sezione I civile; sentenza 3 dicembre 1986, n. 7148; Pres. ed est. Maltese, P.M. Grossi (concl.conf.); Cassa centrale di risparmio V. E. per le province siciliane (Avv. Maniscalco Basile) c. Fall.Gulì ( Avv. Sangiorgi Mancuso). Conferma App. Palermo 1° dicembre 1983Source: Il Foro Italiano, Vol. 110, No. 1 (GENNAIO 1987), pp. 39/40-45/46Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23179541 .
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PARTE PRIMA
9 della legge del 1956 e quindi l'inapplicabilità della decadenza
ivi prevista. Invero, in considerazione della brevità del termine
(trenta giorni) l'interessato sarebbe costretto a citare in giudizio anche la regione (o, comunque, il ministero, con successiva inte
grazione del contraddittorio nei confronti della regione) senza avere
a disposizione il tempo ragionevolmente occorrente per chiedere
alla regione, in via stragiudizionale, la comunicazione delle sue
determinazioni in proposito. D'altra parte, nei confronti della re
gione il giudizio non riguarderebbe affatto la partecipazione ad
alcuna liquidazione, perché la regione non « liquida » i debiti
ad essa attribuiti dalla legge, ma se li assume come successore
e li paga al di fuori di ogni procedura concorsuale. Non vi è,
pertanto, alcuna esigenza che nei confronti della regione siano
stabiliti dei termini per la partecipazione ad una procedura che
non la riguarda affatto. Si tratta di una normale tutela in giudi zio del credito, da farsi valere in via alternativa (e non solidale) 0 nei confronti della regione o nei confronti dell'ufficio liquida
zioni, e ad essa deve applicarsi la disciplina generale, perché la
regione è estranea alla procedura di liquidazione che giustifica 1 termini di decadenza stabiliti e, nel contempo, la negazione stra
giudiziale del debito da parte della regione crea l'interesse ad agi re contro lo Stato.
Corretta nei sensi suesposti (art. 384 c.p.c.) la motivazione in
diritto della sentenza, resta fermo il suo dispositivo conforme a
legge. Col ricorso incidentale la ditta chiede la cassazione della sen
tenza per la parte relativa all'esonero della regione Veneto dal
l'obbligazione passiva, cosi testualmente motivando: « L'artifi
ciosità delle argomentazioni dell'amministrazione dello Stato e della
regione Veneto sorreggono ad una più rigorosa interpretazione della legge che nell'incertezza della reale portata giuridica delle
norme e di r.d.l. inattuati non può che confermare il principio fondamentale della solidarietà a fronte di un'obbligazione, il cui
mancato pagamento verrebbe a concretarsi in un atto contra ius,
trattandosi di illecito arricchimento, apparendo logica la previsio ne normativa che può e deve legittimamente essere ricavata, non
da concezioni privatistiche che non possono trovare ingresso in
materia pubblicistica, anche se appare possibile esprimere qual che riserva, ma del dettato del richiamato art. 1 ».
Il ricorso è infondato. Nell'esaminare il ricorso principale si
sono dimostrate le ragioni per le quali il debito di cui si tratta
fa capo all'ufficio liquidazioni e non è stato trasferito alle regio
ni, per cui manca in radice la possibilità di affermare una respon sabilità solidale della regione, alla quale il pagamento non può richiedersi neppure per un supposto titolo di arricchimento, po sto che le spese per l'immobile sono state fatte in data anteriore
al suo trasferimento alla regione e che, inoltre, sono inapplicabi
li, perché dettate soltanto in materia di comunione e di condomi
nio degli edifici, le disposizioni degli art. 1104, 3° comma, 1123
c.c. e 63, 2° comma, disp. att. c.c. sulla responsabilità solidale
dei cessionari partecipanti alla comunione. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 3 dicembre
1986, n. 7148; Pres. ed est. Maltese, P.M. Grossi (conci, conf.); Cassa centrale di risparmio V. E. per le province siciliane (Aw. Maniscalco Basile) c. Fall. Gulì ( Avv. Sangiorgi Mancuso).
Conferma App. Palermo 1° dicembre 1983.
Fallimento — Credito fondiario — Ammissione al passivo degli interessi — Principio' del concorso sostanziale — Operatività
(Cod. civ., art. 2855; r.d. 16 luglio 1905 n. 646, t.u. sul credito
fondiario, art. 41, 42, 52, 55, 61; r.d. 16 marzo 1942 n. 267,
disciplina del fallimento, art. 52, 54, 55; 1. 17 agosto 1974 n.
397, norme per la determinazione dei tassi di interesse per i
finanziamenti agevolati e del tasso di mora per i mutui fondia
ri, art. 2).
Poiché nessuna deroga, esplicita o implicita, al principio di dirit
to sostanziale della par condicio creditorum è prevista dall'art.
