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Sezione I civile; sentenza 3 dicembre 1983, n. 7237; Pres. Brancaccio, Est. Contu, P. M. Pandolfelli...

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Sezione I civile; sentenza 3 dicembre 1983, n. 7237; Pres. Brancaccio, Est. Contu, P. M. Pandolfelli (concl. conf.); Mosca (Avv. Ruggiero) c. Min. difesa (Avv. dello Stato La Porta). Cassa App. Napoli 29 maggio 1981 Source: Il Foro Italiano, Vol. 107, No. 1 (GENNAIO 1984), pp. 59/60-63/64 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23175930 . Accessed: 25/06/2014 03:55 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.78.108.105 on Wed, 25 Jun 2014 03:55:03 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sezione I civile; sentenza 3 dicembre 1983, n. 7237; Pres. Brancaccio, Est. Contu, P. M.Pandolfelli (concl. conf.); Mosca (Avv. Ruggiero) c. Min. difesa (Avv. dello Stato La Porta). CassaApp. Napoli 29 maggio 1981Source: Il Foro Italiano, Vol. 107, No. 1 (GENNAIO 1984), pp. 59/60-63/64Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23175930 .

Accessed: 25/06/2014 03:55

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PARTE PRIMA

L'appello con riserva dei motivi, inidoneo a determinare il

decorso del termine d'impugnazione, è anche inidoneo alla vo

catio in ius dell'appellato, che per svolgere le sue difese e pro

porre eventualmente appello incidentale deve conoscere i mo

tivi formulati, che a loro volta presuppongono la pubblicazione della sentenza. D'altra parte il ricorso di appello con riserva dei

motivi, coerentemente al suo scopo, può provocare la convoca

zione delle parti avanti al collegio per l'esame della istanza di

sospensione dall'esecuzione, ma, non sorretto da completa argo

mentazione e per di più non accompagnato dalla copia della

sentenza ancora non pubblicata, non vale a porre in contatto

il giudice con la obiettiva realtà processuale e quindi a segnare

il decorso del termine per la nomina del relatore e la fissazione

dell'udienza di discussione a norma dall'art. 435 c.p.c.

Un atto processuale, come delineato dall'art. 433 c.p.c., è un

atto complesso a formazione progressiva, che consta del ricorso

e dei motivi con la cui presentazione si perfeziona.

La presentazione dei motivi costituisce un necessario comple

tamento dell'atto iniziale secondo quanto si può desumere dal

testo legislativo « con riserva dei motivi, che dovranno essere

presentati nel termine di cui all'art. 434 » e cioè nel termine di

trenta giorni dalla notificazione della sentenza (o quaranta nel

caso di notificazione all'estero), che, non a caso, coincide con

quello normale di decadenza dell'appello, completo sin dall'ini

zio di tutti i necessari requisiti. La necessaria presentazione dei

motivi, pertanto, vale a conferire ad un atto, inizialmente diretto

alla sospensione dell'esecuzione, la funzione normale di grava

me, in tutta la sua ampiezza ed efficacia.

È in proposito pertinente la constatazione, contenuta nella

sentenza di questa Corte suprema n. 2896 del 2 luglio 1977 (id.,

1977, I, 1631), secondo cui vi è « parallelismo tra la progressio

ne formativa dell'atto complesso di appello (dichiarazione di

appello e successiva presentazione dei motivi) e la progressione

formativa della sentenza (lettura del dispositivo in udienza e

successivo deposito della sentenza completa di tutti i suoi ele

menti costitutivi) ed appunto per questo parallelismo, l'atto di

appello si completa dopo il perfezionamento della sentenza e,

perciò, può dirsi proposto soltanto in tempo successivo alla pub

blicazione di questa.

Ove, però, dopo la pubblicazione della sentenza l'appellante

non assolva l'onere di presentare i motivi, l'appello resta allo

stato di generico atto, anticipato ed incompleto, inidoneo come

tale a determinare gli effetti tipici di un normale atto d'impu

gnazione, e cioè ad impedire, con l'interruzione del termine di

decadenza, il passaggio in giudicato della sentenza impugnata.

In conseguenza del mancato assolvimento dell'onere, neces

sario a completare l'atto, si determina una situazione analoga

alla proposizione di un gravame, mancante dei requisiti pre

scritti. Ove invece i motivi siano presentati fuori del termine di

decadenza, stabilito dal combinato disposto degli art. 433, 2°

comma, e 434 c.p.c., si verifica l'intempestività del gravame sud

detto. In entrambi i casi d'inammissibilità l'eventuale costitu

zione dell'appellato non ha alcuna efficacia sanante, trattandosi

di termine di decadenza, inerente ad un presupposto processuale

dell'azione, il cui difetto il giudice è tenuto in ogni caso a rile

vare, anche d'ufficio, in ogni stato e grado del giudizio.

Nel caso in esame il tribunale, pur ammettendo che dopo la

notifica della sentenza di primo grado non erano stati presen

tati i motivi a corredo del proposto appello « con riserva », non

ha erroneamente individuato alcuna norma processuale, che

sanzionasse l'inammissibilità del gravame, e, sotto l'impulso di

un atto, inidoneo allo scopo, è passato alla trattazione della cau

sa, pervenendo ad una pronunzia di difetto di giurisdizione del

l'autorità giudiziaria ordinaria. In particolare il presidente del

tribunale, pur non essendovi tenuto, ha, a seguito della semplice

dichiarazione d'appello con riserva dei motivi, emesso i provve

dimenti previsti dall'art. 435, fissando con unico provvedimento

l'udienza per la sospensione dell'esecuzione e la discussione; il

collegio ha, poi, respinto con apposita ordinanza l'istanza di

sospensione per non essersi verificato l'inizio della esecuzione

forzata, ed ha fissato una successiva udienza per la trattazione

del merito. In tale situazione processuale mentre il composito

provvedimento presidenziale era abnorme, il successivo provve dimento collegiale avrebbe dovuto comunque determinare la

cessazione di ogni effetto dell'appello con riserva dei motivi,

essendosi tra l'altro verificata anche la mancanza del requisito, a cui l'atto doveva intendersi subordinato, e cioè F« inizio del

l'esecuzione », coincidente con l'atto di pignoramento (Cass.

8 luglio 1979, n. 3276, id., 1979, I, 1998).

La sentenza del giudice d'appello, che ha pronunciato nel me

rito del gravame, erroneamente ritenuto ammissibile, dà luogo ad una ipotesi riconducibile ad un caso « in cui la causa non

poteva essere proposta o il processo proseguito » (art. 382, 3°

comma, c.p.c.) e, pertanto, la sentenza stessa dev'essere cassata

senza rinvio. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione I civile; sentenza 3 dicem

bre 1983, n. 7237; Pres. Brancaccio, Est. Contu, P. M. Pan

dolfelli (conci, conf.); Mosca (Avv. Ruggiero) c. Min. di

fesa (Avv. dello Stato La Porta). Cassa App. Napoli 29 mag

gio 1981.

Danni in materia civile — Pubblica amministrazione — Violazio

ne di norme regolamentari — Responsabilità per i danni su

biti dal pubblico dipendente — Mancata impugnazione di prov vedimento amministrativo — Interruzione del nesso causale — Esclusione — Fattispecie (Cod. civ., art. 1227; cod. pen., art. 40, 41; 1. 20 marzo 1865 n. 2248, ali. E, sul contenzioso

amministrativo, art. 4, 5).

La p.a. che trasmetta con ingiustificato ritardo la domanda di

riscatto di un suo dipendente all'ente previdenziale è respon sabile dei danni sopportati dal pubblico dipendente pari al

maggior contributo accertato nei suoi confronti ed effettivamente riscosso mediante detrazione dall'indennità di buonuscita-, né

vale ad interrompere il nesso causale tra il comportamento illecito della p.a. ed il danno subito dal dipendente la man

cata impugnazione, da parte di quest'ultimo, del provvedimen to di determinazione del contributo adottato dall'ente previden ziale. (1)

(1) Non constano precedenti specifici in termini. iln realtà, la decisione in epigrafe, pur esaminando il caso di specie

sotto il profilo dell'interruzione del nesso causale, ha derivato la so luzione della controversia dalle indicazioni offerte dalla giurispru denza in margine al dibattuto tema del concorso di colpa dei danneg giato, segnatamente in relazione al dovere di correttezza gravante sul creditore e concretantesi nell'instaurazione di azioni giudiziarie. Ed in questo particolare ambito la giurisprudenza è più che abbondante e mostra caratteri di uniformità pressoché assoluta: è affermazione paci fica, infatti, quella secondo cui l'art. 1227, 2° comma, c.c. non impone — al fine di evitare il e.d. aggravamento del danno — « l'obbligo di iniziare un'azione giudiziaria, non essendo tenuto il creditore ad un'at tività gravosa e implicante rischi e spese, ancorché rientrante nelle sue facoltà » (cosi Cass. 3 ottobre 1979, n. 5057, Foro it., Rep. 1979, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 251; nonché Cass. 6 ottobre 1972, n. 2900, id., Rep. 1972, voce Danni civili, n. 54; 15 dicembre 1970, n. 2690, id., Rep. 1971, voce cit., n. 76; 15 gennaio 1970, n. 81, id., Rep. 1970, voce cit., n. 41; 28 marzo 1966, n. 816, id., Rep. 1966, voce cit., n. 46; v., inoltre, Cass. 17 aprile 1973, n. 1108, id., Rep. 1973, voce cit., n. 54, a cui dire « la partecipazione del creditore al processo fallimentare mediante insinuazione del proprio credito al pas sivo costituisce una facoltà, il cui mancato esercizio non costituisce mora credendi »; ma v. Cass. 8 aprile 1980, n. 2165, id., Rep. 1980, voce Spese giudiziali, n. 62, secondo cui il ritardo nell'intraprendere le azioni giudiziarie costituisce concorso di colpa nell'ipotesi della re sponsabilità processuale aggravata ex art. 96 c.p.c. poiché il danno derivante in questa particolare situazione « è sempre influenzato ed aggravato dalla durata eccessiva del processo, al cui verificarsi può concorrere il comportamento inattivo della controparte »; più incerto l'orientamento circa la necessità della domanda giudiziale per ottenere l'adempimento da parte del debitore come mezzo per attenuare i danni subiti dal creditore: propendono per la negativa le decisioni più risa

lenti, come Cass. 30 maggio 1959, n. 1631, id., Rep. 1959, voce Danni civili, n. 12, ed App. Firenze 30 gennaio 1956, id., Rep. 1956, voce cit., n. 34, che esclude l'aggravamento del danno da parte del credi tore il quale non abbia insistito nello svolgere azioni esecutive contro il debitore, mentre altre sentenze affermano la violazione del dovere di ordinaria diligenza da parte del creditore che omette di proporre tempestivamente le azioni giudiziarie necessarie ad ottenere l'adem pimento: cfr. Trib. Pisa 24 ottobre 1974, id., 1974, I, 3253, nella mo tivazione; e, ancora prima, App. Milano 18 gennaio 1952, id., Rep. 1952, voce Vendita, n. 411; per un singolare caso di specie v. App. Torino 27 aprile 1960, id., Rep. 1960, voce Responsabilità civile, n. 436: condannato al pagamento del residuo prezzo nei confronti del

venditore, il compratore impugna la decisione invocando, tra l'altro, la sospensione del processo in attesa della definizione, in sede penale, del giudizio da lui intentato contro terzi per la falsa testimonianza; ottenuta la condanna dell'imputato, il compratore non si cura di rias sumere il processo in sede civile, consentendo il passaggio in giudi cato della sentenza di condanna; la corte dichiara il difetto di ordina ria diligenza del compratore danneggiato che, col proprio comporta mento, ha consentito il verificarsi del danno derivante dalla sentenza

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Svolgimento del processo. — Con citazione del 3 febbraio

1977, Vincenzo Mosca convenne dinanzi al Tribunale di Napoli il ministero della difesa esponendo che: a) il 27 dicembre 1972

aveva presentato alla direzione di Marinarsen di Napoli (presso la quale lavorava) per il successivo inoltro al ministero della

difesa, il quale avrebbe dovuto inviarla all'E.n.p.a.s., domanda

diretta ad ottenere il riscatto del servizio non di ruolo e del ser

vizio militare e da militarizzato; b) tale domanda era pervenuta

all'E.n.p.a.s., solo il 20 gennaio 1976, con la conseguenza che il

contributo del riscatto era stato determinato in base allo stipen dio in godimento alla data del 20 gennaio 1975, con una diffe

renza di circa lire 2.000.000 in più rispetto a quello che avrebbe

dovuto essergli addebitato in caso di tempestivo inoltro della

domanda.

Chiese, pertanto, la condanna del ministero della difesa al

risarcimento del danno, nella misura di lire 2.000.000.

Il convenuto, costituitosi in giudizio, contestò la fondatezza

della domanda.

Con sentenza 6 giugno 1979, il tribunale adito condannò l'am

ministrazione a pagare la somma di lire 1.474.070 con gli inte

ressi legali dalla domanda.

Su gravame di entrambe le parti, la Corte d'appello di Napoli, con la sentenza ora impugnata, rigettò la domanda del Mosca.

I giudici del merito rilevarono che la delibera del consiglio di

amministrazione dell'E.n.p.a.s. del 28 giugno 1966, approvata con

d.m. 6 luglio 1966, con la quale si era stabilito che se la doman

da di riscatto perviene prima di dodici mesi dalla sua presenta zione all'amministrazione competente il contributo si determina

in base alla retribuzione in godimento alla data di presentazione della domanda stessa, mentre se perviene in periodo successivo

il contributo si calcola sulla retribuzione in godimento un anno

prima della ricezione della domanda, era illegittima per eccesso

di delega, in quanto la 1. 6 dicembre 1965 n. 1368 aveva limitato

il potere dell'ente previdenziale alla previsione delle tabelle dei

coefficienti attuariali. Ritennero, pertanto, che fosse illegittimo anche il provvedimento dell'E.n.p.a.s. di liquidazione del contri

buto di riscatto, e, affermatane l'impugnabilità dinanzi al giudice amministrativo, negarono l'esistenza di qualsiasi nesso di causa

lità tra il comportamento dell'amministrazione della difesa e

l'evento dannoso; sostennero, infatti, che la tardività dell'inoltro

della domanda all'E.n.p.a.s. diventava irrilevante, sotto il profilo del nesso eziologico, in una fattispecie in cui il danneggiato aveva

a disposizione un preciso rimedio giuridico nei confronti del

l'E.n.p.a.s. per essere reintegrato nella situazione patrimoniale

spettantegli per legge.

Contro tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Mo

sca, deducendo tre motivi illustrati con memoria. Resiste con con

troricorso il ministero della difesa.

di condanna); ugualmente, non si può richiedere al creditore l'impugna zione di atti amministrativi, posta l'onerosità e l'incertezza che accom

pagna questo tipo di iniziative (cfr. Cass. 26 gennaio 1980, n. 643, id., Rep. 1980, voce Danni civili, n. 76 [ma la sentenza ritiene che la soluzione sia di segno opposto ove venga fornita la prova « che l'espe rimento di siffatto rimedio avrebbe sortito esito positivo»]; 29 maggio 1978, n. 2706, id., Rep. 1978, voce cit., n. 44, in riferimento al pro cedimento contenzioso in materia tributaria; 14 luglio 1961, n. 1714, id., Rep. 1961, voce cit., n. 32; 25 febbraio 1959, n. 535, id., Rep. 1959, voce Responsabilità civile, n. Ili, ove è affermata l'irrilevanza — ai fini dell'art. 1227, 2° comma — dell'inerzia nel proporre ricorso

per l'esecuzione del giudicato di fronte all'inadempimento della p.a. nell'uniformarsi alla decisione; ma v. Trib. Bari 28 novembre 1963, id., 1964, I, 1263, a cui dire « qualora il proprietario di terreni colpiti da nubifragi ometta di impugnare nelle competenti sedi il provvedi mento dell'intendente di finanza che gli aveva negato gli sgravi fiscali richiesti, l'amministrazione non può considerarsi responsabile, in so lido con l'autore dell'atto, del pregiudizio da questo derivato al ri corrente, essendo venuto meno il nesso causale tra il provvedimento e l'evento dannoso ») né rientra nella nozione di aggravamento del danno « l'omissione della presentazione di un'istanza alla p. a. per sollecitarla a compiere attività discrezionali che potrebbero elidere il danno» (cosi Cass. 16 marzo 1970, n. 680, id., 1970, I, 1681, con nota di richiami; di recente v., sullo stesso principio, Cass. 17 no vembre 1978, n. 5328, id., Rep. 1978, voce Danni civili, n. 38; Trib.

sup. acque 21 maggio 1981, n. 14, id., Rep. 1981, voce Acque pub bliche e private, n. 80).

In dottrina, per un'ampia rassegna degli orientamenti su ricordati cfr. C. M. Bianca, Dell'inadempimento delle obbligazioni2, in Com

mentario, a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1980, 439 ss.; v., inoltre, G. Criscuoli, Il dovere di mitigare il danno subito (The duty of mitigation: a comparative approach), in Riv. dir. civ., 1972, I, 553, 591 s., che sembra circoscrivere — sulla scia degli orientamenti dominanti nell'esperienza anglosassone — le ipotesi in cui il creditore non sia tenuto all'esperimento di ricorsi giudiziari ai casi in cui si

prospettino « liti complicate e rischiose ».

Motivi della decisione. — La questione di fondo della presente controversia è stata sollevata con il terzo motivo il cui esame

riveste, pertanto, carattere preliminare. Con tale censura il ricorrente, denunziando la violazione degli

art. 4 e 5 1. 20 marzo 1865 n. 2248, in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c., deduce che non poteva raffigurarsi a suo carico un

onere di iniziare un giudizio aleatorio per sostenere l'illegittimità del provvedimento adottato dall'E.n.p.a.s., quando il danno da lui

subito discendeva direttamente dalla violazione di precise norme

regolamentari da parte del ministero della difesa; contesta, inol

tre, che le norme illegittime applicate dall'E.n.p.a.s. in base ai

principi sulla efficacia degli atti amministrativi, potessero essere

disapplicate dall'autorità giudiziaria ordinaria su istanza della p.a. Tale censura, pur essendo stata delineata con una certa con

fusione concettuale, è sostanzialmente fondata.

Nella sentenza impugnata non si contesta l'esistenza dell'even to dannoso subito dal Mosca, ma si nega che di esso debba ri

spondere civilmente il ministero della difesa, in quanto il suo

comportamento non sarebbe ricollegabile al danno sotto il pro filo del nesso eziologico.

La tesi, enunciata in forma apodittica e non sostenuta da una

adeguata indagine in tema di rapporto causale, non può essere condivisa.

Costituisce punto fermo della giurisprudenza di questa Corte

suprema che, in tema di nesso eziologico, tutti gli antecedenti diretti o indiretti, prossimi o remoti, senza i quali l'evento dan noso non si sarebbe verificato, vanno considerati causa di esso, eccettuando la sola ipotesi, sulla base del principio di casualità efficiente di cui all'art. 41 c.p., in cui sia individuabile, nella se

quenza causale, un antecedente prossimo (costituito da un accadi mento eccezionale e imprevedibile) idoneo da solo a determinare

l'evento, e che esclude di conseguenza l'efficacia causale degli antecedenti più remoti, retrocessi al rango di mere occasioni (v. per tutte Cass. nn. 826, 170, 73, 4387, 1228 del 1981, Foro it., Rep. 1981, voce Responsabilità civile, nn. 51-56). La corte na

poletana, richiamando espressamente il disposto dell'art. 41 c.p., ha riconosciuto che nella serie di cause da cui derivò il danno denunziato dal Mosca si inseri il comportamento antigiuridico del ministro della difesa, ma, ciò nonostante, ha negato ad esso rilevanza causale determinante. In altri termini non ha affermato la mancanza di qualsiasi nesso causale fra fatto ed evento dan noso ai sensi dell'art. 40 c.p. ma, con un esplicito riferimento alla

disciplina delle concause sancita dall'art. 41 c.p., ha sostenuto la rilevanza causale esclusiva di un altro fatto, introducendo cosi' nel ragionamento, anche se in modo latente, il concetto di in terruzione del nesso causale.

A questo riguardo è stato puntualizzato in linea generale dagli studiosi che se sussiste un messo di causalità quando il danno deriva realmente da un fatto dell'uomo, è ovvio che il medesimo nesso di causalità cessa di esistere quando il fatto dell'uomo, pur avendo efficacia produttiva del danno, non la esercita in con creto in virtù del sopraggiungere di un altro fatto, il quale, senza avere origine da esso, impedisce che si esplichi quella efficacia

causale, sostituendovi la propria: non rileva, allora, che il fatto

preesistente fosse idoneo a produrre il danno, poiché questo è stato prodotto solo dal fatto sopravvenuto. Nel nostro ordina mento un'espressa disciplina di interruzione del nesso causale è contenuta nel citato art. 41, 1° cpv., c.p. ohe, sebbene dettato

per la materia penale, è considerato espressione di un principio generale applicabile anche in campo civilistico.

Ai sensi di tale norma è indubbio, per ragioni logiche prima ancora che giuridiche, che può parlarsi di interruzione del nesso causale solo se l'antecedente al quale si attribuisca rilevanza causale esclusiva si inserisca nella serie di cause produttive dell'evento dannoso, intervenendo prima che questo si sia verifi cato. E poiché, nella fattispecie, dal comportamento antigiuridico del ministero della difesa (consistente nell'ingiustificato ritardo con cui la domanda di riscatto del Mosca venne trasmessa al

l'E.n.p.a.s.) derivò all'interessato un danno pari al maggiore con tributo accertato nei suoi confronti ed effettivamente riscosso, in base ad una disposizione regolamentare, mediante detrazione dal l'indennità di buonuscita, è ovvio che rispetto a tale evento dan noso perde qualsiasi efficacia causale un avvenimento successivo

quale la mancata impugnazione del provvedimento di determi nazione del contributo adottato dall'E.n.p.a.s. L'inerzia dell'in

teressato, infatti, non può assurgere al rango di causa (o concau

sa) dell'evento in quanto l'azione giudiziaria non avrebbe escluso la produzione di un danno già verificatosi ma avrebbe avuto inci denza in ordine alla riparazione di esso mediante la reintegrazio ne patrimoniale del danneggiato. E sulla riferibilità del danno alle ritenute effettuate dall'E.n.p.a.s. al momento del pagamento non

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PARTE PRIMA

può esservi dubbio poiché esiste, al riguardo, un accertamento

del giudice di merito, il quale — come si è già rilevato — ha

ammesso la esistenza dell'evento dannoso dedotto in giudizio ma

ha escluso la risarcibilità per l'asserita irrilevanza causale del

comportamento della p. a., adottando in tal modo una moti

vazione che, essendo radicalmente incompatibile, per ragioni

logiche, con il diniego della sussistenza del danno, pre suppone necessariamente — sia pure per implicito — che

esso si sia verificato secondo le modalità dedotte in giudizio dal

Mosca.

Spingendo più a fondo l'indagine deve inoltre rilevarsi che

non può, comunque, attribuirsi, incidenza interruttiva del nesso

causale alla inerzia dell'interessato per quanto concerne la tu

tela dei suoi diritti mediante la proposizione di una azione giu diziaria.

È autorevolmente affermato in dottrina che il mancato inter

vento del danneggiato può interrompere il nesso causale solo in

quanto a tale soggetto sia chiesto o imposto di adoperarsi per evitare il danno, e di tale principio ha fatto applicazione anche

la giurisprudenza quando ha affermato che, trattandosi di omis

sione, la causalità, a tenore della norma del 2° comma dell'art.

40 c.p., che per la sua natura di principio generale del nostro

diritto si deve applicare anche in materia civile, richiede un ob

bligo giuridico di impedire l'evento, vale a dire un obbligo di

un comportamento positivo, in luogo dell'inerzia, il quale sia

idoneo a produrre l'effetto ostativo (Cass. n. 1579 del 1978, id.,

Rep. 1978, voce Danni civili, n. 19; n. 66 del 1971, id., 1971,

I, 2656).

In piena coerenza con tali principi dottrina e giurisprudenza sono concordi nel negare che, nell'ambito del dovere di corret

tezza imposto dall'art. 1227 c.c. possa ravvisarsi l'obbligo di ini

ziare un'azione giudiziaria in quanto il creditore non è tenuto

ad una attività gravosa ed implicante un rischio, ancorché ciò

rientri nelle sue facoltà (Cass. n. 2900 del 1972, id., Rep. 1972,

voce cit., n. 54; n. 81 del 1970, id., Rep. 1970, voce cit., n. 41). È vero che questo orientamento si è formato con riferimento

all'esegesi dell'art. 1227 c.c., ma è sicuramente valido anche in

relazione all'interruzione del nesso di causalità per fatto del cre

ditore; in entrambi i casi, infatti, la questione attiene all'inciden

za esercitata sull'evento dannoso dal comportamento del credi

tore, e, in definitiva, all'esistenza del rapporto di causalità, tal

ché appare indubbio l'assoggettamento di essi al medesimo regime normativo.

Discende da tali premesse che la mancata proposizione di una

azione giudiziaria diretta ad impedire gli effetti dannosi causati

da un fatto altrui non può interrompere il nesso causale che col

lega tale fatto all'evento dannoso, sia perché non può affermarsi

la sussistenza di un dovere attinente alla instaurazione di una

controversia giudiziaria di esito incerto, sia perché il creditore

non può essere mai tenuto ad anticipare delle spese per evitare

l'evento dannoso o influire, comunque, sull'iter evolutivo dei

danni (Cass. n. 1898 del 1979, id., Rep. 1979, voce cit., n. 78; n. 5234 del 1978, id., Rep. 1978, voce cit., n. 38).

È indubbiamente sfuggito alla Corte d'appello di Napoli che

nel valutare l'incidenza assunta in relazione all'evento dannoso

del fatto — sicuramente non colposo — del danneggiato occorre

va riferirsi alla situazione esistente al momento in cui i contri

buti dovuti all'E.n.p.a.s. vennero calcolati e riscossi coattivamente

in misura superiore al dovuto, situazione caratterizzata da un

comportamento dell'ente pubblico che, in quanto conforme ad

una norma regolamentare, era assistito da una presunzione di

legittimità. È perciò insufficiente ogni riferimento ai risultati

attualmente acquisiti sulla illegittimità di tale norma, in quanto il discorso avrebbe dovuto essere piuttosto impostato sulle pro

spettive di successo derivanti da un'azione del danneggiato di

nanzi agli organi di giustizia amministrativa, alla luce della no

toria alcatorietà da cui siffatto giudizio è normalmente carat

terizzato.

L'errata impostazione del problema ha portato la corte del

merito ad esaminarlo esclusivamente sotto il profilo obiettivo,

trascurando di analizzarne i profili soggettivi, dai quali non po teva assolutamente prescindersi nel valutare il comportamento del danneggiato.

In un'indagine rivolta a individuare l'insieme delle cause pro duttive del danno diventa perciò irrilevante la pura e semplice constatazione che in sede di giustizia amministrativa sia stata

ormai accertata l'illegittimità della norma regolamentare che abi

litava l'E.n.p.a.s. ad imporre al Mosca un contributo superiore al dovuto: tale illegittimità non impediva infatti che il procedi mento producesse i suoi effetti fino alla dichiarazione di illegit

timità, o, comunque, alla caducazione dell'atto nei modi previsti

dall'ordinamento e — secondo quanto già rilevato — non poteva d'altronde ritenersi sussistente un dovere dell'interessato di im

pugnare un atto giuridicamente efficace e come tale pienamente esecutivo.

Da quanto sopra esposto deriva, in definitiva, che il danno

subito dal Mosca venne determinato da un lato dall'applicazione, da parte dell'E.n.p.a.s., di una norma regolamentare riconosciuta

poi illegittima, e dall'altro da un comportamento antigiuridico del

ministero della difesa, il quale diede causa all'applicazione di

tale norma inviando all'ente previdenziale la domanda di riscatto

presentata al termine espressamente previsto da altra norma re

golamentare.

Appare, perciò, del tutto irrilevante agli effetti decisori il

problema attinente al rapporto instauratosi fra FE.n.p.a.s. ed il

Mosca. Anche a voler ammettere, seguendo l'orientamento pre valente in dottrina, che l'autorità amministrativa possa sottrarsi

all'applicazione di un atto normativo illegittimo e non sia tenuta a darvi attuazione per il semplice fatto della sua operatività, è

infatti evidente che la facoltà dell'E.n.p.a.s. di disapplicare la

norma regolamentare di cui trattasi non esclude che nel compor tamento del ministero della difesa debba pur sempre ravvisarsi

quel ruolo di concausa dell'evento dannoso che costituisce fonte

di responsabilità civile. Deve quindi ritenersi che il potere del

danneggiato di far valere l'illegittimità del provvedimento del

l'E.n.p.a.s. non potesse paralizzare l'azione risarcitoria a lui

spettante contro il ministero della difesa per l'efficace contributo

causale fornito alla produzione dell'evento dannoso. È invece estranea alla fattispecie la mancata impugnazione del provvedi mento illegittimo, poiché a tale inerzia non può riconoscersi il

ruolo di causa unica e determinante dell'evento dannoso, come

ha ritenuto erroneamente la Corte d'appello di Napoli.

L'accoglimento del terzo motivo implica l'assorbimento degli altri due, con i quali si contesta l'illegittimità del d.m. 4 luglio 1966, nei termini in cui è stata ritenuta dai giudici di merito, e

si deduce un vizio di motivazione attinente all'omesso esame di

una circolare con la quale il ministero della difesa emanò istru

zioni agli uffici dipendenti circa l'acquisizione e l'inoltro della

domanda di riscatto.

Il ricorso va pertanto accolto, con conseguente cassazione della

sentenza impugnata e rinvio ad altra sezione della Corte d'ap

pello di Napoli. (Omissis)

'CORTE DI CASSAZIONE; Sezioni unite civili; sentenza 30

novembre 1983, n. 7184; Pres. Gambogi, Est. Corda, P.M.

Miccio (conci, conf.); Min. finanze (Avv. dello Stato Solimei) c. Soc. Montedison (Avv. Guidi, De Mita). Conferma Comm.

trib. centrale 6 marzo 1980, n. 2190.

Tributi in genere — Imposte dirette — Società ed enti non

residenti senza stabile organizzazione — « Royalties » percepite in Italia fino al 31 dicembre 1981 — Assoggettabilità —

Esclusione (D.p.r. 29 settembre 1973 n. 597, istituzione e

disciplina dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, art. 19;

d.p.r. 29 settembre 1973 n. 598, istituzione e disciplina del

l'imposta sul reddito delle persone giuridiche, art. 22; d.p.r. 29

settembre 1973 n. 599, istituzione e disciplina dell'imposta locale sui redditi, art. 3).

Le royalties percepite fino al 31 dicembre 1981 da società ed enti

non residenti che non hanno nel territorio dello Stato una

stabile organizzazione non sono assoggettabili ad imposte diret

te in Italia. (1)

(1) Con la decisione in epigrafe, cui hanno fatto seguito in pari data altre quattro identiche decisioni (nn. 7185, 7186, 7187 e 7188), le sezioni unite della Cassazione hanno risolto il contrasto sorto tra la

prevalente giurisprudenza della Commissione tributaria centrale (v., da

ultimo, dee. 18 febbraio 1983, n. 101, Foro it., 1983, III, 233, con nota di richiami) e l'unica pronuncia emessa da una sezione semplice della Cassazione stessa (sent. 17 giugno 1981 n. 3931, id., Rep. 1981, voce Tributi in genere, n. 427) circa la dibattuta questione della

assoggettabilità ad imposte dirette dei « redditi derivanti dalla utilizza zione economica di marchi di fabbrica e di commercio e dalla utilizzazione economica di opere dell'ingegno, invenzioni industriali e simili » (le c.d. royalties o redevances di cui all'art. 49, 2° comma, lett. b, del decreto i.rjp.e.f.) percepiti da società ed enti non residenti in Italia fino al 31 dicembre 1981.

Oggetto di tale contrasto era la classificazione da dare alle summen zionate royalties nell'ambito della previsione di cui all'art. 19 del decreto i.r.p.e.f. (nel testo in vigore fino al 31 dicembre 1981) il quale

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