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Sezione I civile; sentenza 3 dicembre 1965, n. 2434; Pres. Fibbi P., Est. A. Rossi, P. M....

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Sezione I civile; sentenza 3 dicembre 1965, n. 2434; Pres. Fibbi P., Est. A. Rossi, P. M. Tuttolomondo (concl. conf.); Pasta (Avv. Pergola) c. Papa Source: Il Foro Italiano, Vol. 88, No. 11 (1965), pp. 2033/2034-2037/2038 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23156612 . Accessed: 28/06/2014 19:07 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 193.142.30.55 on Sat, 28 Jun 2014 19:07:36 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sezione I civile; sentenza 3 dicembre 1965, n. 2434; Pres. Fibbi P., Est. A. Rossi, P. M.Tuttolomondo (concl. conf.); Pasta (Avv. Pergola) c. PapaSource: Il Foro Italiano, Vol. 88, No. 11 (1965), pp. 2033/2034-2037/2038Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23156612 .

Accessed: 28/06/2014 19:07

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2033 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 2034

CORTE COSTITUZIONALE.

Sentenza 6 dicembre 1965, n.

cembre 1965, n. 309) ; Pres.

Finanze (Avv. dello Stato

75 (Gazzella ufficiali' 1 i di

Ambrosini P., Rei. Branca;

Tracanna).

Corte costituzionale — Contributi di previdenza

per gli avvocati Incostituzionalità della norma

tiva (Legge 25 febbraio 1963 n. 289, modifiche alla

legge 8 gennaio 1952 n. 6, sull'istituzione della Cassa

nazionale previdenza e assistenza a favore degli avvocati

e procuratori, art. 3, 4; legge 5 luglio 1965 n. 798, mo

difiche alle leggi 8 gennaio 1956 n. 6 e 25 febbraio 1963

n. 289, art. 2, 3).

Sono incostituzionali gli art. 2 della legge 5 luglio 1905 n. 798, nelle parole « alla Corte costituzionale » e 3 della stessa

legge nelle parole « della Corte costituzionale » ; e, a norma

dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953 n. 87, gli art. 3 della

legge 25 febbraio 1903 n. 289nelle parole « alla Corte

costituzionale » e 4 della stessa legge nelle parole « della

Corte costituzionale » (gli art. 2 e 3 della legg$ ». 798 del

1905 in quanto imponevano agli avvocati esercenti presso la Corte costituzionale un contributo che si riscuote con

Vapplicazione di marche da parte della cancelleria, e fa nno

gravare, su chi deve pagare o anticipare le spese di giudizio, un altro contributo, che si riferiva anche ai provvedimenti della Corte costituzionale ; gli art. 3 e 4 della legge n. 289

del 1903, in quanto avevano contenuto analogo a quello delle disposizioni citate). ( 1)

La Corte, ecc. - 1 due giudizi, quello promosso inciden

talmente dalla Corte costituzionale e quello promosso dalla Commissione delle imposte di Ascoli Piceno, devono essere decisi con due sentenze separate : essi infatti hanno oggetti diversi, anche se la pregiudizi alita dell'uno rispetto all'altro ne ha reso opportuna la discussione congiunta.

La questione, sollevata incidentalmente dalla Corte

costituzionale e relativa agli art. 2 e 3 della legge 5 luglio 1965 n. 788 è fondata.

L'art. 2 impone, fra l'altro, agli avvocati, che eserci

tano il proprio ministero presso la Corte costituzionale, un contributo che si riscuote evidentemente con l'applica zione di marche da parte della cancelleria ; l'art. 3 fa gra vare, su chi deve pagare o anticipare le spese di giudizio, un altro contributo, che si riferisce anche ai provvedi menti della Coi te costituzionale (prima copia) e si riscuote

in modo analogo. Le due disposizioni, come già la legge 25 febbraio 1963 n. 289 hanno dunque derogato all'assoluta

gratuità che caratterizza i giudizi davanti a questa corte.

Che tali procedimenti debbano essere del tutto gratuiti è principio connaturato al sistema della giustizia costi

tuzionale (art. 134 e segg. della Costituzione) ; nella quale

appunto l'interesse, che si deve tutelare, è quello obiettivo

e generale di eliminare dall'ordinamento gli atti contrari

a norme costituzionali. Non si nega infatti che le parti, co

munque esse si vogliano qualificare, siano o possano essere mosse da interessi propri o personali ; ma si vuol dire che

questi interessi, pur essendo presenti, -non affiorano nell'arco

del giudizio, tutto spiegato verso la sola attuazione di quel fine obiettivo. Ne sono conferma le norme che riservano

la proposizione del giudizio di legittimità costituzionale solo

all'autorità giudiziaria (giudizio promosso in via inciden

tale anche d'ufficio) o a soggetti muniti di potestà legisla tiva (giudizio proposto in via principale) e consentono al

presidente del Consiglio dei ministri o della giunta regio nale di intervenirvi.

Dato ciò, il giudizio di legittimità costituzionale, pur ammettendo la partecipazione di parti private, si svolge al di

sopra dei loro interessi e non consente ostacoli, anche lievi

o indiretti, al proprio svolgimento. Ne deriva che ad esso

(1) L'ordinanza 11 novembre 1965, n. 73 della Corte costi

tuzionale è riportata in questo fascicolo, I, 2 !2ti, con nota di ri

chiami.

è naturalmente estraneo ogni concetto di soccombenza : non vi sono nò vincitori nè vinti, rispetto al fine che lo

domina, mentre qualunque adempimento pecuniario, an che esiguo, può costituire una remora a quella ampia colla borazione che, nei limiti previsti dalla legge, è innegabil mente utile o perfino necessaria.

Questo spiega come le leggi n. 87 del 1953 (art. 21), n. 2(55 del 1958 (art. 3) oltreché le norme integrative appro vate dalla Corte costituzionale (art. 16 e 30) escludano

imposizioni tributarie e condanne nelle spese. Si tratta di norme che non hanno valore costituzionale, ma è indubbio che esse svolgono principi già contenuti nel sistema costi tuzionale ; tale è fra l'altro il significato del rinvio che alla

prima di esse è fatto dalla legge cost. 1953 n. 1, art. 1. Del resto i precetti costituzionali, cioè gli art. 134 e segg. della Costituzione e il primo articolo delle leggi n. I del 1948 e n. 1 del 1953, attribuendo a questa corte il compito di difesa dell'ordinamento costituzionale, non possono con sentire che siano colpiti da oneri pecuniali, che appesanti scono il corso del giudizio, proprio coloro che collaborano a tale funzione.

Analoghe considerazioni valgono per i giudizi che risol vono conflitti di attribuzione e per i giudizi di responsabi lità del Capo dello Stato e dei ministri : i primi riguardano atti di cui si denuncia il contrasto con norme costituzionali; i secondi, riguardando soggetti che sono ai vertici dello

Stato, coinvolgono principi, procedimenti e garanzie di ordine costituzionale.

La legge 25 febbraio 1963 n. 289, negli art. 3 e 4, aveva contenuto analogo a quella denunciata : perciò anche di

essa, per gli effetti che possano ancora derivarne, si deve dichiarare la illegittimità costituzionale in applicazione dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953 n. 87.

l'er questi motivi, la Corte costituzionale dichiara l'ille

gittimità costituzionale degli art. 2 della legge 5 luglio 1965 n. 798, nelle parole « alla Corte costituzionale » e 3 della stessa legge nelle parole « della Corte costituzionale » ; di chiara inoltre, a norma dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953 n. 87, l'illegittimità costituzionale degli art. 3 della

legge 25 febbraio 1963 n. 289, nelle parole « alla Coite costituzionale » e 4 della stessa legge nelle parole « della Corte costituzionale ».

CORTE SUPREMA III CASSAZIONE.

Sezione I civile ; sentenza 3 dicembre 1965, n. 2434 ; Pres. Fibbi P., Est. A. Rossi, P. M. Tuttolomondo (conci, conf.) ; Pasta (Avv. Pergola) c. Papa.

(Cassa Trib. Palermo 20 ottobre 1962)

Privilegio — Crediti dei prestatori di lavoro Limili

(Cod. civ., art. 2751, n. 4).

Il privilegio generale sui mobili assiste il credito del presta tore di lavoro subordinato per le retribuzioni dei sei mesi

anteriori alla cessazione del rapporto, a nulla rilevando

il momento in cui il credito è fatto valere nei confronti del datore di lavoro. (1)

La Corte, ecc. — Il ricorrente, lamentando violazione

e falsa applicazione dell'art. 2751, n. 4, cod. civ., censura

(1) La Cassazione conferma l'indirizzo segnato con le sen tenze 14 novembre 1956, n. 4242 e 9 gennaio 11)57, n. 32, Foro

it.., 1957, I, 10 e 571, cui non contrasta (com'è spiegato in motiva

zione) Cass. 26 giugno 1958, n. 2276, id., 1958, I, 1641, a propo sito del credito dei professionisti.

Conformi, da ultimo, tra i giudici di merito, Trib. Milano 15 giugno 1964, id., Ilep. 1964, voce Fallimento, n. 418; Trib. Roma 31 luglio 1961. id., Rep. 1962, voce cit., n. 513; Trib. Roma 18 dicembre 1958, id., Rep. 1959, voce cit., n. 427. Contra Trib. Palermo 6 aprile 1959, id.. Rep. 1959, voce Privilegio, n. 12 ; Trib. Perugia 11 febbraio 1957, id., Rep. 1958, voce cit., n. 6.

Il Foro Italiano — Volume LXXXV111 — Parte /—131.

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2035 PARTE PRIMA 2036

la sentenza impugnata, per avere interpretato tale norma nel senso che le retribuzioni privilegiate, «dovute ai pre statori di lavoro subordinato per gli ultimi sei mesi », sono

quelle spettanti per i sei mesi anteriori alla dichiaraz one del fallimento o all'inizio della procedura esecutiva.

Secondo il ricorrente, il termine di sei mesi ha soltanto funzione di limite quantitativo, e pertanto, in caso di fal limento del datore di lavoro, i crediti relativi alle retribu zioni spettanti, sotto qualsiasi forma, ai prestatori di la voro subordinato vanno, entro tale limite, ammessi al pas sivo in via privilegiata, indipendentemente dal tempo inter corso tra la cessazione del rapporto e la dichiarazione del fallimento.

Il ricorso è fondato. E noto che la questione relativa

all'interpretazione da dare al 4° comma dell'art. 2751 cod. civ. (hanno privilegio generale sui mobili ... le re tribuzioni dovute, sotto qualsiasi forma, ai prestatori di lavoro subordinato per gli ultimi sei mesi e tutte le inden nità dovute per effetto della cessazione del rapporto di

lavoro) ha formato oggetto di contrastanti decisioni dei

giudici di merito.

Da taluni è stato, ritenuto che «gli ultimi sei me-i» dovessero calcolarsi, a ritroso, dal momento in cui il privi legio è fatto valere in sede esecutiva o alla dichiarazione di fallimento, con le inevitabili conseguenze nel caso in cui il rapporto di lavoro sia cessato da oltre sei mesi, e da

altri, invece, che il privilegio dovesse assistere il credito

riguardante gli ultimi sei mesi di lavoro, senza alcun ri

guardo alla data della dichiarazione del fallimento o della esecuzione forzata individuale.

Il tribunale ha adottato la prima soluzione, fondandosi essenzialmente sul precedente storico dell'art. 773, n. 1,

dell'abrogato codice di commercio, che ammetteva tra i crediti privilegiati i salari dovuti agli operai e ai com messi o institori del fallito maturati rispettivamente uno o sei mesi prima della dichiarazione di fallimento, e del fatto che la « maturazione » (al 31 gennaio 1959) del ere dito del l'asta e la dichiarazione del fallimento della so cietà S.a.g.r.a.t. intercorsero più di sei mesi ha derivato la conseguenza che il credito del ricorrente per « retribu zioni e compensi » non fosse assistito da privilegio.

Il Supremo collegio ha, però, diversamente risolto la

questione, tanto con la sentenza 14 novembre 1956, n. 4242 (Foro it., 1957, I, 16), in cui la trattò per la prima volta, quanto nella sentenza 9 gennaio 1957, n. 42 (ibid., 571), nel senso che, in caso di fallimento del datore di la voro il termine di sei mesi per il privilegio relativo alle retribuzioni dei prestatori d'opera, stabilito dall'art. 2751, n. 4, ha soltanto funzione di limite quantitativo del cre dito assistito dal privilegio, onde tale credito, entro tale

limite, va ammesso al passivo in via privilegiata, anche

quando la cessazione del rapporto di lavoro si sia verifi cata più di sei mesi prima della dichiarazione del falli mento.

Il collegio ritiene di mantenere ferma tale opinione, che trova conforto dal raffronto del tenore della norma in esame con quello di altre disposizioni dello stesso art. 2751, ed è conforme ai principi ispiratori della vigente legisla zione del lavoro.

Come è già stato chiarito (sentenze citate) l'art. 2751, n. 4, 11011 è, contrariamente a quanto ha dimostrato di ri tenere il tribunale, la riproduzione dell'art. 773 cod. comm., con la sola variante della generalizzazione del privilegio, non più limitato alla sola ipotesi del commerciante fallito, giacché , anche a voler prescindere dall'argomento letterale, da taluni addotto, secondo cui il richiamo alla « cessazione del rapporto di lavoro », contenuto nella norma vigente, an drebbe riferito, non soltanto ai crediti per «infermità»

(non vincolati da termine alcuno e distinto dalle « retribu zioni »), ma anche alle retribuzioni stesse l'interpretazione più adeguata da dare alla espressione « retribuzioni dovute

per gli ultimi sei mesi » sembra quella di « ultimi sei mesi di retribuzioni dovute ».

Il legislatore, infatti, quando, non ha voluto soltanto limitare quantitativamente la misura del credito privile

giato, come, secondo l'opinione che si accoglie, lia fatto nel n. 4 dell'art. 2751, ma inteso riferirsi a un tempo pre stabilito, lo ha detto espressamente, come nel n. 2 dello stesso art. 2751, riconoscendo il privilegio alle spese d'in fermità fatte « negli ultimi sei mesi della vita del debitore ».

Se la dizione del n. 4 indicasse il termine nel quale il diritto deve essere fatto valere, ossia un termine di deca

denza, ben difficilmente, come è già stato posto in evidenza

(sent. n. 4242 del 1956, citata), il creditore potrebbe usu fruire del privilegio per l'intera semestralità delle sue com

petenze, giacché i sei mesi sarebbero, in tutto o in parte, assorbiti dal tempo occorrente per procurarsi il titolo ese cutivo o per provocare la dichiarazione di fallimento del

debitore, con la inevitabile conseguenza della perdita totale o parziale, di un credito che costituisce per il lavoratore la fonte dei mezzi di sussistenza. Il che sarebbe in aperto contrasto con lo spirito e il sistema del nostro ordinamento

giuridico in materia di lavoro, diretto a maggiormente tutelare i crediti relativi a prestazioni di lavoro subordi nato.

La regolamentazione, per vero, che il privilegio de quo ha ricevuti; con l'art. 2751, n. 4, si stacca dall'immediato

precedente storico della norma, per aderire alla ininter rotta evoluzione delle leggi sul lavoro.

Ne sono prova la generalizzazione data al privilegio stesso, la maggiore estensione e la collocazione di questo nelle disposizioni generali sulle cause di prelazione.

La mancata riproduzione nell'art. 2751, n. 4, dell'inciso « precedenti alla dichiarazione di fallimento » dell'art. 773 conferma altresì la portata innovativa della nuova norma, che menzionando solo « le retribuzioni dovute per gli ultimi sei mesi », ha staccato la semestralità privilegiata dal dies excussionis e, nel caso di fallimento, dalla dichiarazione di questo.

D'altra parte, risiedendo la ratio della nuova disposi zione nella necessità di maggiormente tutelare il prestatore di lavoro subordinato in ogni suo diritto, sembra logico ritenere che il nuovo legislatore abbia voluto garantire, con un apposito diritto di prelazione, almeno una parte, per un massimo fino a sei mesi, delle retribuzioni non corri

sposte, e abbia soppresso l'inciso relativo al fallimento come punto di decorrenza del termine, per non avere dato alcun rilievo al momento in cui il credito è fatto valere.

Senza pregio è il richiamo fatto dal tribunale alla sen tenza 26 giugno 1958, n. 2276 (Foro it., 1958, 1, 1641), con cui la Suprema corte ha identificato le retribuzioni dei professionisti e di ogni altro prestatore d'opera intel lettuale « dovuto per l'ultimo anno », privilegiate a norma dell'art. 2751, n. 5, nelle retribuzioni dell'anno anteriore alla data dell'inizio della procedura esecutiva (pignora mento), giudicando irrilevanti, per la decorrenza a ritroso

dell'anno, tanto il momento in cui il privilegio si faccia valere mediante intervento nella procedura esecutiva da altri promossa, quanto la cessazione della prestazione.

Tale principio è stato, infatti, stabilito con l'avver tenza (sent. n. 2276 del 1958, citata) che la somiglianza, sulla quale e sulla dizione, identica, dei nn. 4 e 5 dell'art. 2751

(« retribuzioni dovute per gli ultimi sei mesi » « per l'ultimo anno ») la sentenza impugnata ha basato il pro prio convincimento, tra il rapporto di prestazione d'opera intellettuale e quello di prestazione di lavoro subordinato è soltanto apparente, in quanto le diversità essenziali esistenti tra i due rapporti circa l'oggetto, circa le moda lità con cui l'attività viene prestata e circa il sistema re tributivo (subordinazione, continuità, salario determinato, da corrispondere a tempo convenuto, nel contratto di la voro subordinato : autonomia, occasionalità e onorario non fisso nell'opera fornita nell'esercizio di una professione intellettuale) non consentono di regolare i rapporti stessi in base a un principio comune.

In particolare, l'occasionalità dell'opera professionale e il mancato formarsi di un rapporto giuridico continuativo tra professionista e cliente renderebbe difficile determinare il momento risolutivo della prestazione dell'opera profes sionale e fissare il momento da cui fare decorrere, a ritroso,

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2037 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 2038

l'anno «li retribuzione dovuta, fissazione che, invece, è

possibile nel rapporto di lavoro subordinato, dove è agevole

prendere per base la data di risoluzione del rapporto. In conclusione, il privilegio generale sui mobili, che a

norma dell'art. 2751, n. 4, assiste i crediti del prestatore di

lavoro subordinato, riguarda le retribuzioni dovute per i

sei mesi anteriori alla cessazione del rapporto di lavoro, a

nulla rilevando, salvo che non sia intervenuta la prescri

zione, il momento in cui il credito è fatto valere contro il

datore di lavoro o sia stato dichiarato il fallimento di questo. Per questi motivi, cassa, ecc.

CORTI- SUPREMA DI CASSAZIONE.

Sezione I civile ; sentenza 23 novembre 1065, n. 2405 ;

Pres. Favara I'., Est. Aiuenzo, P. M. Tavolaro (conci,

conf.) ; Soc. Cave Emilia (Avv. Filippi, Guerra, Stop

pato) c. Soc. Le Assicurazioni d'Italia (Avv. Marinelli).

(Cassa App. Bologna 20 luglio 1062 ; conferma App. Bolo

gna 24 novembre 1060)

Assicuruzione (coniratio ili) Assirurazionc facol

tativa infortuni Morte dell'assicurato In

{li'iiui/.xo a<11i creili Surrojjazioiic dell assicu

ratore (Coil, civ., art. 1916).

Nel caso di morte del dipendente, volontariamente assicurato

dal datore di lavoro per gli infortuni e le disgrazie acci

dentali, comprensive del caso di morte, l'assicuratore che ha

indennizzato gli eredi può, surrogandosi nei loro diritti,

rivalersi contro il terzo responsabile della morte dell'assicu

rato. (1)

La Corte, ecc. — Col primo motivo la ricorrente deduce

la violazione degli art. 1411, 1882 e 1920 cod. civ. con rife

rimento all'art. 3(50, nn. 3 e 5, cod. proc. civ. e sostiene

che dalla distinzione tra infortuni dai quali derivano danni

temporanei o permanenti alla persona e infortuni con esito

mortale conseguirebbe l'ammissibilità della surroga a favore

dell'assicuratore, che abbia pagato l'indennità nel primo

caso e non anche nel secondo che non avrebbe carattere in

dennitario. Aggiunge, poi, che la corte del merito, dopo

aver previsto la possibilità di un'assicurazione mista, avente

fine ad un certo limite della somma assicurata carattere

d'assicurazione contro i danni e, oltre quel limite, natura

d'assicurazione sulla vita, avrebbe ritenuto ammissibile

la surroga entro il detto limite, omettendo di considerare

che, dato il contenuto previdenziale dell'assicurazione in

fortuni per il caso di morte, equivalente all'assicurazione

sulla vita, non potrebbe procedersi all'arbitrario criterio

dell'entità del capitale assicurato secondo una distinzione

caso per caso. Sostiene, inoltre, la ricorrente che la sentenza

(1) In senso conforme : App. Bologna 12 giugno 1064, Foro it.,

Rep. 1964, voce Assicurazione (contratto), n. 01 ; Capotosti, in

Riv. dir. civ., 1063, II, 487 (precisa che se l'infortunio ha provo cato la morte, la surrogazione dell'assicuratore trova luogo solo se esistono eredi legittimi o testamentari che assumano

la stessa posizione del dante causa). Vigente il codice di commercio, che non conteneva una

norma simile a quella dell'ult. comma dell'art. 1016, la giuri

sprudenza della Cassazione escludeva la surroga : 16 luglio

1041, nn. 2172 e 2224, Foro it.. Rep. 1061, voce cit., nn. 178,

102, 193 ; 12 luglio 1930, n. 2405, id., Rep. 1039, voce cit., n. 163 ;

12 dicembre 1938, n. 3184, id., Hep. 1038. voce cit., n. 250 :

27 aprile 1037, id., 1937, I, 747 (fra i giudici di merito: App. Milano 6 maggio 1038, id., 1038, I, 1199).

E noto il contrasto a proposito della natura dell'assicura

zione facoltativa infortuni e della possibilità di classificarla nel

genus vita, in quello danni o in un tertium genus : per la seconda

soluzione Pret. Milano 18 aprile 1963, id., Rep. 1064, voce cit.,

n. 143 (annotata da Durante, in Dir. e pratica assic., 1063,

624) ; Trib. Milano 25 settembre 1961, Foro it., 1962, I, 842,

con ampia nota di richiami, cui adde Cass. 13 novembre 1064,

n. 2735, id., 1064, I, 1015, con altri richiami.

impugnata avrebbe confuso tra surroga nel caso d'assicu

razione obbligatoria per gli infortuni sul lavoro degli operai e norme applicabili nel caso d'assicurazione volontaria

contro gli infortuni. Infine, conclude che la surroga a favore

dell'assicuratore è possibile solo nei diritti che spettano all'assicurato e non in quelli spettanti ai beneficiari per di

ritto proprio. La doglianza, che investe sotto vari aspetti l'applica

zione al caso concreto della norma che disciplina il diritto

di surroga dell'assicuratore (art. 1916, ult. comma, cod.

civ.), è infondata.

L'impugnata sentenza non definitiva ha accertato, at

traverso la prodotta polizza, che la soc. I.s.p.r.a. aveva

assicurato l'ing. Cappelletti, suo direttore tecnico, contro

gl'infortuni professionali ed extraprofessionali per un capi

tale, in caso di morte, di lire 10 milioni da pagarsi agli eredi

di lui, e che, deceduto il Cappelletti a seguito dell'infortunio

occorsogli nello stabilimento della soc. Cave Emilia, ove

era stato inviato per controllare un nastro trasportatore di ghiaia, la soc. Le Assicurazioni d'Italia aveva corrisposto ai beneficiari la somma suddetta. Ciò posto con riguardo all'identificazione degli elementi oggettivi di merito, la

corte ha respinto la tesi della soc. Cave Emilia, che per ne

gare la surroga legale dell'assicuratore, ammessa per le assi

curazioni contro i danni, sosteneva che, nel caso concreto,

si trattasse d'assicurazione sulla vita, considerando che ras

sicurazione stipulata dalla soc. I.s.p.r.a. aveva carattere

indennitario in quanto diretta a risarcire un danno concreto

e che non si trattasse d'assicurazione mista contro gli in

fortuni e sulla vita. Per quanto, poi, attiene ai presupposti

giuridici della decisione, la sentenza impugnata si è ispi rata ad esatti principi di diritto.

Invero, l'assicurazione privata contro gli infortuni è un

contratto d'assicurazione che copre l'assicurato contro le

lesioni corporali dovute a causa violenta esterna e provo cante invalidità temporanea, permanente e morte. Sotto

il vigore del codice di commercio abrogato (art. 440) era

dibattuto se il diritto di surroga, dell'assicuratore nei con

fronti del terzo responsabile del danno fosse applicabile anche all'assicurazione privata contro gli infortuni e, per

ciò, il codice civile ha eliminato ogni discussione, ricono

scendo espressamente l'applicabilità della surroga legale

(art. 1916, 3° comma) anche in questo ramo dell'assicura

zione al fine di salvaguardare, col principio indennitario,

quello della responsabilità con l'evitare l'esonero del terzo.

Il codice civile non ha precisato testualmente se rassicu

razione infortuni debba essere ricondotta nel regime giu ridico dell'assicurazione contro i danni o di quella sulla

vita, ma si è solo limitato a chiarire con la citata norma

che all'assicurazione infortuni s'applica il principio, tipico dell'assicurazione contro i danni, della surroga dell'assi

curatore nei diritti dell'assicurato contro il terzo responsa bile del sinistro. In mancanza di tale disposizione generale, alle assicurazioni private infortuni, regolate da norme con

trattuali e da quelle generali del codice civile, non si poteva

applicare il principio di rivalsa previsto dalla legge speciale sulle assicurazioni sociali infortuni sul lavoro (r. decreto

17 agosto 1935 n. 1765) dato il loro carattere di ius singu ltire non suscettibile, come tale, di applicazione analogica.

Con riguardo all'ultima censura contenuta nel motivo

in esame e fondata sulla distinzione tra i termini « assicu

rato » e «beneficiario» devesi rilevare che nell'ipotesi d'in

fortunio mortale, rientrante nelle assicurazioni contro

gli infortuni, la surroga non può che avvenire nei diritti

del beneficiario per cui la locuzione usata nella norma deve

essere intesa come diretta ad attuare la possibilità di rivalsa

dell'assicuratrice (che abbia pagato a chi di diritto l'inden

nizzo) verso il terzo responsabile, altrimenti se ne limite

rebbe arbitrariamente la portata. In conclusione, a norma dell'ult. comma dell'art. 1916

cod. civ., il diritto di surroga dell'assicuratore, che abbia

corrisposto l'indennizzo, verso il terzo responsabile, è appli

cabile anche alle assicurazioni volontarie contro gli infortuni

sul lavoro e contro le disgrazie accidentali, anche se com

prensive del rischio di morte. Per effetto di questa disposi

zione, che prescinde dall'assimilazione dell'assicurazione

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