decisione in epigrafe è commentata da Rivello, in Giur. costit.,
1998, 527, e da Santoro, in Guida al dir., 1998, fase. 14, 70.
Il Foro Italiano — 1999.
caso in cui quel delitto fosse considerato come istantaneo. Non
potrebbe infatti ragionevolmente sostenersi che, allo stato at tuale della legislazione, il compimento di un fatto di assenza dal servizio comporti il venir meno dell'obbligo di prestazione
imposto dalla legge in attuazione dell'art. 52 Cost.
Anche se nella ordinanza n. 150 del 1995 (id., Rep. 1995, voce Cosa giudicata penale, n. 4), seguendo la prospettazione del giudice a quo, questa corte aveva incluso fra le disposizioni che concorrono a definire la natura permanente dei reati di di
serzione e di mancanza alla chiamata l'art. 68 c.p. mil. pace, non può essere condiviso il presupposto dal quale procede il
ragionamento del giudice a quo: che cioè il fenomeno della spi rale delle condanne derivi dalla natura permanente di tali reati, sicché la possibilità di condanne reiterate verrebbe meno una
volta rimosso l'art. 68. Questa disposizione si limita a prevede re che, qualora l'assenza si protragga, la prescrizione per i reati
di diserzione e di mancanza alla chiamata comincia a decorrere
dal venir meno dell'obbligo militare. La richiesta di pronuncia additiva sull'art. 68 appare frutto dell'erroneo convincimento
che estinzione del reato per prescrizione e estinzione dell'obbli
go di prestare il servizio militare di leva siano fungibili; nel sen
so che, estinto il reato per prescrizione, sulla base di una diver
sa decorrenza del relativo termine, si abbia anche l'estinzione
dell'obbligo militare; la quale, invece, nella vigente legislazione,
quando non consegua ad un apposito provvedimento di dispen
sa, si determina col compimento del quarantacinquesimo anno
di età o col verificarsi dell'ipotesi prevista dall'art. 8, 3° com
ma, 1. n. 772 del 1972 per l'obiettore di coscienza.
3. - Sotto un diverso ma concorrente profilo, se fosse vero
che la spirale delle condanne deriva dalla natura permanente dei reati di assenza, la questione resterebbe inammissibile. Tale
natura non può essere modificata da una semplice qualificazio ne correttiva che astragga dalle caratteristiche delle condotte in
criminate: «la natura permanente o istantanea del reato non
può dipendere da esplicita ed apodittica qualificazione del legis
latore, ma dalla sua naturale essenza, trattandosi di un caratte
re che inerisce alla qualità della condotta così come si presenta nella realtà», sicché «la definizione del carattere permanente o
istantaneo è affidata all'interpretazione dei giudici ordinari» (sen tenza n. 520 del 1987, id., Rep. 1988, voce Edilizia e urbanisti
ca, n. 740); interpretazione, si aggiunga, che, come del resto
osservato anche nella ordinanza n. 150 del 1995, cit., deve ave
re ad oggetto le singole norme incriminatrici e la descrizione
del comportamento illecito in esse contenuta.
Per questi motivi, la Corte costituzionale, riuniti i giudizi, dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale
dell'art. 68 c.p. mil. pace, sollevata, in riferimento agli art. 2,
3, 25, 2° comma, e 27, 3° comma, Cost., dal Tribunale militare
di Padova con le ordinanze indicate in epigrafe.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 29 otto
bre 1999, n. 12176; Pres. Rocchi, Est. Forte, P.M. Cenic
cola (conci, parz. diff.); Martines (Avv. Pagano) c. Comune
di Villafranca Tirrena (Avv. Caruso). Cassa App. Messina
28 aprile 1997.
CORTE DI CASSAZIONE;
Espropriazione per pubblico interesse — Determinazione del
l'indennità — Offerta dell'espropriarne commisurata ai nuovi
criteri — Incongruità — Decurtazione del quaranta per cento — Esclusione (D.l. 11 luglio 1992 n. 333, misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica, art. 5 bis; 1. 8 agosto 1992 n. 359, conversione in legge, con modificazioni, del d.l.
11 luglio 1992 n. 333).
