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sezione I civile; sentenza 29 settembre 2005, n. 19045; Pres. De Musis, Est. Nappi, P. M. Apice(concl. conf.); Soc. Sicura (Avv. Lombardi, Di Porto) c. Caresana (Avv. Giubbilei) e Fall. soc.Unione calcio Livorno (Avv. Batini). Conferma App. Firenze 19 agosto 2002Source: Il Foro Italiano, Vol. 129, No. 12 (DICEMBRE 2006), pp. 3485/3486-3491/3492Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23201813 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
rivalsa, ha come vero contraddittore il fisco; quando, invece, la
rivalsa non sia stata esercitata, essendo stati soddisfatti sia il fi
sco sia il percettore del reddito, nell'impossibilità di portare la
causa a conoscenza del giudice tributario, solo la giurisdizione di quello ordinario potrà consentire di verificare la (contestuale) violazione dell'art. 64 d.p.r. 602/73, sull'obbligo di rivalsa. Se
ne è tratta «la conclusione che la controversia fra sostituto
d'imposta e sostituito, avente ad oggetto la pretesa del primo di
rivalersi sulle somme versate al fisco a titolo di ritenuta d'ac
conto non detratta dagli importi erogati al secondo, esula dalla
giurisdizione delle commissioni tributarie, per difetto degli ele
menti caratteristici propri della giurisdizione stessa, ed è devo
luta a quella del giudice ordinario, diversamente dalla contro
versia relativa alla pretesa del sostituto al rimborso, da parte dell'ufficio finanziario, di versamenti asseritamente non dovuti
ovvero alla legittimità della ritenuta di acconto».
La soluzione diversa per tali casi — tra i quali si inquadra an
che l'ipotesi in esame — non può tuttavia essere condivisa. Da
un lato, come si è avvertito in dottrina, la natura del rapporto,
complessivamente dedotto in giudizio, non viene a mutare, per effetto della inversione delle parti in sede giurisdizionale. Dal
l'altro, già Cass., sez. un., 6693/03 (id., Rep. 2003, voce cit., n.
1554) aveva avvertito che, «in tema di contenzioso tributario e
nella disciplina risultante sia dall'art. 1 d.p.r. 26 ottobre 1972 n.
636 che dall'art. 2 d.leg. 31 dicembre 1992 n. 546, la tutela giu risdizionale dei contribuenti è affidata in via esclusiva alla giu risdizione delle commissioni tributarie, concepita comprensiva di ogni questione afferente all'esistenza ed alla consistenza del
l'obbligazione tributaria e non suscettibile di venir meno in pre senza di situazioni di carenza di un provvedimento impugnabile e, quindi, di impossibilità di proporre contro tale provvedimento
quel reclamo che costituisce veicolo di accesso, ineludibile, a
detta giurisdizione. In tal caso, dette situazioni, quando attual
mente riscontrate, incidono unicamente sull'accoglibilità della
domanda (ossia sul merito), valutabile esclusivamente dal giu dice avente competenza giurisdizionale sulla stessa, e non già sulla giurisdizione di detto giudice».
Deve perciò concludersi che anche la controversia tra sosti
tuto d'imposta e sostituito, avente ad oggetto la pretesa del pri mo di rivalersi delle somme versate a titolo di ritenuta d'ac
conto, non detratta dagli importi erogati al secondo, rientra nella
giurisdizione delle commissioni tributarie, e non resta, in parti colare, condizionata dal carattere «impugnatorio» della stessa.
A tale ultimo riguardo basti osservare che, come il sostituito,
nel caso di prelevamento della ritenuta, potrà promuovere, pre sentata la dichiarazione annuale, la procedura di rimborso, così
il sostituto, in caso di versamenti di somme non detratte a titolo
di ritenuta, potrà a sua volta formulare richiesta di restituzione
al fisco — in particolare, rappresentando le ragioni prospettate dal presunto debitore di imposta per sottrarsi alla rivalsa —, im
pugnandone quindi il rigetto, con ricorso rivolto anche nei con
fronti del sostituito, effettivo debitore verso il fisco e, quindi, da
considerarsi litisconsorte necessario.
Ne consegue l'accoglimento del primo motivo, assorbito il
secondo, con declaratoria della giurisdizione tributaria; la sen
tenza impugnata va conseguentemente cassata, unitamente a
quella di primo grado, senza rinvio.
Il Foro Italiano — 2006.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 29 set
tembre 2005, n. 19045; Pres. De Musis, Est. Nappi, P. M.
Apice (conci, conf.); Soc. Sicura (Avv. Lombardi, Di Porto)
c. Caresana (Avv. Giubbilei) e Fall. soc. Unione calcio Li
vorno (Avv. Batini). Conferma App. Firenze 19 agosto 2002.
Rappresentanza nei contratti — Conflitto di interessi —
Estremi — Fattispecie in tema di amministratore di so
cietà (Cod. civ., art. 1394).