52, 1° comma, l. fall., le disposizioni di cui agli art. 54 e 55 l. fall., che limitano la prelazione ipotecaria sugli interessi ri
chiamando la disciplina stabilita dall'art. 2855, 3° comma, c.c., sono operanti, senza riserva alcuna, per tutti i creditori concor
renti, compresi gli istituti di credito fondiario, ditalché, in caso
di fallimento del mutuatario, dopo l'annata in corso alla data
del fallimento a tali istituti spettano, con collocazione nello stesso
Il Foro Italiano — 1987.
grado ipotecario, gli interessi nella misura legale del cinque per
cento e non quelli previsti dal t.u. 16 luglio 1905 n. 646 o dalla
I. 17 agosto 1974 n. 397, che per i mutui fondiari stabilisce
la misura degli interessi con riferimento al tasso di sconto mag
giorato di quattro punti, salvo le modifiche disposte con decre
to del ministro del tesoro. (1)
(1) La Cassazione ha risolto il problema relativo al regime degli inte
ressi spettanti agli istituti di credito fondiario, in caso di fallimento del
mutuatario, ribadendo la piena e indiscriminata operatività del principio del concorso sostanziale, già affermato con le sentenze 25 ottobre 1973, n. 2734, Foro it., 1974, I, 96, e 10 novembre 1981, n. 5944, id., 1982,
I, 1343, citate in motivazione, con le quali è stato stabilito che il computo
degli interessi sui mutui fondiari è regolato dall'art. 54 1. fall, ed è quindi soggetto alla disciplina dettata dall'art. 2855, 3° comma, c.c. La novità della sentenza riportata è data dal fatto che la Cassazione ha affrontato
per la prima volta la questione relativa al rapporto tra la disciplina degli interessi nella procedura concorsuale e la normativa posta dall'art. 2 1. 17 agosto 1974 n. 397, attribuendo prevalenza alla prima ed escludendo,
quindi, che, per il periodo successivo all'annata in corso alla data del
fallimento, agli istituti di credito fondario possano competere gli interessi
fissati a norma della predetta legge (tasso di sconto maggiorato di quat tro punti, salvo le modifiche disposte con decreto del ministro del teso
ro). Una diversa soluzione è stata seguita da Trib. Roma 13 luglio 1985, Fallimento, 1986, 216, e 15 ottobre 1980, Foro it., 1981, I, 2565, secondo
cui il riferimento dell'art. 2855 c.c. alla misura legale degli interessi di
mora deve intendersi compiuto non all'art. 1284 c.c., che stabilisce il
tasso del cinque per cento, ma all'art. 2 1. 397/74, che rappresenta la
fonte di una specifica normativa sui tassi di mora per i mutui fondiari. In linea con la sentenza riportata, la giurisprudenza di merito ha rite
nuto applicabile a tutti i crediti, compresi quelli che traggono origine da mutui fondiari, la normativa risultante dal combinato disposto degli art. 54, 3° comma, 1. fall, e 2855 c.c., inferendone che agli istituti di credito fondiario spettano, con collocazione nello stesso grado ipoteca rio, soltanto gli interessi al tasso legale del cinque per cento di cui all'art. 1284: Trib. Torino 6 giugno 1985, id., Rep. 1985, voce Fallimento, n.
307; Trib. Lecce 6 febbraio 1982, id., Rep. 1983, voce cit., 287; App. Napoli 21 gennaio 1981, id., Rep. 1981, voce cit., 248; Trib. Palermo 24 dicembre 1980, ibid., n. 249. Per una soluzione intermedia v. App. Catania 2 giugno 1983, id., Rep. 1984, voce cit., n. 352; Trib. Catania 17 giugno 1982, id., Rep. 1983, voce cit., n. 462; Trib. Catania 14 mag
gio 1981, id., Rep. 1981, voce cit., n. 250, secondo cui l'istituto di credi
to fondiario ha diritto, nell'ipotesi di fallimento del mutuatario, agli inte
ressi moratori previsti convenzionalmente, ma, per il periodo successivo all'annata in corso alla data del fallimento, la prelazione ipotecaria è
operante nei limiti del cinque per cento, mentre per la parte eccedente il tasso legale gli interessi devono essere collocati in chirografo. Su que st'ultimo punto cfr. altresì' App. Palermo 5 ottobre 1985 e Trib. Lecce
17 marzo 1986, Fallimento, 1986, 1352 e — in senso lucidamente critico — Manferoce, Sull'ammissibilità al passivo delta differenza tra il tasso
convenzionale e quello legale degli interessi prodotti dai crediti ipotecari e pignoratizi, ibid., 1360.
In dottrina, in senso conforme a Cass. 7148/1986, v. Silvestri, in II
sindacato giurisdizionale sull'intermediazione creditizia, atti del convegno svoltosi in Capri il 23 e il 24 giugno 1984 a cura del Centro studi finanza ed economia, Napoli, 1985, 277 ss.; Bonfante, Domanda di ammissione al passivo e normativa sul credito fondiario, in Giur. comm., 1978, II, 895: per la prevalenza della normativa sugli interessi contenuta nel t.u. 646/1905 cfr., invece, Oppo, Il privilegio del credito fondiario oggi, in
Riv. dir. civ., 1983, II, 410 ss.; Neri, Istituti di credito fondiario e falli mento del mutuatario: il regime degli interessi, in Giur. comm., 1982, I, 269; Moglie, Normativa della legge fallimentare e normativa sul credi
to fondiario, in Banca, borsa, ecc., 1978, II, 195. Per un'analisi ricostruttiva dell'opera di raccordo compiuta dalla giuri
sprudenza della Cassazione tra normativa sul credito fondiario e legge fallimentare con una serie di pronunce tendenti alla ricerca di un equili brio tra le peculiari esigenze sottese alla disciplina dettata dal t.u. del 1905 e il rispetto del principio della parità di trattamento tra tutti i credi tori concorrenti:
— Cass. 30 gennaio 1985, n. 582, Foro it., 1985, I, 1725, secondo cui il potere degli istituti di credito fondiario di procedere ad espropria zione singolare anche in pendenza del fallimento non preclude agli organi fallimentari la possibilità di procedere alla vendita coattiva degli immobili
ipotecati e il concorso tra i due procedimenti espropriativi va risolto in base all'anteriorità del provvedimento di vendita: sulle interferenze con
seguenti alla vendita dei beni disposta nelle due procedure coattive v. Trib. Prato 27 febbraio 1984, id., Rep. 1985, voce cit., n. 525; Trib. Roma 19 luglio 1982, id., Rep. 1983, voce cit., n. 522, e in dottrina, in nota a Cass. 582/85, G. Costantino, Sui rapporti tra fallimento, espro priazione per credito fondiario ed esecuzione esattoriale, id., 1985, I, 1725; Bozza, Il difficile coordinamento tra la normativa sul credito fondiario e quella fallimentare, in Dir. fallim., 1985, II, 369; Carnacini, Sulla vendita fallimentare del bene ipotecato dal credito fondiario, in Riv. trim, dir. e proc. civ., 1985, 246; Padovini, Concorso della liquidazione falli mentare con l'azione esecutiva immobiliare degli istituti di credito fondia rio?, in Riv. dir. civ., 1985, II, 575;
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Motivi della decisione. — (Omissis). Col terzo mezzo la cassa
sostiene che erroneamente la corte d'appello avrebbe ritenuto non
operanti nel fallimento, perché abrogate dall'art. 54 1. fall., le
disposizioni del t.u. del 1905 sulla disciplina del credito fondia
rio, che consentono agli istituti mutuanti di percepire senza limi
tazioni, anche in caso di fallimento, gli interessi maturati a loro
favore.