Qualora il giudice di merito ritenga l'offerta d'indennità espro
priativa, formulata dall'amministrazione secondo i criteri
dell'art. 5 bis /. 359/92, considerevolmente inferiore a quel
This content downloaded from 62.122.79.69 on Wed, 25 Jun 2014 07:49:52 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
3155 PARTE PRIMA 3156
la determinata giudizialmente, non deve farsi luogo alla de
curtazione del quaranta per cento. (1)
Motivi della decisione. — 1. - Il primo motivo di ricorso de
duce violazione e falsa applicazione dell'art. 5 bis 1. 8 agosto 1992 n. 359, come modificato dalla sentenza della Corte cost.
16 giugno 1993, n. 283 (Foro it., 1993, I, 2089), in rapporto all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., avendo la sentenza impugnata ritenuto che la mancata accettazione dell'indennità offerta alla
(1) Nei procedimenti in cui l'indennità di esproprio non sia divenuta
incontestabile, la giurisprudenza si va consolidando, con riguardo al diritto soggettivo di evitare la decurtazione dell'indennità del quaranta per cento configurabile a seguito di Corte cost. 16 giugno 1993, n. 283, Foro it., 1993, I, 2089, non solo nel senso della necessità di un'offerta dell'amministrazione commisurata ai nuovi criteri (Cass. 16 febbraio
1999, n. 1303, e 9 febbraio 1999, n. 1090, id., 1999, I, 1433, con nota di richiami, e successivamente Cass. 5 marzo 1999, n. 1867, id., Mass., 277; 28 aprile 1999, n. 4287, ibid., 510; 5 giugno 1999, n. 5531, ibid., 658; 1° settembre 1999, n. 9207, ibid., 982; 3 settembre 1999, n. 9289, ibid., 989; nella disciplina a regime il privato ha la facoltà di sottrarsi alla detrazione de qua soltanto attraverso lo strumento della cessione
volontaria, attuata sulla base dell'indennità già (provvisoriamente) de terminata dalla pubblica amministrazione, e non anche per effetto di una mera dichiarazione unilaterale di disponibilità a trattare, seguita, poi, dall'impugnazione giudiziale della stima comunicata medio tempo re dall'amministrazione: Cass. 1° febbraio 1999, n. 830, ibid., 126, in extenso, Giust. civ., 1999, I, 1647), ma anche nel senso che l'indennità non possa essere ridotta qualora l'offerta dell'amministrazione sia, nel la valutazione del giudice di merito, di gran lunga inferiore a quella determinata giudizialmente: si legge in Cass. 15 marzo 1999, n. 2271, Foro it., 1999, I, 1433, con nota di richiami, che il fine di impedire le opposizioni alla stima dettate da intenti speculativi o dilatori e non la tutela del cittadino di fronte a prevaricazioni degli enti pubblici espro priami, presuppone l'adeguatezza dell'indennità offerta e non accettata e porta ad escludere l'abbattimento ove l'offerta sia inadeguata; da ciò viene tratto argomento a sostegno della cessione volontaria, che, costi tuendo un contratto pubblicistico in cui il trasferimento volontario si correla in modo vincolante ai parametri di legge stabiliti per l'indennità dovuta per l'ablazione (Cass. 16 marzo 1994, n. 2513, id., Rep. 1994, voce Espropriazione per p.i., n. 162), tanto che anche nel calcolo del
corrispettivo della cessione trova applicazione l'art. 5 bis sopravvenuto in corso di causa (Cass. 12 luglio 1994, n. 6554, id., Rep. 1995, voce cit., n. 177; 1° settembre 1994, n. 7606, ibid., n. 176) ed è sufficiente una cessione salvo conguaglio per escludere la riduzione, sembra logico concludere che è solo l'opposizione alla giusta indennità che rende ap plicabile la riduzione. Si è affermato ancora che l'esercizio, da parte dell'espropriato, del diritto di accettare l'indennità di esproprio con esclu sione della riduzione del quaranta per cento, presuppone l'obbligo per l'espropriante di determinare l'indennità, ai sensi dell'art. 5 bis 1. 359/92, in misura congrua e non tanto distante dal valore reale del bene da elidere sostanzialmente la scelta del privato tra accettazione dell'inden nità offerta in misura minore ma esente da decurtazione e rischio della liquidazione giudiziale gravata dall'integrale applicazione della riduzio ne; con riserva all'apprezzamento del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, l'individuazione del limite, da operarsi caso per caso, al di sotto del quale l'entità dell'offer ta non può scendere senza perdere la sua idoneità a realizzare la finalità indennitaria (Cass. 28 settembre 1999, n. 10797, id., Mass.). La ridu zione del quaranta per cento può dunque essere effettuata — si aggiun ge nella pronuncia in epigrafe — solo se il rifiuto di accettare l'indenni tà sia ingiustificato per il rispetto dei criteri di legge da parte dell'offe rente, il quale, altrimenti, potrebbe abusare della norma per provocare sempre e in ogni caso la riduzione del danno del privato con offerte modeste (nella specie, si è ritenuta inidonea a determinare la riduzione l'offerta d'indennità la cui determinazione assumeva un valore venale base pari a un quarto di quello accertato giudizialmente).