Il conflitto di interessi di cui all'art. 1394 c.c. postula un rap
porto d'incompatibilità fra le esigenze del rappresentato e
quelle personali del rappresentante o di un terzo che egli a
sua volta rappresenti, rapporto che va riscontrato non in ter
mini astratti ed ipotetici, ma con riferimento al singolo atto,
di modo che è ravvisabile esclusivamente rispetto al contratto
le cui intrinseche caratteristiche consentano l'utile di un sog
getto solo passando attraverso il sacrifìcio dell'altro (nella
specie, la Suprema corte ha confermato la sentenza di merito,
che aveva escluso la sussistenza del conflitto di interessi in
ordine alla sottoscrizione dell'aumento di capitale sociale
deliberato da una s.r.l. da parte di una s.p.a., a mezzo de! suo
amministratore delegato, che era anche presidente del consi
glio di amministrazione della succitata s.r.l., non sussistendo
alcun interesse personale di detto amministratore delegato,
contrapposto a quello della s.p.a., che aveva sottoscritto
l'aumento in adempimento di un patto parasociale, rispetto al
quale la s.r.l. era terza). (1)
(1) Con la sentenza in rassegna, che esamina sette motivi di ricorso, la Cassazione ritorna tra l'altro sul tema del conflitto di interessi in
ambito societario, conformandosi all'indirizzo dominante nella giuris
prudenza di legittimità. Il caso preso in esame dalla Suprema corte può essere, con riferi
mento alla parte di nostro precipuo interesse, così riassunto. Una s.p.a. denunciava l'esistenza di un'ipotesi di conflitto di interessi in un'ope razione di sottoscrizione da parte della stessa dell'aumento di capitale sociale deliberato da una s.r.l. successivamente fallita. Il conflitto sa
rebbe scaturito dalla doppia qualifica del sottoscrittore materiale delle
quote: di amministratore delegato della s.p.a. e contemporaneamente di
presidente del consiglio di amministrazione della s.r.l. La Cassazione
sul punto conferma la sentenza della Corte d'appello di Firenze, la qua le in particolare aveva dichiarato l'insussistenza del conflitto di in
teressi anche in considerazione del fatto che l'operazione di sottoscri
zione non potesse ritenersi pregiudizievole per la s.p.a., già titolare del
novantotto per cento delle quote della s.r.l., ma che, al contrario, l'au
mento di capitale fosse necessario per evitare lo scioglimento della so
cietà e la perdita di qualsiasi valore delle quote già versate. Le argo mentazioni addotte dai giudici, di merito e di legittimità, ai fini dell'e
sclusione del conflitto si inseriscono in quell'orientamento giurispru denziale e dottrinale oramai consolidato in ordine alla disciplina appli cabile all'atto compiuto, in assenza di delibera consiliare, dall'ammini
stratore in conflitto di interessi in nome della società nonché ai presup
posti per la relativa applicazione. Con riguardo al primo punto, la Suprema corte nell'esame della fatti
specie sottoposta alla sua attenzione premette incidenter tantum che con riferimento alla stessa si applichi l'art. 1394 c.c. in tema di rappre sentanza volontaria (la cui violazione è stata correttamente denunciata
dalla ricorrente) in luogo del successivo art. 2391 c.c. testo previgente,
per la cui operatività è necessaria l'esistenza di una delibera consiliare.
La premessa della corte segue la linea giurisprudenziale prevalente se
condo cui l'art. 1394 c.c. e l'art. 2391 c.c. testo previgente, si pongono tra loro in un rapporto di reciproca esclusione, collocandosi su due pia ni paralleli: la norma contenuta nell'art. 1394 c.c. rappresenta un prin
cipio generale applicabile come tale, e nel concorso dei suoi presuppo sti. ad ogni contratto concluso autonomamente dall'amministratore in
conflitto di interessi con la società, mentre l'operatività dell'art. 2391
si estende ad ogni operazione posta in essere dall'amministratore in
esecuzione di una delibera del consiglio di amministrazione in conflitto
di interessi con la società (in giurisprudenza, cfr. Trib. Catania 9 set
tembre 1999, Foro it.. Rep. 2001, voce Società, n. 725, e Riv. dir.