I giudici d'appello avrebbero in tal modo arbitrariamente cir
coscritto il diritto privilegiato alla percezione di quegli interessi
nei ristretti confini degli art. 2788, 2° comma, e 2855, 3° comma,
c.c., richiamati dall'art. 54 1. fall.
Osterebbe a tale interpretazione, secondo la ricorrente, l'art.
42, 2° comma della legge speciale (t.u. del 1905), che, per i beni
ipotecati a favore degli istituti mutuanti, prevede l'applicabilità delle leggi e dei regolamenti sul credito fondiario anche in caso
di fallimento del debitore.
La norma sarebbe dettata dall'esigenza di assicurare, con la
riscossione degli interessi del mutuo, il pagamento degli interessi
delle cartelle, emesse, senza alcun fine speculativo, dagli istituti
medesimi, per far fronte al finanziamento.
La legge sul fallimento — prosegue la ricorrente — avendo
carattere generale, non sarebbe idonea a derogare alla legge spe ciale anteriore sul mutuo fondiario.
II legislatore, nel dettare le norme sul fallimento, oltre a far
salve, con l'art. 51, le disposizioni processuali del t.u. 1905 sull'e
speribilità, da parte dell'istituto mutuante, dell'azione esecutiva
ordinaria, avrebbe coerentemente riconosciuto la operatività delle
norme sostanziali della legge speciale. L'art. 52 1. fall, conterrebbe, infatti, un implicito richiamo
al t.u. del 1905 nel far salve le diverse disposizioni di legge rispet to alla regola generale dell'assoggettamento di ogni credito alla
verificazione dello stato passivo nella procedura collettiva con
corsuale.
Infine, secondo la ricorrente, non sarebbe invocabile il princi
pio della par condicio di fronte al disposto del 1° comma del
l'art. 42 t.u. 1905, che impone al curatore l'obbligo di versare
all'istituto mutuante le rendite dei beni ipotecati. Il motivo è infondato. Nella discussione orale la ricorrente ha
così sintetizzato il proprio pensiero: come l'art. 51 1. fall., nel
far salve le diverse disposizioni di legge, contiene una riserva espli cita a favore di leggi speciali quale, appunto, è il t.u. del 1905
sul credito fondiario, nel senso dell'ammissibilità, anche in co
stanza di fallimento, della azione esecutiva ordinaria (nella spe
cie, sugli immobili ipotecati a favore dell'istituto mutuante), così
l'art. 52 1. fall, contiene — sul piano del diritto sostanziale,
— Cass. 2 novembre 1982, n. 6254, Foro it., 1983, I, 350, secondo cui, in caso di fallimento del mutuatario, l'esperimento dell'azione esecu tiva individuale da parte dell'istituto di credito fondiario non determina la sottrazione degli immobili alla custodia e all'amministrazione del cura tore sotto la vigilanza del giudice delegato, secondo le norme proprie della procedura fallimentare;
— Cass. 2 febbraio 1978, n. 458, id., Rep. 1978, voce cit., n. 227, che, nell'ipotesi di vendita in sede fallimentare degli immobili ipotecati, ha ritenuto che l'istituto esercente il credito fondiario non può invocare, nell'ambito del fallimento, l'applicazione della norma di cui agli at. 42 e 55 t.u. del 1905 al fine di conseguire l'immediato versamento del prezzo fino alla concorrenza del credito vantato, ma soggiace alle ordinarie re
gole della procedura fallimentare sui tempi e sulle modalità di ripartizio ne dell'attivo: in questa stessa ottica, con un'applicazione rigorosa e coe rente della par condicio, cfr. Trib. Udine 6 febbraio 1985, id., Rep. 1985, voce cit., 283; Trib. Roma 26 maggio 1983, id., Rep. 1983, voce cit., n. 281, che hanno ricondotto nella categoria dei privilegi processuali la facoltà dell'istituto di credito fondiario di procedere ad esecuzione indivi duale nonostante il fallimento del mutuatario, sostenendo che detto isti tuto è tenuto ad insinuare il proprio credito nello stato passivo fallimen tare e a restituire alla massa la somma ricavata dall'esecuzione individua le eccedente la quota che sarebbe spettata in sede di riparto fallimentare
(tali principi rappresentano il risultato della trasposizione in subiecta ma teria delle argomentazioni svolte in tema di esecuzione esattoriale da Cass. 14 marzo 1980, n. 1716, id., Rep. 1980, voce cit., n. 379, e 12 maggio 1978, n. 2325, id., 1978, I, 1357). In questo stesso ordine di idee v., per la dottrina, Silvestri, op. cit., 275 ss.; G. Costantino, Le espropria zioni forzate speciali. Lineamenti generali, 1984, 274, secondo cui l'art.