A ciò si aggiunga che, al fine di rendere realisticamente possibile la scelta dell'espropriato, si è ritenuto che la proposta dell'amministrazio ne debba essere ragionevolmente tempestiva, oltre che congrua, e dun que complessivamente calibrata alla fase processuale in cui essa inter viene, e non palesemente mirata ad ottenere l'abbattimento dell'inden nità, conseguendone l'infondatezza della pretesa dell'amministrazione di decurtare l'indennità, facendo valere come proposta la produzione in causa della stima amministrativa definitiva, che pur formulata in precedenza, sia depositata agli atti solo all'esito del deposito della c.t.u., e allegata a memoria difensiva formata al solo fine di confutare i criteri tecnici di valutazione dell'ausiliario del giudice (Cass. 14 settembre 1999, n. 9814, ibid., 1030).
Non sono mancate voci di dissenso, tuttavia, con riferimento a pro cedimenti iniziati dopo l'entrata in vigore della 1. 359/92: la riduzione del quaranta per cento dovrebbe essere comunque applicata, indipen dentemente dalla circostanza che l'opposizione stessa si riveli fondata, ovvero che il valore cui commisurare l'indennità si accerti essere spro
II Foro Italiano — 1999.
ricorrente in corso di causa imponesse in ogni caso la falcidia
del quaranta per cento prevista dal citato art. 5 bis I. 359/92
nel caso di mancato accordo tra l'espropriando e l'espropriante su di essa; scopo della mancata riduzione è per la Corte costitu
zionale l'avvicinamento dell'indennità ai valori reali dell'area
ablata e l'esclusione del contenzioso con più rapida acquisizione del bene e, per la ricorrente, solo se l'offerta intervenuta nel
corso del giudizio è idonea a realizzare tali funzioni, la stessa
può determinare la riduzione del quaranta per cento di cui al
citato art. 5 bis, rimettendosi altrimenti all'arbitrio dell'espro
priante il fare un'offerta dannosa per l'espropriato con riduzio
ne necessaria dell'indennizzo. Per il controricorrente, invece, cor
retta è stata la soluzione della corte territoriale essendo avvenu
ta l'offerta nella misura fissata dalla commissione provinciale
espropriazioni e non dall'espropriarne stesso, per cui è da esclu
dere ogni arbitrio di questo nell'offerta stessa.
2. - Costituisce orientamento consolidato di questa corte che
la sentenza della Corte cost. 283/93 ha additivamente esteso
il potere di offrire l'indennità di cui all'art. 5 bis 1. 359/92 a
chi è stato espropriato prima dell'entrata in vigore della nuova
normativa, se pende la liquidazione dell'indennizzo giudiziaria mente a seguito d'opposizione (così da Cass. 14 febbraio 1997, n. 1414, id., 1997, I, 733, fino a Cass. 28 aprile 1999, n. 4287,
id., Mass., 510), non avendo rilievo né la determinazione am
ministrativa oggetto dell'azione né l'altra eventuale del c.t.u.
al fine di costituire nuova proposta d'indennità definitiva che
possa configurare un accordo amichevole sul dovuto anche suc
cessivo al decreto d'esproprio per ottenere in premio la manca
ta falcidia del quaranta per cento di cui al 1° comma dell'art.
5 bis. La logicità della motivazione, espressamente censurata in
questa sede, comporta ovviamente che la corte territoriale deve
tenere conto, per le offerte che intervengono nel corso del giu dizio, delle funzioni attribuite dal giudice delle leggi a queste e al premio insito nella mancata riduzione per chi le accetti.