comm., 2001, II, 37, con nota di Macrì, Rilevanza esterna del conflitto di interessi nelle società di capitali; Cass. 26 settembre 2005, n. 18792,
Foro it.. Rep. 2005, voce Rappresentanza nei contratti, n. 9; 26 gen naio 2006, n. 1525, id., 2006, I, 2830, e Riv. not., 2006, 1077, con nota
di Carlini, Conflitto di interessi e limitazione ai poteri degli ammini
stratori nelle società per azioni. In dottrina, v., ex multis, Enriques,
L'opponibilità ai terzi del conflitto d'interessi degli amministratori di
società per azioni, in Giitr. comm., 1999, II, 265 ss.; Bellacosa, Il
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3487 PARTE PRIMA 3488
Svolgimento del processo. — Con atto di citazione notificato
il 4 gennaio 1993 Carlo Caresana convenne in giudizio davanti
al Tribunale di Livorno la Merzario s.p.a. e il fallimento Unione
calcio Livorno s.r.l., chiedendo in surrogatoria quale creditore
concorsuale la condanna della Merzario s.p.a. al pagamento in
favore del fallimento Unione calcio Livorno s.r.l. della somma
di lire 830.000.000, corrispondente al residuo aumento del ca
conflitto di interessi dell'amministratore unico di società per azioni e
l'art. 2391 c.c., id., 1997. I, 143 ss.; Tassi, Conflitto di interessi del
l'amministratore: rapporto tra l'art. 1394 e l'art. 2391 c.c., in Società,
1997, 293 ss.; Donisi, Il contratto con sé stesso, Napoli, 1982, 218 ss.). Rifacendosi a tale impostazione, nella sentenza in epigrafe la corte ri
chiama espressamente in motivazione l'orientamento dominante (Cass. 10 aprile 2000, n. 4505, Foro it.. Rep. 2001, voce cit., n. 10, e Giur. it.,
2001, 477, con nota di Cavaliere; 1° febbraio 1992, n. 1089, Foro it.,
1992, I, 2139, con nota di Lenoci, e Società, 1992, 785, con nota di
Taurini; Giur. comm.. 1995, li, 20, con nota di Maltoni, Ancora in te
ma di applicabilità dell'art. 1394 c.c. al rappresentante legale di so
cietà), che dichiara applicabile l'art. 1394 c.c. anche in caso di conflitto
di interessi tra l'amministratore delegato di s.p.a. e la società stessa,
quando l'operazione rientri tra quelle per le quali non sia necessaria
una deliberazione del consiglio di amministrazione e l'amministratore
delegato abbia perciò agito con gli stessi poteri che competono all'am
ministratore unico. In proposito, appare doveroso sottolineare con auto
revole dottrina (Patroni Griffi, in Sandulli-Santoro (a cura di). La
riforma delle società, Torino, 2003, sub art. 2391, 466; Santosuosso, La nuova disciplina de! conflitto di interessi degli amministratori nelle
società di capitali, in Perlingieri-Casucci, Le riforme del diritto so
cietario, Napoli, 2004. 58 s. Sulla nuova disciplina del conflitto di inte
ressi, v., tra gli ultimi, Blandini, Conflitto di interessi ed interessi degli amministratori di società per azioni: prime riflessioni, in Perlingieri
Casucci, Le riforme del diritto societario, cit.. 77 ss.; Chimenti, La
nuova disciplina del conflitto di interessi, in Associazione per gli studi
e le ricerche parlamentari. Seminario 2005, Torino, 2006, 30 ss.; Mat
tia, Il conflitto di interessi degli amministratori nella s.p.a.. in Ammini
strazione & Finanza. Oro, 2005, voi. 16, n. 1, 77 ss.; Enriques, La di
sciplina del conflitto di interessi degli amministratori di s.p.a., in Abi, La riforma del diritto societario e le banche: nuovi modelli, nuovi
strumenti: opportunità e criticità, Roma, 2004, 29 ss.; Marchetti, Il
conflitto d'interessi degli amministratori di società per azioni: i mo
delli di definizione di un problema in un'analisi economica comparata, in Giur. comm., 2004. I. 1229 ss.; Mattia-Di Bernardo, Il conflitto di
interessi degli amministratori nella nuova s.p.a., in Società, 2005, 557
ss.; Carlini, Conflitto di interessi e limitazione ai poteri degli ammini
stratori nelle società per azioni, cit.. 1081 ss.; De Bonis, Le nuove di
scipline del divieto di concorrenza e del conflitto d'interessi nelle s.p.a. e nelle s.r.l, in Studium iuris, 2006. 762 ss.; Zamperetti, Il «nuovo»
conflitto di interessi degli amministratori di s.p.a.: profili sparsi di fat
tispecie e di disciplina, in Società, 2005, 1085 ss.) che, all'interno della
riforma del diritto societario del 2003, il legislatore, pur apportando modifiche di rilievo alla disciplina del conflitto di interessi degli am
ministratori di cui all'art. 2391 c.c., lascia immutata la normativa degli effetti dell'invalidità della deliberazione sugli atti compiuti con i terzi. Ancora una volta si è persa l'occasione di introdurre una disciplina ad
hoc dell'invalidità degli atti in conflitto di interessi compiuti dall'am ministratore unico o dall'amministratore delegato, per cui continueran no ad applicarsi in via esclusiva le disposizioni di cui agli art. 1394 e
1395 c.c. La sentenza in rassegna si dilunga maggiormente sui motivi che
escludono la possibilità di applicare al caso esaminato la disciplina ge nerale in tema di annullabilità del contratto concluso dal rappresentante in conflitto di interessi con il rappresentato, richiamando in sostanza
tutti i presupposti che secondo la giurisprudenza e la dottrina prevalenti
legittimano l'applicazione dell'art. 1394 c.c.; conflitto di interessi tra
rappresentante e rappresentato; effettività o, quantomeno, potenzialità del danno arrecato a quest'ultimo; difetto di buona fede del terzo con traente.