55, 1° comma, ult. parte, t.u. del 1905 non sottrae il soddisfacimento del credito dall'osservanza del principio della par condicio e «le forme
processuali previste in favore degli istituti di credito fondiario non sov vertono l'ordine delle cause di prelazione: le disposizioni che consentono
agli istituti di credito di iniziare o proseguire l'esecuzione singolare pur in pendenza di quella concorsuale, di percepire immediatamente le som me ricavate dalla espropriazione non escludono né il concorso degli altri
creditori, né il diritto di costoro di ricevere quanto loro spetta. Il proble ma, quindi, non investe l'an del concorso, ma soltanto il quomodo». [G. Silvestri]
Il Foro Italiano — 1987.
cui sono finalizzate le norme procedimentali — una riserva impli cita a favore della stessa legge speciale, in deroga al principio del concorso dei creditori sul patrimonio del fallito.
Ora, se è vero che l'art. 51 contiene una deroga esplicita a
favore di leggi speciali, fra cui il testo unico sul mutuo fondiario, nel senso della proponibilità e della proseguibilità dell'azione ese
cutiva individuale nonostante la dichiarazione di fallimento del
debitore ipotecario, è altrettanto vero che nessuna deroga, espli cita o implicita, al principio di diritto sostanziale della par condi
cio contiene l'art. 52 1. fall, a favore della stessa legge speciale. Nemmeno in astratto l'art. 52 prevede la possibilità di una de
roga a questo fondamentale principio nell'ambito della procedu ra collettiva concorsuale.
Esso testualmente dispone: «Il fallimento apre il concorso dei
creditori sul patrimonio del fallito (1° comma). Ogni credito, an
che se munito di diritto di prelazione, deve essere accertato se
condo le norme stabilite nel capo V, salvo diverse disposizioni della legge» (2° comma).
La riserva compare soltanto nel 2° comma, con riferimento
esclusivo al modo di accertamento dei crediti nel processo falli
mentare (concorso formale), che richiede, come regola generale, l'osservanza delle norme del capo V sulla formazione e la verifi
cazione dello stato passivo, salvo — appunto — «diverse disposi zioni di legge». Non compare, invece, nel 1° comma, perché il
principio della par condicio (concorso sostanziale) non soffre de
roghe, salvo le cause legittime di prelazione. Si potrà discutere, dunque, se, nonostante l'inizio del procedi
mento esecutivo ordinario, l'istituto mutuante debba, come l'e
sattore (art. 18 d.p.r. 28 settembre 1973 n. 603; sez. un. 12 mag
gio 1978, n. 2354, Foro it., 1978, I, 1357), insinuare nel fallimen
to il suo credito in osservanza della regola generale del 2° comma
dell'art. 52 1. fall., ovvero se, in mancanza di una disposizione
equivalente a quella dell'art. 18 decr. n. 603 del '73, che riguarda soltanto l'esattore, la sua posizione si inquadri nell'eccezione pre vista dalla stessa norma dell'art. 52, 2° comma, 1. fall., ed egli,
pertanto, non sia vincolato dall'onere della domanda di ammis
sione al passivo. E si potrà anche adottare quest'ultima soluzio
ne, rifiutando il ricorso all'analogia. Ma nell'una e nell'altra ipo
tesi, attraverso la verifica dello stato passivo, o, rispettivamente, col mezzo indiretto dell'intervento nell'azione esecutiva ordina
ria, sempre il curatore sarà in grado di esercitare il proprio con
trollo sull'osservanza del principio della par condicio, sanzionato
senza riserve dalla richiamata disposizione del 1° comma dell'art.
52 1. fall.
In effetti, nell'ambito della procedura concorsuale, l'istituto cre
ditore, per effetto della risoluzione del mutuo fondiario, riceve, con riserva di «restituzione a chi di ragione», le rendite dell'im
mobile ipotecato che il curatore è tenuto a versargli (art. 42, 1°
comma, t.u. 1905) e con la stessa riserva (nel caso di non utile
collocazione, in seguito alla successiva graduazione) riceve la par te del prezzo corrispondente al suo credito, che il compratore dell'immobile gli deve pagare (art. 55 t.u. 1905, applicabile al
fallimento per il disposto dell'art. 42, 2° comma, della stessa legge). Pertanto le disposizioni degli art. 52 1. fall, e 42, 55 t.u. del
1905 non sono, di per sé, risolutive del problema in esame nel
senso negativo della non applicabilità ai rapporti di mutuo fon
diario della norma dell'art. 54 1. fall., che, per tutti i creditori concorrenti e senza alcuna riserva, esplicita o implicita, limita la prelazione ipotecaria sugli interessi secondo la previsione degli art. 2788, 2° comma, e 2855, 3° comma, c.c.
Il problema si ripropone, quindi, in termini di confronto, ai
fini di un giudizio di compatibilità, fra le norme degli art. 54
e 55 1. fall, e le disposizioni sulla legge del credito fondiario.
Tale problema non può essere semplicisticamente risolto affer
mando che la legge fallimentare del '42, in quanto lex generalis successiva al t.u. del 1905, non può derogare alla legge sul credi
to fondiario, da considerare lex specialis anteriore.
La disciplina del fallimento, invero, presupponendo l'insolven
za, è legge speciale intuitu materiae rispetto alla legge processuale comune, anche se questa si riferisca, con particolari connotazioni
e deroghe, a soggetti determinati. Ed è proprio il fatto dell'insol
venza e la necessità che ne deriva della partecipazione dei credito
ri alla procedura concorsuale collettiva che induce il legislatore a predisporre un sistema di riserve legali, per consentire solo ec
cezionalmente l'osmosi fra le disposizioni che regolano detta pro cedura e le norme generali e speciali dell'ordinamento comune.
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PARTE PRIMA
Appare, quindi, determinante il confronto fra le norme di di
ritto processuale fallimentare contenute nelle due leggi del 1942
e del 1905. Perché bisogna chiedersi, appunto, se le disposizioni di tale natura comprese nel testo unico sul mutuo fondiario siano sufficientemente specifiche per prevalere sulla norma dell'art. 54, ult. comma, in relazione all'art. 55 1. fall.
Ora, è di tutta evidenza che la disposizione del 1° comma del
l'art. 42 t.u. 1905 importa deroga soltanto alla norma oggi conte nuta nell'art. 34 1. fall, sull'obbligo del curatore di depositare le somme riscosse con le modalità stabilite dal giudice.
Essa, invero, opera nel campo dei doveri amministrativi del
curatore, al quale prescrive l'obbligo di corrispondere provviso riamente all'istituto mutuante le rendite dei beni ipotecati, con
operazioni di versamento che sono affini ai piani di ripartizione parziale ma se ne distinguono perché i piani sono definitivi salvo
revocazione del credito, mentre i versamenti determinano un ef
fetto di imputazione provvisoria, salvo restituzione della somma
eventualmente non collocata nella successiva graduazione. Nessuna indicazione, dunque, contiene il 1° comma dell'art.
42 sull'estensione del privilegio, a garanzia del credito per inte
ressi, in contrapposizione al precetto limitativo — che si ispira al principio della par condicio — sancito dall'art. 54, ult. com
ma, 1. fall.
Quanto alla disposizione del 2° comma dell'art. 42, essa richia
ma, in generale, le norme sul credito fondiario, pur in costanza del fallimento del debitore ipotecario. Ma questo generico richia
mo non è compatibile, nel particolare regime della prelazione de
gli interessi, con la successiva, specifica disposizione dell'art. 54
1. fall, che, regolando tale materia, senza alcuna riserva, in attua
zione del principio della par condicio, determina, con restrizioni
precise a tutela concorsuale del credito, l'estensione della garan zia ipotecaria.
La mancanza nell'art. 54 di una riserva esplicita (o implicita), che invece esiste nell'art. 51, non consente la ricezione di norme
diverse nel sistema compiuto e chiuso dell'ordinamento fallimen
tare.
Talché, in definitiva, la scarsa determinatezza, sul punto, del
l'art. 42, 2° comma, t.u. 1905 e, per converso, la precisione di
contenuti dell'art. 54, ijlt. comma, 1. fall, dimostrano che con
la formulazione di quest'ultima norma si è realizzata la scelta
legislativa, nel senso che sia la riscossione anticipata delle rendite
sia l'esercizio dello ius vendendi da parte dell'istituto mutuante
si armonizzano con il sistema organico della legge fallimentare
e in essa s'inquadrano con le necessarie limitazioni.
In una prospettiva ancora più ampia si può osservare che nella
esecuzione mobiliare «l'istituto ha facoltà di procedere contro i
debitori morosi con la stessa procedura di cui si giova lo Stato
per la riscossione delle imposte dirette». E non c'è dubbio che
la «prevalenza» procedurale dell'esecuzione esattoriale sul proce dimento fallimentare non implica deroga alla par condicio, per ché la facoltà di esecuzione individuale in deroga al precetto di
ordine generale dell'art. 51 1. fall, non può far venir meno, sul
piano del diritto sostanziale, l'applicazione della regola del trat
tamento egualitario dei creditori.
Talché l'intero sistema, nell'esecuzione immobiliare e mobilia
re, appare informato allo stesso principio. Nella memoria la ricorrente ha ribadito le proprie argomenta
zioni, con particolare riferimento ad altre disposizioni della legge sul credito fondiario, precisamente all'art. 61 e all'art. 41 t.u.
del 1905.
L'art. 61 dispone che nel caso di vendita per espropriazione forzata degli immobili ipotecati «il deliberatario potrà approfitta re del mutuo concesso al debitore espropriato, purché nei quindi ci giorni da quello in cui sarà definita l'aggiudicazione, paghi le semestralità scadute, gli accessori e le spese».
Neppure il richiamo a questa disposizione sembra risolutivo del tema controverso.
La stessa dottrina citata dalla ricorrente, invero, osserva che
l'art. 61, in sé considerato, è interpretabile nel senso che la scelta
dell'aggiudicatario operi solo sul piano dei suoi rapporti con l'i
stituto «senza una oggettiva incidenza sull'esecuzione e sui rap
porti con gli altri creditori». Tesi, questa, sostenuta con successo nel presente giudizio dal curatore, intervenuto nel processo di ese cuzione per far valere i diritti della massa fallimentare.
Né sembra che la disposizione dell'art. 61 sia diversamente in
terpretabile — come, invece, affermano la ricorrente e la dottrina da essa citata — in relazione all'art. 41 t.u. 1905, che prevede la possibilità per l'istituto creditore di essere immesso, ancor pri ma di ogni atto di esecuzione, nel possesso dell'immobile ipoteca to, con diritto di percepirne le rendite e i frutti.
Il Foro Italiano — 1987.
La norma, invero, delinea un'ipotesi simile a quella del pegno di cosa fruttifera — una sorta di anticresi ex lege — e, pertanto, nella sua pratica attuazione, pone gli stessi problemi sull'esten
sione dell'oggetto della garanzia degli interessi, che si risolvono — come si è detto — per comparazione fra le norme di diritto
processuale fallimentare contenute nei due diversi sistemi legisla tivi della legge del '42 e del t.u. del 1905.
Un'ultima osservazione: la ratio di un giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 42 t.u. 1905 non sembra affidabile — con
trariamente a quanto ha ritenuto la Corte costituzionale con sen
tenza n. 211 del 1976 (id., 1976, I, 2059) — all'esigenza che sia
assicurato puntualmente il funzionamento del meccanismo del cre
dito per il necessario collegamento esistente fra le operazioni di
mutuo fondiario e quelle con cui si attinge al risparmio per il
finanziamento del prestito attraverso l'emissione di cartelle.
La supposta ratio (anche se gli istituti bancari operano in que sto campo senza fini di lucro) si risolverebbe, in definitiva, nella
tutela dei risparmiatori contro i creditori concorrenti dell'istituto
mutuante e potrebbe essere pericolosamente estesa ad altre attivi
tà di imprese che attingano ai capitali nel pubblico. Mentre —
com'è stato giustamente osservato — le esigenze di tutela del ri
sparmio non potrebbero mai giustificare l'eventuale pregiudizio del diritto alla conservazione della garanzia patrimoniale o del
diritto alla par condicio.
In realtà, per le ragioni esposte, questo pregiudizio non esiste, in quanto l'art. 42 t.u. 1905 deroga alla disciplina comune solo
in relazione alla fase espropriativa, mentre il creditore procedente è obbligato alle restituzioni, ove ne ricorrano i presupposti (art. 42 e 55 t.u. 1905), da stabilire, nell'ambito del fallimento, secon
do le specifiche norme della legge speciale. Tale preminente esigenza, quindi, di garantire il diritto di azio
ne dei creditori concorrenti (art. 24 Cost.), rafforzandone la po sizione secondo il criterio direttivo della par condicio, contribui
sce a risolvere l'alternativa esegetica a favore dell'applicabilità — nella specie — della disposizione dell'ultimo comma dell'art.
54 1. fall, nei limiti della prelazione ipotecaria a garanzia del cre
dito degli interessi. In tal senso, pertanto, il collegio ritiene di dover concludere
nell'esame del terzo motivo del ricorso, conformemente alla giu
risprudenza di questa corte (sent. 10 novembre 1981, n. 5944,
id., 1982, I, 1343; 25 ottobre 1973, n. 2734, id., 1974, I, 96). Col quarto mezzo la ricorrente denuncia la violazione dell'art.
61 t.u. del 1905, sostenendo di avere in ogni caso diritto di incas
sare sul prezzo dell'espropriazione forzata le semestralità scadu
te, gli accessori e le spese, quindi l'intero ammontare degli interessi.
Il motivo è infondato per le stesse ragioni svolte nell'esame
del precedente. L'art. 61 — come si è detto — attribuisce al deliberatario una
semplice facoltà di profittare del mutuo concesso al debitore espro
priato, alle condizioni di pronto pagamento ivi previste. Il curatore fallimentare, pertanto, conserva, come nella situa
zione regolata dalle norme generali degli art. 42 e 55 t.u. 1905, i diritti, nella misura spettantegli ex lege, che può far valere —
e, in concreto, ha fatto valere — col proprio intervento nel pro cedimento esecutivo singolare, a favore della massa passiva.
Col quinto mezzo la cassa denuncia la violazione degli art. 1321,
1284, 1339 c.c. e della 1. 17 agosto 1974 n. 397, che devolve al
ministero del tesoro la competenza a fissare (di concerto col mi
nistro competente per la materia) i tassi agevolati, fra i quali rien
trano quelli dovuti sui mutui fondiari: i «tassi» — precisa la ri
corrente — non già i «tassi massimi», come dispone l'art. 31
t.u. del 1905, oggi abrogato dall'art. 13 1. n. 397 del 1974.
Secondo la ricorrente, essendo con tale disposizione sottratta
alla volontà delle parti la facoltà di determinare gli interessi ap
plicabili ai mutui fondiari, la natura giuridica non convenzionale
ma legale di essi ne comporterebbe l'attribuzione all'istituto mu
tuante fino alla vendita all'asta dell'immobile nella misura, ben
superiore a quella del 5 °7o, stabilita dalla pubblica autorità e rece
pita nel contratto di mutuo.
Il motivo è infondato. Non c'è dubbio, invero, che gli art.
2788 e 2855 c.c., richiamati dall'art. 54 1. fall., nel disporre che
la prelazione ipotecaria ha luogo per gli interessi successivamente
maturati, nei limiti della misura legale, fino alla data della vendi
ta, si riferiscono all'interesse legale del 5°7o previsto dal codice civile (art. 1284). Di conseguenza, è privo di fondamento giuridi co ogni riferimento a saggi di interesse, stabiliti, in misura supe riore, da leggi diverse dal codice.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
In conclusione, ritiene il collegio che la sentenza impugnata si sottragga sotto ogni aspetto alle censure del ricorrente. Il ricor
so, pertanto, deve essere rigettato. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 28 novem bre 1986, n. 7041; Pres. Antoci, Est. Della Terza, P. M.
Gazzara (conci, diff.); Cantina cooperativa di Melissano (Aw.
Fumarola) c. Marsano (Aw. G. Volpe, C. M. Barone). Cas sa App. Bari 10 dicembre 1982.
Lavoro (rapporto) — Cassa per il Mezzogiorno — Agevolazioni al datore di lavoro — Equo trattamento —
Obbligo di applica zione — Contratto a favore di terzi — Esclusione — Inosser
vanza — Conseguenze (Cod. civ., art. 1339, 1411; 1. 20 maggio
1970 n. 300, norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavo
ratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento, art. 36; 1. 26 giugno 1965
n. 717, disciplina degli interventi per lo sviluppo del Mezzo giorno, art. 26).
Poiché all'obbligo imposto dall'art. 26 l. 26 giugno 1965 n. 717 all'imprenditore, cui la Cassa per il Mezzogiorno abbia attri buito i benefici previsti da tale legge, non corrisponde un dirit
to soggettivo, autonomamente azionabile, dei dipendenti, terzi
rispetto al rapporto tra la cassa e il datore di lavoro, le infra zioni di quest'ultimo a quell'obbligo sono sanzionabili soltanto
sul piano amministrativo con misure che possono concretarsi
anche nella revoca dei benefici concessi. (1)
(1) In senso sostanzialmente conforme, Pret. Gallipoli 16 gennaio 1985, Foro it., Rep. 1985, voce Lavoro (rapporto), n. 940, e in Riv. giur. lav., 1985, II, 298, con nota di Renna, L'impresa agevolata e gli interes si dei lavoratori, il quale critica la soluzione accolta dal pretore e insiste sul rilievo, non condiviso dalla riportata sentenza, che i dipendenti sono titolari di un diritto soggettivo perfetto al rispetto delle c.d. clausole di equo trattamento nei confronti dell'imprenditore, beneficiario di sov venzioni e/o di mutui concessi dalla p.a. in base alla legislazione di in tervento a favore delle imprese industriali, utilizzando lo schema del con tratto a favore di terzi, da tempo delineato, con approfondite argomen tazioni, anche con riferimento alla previsione dell'art. 26 1. n. 717 del
1965, da O. F. Mancini, Statuto dei diritti dei lavoratori, in Commenta
rio, a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1972, sub art. 36. La sezione lavoro della Cassazione giunge alla conclusione riassunta
in massima, contraddetta dalla prevalente dottrina, puntualmente ricor data da Renna, op. loc. cit., ignorando le contrarie enunciazioni di nu merose pronunzie della stessa corte, concordi nel riconoscere ai lavorato
ri, partecipi di situazioni in vario modo collegabili a quella di specie, la titolarità di veri e propri diritti soggettivi nei riguardi dei datori di
lavoro, tenendo presente proprio la configurazione del contratto a favo re di terzi. Meritano, in proposito, di essere ricordate: a) Cass. 5 giugno 1981, n. 3640, Foro it., Rep. 1981, voce Opere pubbliche, n. 94, secon do cui la previsione dell'art. 17 del capitolato generale di appalto di
opere pubbliche (d.p.r. n. 1063 del 16 luglio 1962), in base alla quale l'appaltatore di opere pubbliche assume l'obbligo di applicare ai lavora tori dipendenti condizioni normative e retributive non inferiori a quelle stabilite dai contratti collettivi vigenti, si configura come un contratto a favore del terzo, che fa sorgere in capo ai lavoratori impiegati nell'ese cuzione delle opere appaltate un diritto soggettivo, nei confronti del da tore di lavoro, alla osservanza della contrattazione collettiva, e nel quale l'interesse dello stipulante, richiesto dall'art. 1411, 1° comma, c.c., è
quello della p.a. alla regolare esecuzione dei lavori, che sarebbe compro messa dalla litigiosità dei lavoratori, motivata da un loro trattamento meno favorevole di quello stabilito dalla contrattazione collettiva; b) Cass. 23 novembre 1978, n. 5501, id., Rep. 1978, voce Lavoro (contratto), n. 58, e 9 dicembre 1974, n. 4145, id., Rep. 1974, voce Lavoro (rappor to), n. 218, per le quali dall'obbligo imposto nel relativo disciplinare al concessionario di pubblici servizi automobilistici di linea, di osservare i patti nazionali di lavoro regolanti lo stato giuridico, l'orario di lavoro ed il trattamento previdenziale dei propri dipendenti, nasce, a favore di questi ultimi, un diritto soggettivo nei confronti del concessionario medesimo all'osservanza di tali patti, ricorrendo al riguardo la fattispe cie del contratto a favore di terzi, la cui configurazione non è esclusa né dalla circostanza che il diritto a favore del terzo abbia per oggetto la conclusione con il promittente di un contratto, in cui debbono essere inserite determinate clausole, né da quella secondo cui al momento della conclusione del contratto stesso il terzo non sia determinato, ma deter minabile solo in base ad un evento posteriorejc) Cass. 8 agosto 1978, n. 3867, id., 1978, I, 2431, con nota di richiamie osservazioni di G.
Pera, a tenor della quale il contenuto dell'art. 102 d.p.r. n. 858 del 1963
li Foro Italiano — 1987.
Motivi della decisione. — (Omissis). Occorre, d'altro canto, chia rire che il punto centrale della controversia si trova altrove: poiché, una volta accertato, mediante il giuramento decisorio, che la canti na Melissano aveva ricevuto i finanziamenti pubblici (previsti per le imprese agricole del Mezzogiorno), non è detto che, da tale cir
costanza, scaturisse automaticamente e direttamente, il diritto del
dipendente dell'impresa medesima ad ottenere un determinato trat tamento economico, ossia quello risultante dai contratti collettivi di lavoro della categoria e della zona. A tal riguardo, la corte di Bari non ha certamente fatto un ragionamento esauriente, affer
mando, apoditticamente, che, ai sensi dell'art. 261. 26 giugno 1965 n. 717, il finanziamento comporta ope legis, per l'impresa benefi
ciaria, l'obbligo di osservare una determinata contrattazione col
lettiva, indipendentemente dall'iscrizione di essa all'associazione sin dacale stipulante.
Né sono convincenti le argomentazioni svolte dalla difesa del re sistente per sostenere la tesi che il finanziamento pubblico sia fonte
generatrice dell'obbligo dell'imprenditore verso i terzi, cioè i suoi
dipendenti, nonché del correlativo diritto soggettivo di costoro, azio nabile in via autonoma.
La cennata difesa afferma che la 1. 717/65 rientrerebbe nel siste ma che disciplina l'intervento della p.a. nella regolamentazione dei
rapporti tra le imprese appaltatrici di opere pubbliche, ovvero be neficiari di sovvenzioni finanziarie pubbliche, ed i loro dipendenti. Un sistema che, secondo la dottrina specialistica, contribuirebbe a colmare il vuoto della mancata attuazione del precetto di cui all'art. 39 Cost., investendo, tramite il rapporto instauratosi tra la p.a. e
l'imprenditore, il separato rapporto di lavoro operante nella orga nizzazione dell'impresa.
In sostanza, acutamente si osserva che il legislatore avrebbe adot tato il criterio della recezione indiretta, imponendo al beneficiario dei finanziamenti pubblici una stipulazione a favore di terzi. Sic
ché, la clausola relativa a tale stipulazione comporterebbe l'inseri mento automatico del suo contenuto nel rapporto di lavoro inter corrente tra il beneficiario ed i suoi dipendenti, ai sensi dell'art. 1339 c.c. La conseguenza sarebbe quella che la norma imperativa deter
minerebbe l'obbligo dell'imprenditore di adempiere sia verso l'en te stipulante, sia verso i propri dipendenti, senza possibilità di sot
trarsi unilateralmente all'adempimento medesimo.
Osserva la corte che, così ragionando, il discorso giuridico è solo
apparentemente corretto.
Invero, la 1. 26 giugno 1965 n. 717 si colloca nel filone legislativo diretto a favorire (dal 1948 in poi) lo sviluppo industriale ed agri colo del Mezzogiorno, mediante investimenti ed interventi straor
dinari sotto la forma di finanziamenti, contributi, agevolazioni fi
scali, appalti di opere pubbliche, ecc. Una varietà di provvidenze,
dunque, che sono gestite da un apposito ente pubblico, anziché da
un ente-organo dello Stato, e sono rivolte ad incoraggiare ed a so stenere le iniziative produttive anche nel settore dell'agricoltura. Tale
ente pubblico, la Cassa per il Mezzogiorno, venne istituito dalla 1.
18 agosto 1950 n. 646, assumendo natura provvisoria, in relazione
alle esigenze socio-economiche di determinate zone del territorio na
zionale.
Una prospettiva, questa, che attribuisce alla Cassa per il Mezzo
giorno una sfera di competenza propria, sebbene derivata da quel la dello Stato, che può dar luogo a nuovi aspetti della tutela del la
voro, come, del resto, si verifica in ogni schema di delegazione in
tersoggettiva tra enti pubblici. Il problema è, appunto, quello di individuare i limiti e gli effetti
della cennata tutela del lavoro, rispetto ai quali la corte di Bari ha omesso ogni indagine.
È appena il caso di accennare che il criterio di ermeneutica detta
ci cui disposto, secondo Cass. 6 marzo 1985, n. 1854, id., Rep. 1985, voce Riscossione delle imposte, n. 106, si inserisce nel contratto di esattoria co me un naturale negotii) che considera irregolarità idonea a determinare la decadenza dell'esattore la inadempienza di quest'ultimo agli obblighi deri vanti dai contratti collettivi, non può ravvisarsi nell'obbligo di osservanza del contratto collettivo in quanto applicabile, ma nell'obbligo, più chiara mente precisato dall'art. 361. n. 300 del 1970 (per la cui inapplicabilità alle scuole materne non statali, in quanto prive del carattere di imprese a fine di lucro, Cons. Stato, sez. I, 14 gennaio 1981, n. 1438, id., Rep. 1984, voce Istruzione pubblica, n. 70), di trattamento di tutti i dipendenti in modo con forme a quella che sarebbe la disciplina della contrattazione collettiva «del la categoria e della zona»; la clausola sociale in esame costituisce, nel con tratto di esattoria che la contiene, una clausola a favore di terzi ed attribui sce un autonomo ed azionabile diritto ai lavoratori avente come contenuto un trattamento del tutto conforme a quello derivante dall'applicazione del contratto collettivo.
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