L'offerta deve tendere anche in questo caso ad avvicinare al
valore di mercato del suolo l'indennità, che è legittima se resta
agganciata al modello normativo, che prevede un indennizzo
di poco superiore alla metà del valore venale lordo, non rile
vando gli oneri fiscali connessi alla vicenda; l'indennizzo deve
comunque essere equo e serio e, seppure ridotto rispetto al va
lore venale cui si aggancia, non può legalmente essere minore
della semisomma del valore venale più reddito domenicale riva
lutato coacervato, dovendosi ritenere altrimenti incongruo ri
spetto alla stessa previsione normativa riconosciuta costituzio
nalmente legittima ed equilibrata in rapporto alle esigenze col
lettive da realizzare con l'opera cui è funzionale l'esproprio e
al loro equilibrio con il sacrificio del diritto di proprietà, la
cui funzione sociale non esclude una reintegrazione, non rimes
sa al mero arbitrio dell'espropriante ma limitata dai criteri pre fissati con legge ordinaria, secondo la previsione della Carta
costituzionale. L'offerta nei giudizi in corso, a differenza di
quella dell'art. 5 bis cit., non tende alla cessione del bene dive nuta impossibile, e deve svolgere funzione deflattiva delle con troversie in cui avviene a fini transattivi; quando vi sia un evi
porzionato rispetto all'offerta formulata dall'espropriante (Cass. 22 aprile 1999, n. 3994, ibid., 473). L'art. 5 bis non consente infatti di attribuire, in caso di opposizione alla stima e d'impossibilità di stipulare la cessio ne volontaria per intervenuto decreto di esproprio, altro indennizzo che
quello previsto dal 10 comma, con conseguente inderogabile applicazio ne della riduzione ivi prevista; resterebbe di conseguenza escluso che
possa estendersi il beneficio dell'esclusione della decurtazione al di là del caso specifico della stipulazione della cessione volontaria del bene
oggetto del provvedimento espropriativo, in particolare allorché in se
guito all'opposizione risulti che l'indennità offerta in via amministrati va era inferiore all'indennità riconosciuta dal giudice, poiché tale inter
pretazione contrasta sia con l'univoco tenore letterale della norma, sia con l'intento deflattivo del contenzioso, posto a giustificazione del be neficio previsto dal 2° comma: all'espropriato non potrebbe mai deri vare una conseguenza penalizzante dalla determinazione dell'indennità in sede amministrativa, per quanto non congrua, in quanto l'espropria to ha facoltà di accettare la stima e di convenire la cessione volontaria
dopo aver valutato l'eventuale convenienza di ottenere quel quid pluris costituito dall'esenzione dalla decurtazione, ovvero di opporsi alla sti ma ritenuta non congrua per ottenere il giusto indennizzo, secondo i
parametri stabiliti dal 1° comma (Cass. 14 giugno 1999, n. 5864, ibid., 722). [S. Benini]
This content downloaded from 62.122.79.69 on Wed, 25 Jun 2014 07:49:52 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
dente e rilevante scarto tra valore venale del suolo nell'offerta
d'indennizzo, come determinato dalla commissione provinciale
espropri e quello che emerge dalla sentenza e in particolare dal
la stima del c.t.u., come nel caso, in cui risulta incontestato
dal ricorso che a fronte di un'offerta agganciata al valore di
lire 25.000 a mq è accertato il valore venale di lire 100.000 al
mq, l'offerta deve considerarsi inidonea a svolgere le funzioni
sopra indicate, perché il suo distacco dalla percentuale di valore
di mercato che costituisce serio ristoro secondo la legge ritenuta
conforme alla Costituzione (trenta per cento, cioè cinquanta per cento - quaranta per cento circa di detta percentuale) come con
cretamente individuato dai giudici di merito non può dar luogo ad alcuna transazione e chiusura della lite, cui l'espropriato può addivenire solo se la controparte non ha palesemente violato
i limiti legali di determinazione dell'indennità. È da condivider
si l'orientamento ormai prevalente di questa corte, per il quale il giudice di merito è tenuto a valutare l'offerta d'indennità del
l'espropriarne all'espropriato nel corso del giudizio d'opposi zione e qualora la ritenga assai minore di quella determinabile
giudizialmente alla luce dell'art. 5 bis sopra citato, ne può esclu
dere la congruità e l'idoneità a dar luogo alla riduzione del qua ranta per cento, da effettuare solo se il rifiuto d'accettare l'in
dennità è ingiustificato per il rispetto dei criteri di legge da par te dell'offerente il quale, altrimenti, potrebbe abusare della norma
per provocare sempre e in ogni caso la riduzione in danno del
privato con offerte modeste (Cass. 2 giugno 1998, n. 5381, id.,
Rep. 1998, voce Espropriazione per p.i., n. 169; 11 giugno 1998, n. 5821, ibid., n. 170, e 15 marzo 1999, n. 2271, id., 1999, I, 1433; contra, ma con riferimento ad un caso di rifiuto del
l'offerta successiva all'entrata in vigore della 1. 359/92 e ante
riore all'opposizione, Cass. 22 aprile 1999, n. 3994, id., Mass.,
473). Il primo motivo di ricorso deve quindi essere accolto, es
sendosi offerto all'espropriata un quarto di quanto le compete va per legge.