Con riferimento alla norma in questione, il conflitto di interessi viene correntemente interpretato dalla dottrina in termini di abuso di rappre sentanza (ex plurimis, cfr. Pugliatti, Il conflitto di interessi tra princi pale e rappresentante, in Studi sulla rappresentanza, Milano, 1965, 270; Betti, Teoria generale del negozio giuridico, Torino, 1952, 595;
Santoro-Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli. 1966.
341; Perego, Spunti sul conflitto d'interessi nella rappresentanza vo
lontaria, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1978, 1434), poiché colui che
agisce in nome altrui lo fa, non già nell'interesse del rappresentato, bensì realizzando un interesse proprio o di terzi con quello contrastante. Partendo da tale impostazione, ai fini della riconducibilità delle fatti
specie esaminate alla sfera di operatività dell'art. 1394 c.c., si ritiene rilevante l'incompatibilità degli interessi del rappresentato con quelli,
11 Foro Italiano — 2006.
pitale della società poi fallita, sottoscritto e non versato dalla
Merzario s.p.a. Nonostante l'eccezione di difetto di legittimazione attiva di
Carlo Caresana subito proposta dalla Merzario s.p.a., la doman
da fu accolta, con decisione confermata in appello, perché il
fallimento Unione calcio Livorno s.r.l., che inizialmente aveva
rilevato anch'esso il difetto di legittimazione dell'attore pur
propri o altrui, del rappresentante (Bianca. Diritto civile. II contratto, Milano. 1987, 98 ss.). Pertanto, anche se il rappresentante, attraverso
un uso malaccorto del potere rappresentativo, persegua interessi non
propri del rappresentato, ma comunque compatibili o addirittura con
vergenti con questi, il conflitto non sussiste (cfr. Cass. 3 luglio 2000, n. 8879. Foro it.. Rep. 2000, voce cit., n. 8; 10 aprile 2000, n. 4505,
cit.). Aderendo a tale orientamento, la Suprema corte richiama in mo
tivazione una precedente sentenza in cui si afferma non solo che il
conflitto di interessi di cui all'art. 1394 c.c. postula un «rapporto di
incompatibilità tra le esigenze del rappresentato e quelle personali del
rappresentante o di un terzo che egli a sua volta rappresenti», ma an
che che tale rapporto debba essere «attuale» nel senso che esso debba
riscontrarsi «non in termini astratti ed ipotetici, ma con riferimento al
singolo atto, di modo che è ravvisabile esclusivamente rispetto al con
tratto le cui intrinseche caratteristiche consentano l'utile di un sog
getto solo passando attraverso il sacrificio dell'altro» (Cass. 20 feb
braio 2004, n. 3385, id.. Rep. 2004, voce cit., n. 3. e Arch, civ., 2004,
1447, e Gius, 2004, 2665. Sul punto, v. anche Cass. 26 agosto 1998, n. 8472, Foro it., 2000. I, 2938, e Notariato, 1999, 7, con nota di Tas
sinari; 26 settembre 2005. n. 18792, cit.). Nella fattispecie in esame la
Cassazione rileva che nessun interesse personale dell'amministratore
delegato contrapposto a quello della s.p.a. è stato dedotto dalla ricor
rente e che il doppio incarico ricoperto dal primo non vale di per sé a
configurare un'ipotesi di conflitto di interessi (in maniera analoga concludeva la corte, quando, esaminando una questione di conflitto di
interessi all'interno di un gruppo, affermò che la circostanza che
l'amministratore delegato della controllata fosse anche consigliere di
amministrazione della controllante non fosse sufficiente a concretare il
conflitto di interessi. Cfr. Cass. 5 dicembre 1998, n. 12325, Foro it., 2000. 1, 2936, con nota di La Rocca, e Giur. it., 1999, 2317, con nota
di Montalenti, Operazioni intragruppo e vantaggi compensativi: l'e
voluzione giurisprudenziale). Conseguenza di questa asserita inconciliabilità di interessi è l'inevi
tabile sacrificio degli interessi del rappresentato. Come ribadito dalla
giurisprudenza della Cassazione, ai fini dell'annullamento del contratto
ai sensi dell'art. 1394 è necessario non solo che il rappresentante per
segua interessi propri o di terzi incompatibili con quelli del rappresen tato, ma anche che «all'utilità conseguita o conseguibile dal rappre sentante per sé medesimo, o per il terzo, segua o possa seguire il danno
del rappresentato» (Cass. 17 aprile 1996, n. 3630, Foro it., Rep. 1996, voce cit., n. 14; 16 febbraio 1994, n. 1498, id.. Rep. 1994, voce cit., n.
9; 19 settembre 1992, n. 10749, id., Rep. 1993, voce cit., n. 9, e Giust.
civ., 1993, I, 3055, con nota di Coppi, Il conflitto di interessi nella rap
presentanza organica di una persona giuridica. Vendita con patto di ri
scatto e patto commissario; 25 gennaio 1992, n. 813, Foro it., Rep. 1992, voce cit., nn. 12, 13; 7 dicembre 1999, n. 13708, id., Rep. 2000, voce cit., n. 11, e Riv. not., 2001, 465. con nota di Mattiangeli, li con
flitto di interessi nella rappresentanza volontaria', 26 settembre 2005, n. 18792, cit.). Condicio sine qua non ai fini dell'annullamento del
contratto è la sussistenza del danno come conseguenza immediata e di
retta dell'atto posto in essere dall'amministratore in conflitto; danno
che, quindi, non può mancare, anche se è sufficiente la mera potenzia lità della sua realizzazione (tale impostazione è condivisa dalla più re cente dottrina: Pugliatti, op. cit., 121; Betti, op. cit., 603; Bianca, op. cit., 98; Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli, 1993, 968). Inol
tre, come più volte precisato dalla corte stessa, l'effettività o la poten zialità del danno devono valutarsi con riferimento al momento del per fezionamento del contratto, restando irrilevanti eventuali vicende suc
cessive (da ultimo, cfr. Cass. 20 febbraio 2004, n. 3385, cit.). L'esclu sione della presenza di tale presupposto, evidenziata, come anticipato, dai giudici di merito, implica, nella visione della Suprema corte, l'im
possibilità di applicare alla fattispecie in esame l'art. 1394 c.c. L'ultimo elemento considerato dalla corte per valutare la riconduci
bilità del caso esaminato all'ipotesi di conflitto disciplinata dall'art.
1394 c.c. è la conoscenza o riconoscibilità da parte del terzo contraente della situazione di conflitto di interessi in capo al rappresentante; pre supposto quest'ultimo espressamente menzionato dalla norma de qua a tutela del terzo contraente, la cui prova deve essere fornita dal rappre sentato (Cass. 19 settembre 1992, n. 10749. cit.; 5 maggio 2003, n.
6755, Foro it., Rep. 2003, voce cit., n. 11, e Contratti, 2003, 996; Gius.
2003, 2112, e Arch, civ., 2004, 372). Anche con riferimento a tale
punto, la Cassazione conferma la sentenza del giudice di merito, che aveva rilevato la mancanza di prove in tal senso.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
senza pronunciarsi sul merito, aderì nel corso del giudizio di
primo grado alla domanda di Carlo Caresana. La decisione fu così giustificata dai giudici d'appello: a) benché avesse fatto valere un diritto di credito rispetto al
quale la curatela del fallimento Unione calcio Livorno s.r.l. era rimasta a lungo inerte, Carlo Caresana non era legittimato a sur
rogare il curatore fallimentare, ma questa carenza di legittima zione fu sanata con effetto ex tunc allorché il curatore fece pro pria la sua domanda, ratificandone gli atti;
b) la sopravvenuta adesione del curatore fallimentare alla domanda di Carlo Caresana non comportò un'inammissibile mutatio libelli, perché la sua iniziale eccezione di difetto di le
gittimazione dell'attore fu intesa a far valere la propria legitti mazione, non a ottenere il rigetto della domanda, che successi vamente fece propria;
c) sicché non vi fu mutamento della domanda, perché il falli mento Unione calcio Livorno s.r.l. esercitò la stessa azione ini zialmente promossa dall'attore carente di legittimazione, ratifi candone gli atti;
d) nel merito la domanda è fondata, perché il 23 luglio 1990 l'assemblea dei soci dell'Unione calcio Livorno s.r.l., presie duta da Carlo Mantovani anche nella qualità di amministratore
delegato della Merzario s.p.a., deliberò validamente l'aumento del capitale sociale e tale deliberazione ebbe immediati effetti vincolanti alla sottoscrizione e al versamento dell'intero au mento in proporzione delle quote di partecipazione alla società della Merzario s.p.a., titolare del novantotto per cento delle
quote, e degli altri due soci, Gino Benedetti ed Elisabetta Baf
fetti, titolari ciascuno di quote pari all'uno per cento del capita le;
e) non v'era infatti alcun conflitto di interessi di Carlo Man tovani per la sua doppia qualifica di presidente dell'Unione cal cio Livorno s.r.l. e di amministratore delegato della Merzario
s.p.a. e, comunque, tale conflitto non fu fatto valere con una
tempestiva azione di annullamento della delibera assembleare né può essere proposto in via di eccezione, ma richiederebbe un'autonoma domanda e il litisconsorzio necessario dello stesso
Mantovani;
f) il dedotto difetto di rappresentanza di Mantovani poi è ri masto privo di prova e comunque non era opponibile ai terzi,
perché non è assolutamente provato che la società poi fallita avesse agito a danno della Merzario s.p.a., ma risulta al contra rio che l'aumento di capitale era necessario per evitare lo scio
glimento della società e la perdita di qualsiasi valore delle quote già versate;
g) non ha alcun rilievo il fatto che la Merzario s.p.a. sia stata ammessa al passivo del fallimento Unione calcio Livorno s.r.l.
per i crediti derivanti da finanziamenti erogati alla società poi fallita, perché la pur possibile compensazione tra questi crediti e il debito derivante dall'omesso versamento dell'aumento di ca
pitale non è stata eccepita dalla Merzario s.p.a. I giudici d'appello, inoltre, accolsero altresì l'impugnazione
incidentale proposta da Carlo Caresana e dal fallimento Unione calcio Livorno s.r.l., riconoscendo al fallimento gli interessi le
gali sulla somma controversa con decorrenza, anziché dalla data della domanda, dal 9 febbraio 1991, data di scadenza dell'ob
bligazione di versamento dell'aumento del capitale della società
poi fallita. Contro la decisione d'appello ricorre ora per cassazione la Si
cura s.r.l., incorporante la Diligenza s.r.l. già Merzario s.p.a., e
propone sette motivi d'impugnazione, cui resistono con contro ricorso Carlo Caresana e il fallimento Unione calcio Livorno s.r.l.
Motivi della decisione. — (Omissis). 4. - Con il quarto moti vo la ricorrente deduce omessa pronuncia, violazione degli art.
112 c.p.c., 1394 c.c. e 2394 c.c. testo previgente, omissione, in sufficienza e contraddittorietà di motivazione.
Lamenta l'erroneo disconoscimento del conflitto di interessi di Carlo Mantovani, dedotto a norma dell'art. 1394 c.c. e quindi estraneo al tema della validità della delibera di aumento del ca
pitale sociale dell'Unione calcio Livorno s.r.l., ma relativo al
l'impegno di sottoscrizione dell'aumento del capitale. E ag
giunge che il difetto di rappresentanza di Mantovani, rispetto alle acquisizioni di partecipazioni della Merzario s.p.a. superiori a 50.000.000 di lire, era opponibile alla società poi fallita, con sapevole dell'irreversibile suo stato di dissesto.
Il Foro Italiano — 2006.
Il motivo è infondato.
Non v'è dubbio in realtà che, come sostiene la ricorrente, «la
disciplina dell'atto compiuto dall'amministratore unico in nome della società ed in conflitto d'interessi con la stessa si rinviene nell'art. 1394 c.c., e non nel successivo art. 2391, che presup pone, per la sua applicabilità, l'esistenza di una delibera consi liare» (Cass. 10 aprile 2000, n. 4505, Foro it., Rep. 2001, voce
Rappresentanza nei contratti, n. 10; 1° febbraio 1992, n. 1089, id., 1992,1,2139).
Non risulta chiarito tuttavia quale sia il dedotto conflitto di interessi di Carlo Mantovani, che partecipò all'assemblea della Unione calcio Livorno s.r.l. quale legale rappresentante del so cio Merzario s.p.a. e quale rappresentante di tale socio presie dette l'assemblea. La ricorrente sostiene che il conflitto derive rebbe dal doppio ruolo svolto da Mantovani, di presidente della Unione calcio Livorno s.r.l. e di amministratore delegato della Merzario s.p.a. Ma questo doppio incarico non valeva di per sé a determinare un conflitto di interessi, posto che Mantovani pre siedeva l'Unione calcio Livorno s.r.l. appunto in quanto rappre sentante del socio di maggioranza Merzario s.p.a. Infatti, secon do la giurisprudenza di questa corte, «il conflitto di interessi di cui all'art. 1394 c.c. postula un rapporto d'incompatibilità fra le
esigenze del rappresentato e quelle personali del rappresentante o di un terzo che egli a sua volta rappresenti, rapporto che va ri scontrato non in termini astratti ed ipotetici, ma con riferimento al singolo atto, di modo che è ravvisabile esclusivamente ri
spetto al contratto le cui intrinseche caratteristiche consentano l'utile di un soggetto solo passando attraverso il sacrificio del l'altro» (Cass. 20 febbraio 2004, n. 3385, id., Rep. 2004, voce
cit., n. 3). E nessuna specifica ragione di interesse personale di
Mantovani, contrapposto a quello della Merzario s.p.a., è stato dedotto dalla ricorrente; mentre nel momento in cui assunse
l'obbligo di sottoscrizione dell'aumento di capitale dell'Unione calcio Livorno s.r.l., Mantovani non agì come legale rappresen tante di questa società, bensì solo quale legale rappresentante della socia Merzario s.p.a. Infatti l'Unione calcio Livorno s.r.l. era terza rispetto al patto stipulato dai soci per regolare la sotto scrizione dell'aumento di capitale contestualmente deliberato
(Cass. 21 novembre 2001, n. 14629, id.. Rep. 2002, voce So
cietà, n. 662). Secondo la ricorrente d'altro canto, Mantovani avrebbe
comunque ecceduto i suoi poteri di rappresentanza, che non
gli avrebbero consentito l'acquisizione di partecipazioni della Merzario s.p.a. nell'Unione calcio Livorno s.r.l. superiori a 50.000.000 di lire.
Al riguardo i giudici del merito hanno rilevato che manca la
prova del dedotto difetto di rappresentanza; e che comunque es so non sarebbe opponibile alla Unione calcio Livorno s.r.l., per ché l'operazione di aumento del capitale di questa società non fu eseguita a danno della Merzario s.p.a., ma fu imposta dall'e
sigenza di ricostituirne il capitale perduto e di impedirne lo
scioglimento, che avrebbe determinato l'azzeramento del valore «delle altre quote».
La ricorrente replica che il difetto di rappresentanza esisteva, ma non ne indica le fonti di prova; e aggiunge che la dannosità
dell'operazione era resa evidente dalle condizioni dell'Unione calcio Livorno s.r.l.
Tuttavia nella giurisprudenza di questa corte è indiscusso che «nel giudizio di legittimità, il ricorrente che deduca l'omessa o insufficiente motivazione della sentenza impugnata per mancata o erronea valutazione di alcune risultanze probatorie ha l'onere, in virtù del principio di autosufficienza del ricorso per cassazio ne, di specificare, trascrivendole integralmente, le prove non o male valutate, nonché di indicare le ragioni del carattere decisi vo delle stesse» (Cass. 17 febbraio 2004, n. 3004, id., Rep. 2004, voce Cassazione civile, n. 149; 10 agosto 2004, n. 15412, ibid., n. 243). Mentre l'esigenza evocata dai giudici del merito di salvaguardare «le altre quote» non va riferita solo alle quote di minoranza, come ipotizza la ricorrente, bensì a tutte le quote
già versate, anche dalla Merzario s.p.a. 5. - Con il quinto motivo la ricorrente deduce violazione e
falsa applicazione degli art. 1362 c.c., 2495 e 2439 c.c. testo
previgente, insufficienza e contraddittorietà di motivazione.
Lamenta che erroneamente i giudici del merito abbiano rite
nuto vincolata la Merzario s.p.a. al versamento di una quota
proporzionale dell'aumento di capitale deliberato il 23 luglio
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PARTE PRIMA 3492
1990 dall'Unione calcio Livorno s.r.l., indipendentemente dal
l'effettiva sua sottoscrizione, così omettendo di distinguere tra
l'atto di deliberazione, di pertinenza della società, e l'atto di
sottoscrizione, di pertinenza del socio. Risultava invece chiaro
dalla delibera assembleare che, dell'aumento a 2.000.000.000 di
lire del capitale sociale dell'Unione calcio Livorno s.r.l., la
Merzario s.p.a. sottoscrisse una quota di soli 980.000.000 di
lire, senza alcun obbligo di sottoscrizione della parte restante. E
comunque nessun obbligo per la Merzario s.p.a. poteva residua
re una volta che alla scadenza del termine previsto la parte resi
dua dell'aumento di capitale deliberato il 23 luglio 1990 era
stata da altri soci sottoscritta e versata. Mentre tale comporta mento successivo doveva essere valutato almeno come criterio
di interpretazione della effettiva volontà delle parti. Il motivo è infondato.
Come risulta dalla sentenza impugnata, invero, nel verbale
del 23 luglio 1990 i soci dell'Unione calcio Livorno s.r.l.
non solo deliberarono di aumentare il capitale sociale a
2.000.000.000 di lire e di versare contestualmente la somma di
lire 980.000.000, ma deliberarono anche che la rimanente som
ma di 1.000.000.000 di lire sarebbe stata dagli stessi soci «sot
toscritta e versata nelle casse sociali entro sei mesi dal decreto
di omologa» della deliberazione di aumento del capitale. E que sta deliberazione è stata plausibilmente interpretata dai giudici del merito nel senso che i soci partecipanti alla deliberazione si
erano impegnati a sottoscrivere e versare la rimanente quota dì
capitale sociale in proporzione delle rispettive partecipazioni. Non v'è pertanto nella sentenza impugnata alcuna confusione
tra la deliberazione della società di aumentare il proprio capitale e l'atto di sottoscrizione di tale aumento da parte dei singoli so
ci. I giudici del merito hanno solo proposto una plausibile inter
pretazione di un patto parasociale, che vincolava personalmente i soci alla sottoscrizione dell'aumento di capitale deliberato
dalla società (Cass. 21 novembre 2001, n. 14629, cit.). La ricorrente lamenta peraltro che i giudici del merito abbia
no omesso di valutare, ai fini dell'interpretazione della volontà
dei soci, il loro comportamento successivo di sottoscrizione
della quota residua in proporzione diversa da quella delle parte
cipazioni iniziali. Sennonché, come risulta dallo stesso ricorso, la sottoscrizione
da parte degli altri due soci, Gino Benedetti ed Elisabetta Baf
fetti, di tutta la rimanente frazione di 1.000.000.000 di lire del
l'aumento di capitale deliberato il 23 luglio 1990 avvenne dopo il 9 febbraio 1991, data di scadenza del termine di sei mesi pre visto da quella delibera per la sottoscrizione e il versamento da
parte di tutti i soci. Sicché è evidente che quella sopravvenuta sottoscrizione fu intesa a porre rimedio a un inadempimento alle
obbligazioni assunte da tutti i soci con la delibera del 23 luglio 1990. E il comportamento conseguente all'inadempimento di un
contratto non può essere evidentemente utilizzato come criterio
di interpretazione della volontà delle parti al momento della sti
pulazione (Cass. 6 dicembre 1969, n. 3917, id., Rep. 1970, voce
Obbligazioni e contratti, n. 172). (Omissis)
Il Foro Italiano — 2006.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 28 lu
glio 2005, n. 15797; Pres. Preden, Est. Chiarini, P.M. De
stro (conci, diff.); Tinaro (Avv. V. e F. Camerini) c. Soc.
Snam. Cassa App. Milano 14 marzo 2003 e decide nel merito.
Notificazione e comunicazione di atti civili — Perfeziona mento per il notificante —
Consegna dell'atto all'ufficiale
giudiziario — Data — Prova (Cod. proc. civ., art. 137, 149; 1. 20 novembre 1982 n. 890, notificazione di atti a mezzo po sta e di comunicazioni a mezzo posta connesse con la notifi
cazione di atti giudiziari, art. 4).
Nel caso in cui il notificante intenda dimostrare che la data di
consegna dell'atto all'ufficiale giudiziario sia anteriore ri
spetto a quella attestata da quest'ultimo come data di inizio
del procedimento notificatorio, la prova può essere desunta
anche dal timbro apposto sull'atto da notificare, recante il
numero del registro cronologico e la data, ancorché non sot
toscritta dall'ufficiale giudiziario. (1)
Svolgimento del processo. — Con sentenza del 21 giugno
1996 la Corte d'appello di Milano confermava la sentenza del
Tribunale di Milano che aveva respinto l'opposizione a decreto
ingiuntivo per il pagamento della somma di lire 27.447.955, ot
tenuto dalla s.p.a. Snam nei confronti della s.r.l. Tinaro e del fi
deiussore Tinaro Domenico a titolo di interessi convenzionali
moratori per il corrispettivo di forniture di gas pagato tardiva
mente.
In particolare i giudici di appello rilevavano che l'art. 11 del
contratto di somministrazione — la cui clausola era stata appro vata specificatamente per iscritto dalla società Tinaro e dal fi
deiussore — conteneva la riserva della Snam di pretendere inte
ressi di mora al tasso bancario corrente sui pagamenti in ritardo
e pertanto sussisteva il requisito della prova scritta di cui all'art.
1284, 3° comma, c.c.
Proposto ricorso per cassazione da Tinaro Domenico, in pro
prio e nella qualità di amministratore unico della s.r.l. Tinaro
industria laterizi — mentre la Snam non svolgeva attività difen
siva — veniva accolto con sentenza 7523/99, non massimata,
per omesso esame della clausola n. 12 del contratto, con la
quale le parti avevano pattuito la durata annuale di esso, con
inizio il 1° gennaio 1983 e termine il 31 dicembre 1983, e previ sto il tacito rinnovo per un altro periodo annuale, e cioè «fino al
31 dicembre 1984», salva la facoltà di una delle parti, con pre avviso di tre mesi prima della scadenza, di comunicare per iscritto la volontà di non rinnovare il contratto, clausola decisiva
in relazione alla prospettazione del Tinaro, secondo il quale dal
1° gennaio 1985 gli interessi di mora sui pagamenti in ritardo
erano dovuti soltanto nella misura legale. Perciò la causa veniva
rinviata per nuovo esame.
Con sentenza del 14 marzo 2003 notificata il 9 giugno 2003
la Corte d'appello di Milano respingeva l'appello sulle seguenti considerazioni: 1) l'esecuzione del contratto di somministrazio
ne — cessato alla scadenza del 31 dicembre 1984 — era prose
guita nel 1985; 2) ai sensi dell'art. 1597, 1° e 2° comma, anche i
contratti scaduti possono essere tacitamente rinnovati alle stesse
condizioni del contratto precedente; 3) la nuova proposta con
trattuale della Snam per l'anno 1985 costituiva un tentativo —
tardivo, essendo datata 23 maggio 1986 — di modifica del pre cedente contratto, ma non si era realizzato; 4) pertanto gli inte
ressi moratori erano dovuti in base alle originarie previsioni contrattuali e la società Tinaro doveva essere condannata alle
spese, anche del giudizio di cassazione.
Avverso questa decisione ricorre per cassazione Tinaro Do
(I) Orientamento contrastato. La pronuncia è conforme a Cass. 1°
aprile 2005, n. 6836, Foro it.. Rep. 2005, voce Notificazione civile, n. 84. citata in motivazione, e giustifica la sua adesione al fine di «non rendere eccessivamente difficoltoso l'esercizio del diritto di impugna zione, salvaguardando al contempo le ragioni di certezza della data di
consegna dell'atto all'ufficiale giudiziario». Eccessivamente rigoroso appare il contrapposto indirizzo, che pretende la produzione della rice vuta, rilasciata ai sensi dell'art. 109 d.p.r. 15 dicembre 1959 n. 1229 dall'ufficiale giudiziario, dell'incarico affidatogli o l'attestazione dello stesso pubblico ufficiale circa la data di ricezione dell'atto medesimo
(così, Cass. 2 settembre 2004, n. 17714, id., Rep. 2004, voce cit., n.
27).
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