3. - Il secondo motivo di ricorso deduce violazione e falsa
applicazione dell'art. 5 bis, 6° e 7° comma, della citata 1. 359/92, in relazione all'art. 11 disp. sulla legge in generale (art. 360,
n. 3, c.p.c.) per avere la corte territoriale liquidato l'indennità
d'occupazione sulla base di quella d'esproprio falcidiata del qua ranta per cento; la censura è assorbita dall'accoglimento del
primo motivo di ricorso, dovendosi riliquidare l'indennità d'e
sproprio e, in relazione a tale nuova determinazione, calcolare
quella d'occupazione in base agli interessi legali su di essa, co
me potenzialmente dovuta, per ciascun anno d'occupazione. 4. - Il terzo motivo di ricorso lamenta la violazione e falsa
applicazione dell'art. 5 bis 1. 359/92 per aver la sentenza impu
gnata applicato la riduzione del quaranta per cento, di cui al
primo motivo, ad alcuni manufatti (fabbricati rurali e pozzo) che dovevano valutarsi separatamente dall'area e senza falcidia;
anche tale motivo resta assorbito dall'accoglimento del primo
motivo in quanto l'esistenza e i valori del detto soprassuolo, se effettivamente richiesti con l'opposizione, potranno essere li
quidati in sede di rinvio nel quale deve rideterminarsi l'inden
nizzo, con riferimento ai beni in concreto espropriati, nei limiti
dell'originaria domanda e delle conclusioni già rese alla luce
dei principi di diritto sopra richiamati in ordine all'area, anche
se per i fabbricati è inapplicabile il più volte citato art. 5 bis
1. 359/92.
5. - In conclusione, il primo motivo di ricorso deve accoglier
si con assorbimento degli altri motivi; la sentenza impugnata deve cassarsi con rinvio alla cèrte d'appello di Catania, in rela
zione ai principi di diritto richiamati.
Il Foro Italiano — 1999.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 25 otto
bre 1999, n. 11949; Pres. Iannotta, Est. FroucciA, P.M. Pal
mieri (conci, conf.); Braida (Avv. Simioni, Gelerà) c. Co
mune di Udine. Conferma Pret. Udine 15 luglio 1996.
Circolazione stradale — Violazione al divieto di sosta — Verba
le degli ausiliari del traffico — Efficacia probatoria — Limiti
(Cod. civ., art. 2699, 2700). Circolazione stradale — Violazione al divieto di sosta — Rile
vazione con verbale degli ausiliari del traffico — Conseguen te atto di accertamento della violazione da parte dei vigili urbani — Legittimità (D.leg. 30 aprile 1992 n. 285, nuovo
codice della strada, art. 200, 201). Circolazione stradale — Violazione amministrativa — Conte
stazione non immediata — Notifica degli estremi della viola
zione su modulo prestampato — Mancanza della firma del
pubblico ufficiale accertatore — Irrilevanza (D.l. 12 gennaio 1991 n. 6, disposizioni urgenti in favore degli enti locali per il 1991, art. 6 quater; 1. 15 marzo 1991 n. 80, conversione
in legge, con modificazioni, del d.l. 12 gennaio 1991 n. 6;
d.leg. 30 aprile 1992 n. 285, art. 201; d.p.r. 16 dicembre 1992
n. 495, regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo
codice della strada, art. 385). Sanzioni amministrative e depenalizzazione — Violazione am
ministrativa — Contestazione non immediata — Notifica a
mezzo posta degli estremi della violazione — Mancanza della
relazione di notifica — Irrilevanza (Cod. proc. civ., art. 149; 1. 24 novembre 1981 n. 689, modifiche al sistema penale, art.
14; 1. 20 novembre 1982 n. 890, notificazione di atti a mezzo
posta e di comunicazioni a mezzo posta connesse con la noti
ficazione di atti giudiziari, art. 12; d.leg. 30 aprile 1992 n.
285, art. 201).
Un verbale redatto (prima dell'entrata in vigore della I. 15 mag
gio 1997 n. 127) dai c.d. ausiliari del traffico nel quale è rile
vata una violazione al divieto di sosta delle autovetture non
ha valore di atto pubblico; pertanto, le sue risultanze posso no essere contestate con ogni mezzo di prova. (1)
Poiché l'accertamento di una violazione amministrativa può ba
sarsi su segnalazioni anche di privati cittadini, è legittimo l'ac
certamento di una violazione al divieto di sosta delle autovet
ture effettuato (prima dell'entrata in vigore della l. 15 maggio 1997 n. 127) dai vigili urbani sulla base di un verbale dei
c.d. ausiliari del traffico. (2)
(1-2) La sentenza, prima pronuncia della Cassazione sulle attività di
accertamento di violazioni al codice della strada svolte dai c.d. ausiliari
del traffico, è intervenuta pochi giorni dopo che la stampa aveva dato
notizia con risalto di indirizzi contrastanti dei giudici di merito in argo mento. In particolare, alcune pronunce avevano escluso la legittimità di accertamenti di infrazioni effettuate dagli ausiliari (Trib. Perugia 7
ottobre 1999; Trib. Roma 11 ottobre 1999, inedite) e veniva segnalato, intorno alla metà di ottobre, l'avvio di un'indagine penale a Napoli
per l'utilizzo, da parte degli ausiliari del traffico, dei verbali di accerta
mento di violazioni al codice della strada (cfr. R. Mi., Una sanatoria
con decreto legge per le multe degli ausiliari, in II Sole-24 Ore del 28
ottobre 1999, 25). La sentenza della Cassazione si riferisce a un caso di contestazione
c.d. successiva (o «non immediata») della violazione (il nuovo codice
della strada, approvato con d.leg. 30 aprile 1992 n. 285, prevede che
la violazione debba essere contestata immediatamente, con redazione
di apposito verbale da consegnarsi al trasgressore — art. 200 —, ovvero
che, nel caso non sia possibile la contestazione immediata, vada conte
stata successivamente, mediante notifica al trasgressore, entro centocin
quanta giorni dall'accertamento, di un verbale con gli estremi della vio
lazione — art. 201). Il Pretore di Udine aveva escluso che gli ausiliari
del traffico potessero svolgere funzioni di polizia amministrativa e ave
va circoscritto le loro funzioni «alla rilevazione e segnalazione alle au
torità di polizia municipale delle infrazioni stradali»; la Cassazione ac
coglie questa lettura, equiparando le segnalazioni degli ausiliari a quelle
presentate da «privati cittadini» che gli organi di polizia stradale assu
mono a fondamento di loro propri atti di accertamento.
Per valutare la portata della sentenza è essenziale considerare che
essa si riferiva a fatti intervenuti prima dell'entrata in vigore della 1.
15 maggio 1997 n. 127. L'art. 17, comma 132 e 133 di tale legge, per
disciplinare la situazione creatasi nei molti comuni che avevano asse
gnato compiti di vigilanza sui divieti di sosta a personale estraneo agli
organi di polizia stradale, aveva introdotto la figura dei c.d. ausiliari
del traffico: il sindaco può attribuire «funzioni di prevenzione e accer
tamento delle violazioni in materia di sosta» a dipendenti comunali, ovvero a dipendenti delle società di gestione dei parcheggi (limitatamen
This content downloaded from 62.122.79.69 on Wed, 25 Jun 2014 07:49:52 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions